TAR Lombardia (MI), Sez. II, n. 2187, del 18 settembre 2013
Urbanistica.Obbligo di valutazione complessiva dell’abuso edilizio

L’abuso edilizio deve essere valutato nel suo complesso e non in modo atomistico, sicché non sarebbe possibile, che l’amministrazione scorpori la parte dell’abuso ricadente in zona edificabile da quella ricadente in area agricola, onde sanarne almeno una parte. Più in generale, va ribadito che, la valutazione dell’incidenza urbanistico-edilizia dell’intervento abusivamente realizzato deve essere condotta avuto riguardo alla globalità delle opere, che non possono essere considerate in modo atomistico. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02178/2013 REG.PROV.COLL.

N. 02661/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2661 del 2007, proposto da: 
- Agromil Cereali S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Cristiano Romano e Andrea Romano, con domicilio eletto presso il loro studio in Milano, via Fontana, 25;

contro

- Comune di Gravellona Lomellina, non costituito;

per l'annullamento

- dell’ordinanza n. 585 del 22.09.2007 recante l’ingiunzione di pagamento di euro 100.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria per opere abusive;

- nonché, degli atti presupposti, fra cui la ivi richiamata perizia dell’Agenzia del territorio.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 maggio 2013 la dott.ssa Concetta Plantamura e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

La srl Agromil Cereali (da ora anche solo società) nel realizzare un capannone industriale in un compendio di sua proprietà, sito in Comune di Gravellona Lomellina, ha posto in essere una parziale difformità dal titolo edilizio, consistente in un ampliamento e traslazione dell’edificio, che ne ha comportato lo sconfinamento in area azzonata come agricola, non edificabile in base al vigente PRG.

Da ciò la sanzione applicata dal Comune con l’ordinanza oggetto di gravame, ove si dà atto che le opere realizzate in difformità non sono sanabili in base alla disciplina urbanistica vigente, “intendendo di fatto inaccoglibile la domanda di sanatoria prot. 7652 dell’11/9/2006” presentata dall’istante.

Con l’odierno ricorso, notificato il 23.11.2007 e depositato il successivo 6.12.2007, la società ha impugnato l’ordinanza in epigrafe specificata, assumendone la illegittimità sulla base di tre motivi.

Col primo si contesta la circostanza che il Comune abbia applicato la sanzione computando tutta l’area del capannone e non solo quella contrastante con lo strumento urbanistico.

Col secondo si lamenta il difetto di motivazione, l’illogicità e il travisamento dei fatti in relazione alla parte dell’ordinanza, sopra riportata nel virgolettato, ove si dà atto della reiezione della domanda di sanatoria; si lamenta, nello specifico, la mancanza di spiegazioni da parte del Comune sulla ragione ostativa alla sanatoria, quantomeno, della parte del capannone realizzata sì in difformità ma sul mappale avente destinazione D2, quindi edificabile. Detta parte avrebbe dovuto – a mente della società – essere sanata e, quindi, scomputata da quella conteggiata per l’applicazione della sanzione de qua.

Infine, col terzo motivo si contesta la determinazione del quantum della sanzione pecuniaria operata dall’Agenzia del Territorio, poiché essa avrebbe assunto come parametro di riferimento il valore di compravendita di altri capannoni presenti in Comune di Gravellona, senza scomputare da esso il valore delle aree pertinenziali e senza tenere conto delle caratteristiche specifiche di ciascun bene.

Nessuno si è costituito per la parte intimata.

Con ordinanze istruttorie nn. 2057/2012 e 40/2013 la Sezione ha appreso le valutazioni espresse dall’Agenzia del Territorio con la nota n. 988 del 7.02.2013, di sostanziale conferma della stima in precedenza effettuata.

Alla pubblica udienza del 2 maggio 2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

I motivi sono infondati.

L’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 così statuisce a proposito degli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire:

“1. Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso.

2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.

…”.

Da tale norma si ricava che – in caso di abusi su immobili non aventi destinazione residenziale, qual è quello che qui ci occupa - la determinazione della sanzione pecuniaria deve avvenire avendo riguardo non soltanto alle parti ritenute abusive, ma alla superficie complessiva dell'edificio dove gli abusi sono stati realizzati.

Si tratta, come di recente chiarito dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, Sent. 30-07-2012, n. 4304), di un'applicazione della disciplina contenuta nel testo unico dell'edilizia che appare connotata da criteri di razionalità e, soprattutto, appare aderente alla ratio sanzionatoria espressa dalla normativa primaria e regionale. Infatti, l'art. 34, comma secondo, cit. prevede che, qualora gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire non possano venire demoliti "senza pregiudizio della parte eseguita in conformità", allora l'ente competente "applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla L. 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale".

L'elemento su cui si applica la sanzione ed a cui fa riferimento il legislatore non è, quindi, limitato al solo segmento spaziale modificato, atteso che la norma non si riferisce alla modificazione planivolumetrica, ma si riferisce ai diversi concetti di opere o interventi, con palese riferimento alle tipologie edilizie previste nello stesso testo unico all'art. 3. È, pertanto, “corretto riferire la nozione di parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso ad un ambito diverso, ossia all'intero manufatto, separatamente individuabile all'interno dell'intervento dove gli abusi insistono, e che da questi ultimi è inciso e modificato, e non al solo incremento dimensionale determinatosi” (così Cons. Stato sent. cit.).

Su tali premesse, si ricava in primo luogo l’infondatezza del primo motivo, atteso che l’amministrazione non avrebbe potuto scomputare dalla superficie del capannone interessata dalla parziale difformità la parte oggetto della domanda di sanatoria, essendo stata quest’ultima, come vedremo esaminando il motivo seguente, denegata col medesimo atto qui contestato.

In ogni caso, va chiarito che la determinazione del valore venale deve avere ad oggetto, in base al tenore letterale dell’art. 34, co. 2 cit., l’intero manufatto interessato dall’abuso e non soltanto la parte dell’opera realizzata in difformità (com’è, invece, per gli immobili adibiti ad uso residenziale).

Analogamente infondato appare, quindi, il secondo motivo di ricorso, poiché l’abuso edilizio deve essere valutato nel suo complesso e non in modo atomistico, sicché non sarebbe possibile, come auspicato dalla ricorrente, che l’amministrazione scorpori la parte dell’abuso ricadente in zona edificabile da quella ricadente in area agricola, onde sanarne almeno una parte.

Più in generale, va ribadito che, la valutazione dell’incidenza urbanistico-edilizia dell’intervento abusivamente realizzato deve essere condotta avuto riguardo alla globalità delle opere, che non possono essere considerate in modo atomistico (cfr. in tal senso, Consiglio di Stato, VI, 6.06.2012 n. 3330; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 24/07/2012 n. 2058).

In tal senso, la pur succinta motivazione – riportata nella parte in fatto – addotta dall’amministrazione a supporto del diniego di sanatoria, è comunque idonea a rappresentare le ragioni del diniego stesso, atteso che, da un lato, si è in presenza di un’attività vincolata dell’amministrazione, scandita dal chiaro disposto dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001; e, dall’altro, l’abuso deve essere, per le ragioni anzidette, valutato in termini unitari.

Ne discende che, insistendo una parte dell’abuso edilizio per cui è causa in zona agricola inedificabile, è evidente la mancanza, nel caso concreto, del presupposto della cd. doppia conformità, a cui l’articolo da ultimo citato àncora il rilascio del permesso in sanatoria.

Infine, quanto al terzo motivo, la Sezione non ritiene di poter condividere l’osservazione dell’esponente, laddove critica la stima operata dall’Agenzia del Territorio, adducendo la non attendibilità delle indagini di mercato dalla stessa allegate.

In primo luogo, si dissente da quanto sostenuto dalla difesa della società che, nella memoria depositata il 29.03.2013, pretende di scorporare dal valore di riferimento assunto dall’Agenzia ai fini della stima del valore venale dell’opera, incentrato sui prezzi di compravendita di capannoni similari, il valore delle aree pertinenziali, degli uffici e delle altre caratteristiche degli immobili de quibus.

Il valore venale del bene principale, su cui insiste l’abuso, deve, infatti, tenere conto delle pertinenze e degli accessori del bene stesso, atteso che essi ordinariamente vengono venduti insieme al bene principale, contribuendo a determinarne il prezzo di compravendita e, dunque, il valore del bene in una libera contrattazione di mercato, a cui allude l’art. 34, co. 2 cit.

Del resto, anche il capannone della ricorrente è inserito in un contesto in cui sono presenti aree pertinenziali e uffici, come desumibile dalla documentazione catastale dalla stessa allegata alla memoria depositata in data 29.03.2013, sicché è agevole ritenere che l’immobile de quo presenti caratteristiche simili agli immobili assunti come parametri di riferimento dall’Agenzia.

Deve, pertanto, ritenersi corretta la stima effettuata dall’Agenzia e assunta dall’amministrazione a presupposto dell’atto qui gravato, atteso che, ai fini del computo della sanzione de qua, ciò che rileva è l’incremento di valore venale (come sopra determinato) che il bene consegue a causa della parte di esso abusivamente realizzata e non rimuovibile senza pregiudizio delle parti conformi al titolo edilizio.

Per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso in epigrafe specificato deve essere respinto.

Nulla sulle spese, stante la mancata costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 2 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Stefano Celeste Cozzi, Primo Referendario

Concetta Plantamura, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/09/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)