Mi sono reso conto, frequentando i numerosi convegni del periodo autunnale, che il rinnovato interesse per la tutela dell’ambiente provoca anche qualche danno.
Se ne parla di più, certo, ma molte volte a sproposito, pagando un prezzo troppo alto per avere maggiore attenzione dall’opinione pubblica, perché la ribalta mediatica attira quotidianamente una quantità di personaggi singolari.
L’approssimazione passa spesso inosservata quando si parla di vita quotidiana o questioni ampiamente trattate e note a tutti.
Ascoltiamo l’illuminato parere e ce ne dimentichiamo. Anche quando si parla di ambiente.
La cosa è un po’ più complicata, invece, quando ci si addentra negli insidiosi meandri della legislazione ambientale.
Lì c’è poco da improvvisare, se non si conosce la materia si rischia di fare veramente una brutta figura.
La fantasia dei tuttologi ha però trovato una soluzione infallibile che accontenta l’intervistatore, colpisce la fantasia dell’ascoltatore e procura consensi. Si tratta dell’uso smodato di due parole: ecomafia e incendio.
Fateci caso, ogni volta che un magistrato, un avvocato un docente universitario deve parlare di ambiente e non ne mastica molto, con abili giri di parole riconduce un sistema complesso come quello della normativa sulla tutela del territorio a due soli concetti, banalizzando questioni importanti che meritano diversa attenzione.
Non si possono infatti ricondurre tutte le aggressioni all’ambiente all’attività della criminalità organizzata e di alcuni incendiari, perché così facendo si distoglie l’attenzione su altri aspetti che costituiscono il terreno fertile sul quale gli ecocriminali coltivano efficacemente i loro interessi.
Non ci sarebbero ecomafia ed incendi senza leggi inadeguate, funzionari collusi, legislatori sensibili solo alle richieste degli industriali, controllori distratti e un territorio abbandonato a se stesso.
Anche le parole soffrono per l’inflazione.