TAR Toscana, Sez. III, n. 654, del 23 aprile 2014
Urbanistica.Illegittimità ristrutturazione edilizia per edifici senza elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche da recuperare

Gli interventi di ristrutturazione edilizia, ma anche di demolizione e di successiva ricostruzione, presuppongono sempre che i relativi lavori siano riferiti ad un edificio esistente. A tal fine è totalmente priva di utilità la prova della preesistenza dello stesso, essendo necessaria la sua fisica esistenza al momento dell’intervento richiesto. E in tal senso un edificio si può definire esistente in quanto esista un organismo edilizio, seppur non necessariamente abitato o abitabile, connotato nei suoi connotati essenziali, dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione. Non possono invece ammettersi siffatti interventi nei confronti di ruderi o resti di edifici da tempo demoliti, attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

N. 00654/2014 REG.PROV.COLL.

N. 02157/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2157 del 2002, proposto da: 
Soc. Edilgreen S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., Nicola del Re, Impresa edile Andrea del Re in persona del legale rappresentante p.t. Del Re Andrea, Ing. Francesco Mori, rappresentati e difesi dall'avv. Andrea Gironi, con domicilio eletto presso lo stesso in Firenze, via Pandolfini n. 28;

contro

Comune di San Gimignano, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'avv. Giulio Padoa, con domicilio eletto presso lo stesso in Firenze, via dei Rondinelli n. 2;

per l'annullamento

del diniego n. D/2/00019 del 27.5.02 in ordine alla richiesta di concessione/autorizzazione edilizia pratica edilizia n. 01/00423 prot. 01/007798 del 31.5.01 a firma del responsabile del settore servizi per il territorio Ing. Alessandro Frati notificato in data 25.6.02, del parere 13/195 della Commissione Edilizia adottato nella seduta del 3.9.01 e del parere 13/196 della Commissione Edilizia adottato nella seduta 3.9.01 nonché dell'ordinanza n. 13 del 7.6.02 a firma dell'Ing. Frati notificata in data 26.6.02 e di ogni atto connesso presupposto e consequenziale ancorché di estremi incogniti;

Visto il primo ricorso per motivi aggiunti, depositato presso la Segreteria di questo Tribunale in data 27 luglio 2004, proposti dagli stessi soggetti che hanno proposto il ricorso introduttivo per l'annullamento dell'ordinanza n. 04 del 3.05.04 a firma dell'Arch. Alberto Sardelli, notificata in data 17.05.04, nonchè di ogni altro atto connesso presupposto e consequenziale ancorché di estremi incogniti ed in particolare del verbale di sopralluogo del 7.11.02; del diniego n. D/04/00003 del 05.02.04 in ordine alla richiesta di concessione/autorizzazione edilizia pratica edilizia n. 3/00687 prot. 03/015848 del 20.11.03 a firma del responsabile del settore servizi per il territorio facente funzioni Arch. Vittorio Moschi; del parere 01/011 della Commissione Edilizia adottato nella seduta del 15.01.04;

Visto il secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato presso la Segreteria di questo Tribunale in data 28 dicembre 2006, proposto dagli stessi soggetti che hanno proposto il ricorso introduttivo, ad eccezione dell’Ing. Francesco Mori, per l'annullamento dell'ordinanza n. 03 del 25.09.06 a firma dell'Arch. Alberto Sardelli, notificata in data 5.10.06, nonché e di ogni altro atto connesso presupposto e consequenziale ancorché di estremi incogniti ed in particolare della perizia tecnica a firma dell'Ing. Meucci;

Visto il terzo ricorso per motivi aggiunti, depositato presso la Segreteria di questo Tribunale in data 9 novembre 2007, proposto solo dalla società Edilgreen S.r.l. per l'annullamento del diniego a richiesta di permesso a costruire in sanatoria n. 12 del 29.06.07 a firma dell'Arch. Alberto Sardelli, nonché e di ogni altro atto connesso presupposto e consequenziale ancorché di estremi incogniti;



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Gimignano;

Visti i ricorsi per motivi aggiunti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 maggio 2013 il dott. Eleonora Di Santo e uditi per le parti i difensori T. D'Amora delegato da G. Padoa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. Questa la scansione dei fatti salienti, quali risultano dalla documentazione versata in atti, attraverso i quali si è snodata la vicenda sottesa al contenzioso in esame.

La società Edilgreen s.r.l., era proprietaria di un annesso agricolo, indicato come “annesso agricolo di Renaio destro” , consistente in una magazzino in pessimo stato di manutenzione, privo di copertura e con le mura perimetrali in buona parte crollate, posto nel Comune di San Gimignano, località Renaio Casaglia, in zona agricola, e indicato nel P.R.G. come “da conservarsi” in quanto di pregio e “classificato” con specifica “scheda” corredata da un rilievo fotografico.

In data 2 novembre 2000 prot. 14127 (P.E. 1126/2000), il Sig. Nicola Del Re, in qualità di legale rappresentante della suindicata società presentava una DIA per la realizzazione di opere di “ristrutturazione” del suindicato immobile, con cambio di destinazione d’uso a civile abitazione, descrivendo l’intervento come “ricostruzione pareti, solaio, coperture”. In particolare, l’immobile esistente e l’intervento da eseguire venivano descritti in questi termini:“Il corpo principale dell’edificio risulta costituito da una parte centrale di tre ambienti ancora parzialmente eretta e da una parte, su perimetro parziale, della quale residuano evidenziate solo le fondazioni (con pavimentazioni a lastre in pietra accantonate nella pulizia). Il tutto permette di conformare l’edificio come riportato nello stato attuale che si intende ripristinare nel suo insieme, senza variazione delle volumetrie attuali. (…) Dal punto di vista strutturale gli elementi costitutivi (muri in pietra e mattoni), si è in presenza di un complesso alquanto precario sia per lo stato dei costituenti, sia per le malte che li uniscono, sia per le fondazioni non molto profonde. In presenza di tali elementi non eliminabili ma migliorabili, si provvederà a consolidarli con interventi localizzati di opportune sigillature, ricostruzione delle parti mancanti con materiali similari all’esistente e con adeguati rinforzi in fondazione. In particolare si provvederà alle pulizie dettagliate, alle sigillature dei corsi di mattoni e pietre esterni lasciandoli a vista, alla realizzazione di intonaci interni ed alla realizzazione di travi in c.a. di rigiro alla base ed a quelle in quota per l’ancoraggio delle strutture in legno del tetto. Le superfici vetrate saranno del tipo in legno tipo castagno nelle tipologie tradizionali toscane, non sporgenti. Le gronde saranno in cotto con canali e discendenti in rame. I manti dei tetti saranno realizzati con tegole e coppi alla toscana tipo rustico. Saranno salvaguardati, a maggior ragione, tutti gli elementi architettonici di rilievo interni ed esterni. Le sistemazioni esterne saranno con recinzione in cespugli bassi, prato verde, percorsi e parcheggio misti in pietra e prato, cancelli di ingresso in ferro su semplici colonne in mattoni. Un piccolo marciapiede in cotto contornerà l’intero edificio”.

Peraltro, la relazione tecnica e gli elaborati di progetto relativi allo “stato attuale” contenevano, come emergerà nel prosieguo dell’esposizione, una rappresentazione in buona parte dissimile dalla realtà quale risultante dalle schede fotografiche di P.R.G. e dalle fotografie in possesso dell’U.T.C..

Infatti, erano indicati (a) un secondo piano fuori terra del tutto inesistente, (b) un’altezza del fronte principale maggiore di quella effettiva, (c) ampliamenti laterali del corpo dell’edificio che non trovavano riscontro nella realtà di fatto.

Inoltre, come emergeva dal rapporto informativo della Polizia Municipale prot. 191/01 P.M. del 5 aprile 2001, i lavori venivano eseguiti in difformità dalla DIA, giacchè in luogo della ristrutturazione di quanto esistente con fedele ricostruzione e “con identici materiali” ai sensi dell’art. 4 della L.R.T. n. 52/1999 si provvedeva alla totale demolizione dell’esistente ed alla ricostruzione in cemento armato e muratura in luogo della pietra originaria; e, pertanto, con provvedimento n. 7 del 18 aprile 2001, si disponeva la sospensione dei lavori.

In data 31 maggio 2001, la società Edilgreen s.r.l. presentava domanda di sanatoria (P.E. 423/2001 prot. 7798), ai sensi dell’art. 37 della L.R. n. 52/1999 (ex art. 13 della legge n. 47/1985), per “demolizione, per motivi statici, e ricostruzione di edificio”. Nella relazione tecnica descrittiva dell’intervento si precisava che, a causa di dissesti strutturali delle vecchie murature e fondazioni, si era reso necessario, per motivi statici, procedere alla totale demolizione e ricostruzione dell’edificio “eliminando, per motivi sismici, il riutilizzo delle vecchie pietre e rifinendo il tutto con intonaco di tipo civile, inserendo lo stretto necessario di muratura e mattoni, nel loggiato, per mascherare i pilastrini in cemento armato oltre, se di gradimento dell’Amministrazione, contorni di porte e finestre pure in mattoni”. Si precisava, poi, che “In sostanza, si modifica il sistema strutturale e la rifinitura esterna, ferme restando tutte le misure dello stato attuale già presentato con DIA n .1126 del 30.10.2000”.

In data 27 maggio 2002, tale domanda veniva respinta (diniego n. D/02/00019 prot. n. 8523), conformemente ai pareri espressi dalla CE e dalla CEI nelle sedute del 3 settembre 2001, sul rilievo che la documentazione in possesso dell’Ufficio Tecnico comunale attestava “la non preesistenza di parte del volume interessato dalla sanatoria”, come si desumeva dalla circostanza che “gli elaborati che descrivono lo stato preesistente non corrispondono alla documentazione fotografica depositata presso l’Ufficio Tecnico comunale”.

A tale diniego faceva seguito l’ordinanza n. 13 del 7 giugno 2002, con cui - precisato che le opere erano state realizzate in zona E (agricola) del P.R.G., e che oltre alla demolizione del fabbricato per cui è causa si era proceduto all’ampliamento dello stesso, come risultava dal diniego n. D/02/00019 prot. n. 8523 del 27 maggio 2002 - si ordinava “la demolizione delle opere eseguite limitatamente alla porzione di fabbricato realizzata in ampliamento, come evidenziato nell’allegato 1”, raffigurante la pianta dell’edificio preesistente, e cioè i manufatti perimetrali al corpo principale dell’edificio (portico sul retro e ampliamento laterale), mentre, per la restante porzione di edificio, per la quale si era eseguita la totale demolizione con ricostruzione in difformità dalla DIA n.1126/2000, si faceva espressa riserva di applicare la sanzione amministrativa prevista dall’art. 12, secondo comma, della legge n. 47/1985 e dall’art. 36 della L.R.T. n. 52/1999.

Sia il diniego di sanatoria n. D/02/00019 del 27 maggio 2002, che l’ordine di demolizione n. 13 del 7 giugno 2002, nonché gli atti presupposti, venivano impugnati con il ricorso introduttivo del presente giudizio.

Non avendo la società interessata adempiuto all’ordine di ripristino, in data 11 ottobre 2002, veniva avviato il procedimento per le relative sanzioni, mediante l’avviso previsto dall’art. 7 della legge n. 241/1990.

A seguito di sopralluogo eseguito in data 7 novembre 2002, il funzionario responsabile riteneva, relativamente agli incrementi volumetrici cui si faceva riferimento nel diniego di sanatoria del 27 maggio 2002, che l’ampliamento laterale dell’edificio non avrebbe potuto essere demolito per esigenze strutturali, al contrario del portico sul retro, demolibile senza pregiudizi per la restante costruzione.

Ciò comportava la presentazione, in data 20 novembre 2003, da parte della società interessata di un nuovo progetto a sanatoria (P.E. n. 687/2003 prot. n. 15848), ai sensi dell’art. 36 della L.R. n. 52/1999 (ex art. 12 della legge n. 47/1985), per “demolizione, per motivi statici, e ricostruzione di edificio”, al fine di ottenere l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria non solo per l’ampliamento laterale ma anche per il portico sul retro, sostenendosi, nell’allegata relazione tecnica, che anche il portico sul retro non era demolibile per esigenze strutturali.

Con provvedimento del 5 febbraio 2004 (n. D/04/00003 prot. n. 2243), notificato il 19 febbraio successivo, il funzionario responsabile, su conforme parere della CE (n. 01/011 del 15 gennaio 2004) e sulla scorta del rilievo tecnico in sede del ricordato sopralluogo del 7 novembre 2002, respingeva la domanda relativa al portico sul retro “in quanto struttura sconnessa al fabbricato principale”, e, conseguentemente, con ordinanza n. 4 del 3 maggio 2004, ordinava “la demolizione delle opere eseguite limitatamente al portico sul retro realizzato in ampliamento, come evidenziato nell’allegato 2”.

Sia il diniego di sanatoria n. D/04/00003 del 5 febbraio 2004, che l’ordine di demolizione n. 4 del 3 maggio 2004, nonché gli atti presupposti, venivano impugnati con il primo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 9 luglio 2004 e depositato il 27 luglio successivo.

In data 9 dicembre 2004, la società interessata presentava domanda di condono edilizio (P.E. 778/2004 prot. n. 18442), ai sensi del D.L. n. 269/03, convertito con la legge n. 326/03, e della L.R. n. 53/2004, per lavori di “ristrutturazione di ex annesso agricolo” realizzati sull’immobile per cui è causa.

Con provvedimento n. D/06/001 prot. n. 3925 del 6 marzo 2006, che non risulta essere stato impugnato, tale domanda veniva respinta, su conformi pareri della CE e della CEI, espressi nelle sedute del 28 luglio 2005, poiché “l’intervento risulta in contrasto con le disposizioni di cui all’art. 2 comma 5 lettera a) Legge Regionale del 20 ottobre 2004 n. 53, in quanto trattasi di incremento volumetrico in zona agricola non conforme alle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore vigente, realizzato in area sottoposta al Vincolo Idrogeologico ex L.R. 39/00”.

Nel frattempo, intervenivano una perizia del 5 marzo 2005 fatta eseguire dalla Procura della Repubblica di Siena ed un rapporto del 12 ottobre 2004 del Corpo Forestale dello Stato quale organo di Polizia Giudiziaria, i quali chiarivano come nessuna delle volumetrie aggiuntive all’originario corpo di fabbrica (portico sul retro ed ampliamento laterale) erano ad esso strutturalmente connesse, talchè potessero essere in tutto o in parte sottratte alla demolizione con il pagamento della sanzione amministrativa prevista dalla legge in luogo delle demolizioni.

Anche il Genio Civile confermava in sede tecnica quanto già accertato dal Corpo Forestale.

A ciò seguiva l’ordinanza n. 3 del 25 settembre 2006, con la quale il dirigente dell’U.T.C. comunale:

- in relazione all’edificio per cui è causa non sono ammesse addizioni, essendo l’edificio situato in zona agricola ed essendo avulso da un’azienda, per cui il manufatto è suscettibile solo di interventi di manutenzione e/o ristrutturazione senza addizioni volumetriche;

- esprimeva il definitivo diniego anche per la permanenza dell’ampliamento laterale;

- evidenziava che “un esame approfondito della situazione edilizia in atto non solo richiede di tener conto della ricordata perizia disposta in sede penale, ma anche impone di considerare che, come già rilevato dalla Commissione Edilizia, il progetto non corrisponde a quanto (ancora) esistente prima dei lavori e ciò, si deve oggi rilevare, oltre che per gli ampliamenti perimetrali dell’edificio anche per la realizzazione di un secondo piano e per l’imposta del nuovo tetto al di sopra della porta ad arco preesistente; il tutto come risulta dalle fotografie depositate e di quelle allegate alla “scheda” di P.R.G.”;

- stabiliva che “pertanto occorre non solo negare la legittimazione a permanere connessa alla approvazione per ragioni statiche anche del portico laterale, ma anche di non approvare il progetto presentato in sanatoria per la realizzazione del piano di elevazione superiore al piano terra e per l’innalzamento del piano di imposta della copertura al di sopra della porta principale ad arco preesistente”;

- considerava che “conseguentemente a quanto precede deve essere disattesa la DIA a suo tempo presentata giacchè avente come presupposto una situazione di fatto diversa da quella esistente, o comunque ancora esistente, e quindi tale da non consentire la ristrutturazione di volumi indicati come esistenti in passato ma ormai (se anche fossero davvero esistiti) scomparsi ed oggettivamente irriconoscibili nonché, di conseguenza non ristrutturabili”;

- rilevava che conseguentemente “le opere realizzate si configurano nel loro complesso come un intervento di sostituzione edilizia ai sensi dell’art. 78 c. 1 lett. h) L.R. 1/05 eseguito in assenza di permesso di costruire”;

- ordinava, definitivamente e riassuntivamente, la rimessa in pristino del fabbricato “che dovrà essere ricondotto alle dimensioni e conformazioni originarie definite dalle rappresentazioni fotografiche precedenti ai lavori tra le quali quelle contenute nella scheda di PRG relativa all’originario manufatto”.

Tale provvedimento è stato impugnato con il secondo ricorso per motivi aggiunti.

In pendenza dei succitati ricorsi, la società Edilgreen presentava, in data 15 dicembre 2006, una nuova richiesta di sanatoria per la demolizione e ricostruzione del magazzino proponendo, ancora una volta, gli aumenti di volume realizzati ed una nuova sagoma (in larghezza ed altezza) del fabbricato preesistente quale documentata dai rilievi fotografici del P.R.G..

Alla richiesta di sanatoria seguiva un ulteriore provvedimento di reiezione n.12/2007 con il quale, richiamati i dinieghi di sanatoria relativi alle P.E. 423/2001 e 687/2003, e preso atto che il progetto presentato non differiva da quello di cui alle suindicate P.E. - cui aveva fatto seguito l’ordine di demolizione n. 3 del 25 settembre 2006 – si pronunciava un “diniego di approvazione meramente confermativo per le motivazioni contenute negli atti di diniego di cui alle pratiche” suindicate del 2001 e del 2003.

Tali motivazioni si sostanziavano, quindi, nel rilievo che il vecchio magazzino, del quale il P.R.G. consentiva solo la ristrutturazione utilizzando gli originari materiali, non poteva essere ampliato in larghezza ed altezza, né interamente demolito e ricostruito in cemento armato e moderne“tamponature”.

Tale provvedimento è stato oggetto dei terzi motivi aggiunti.

Si è costituito il Comune di San Gimignano che ha controdedotto.

2. Questi i motivi di doglianza dedotti con il ricorso principale, con cui sono stati impugnati il diniego di sanatoria n. D/02/00019 del 27 maggio 2002 e l’ordine di demolizione n .13 del 7 giugno 2002:

A) in relazione al diniego di sanatoria n. D/02/00019 del 27 maggio 2002:

1) omessa comunicazione di avvio del procedimento;

2) carenza di motivazione, facendosi riferimento solo al relativo parere della Commissione Edilizia;

3) difetto di istruttoria, essendo l’Amministrazione pervenuta ad una erronea ricostruzione dell’effettivo stato dell’immobile preesistente; ove tale ricostruzione fosse stata fatta correttamente, avrebbe rilevato che il manufatto oggetto dell’intervento di restauro presentava le caratteristiche rappresentate nello stato attuale dal progettista e dai ricorrenti; a tal fine si fa leva sulla descrizione del manufatto preesistente contenuta nella relazione allegata alla DIA del 2000 (P.E. 1126/2000), e si evidenzia che da tutti gli elementi tecnici e documentali forniti all’Amministrazione risulterebbe “indiscutibilmente che:

a) nel corso dei lavori di pulizia dell’edificio apparentemente composto da un corpo centrale rialzato e da un annesso leggermente più basso su di un fronte erano emerse delle vere e proprie opere di fondazione in prosecuzione dell’annesso esistente;

b) all’interno di dette fondazioni è stato rinvenuto anche un lastricato come risulta dalle foto allegate;

c) l’esistenza delle opere di fondazione testimonia inequivocabilmente dell’esistenza di una costruzione a corredo del corpo principale come è consuetudine, peraltro, per le costruzioni realizzate in quella zona che presentano sempre degli annessi ad una pendenza affiancati sempre in aderenza al corpo principale;

d) la mancanza di muri in elevazione (mattoni e pietre) lungo il perimetro di fondazione è imputabile verosimilmente alla caduta dei vari elementi strutturali per incuria che sono stati successivamente asportati per essere riutilizzati”;

contraddittorietà di comportamento del Comune che in relazione alla pratica edilizia (con DIA) n. 1126/2000 nulla avrebbe avuto a ridire in ordine alla diversità tra lo stato oggettivo prima dei lavori dell’edificio e la rappresentazione dello stesso nello “stato attuale” del progetto, comprensivo di parti e volumi non più esistenti in quanto “imputabile verosimilmente alla caduta dei vari elementi strutturali per incuria che sono stati successivamente asportati per essere riutilizzati”;

B) in relazione all’ordine di demolizione n. 13 del 7 giugno 2002:

4) illegittimità derivata dell’ordine di demolizione da quella del diniego di sanatoria;

5) omessa comunicazione di avvio del procedimento;

6) il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato sull’erroneo presupposto che i ricorrenti avessero realizzato un manufatto difforme da quello oggetto della DIA; in realtà il manufatto sarebbe stato eseguito in conformità alla relazione allegata alla DIA nella quale quanto si intendeva ristrutturare è stato indicato come comprensivo anche dei volumi non più esistenti; l’unica modifica apportata in corso d’opera sarebbe rappresentata dalla circostanza che si è proceduto alla demolizione e completa ricostruzione a causa del dissesto strutturale delle vecchie murature e fondazioni nel rispetto tuttavia delle originarie dimensioni plano volumetriche del manufatto; inoltre, per l’art. 4 della L.R.T. n .52/1999 la ristrutturazione potrebbe avvenire anche con demolizione e ricostruzione;

7) carenza di motivazione sia in ordine all’indicazione delle norme violate che in ordine all’esatta indicazione delle parti abusive del manufatto.

In relazione al ricorso principale, il Comune di San Gimignano ha eccepito la cessazione della materia del contendere e la sopravvenuta carenza di interesse; ciò in quanto al diniego di sanatoria sulla pratica n. 423/2001 è seguita la nuova pratica n. 687/2003 con la quale in sostanza si chiede di legittimare quanto realizzato con la sanzione pecuniaria prevista per i manufatti non eliminabili senza pregiudizio di quanto legittimamente costruito; quindi non solo la Edilgreen avrebbe riconosciuto la legittimità del diniego di sanatoria originario, ma – anche e comunque – ogni suo interesse si sarebbe spostato sulla nuova pratica presentata e sul nuovo relativo contenzioso; quanto all’ordinanza n. 13/2002 sarebbe, anch’essa superata dalla successiva n. 4/2004 e dal relativo contenzioso; infine, la ricorrente ha presentato anche domanda di “condono edilizio”, implicitamente riconoscendo la natura abusiva di quanto realizzato ed, ancora una volta, spostando il suo interesse sostanziale sull’esito di tale “condono”, presentato senza alcuna“riserva” del contenzioso in corso.

Si può prescindere dall’esame delle eccezioni in rito sollevate dal Comune intimato, stante l’infondatezza del ricorso nel merito.

Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, da cui il Collegio non vede motivo per discostarsi, “gli interventi di ristrutturazione edilizia, ma anche di demolizione e di successiva ricostruzione, presuppongono sempre che i relativi lavori siano riferiti ad un edificio esistente. A tal fine è totalmente priva di utilità la prova della preesistenza dello stesso, in questo caso non in discussione, essendo necessaria la sua fisica esistenza al momento dell’intervento richiesto. E in tal senso un edificio si può definire esistente in quanto “esista un organismo edilizio, seppur non necessariamente abitato o abitabile, connotato nei suoi connotati essenziali, dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione” (cfr., ex multis, C.d.S., sez. V, 10.2.2004, n. 475). Non possono invece ammettersi siffatti interventi “nei confronti di ruderi o resti di edifici da tempo demoliti, attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare” (cfr., C.d.S., sez. IV, 15.9.2006, n. 5375). “In quest'evenienza, invero, si configura un intervento di nuova costruzione, assoggettato ai limiti stabiliti dalla vigente disciplina urbanistica” (cfr., T.A.R. Veneto, sez. II, 29.6.2006, n. 1944 e 5.6.2008, n. 1667). La giurisprudenza amministrativa ha, altresì, affermato che la ristrutturazione edilizia di un edificio, ma anche la più incisiva forma di recupero consistente nella totale demolizione dello stesso per la sua successiva ricostruzione, sono ammissibili nei limiti dello stato fisionomico attuale del fabbricato senza alcuna possibilità di recupero di parti strutturali che, anche se originariamente esistenti, sono successivamente venute meno per qualsiasi evenienza. In altri termini, tramite detti interventi, non è possibile recuperare strutture e volumi che non siano attualmente presenti.” (TAR Trentino-Alto Adige, Trento, sez. I, 8 gennaio 2009, n.3).

Traslando al caso di specie i ricordati principi, ne discende che i volumi corrispondenti ai contestati ampliamenti laterali non erano inglobabili, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti (terzo motivo del ricorso introduttivo), nella ricostruzione dell’edificio preesistente, essendo la preesistenza di tali volumi testimoniata - come riconosciuto dagli stessi ricorrenti anche nella relazione allegata alla DIA n. 1126/2000, e come emerge dalle fotografie in possesso dell’Ufficio Tecnico comunale - dalle sole fondazioni; e pertanto, la rappresentazione di tali volumi negli elaborati di progetto relativi allo “stato attuale” allegati alla suindicata DIA, ha determinato una rappresentazione della situazione quo ante non rispondente al vero e, correlativamente, la realizzazione dei volumi in questione è stata effettuata “in difformità dalla DIA” che aveva per oggetto la “ristrutturazione”con fedele ripristino dell’immobile per cui è causa.

Inoltre, la relazione tecnica e gli elaborati di progetto relativi allo “stato attuale”, allegati alla DIA n. 1126/2000, contenevano una rappresentazione dissimile dalla realtà quale risultante dalle schede fotografiche di P.R.G. e dalle fotografie in possesso dell’Ufficio Tecnico comunale anche sotto altri profili, essendo stati indicati un secondo piano fuori terra del tutto inesistente e un’altezza del fronte principale maggiore di quella effettiva.

Né vale obiettare (sempre terzo motivo del ricorso introduttivo) che l’Amministrazione, in relazione alla DIA n. 1126/2000 nulla abbia rilevato in ordine alla diversità tra lo stato oggettivo prima dei lavori dell’edificio per cui è causa e la rappresentazione dello stesso nello “stato attuale” del progetto allegato alla DIA suindicata, in quanto:

- alla DIA non corrisponde alcuna manifestazione di volontà del Comune e, comunque, a fronte di una errata rappresentazione della realtà, sono sempre possibili riconsiderazioni in proposito da parte del Comune e correlati interventi repressivi;

- la DIA n. 1126/2000 del 2 novembre 2000, avente per oggetto la “ristrutturazione” dell’annesso agricolo (“ricostruzione pareti, solaio e coperture”) è stata superata sia dal fatto che è venuto meno l’oggetto della stessa (essendo stato demolito o essendo “crollato” , come asseriscono i ricorrenti), sia dalla successiva pratica di sanatoria edilizia n. 423/2001 del 31 maggio 2001, avente ad oggetto la “demolizione, per motivi statici, e ricostruzione di edificio”, ricostruzione che, peraltro, non è risultata fedele sia per i materiali utilizzati sia per le dimensioni dell’edificio, superiori, come si è detto, rispetto a quelle originarie;

- la DIA n. 1126/2000 è inefficace, ai sensi dell’art. 84, u.c., della L.R.T. n. 1/2005, in quanto la rappresentazione della situazione quo ante non rispondeva al vero, come si è visto.

Nessun pregio ha, inoltre, la lamentata mancanza di comunicazione di avvio del procedimento relativo al diniego di sanatoria, trattandosi di provvedimento emesso su istanza di parte.

Né può fondatamente sostenersi che il diniego di sanatoria sarebbe carente sul piano motivazionale, non apparendo sufficiente il riferimento al solo parere della Commissione Edilizia.

Infatti, il parere della Commissione è chiarissimo nell’esprimere le ragioni del diniego per la sanatoria di una asserita ristrutturazione che avrebbe dovuto, per definizione, operare su un edificio in essere lasciandolo sostanzialmente immutato o – comunque – leggibile nelle sue forme e nei volumi preesistenti, mentre l’intervento di progetto presentato dalla società ricorrente non è affatto aderente allo stato preesistente del manufatto, quale risulta dalle relative fotografie.

Ed è di palmare evidenza che un intervento siffatto confliggeva con lo strumento urbanistico vigente, sia perché quest’ultimo classificava l’edificio di cui si discute come soggetto ad interventi di sola manutenzione e/o ristrutturazione in ragione dei suoi rilievi architettonici di pregio, sia perché nella zona (agricola) in cui l’edificio si collocava è pacifico fossero consentiti solo interventi edilizi su e nei limiti di quanto esistente.

Né la motivazione del diniego necessitava di ulteriori specificazioni e/o approfondimenti, essendo del tutto evidenti le ragioni delle diversità dal raffronto delle fotografie del prima e del dopo i lavori.

L’impugnato diniego di sanatoria va esente, pertanto, dalle censure avverso lo stesso formulate.

Risulta, conseguentemente, infondata la censura di illegittimità derivata dell’ordine di demolizione da quella dell’atto presupposto costituito dal diniego di sanatoria.

Essendo, poi, l’ordine di demolizione un atto dovuto, nessun onere di comunicazione di avvio del procedimento incombeva sull’Amministrazione.

Quanto, poi, alla erroneità dell’ordine di demolizione in quanto riferito a difformità con la DIA, si è già detto in precedenza.

Va, comunque, ribadito che il motivo di ricorso (sesto) non tiene conto, tra l’altro, del fatto che la ristrutturazione prevista dalla L.R.T. n. 52/1999 avrebbe dovuto comunque (cioè, indipendentemente dai volumi oggetto della stessa) avvenire con identità di materiali, mentre, come si è visto, è stato ricostruito in cemento armato e materiali moderni un fabbricato originariamente in pietra a faccia vista, talchè la contestazione di difformità dalla DIA è, anche sotto tale profilo, giustificata.

Per tale difformità l’impugnata ordinanza n. 13/2002 contiene l’espressa riserva di applicare la sanzione amministrativa prevista dall’art. 12, secondo comma, della legge n. 47/1985 e dall’art. 36 della L.R.T. n. 52/1999; per il resto, l’ordine di demolizione è giustificato dalla circostanza che “oltre alla demolizione del fabbricato” (con ricostruzione difforme, suscettibile di sanzione pecuniaria) “si è proceduto all’ampliamento dello stesso, come risulta dal diniego n. D/02/19 del 27.05.2002”, ampliamento oggetto dell’ordine di demolizione.

Quanto alle deduzioni di cui al settimo motivo di ricorso, è sufficiente replicare che il provvedimento impugnato fa riferimento espresso al diniego di sanatoria che ne circoscrive il contenuto e, comunque, alla allegata planimetria tecnica che pone in specifica evidenza gli ampliamenti contestati come abusivi.

Anche l’ordine di demolizione va esente, pertanto, dalle censure avverso lo stesso formulate.

3. Il ricorso principale va, quindi, respinto.

4. Questi i motivi di doglianza dedotti con il primo ricorso per motivi aggiunti, con cui sono stati impugnati il diniego di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della sanzione demolitoria (provvedimento n. D/04/00003 del 5 febbraio 2004) e l’ingiunzione di demolizione n. 4 del 3 maggio 2004:

1) illegittimità del diniego di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della sanzione demolitoria e dell’ordine di demolizione derivata da quella del diniego di sanatoria e dell’ordine di demolizione che li hanno preceduti e giustificati;

2) omessa comunicazione di avvio del procedimento in relazione al diniego di applicazione della sanzione pecuniaria;

3) carenza di motivazione dei provvedimenti impugnati, in quanto non sarebbe sufficiente il riferimento al parere n. 01/011 espresso dalla Commissione Edilizia nella seduta del 15 gennaio 2004;

4) il diniego di sanatoria giustificato dalla sconnessione strutturale del “portico sul retro” con il restante edificio e, quindi, dalla sua eliminabilità senza pregiudizio per il residuo fabbricato, non sarebbe sorretto da adeguata motivazione, non avendo l’Amministrazione dato conto delle ragioni di segno opposto illustrate nella perizia allegata alla domanda per l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della sanzione demolitoria;

5) l’ordinanza di demolizione non indicherebbe con chiarezza il proprio oggetto.

In relazione al primo ricorso per motivi aggiunti, il Comune di San Gimignano ha eccepito la tardività dello stesso, relativamente all’impugnativa del diniego di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della sanzione demolitoria, essendo stato impugnato oltre il termine di legge dei 60 giorni, nonché, sempre limitatamente a tale impugnativa, la cessazione della materia del contendere e/o la sopravvenuta carenza di interesse a seguito della domanda di condono presentata dalla Edilgreen, domanda che per un verso riconoscerebbe implicitamente l’abusività della costruzione e, per altro verso, sposterebbe l’interesse sostanziale della ricorrente sull’esito della stessa.

L’eccezione di irricevibilità è fondata.

Infatti, il ricorso è stato notificato al Comune il 19 luglio 2004 ed il diniego di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della sanzione demolitoria del 5 febbraio 2004 era conosciuto dalla Edilgreen fin dal 19 febbraio 2004, come emerge dalla cartolina di ritorno della raccomandata.

Conseguentemente, non può essere fondatamente dedotta (primo motivo di ricorso) l’illegittimità derivata dell’ordine di demolizione da quella del diniego succitato.

In quanto, poi, atto dovuto, nessun onere di comunicazione di avvio del procedimento relativo all’ordine di demolizione incombeva sull’Amministrazione.

In relazione, inoltre, alle deduzioni di cui al terzo e al quarto motivo di ricorso, sostanzialmente riferibili al diniego di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della sanzione demolitoria, e come tali irricevibili, ne va, comunque, rilevata l’infondatezza.

Infatti, la possibilità che il volume oggetto della ordinanza di ripristino ex art. 12, secondo comma, della legge n. 47/1985 potesse permanere è stata motivatamente negata per carenza di collegamento strutturale tra il nuovo “portico sul retro”, oggetto della ordinanza stessa, ed il resto dell’edificio che si doveva ristrutturare.

Quanto, poi, alla giustezza di tale valutazione, e, quindi, alla eliminabilità del “portico sul retro” senza pregiudizio per il residuo fabbricato, si tratta di un apprezzamento di merito, insuscettibile di sindacato in sede di legittimità, se non per erroneità manifesta, non riscontrabile nella specie, in cui tale valutazione è stata successivamente confermata dalla perizia del 5 marzo 2005 fatta eseguire dalla Procura della Repubblica di Siena e dal rapporto del Corpo Forestale dello Stato quale organo di Polizia Giudiziaria redatto il 12 ottobre 2004.

Si legge nella prima, a pag. 37, dopo ampia analisi tecnica, che “si può affermare che gli ampliamenti (Corpi A e B) non hanno continuità strutturale con il corpo di fabbrica principale (Corpo C) e pertanto possono essere rimossi senza pregiudizio per la statica del corpo stesso”.

Si legge nel secondo, che è “evidente che i cordoli del corpo principale del fabbricato … sono completamente scollegati da quelli del loggiato (realizzato in realtà in cemento armato con trave sostenuta da pilastrini) che su due lati si appoggia allo stesso edificio principale e da quelli del fabbricato secondario che rappresenta la prosecuzione del fabbricato stesso: infatti mentre i primi hanno l’intradosso a c.a. m. 2,45 dalla soletta, gli altri lo hanno a c.a. m. 2,20 dalla stessa e si attestano contro la muratura ortogonale, apparentemente senza attraversarla. I travetti inclinati che coprono il loggiato ed il fabbricato secondario “A” si inseriscono nella loro parte più alta direttamente nel muro del fabbricato principale, senza alcun cordolo che li colleghi tra di loro, di fatto rendendo trascurabili le funzioni di collegamento fra le due diverse strutture murarie”.

Inoltre, ed infine, la C.T.U. penale conclude nel senso che la mancanza di connessione strutturale tra le vecchie e le nuove strutture “poteva essere accertata con facilità da un medio conoscitore della materia”; da qui la non necessità di fornire nel diniego impugnato particolari motivazioni sul punto e/o particolari dimostrazioni tecniche su una questione di oggettiva evidenza.

A ciò si aggiunga il rapporto della Direzione per le Politiche Territoriali della Regione Toscana di Siena (ex Genio Civile) prot. 5107/124, che conferma che tutte le demolizioni dei volumi abusivi “possono essere eseguite senza alcun pregiudizio statico nei confronti della parte restante dell’edificio”.

Nessun pregio ha, infine, il quinto motivo di doglianza, giacchè l’ordinanza di demolizione fa riferimento ad un preciso elaborato ove quanto da demolire è perimetrato in giallo.

5. Il primo ricorso per motivi aggiunti va, pertanto, dichiarato irricevibile per la parte in cui è volto ad impugnare il diniego di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della sanzione demolitoria, e va respinto per la restante parte (riguardante l’ordine di demolizione).

6. Questi i motivi di doglianza dedotti con il secondo ricorso per motivi aggiunti, con cui è stata impugnata l’ordinanza n. 3 del 25 settembre 2006:

1) illegittimità derivata del nuovo ordine di demolizione per la parte relativa al portico tergale, che conseguirebbe alla illegittimità dei dinieghi di sanatoria e degli ordini di demolizione impugnati con il ricorso principale e con il primo ricorso per motivi aggiunti;

2) nella fattispecie si sarebbe operata la “demolizione con fedele ricostruzione” del precedente fabbricato, con lo stesso ingombro planivolumetrico fatte salve esclusivamente le innovazioni necessarie per l’adeguamento della normativa antisismica, e, pertanto, l’intervento in oggetto rientrerebbe nel campo d’applicazione dell’art. 79 comma 2 lett. d e non dell’art. 78 lett. h, della L.R.T. n. 1/2005; tale intervento sarebbe, quindi, soggetto a DIA, che i ricorrenti avrebbero regolarmente presentato (n. 1126/2000), ma l’Amministrazione a distanza di quasi sei anni dalla presentazione della DIA avrebbe ritenuto di dare una qualificazione diversa dell’intervento, totalmente in contrasto con le determinazioni precedentemente assunte, senza preventivamente provvedere in autotutela rispetto alla DIA originaria; a ciò si aggiunga che, dopo la presentazione della DIA e l’inizio dei lavori, il Comune aveva contestato solamente rispetto allo stato di fatto preesistente all’inizio dei lavori che non era presente il portico sul retro e l’ampliamento laterale; nessuna contestazione, invece, era mai stata sollevata riguardo all’esistenza del secondo piano e in ordine all’imposta del tetto; in ogni caso, anche a voler ritenere che l’originaria DIA non costituisca valido titolo abilitativo per i lavori effettuati, gli stessi sarebbero stati legittimati dal provvedimento n. prot. 2243 del 5 febbraio 2004 attraverso cui, rispetto al progetto presentato in sanatoria il Comune avrebbe opposto diniego solo relativamente al portico sul retro mentre sarebbe stato espresso “parere favorevole relativamente all’ampliamento laterale realizzato in continuità strutturale con la restante parte dell’edificio” e non sarebbe stata sollevata nessuna contestazione rispetto ad altre parti della costruzione; risulterebbe, pertanto, illegittimo l’ordine di demolizione dal momento che l’intervento sarebbe stato realizzato in base alla presentazione della DIA e comunque sarebbe stato espressamente assentito dalla concessione in sanatoria n. prot. 2243 del 5 febbraio 2004 con la sola eccezione del portico sul retro;

3) l’Amministrazione avrebbe modificato il proprio precedente avviso - secondo il quale la difformità del progetto rispetto allo stato attuale era limitata solo all’ampliamento laterale e al portico sul retro – ritenendo che la ricorrente abbia “presentato una dia per la ristrutturazione con cambio di destinazione del fabbricato dichiarando nella rappresentazione dello stato attuale una consistenza diversa da quella che risulta dalla relativa scheda di P.R.G. e dalle fotografie in possesso dell’U.T.C. che in particolare evidenziano (a) un solo piano di elevazione (b) murature perimetrali ancora leggibili che definiscono un ingombro privo dei due porticati in semiperimetro indicati come da ricostruirsi (c) altezza del piano gronde al di sopra della porta a sesto acuto inferiore a quella rilevata”, e tutto ciò solo sulla base della perizia penale redatta da un professionista esterno all’Amministrazione senza che peraltro tale elaborato sia stato mai portato a conoscenza degli interessati, elaborato che contrasterebbe nelle sue conclusioni con la documentazione fotografica e tecnica prodotta nel corso del procedimento dai ricorrenti;

4) la situazione strutturale degli ampliamenti in pianta del manufatto originale sarebbe quanto meno “incerta”, e l’Amministrazione sarebbe pervenuta all’emanazione dell’ordine di demolizione senza tenere in alcun conto le ragioni di segno opposto illustrate nella perizia allegata alla domanda per l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della sanzione demolitoria.

Il secondo ricorso per motivi aggiunti è infondato.

Dalle conclusioni cui si è pervenuti nei paragrafi nn. 2, 3, 4 e 5 emerge l’infondatezza della censura, di cui al primo motivo, di illegittimità derivata dell’ordinanza impugnata per la parte relativa al portico tergale da quella dei dinieghi di sanatoria e degli ordini di demolizione impugnati con il ricorso principale e con il primo ricorso per motivi aggiunti.

Ugualmente infondati risultano il secondo e il terzo motivo.

Infatti, quanto all’impossibilità di ritenere che nella fattispecie si sia operata la “demolizione con fedele ricostruzione” del precedente fabbricato, la stessa risulta in atti, come più innanzi precisato, dal raffronto dello stato di fatto precedente e susseguente dei lavori; in ogni caso, quand’anche il fabbricato di proprietà della ricorrente originariamente avesse avuto consistenza diversa da quella che risulta dagli atti del P.R.G., per giurisprudenza costante non si possono ristrutturare manufatti non più esistenti.

Né necessitavano atti di autotutela rispetto alla DIA originaria, per le considerazioni già sviluppate al paragrafo n. 2.

Inoltre, va soggiunto – in accordo con le osservazioni esposte sul punto dalla difesa comunale e con quanto asserito nel provvedimento impugnato - il fabbricato per cui è causa non ha mai ottenuto alcuna sanatoria, né alcun assenso edilizio, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente.

Infatti, non è mai stato approvato il progetto a sanatoria (P.E. n. 687/2003) presentato per i volumi (laterale e sul retro) realizzati in aggiunta a quanto esistente e fin dall’inizio contestati come abusivi. Infatti, in ordine a tale progetto: (a) è stato emanato il provvedimento di diniego del 5 febbraio 2004 relativo al “portico sul retro” che avrebbe potuto ottenere legittimazione a permanere solo con l’applicazione della sanzione pecuniaria a fronte (se fosse stata riscontrata) della impossibilità tecnica della demolizione; (b) tale diniego è ormai definitivo per essere stato tardivamente impugnato, e comunque è del tutto legittimo come emerge dalle considerazioni sviluppate al paragrafo n. 4; (c) nessun definitivo provvedimento è mai stato espresso (prima dell’ordinanza n. 3 del 25 settembre 2006) in ordine alla concreta applicazione della sanzione pecuniaria per l’ampliamento laterale dell’edificio, non potendo essere considerato tale il provvedimento del 5 febbraio 2004 che si è limitato a disporre la demolizione del “portico sul retro”.

E tali considerazioni valgono anche per quanto riguarda le ulteriori difformità rilevate rispetto al fabbricato preesistente (un secondo piano fuori terra del tutto inesistente, e un’altezza del fronte principale maggiore di quella effettiva), senza che abbia alcun rilievo, ai fini della legittimità dell’operato dell’Amministrazione, la circostanza che tali difformità non fossero state contestate precedentemente, trattandosi di erronee rappresentazioni della realtà oggettivamente rilevabili in ogni tempo, anche in assenza di contraddittorio con la ricorrente, attraverso l’esame di una documentazione che riproduce la mera realtà dei fatti, quali la scheda di P.R.G., corredata da un rilievo fotografico, relativa al fabbricato in questione destinato ad essere conservato nelle sue caratteristiche costruttive, e le fotografie in possesso dell’U.T.C., cui si fa espresso riferimento nel provvedimento impugnato, e ciò a prescindere dalla pur determinante perizia disposta in sede penale.

E’, infatti, sufficiente raffrontare le suindicate fotografie del manufatto originario con quelle del fabbricato come oggi esistente dopo i lavori della Edilgreen per rilevare le difformità in questione.

Tale semplice raffronto è oggettivamente sufficiente a giustificare il rilievo che quanto la ricorrente vorrebbe legittimare è tutt’altra cosa rispetto al manufatto preesistente che non poteva essere demolito e che, comunque, poteva al massimo essere oggetto di ristrutturazione, mantenendosi l’aspetto originario.

E la giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’integrale demolizione di un fabbricato e la esecuzione di un edificio completamente differente dal primo deve qualificarsi intervento di nuova costruzione su un lotto liberato da un preesistente fabbricato, e non mera ristrutturazione di un fabbricato preesistente (cfr., Cons. di Stato, sez. V, 1° aprile 2004, n. 1811). E comunque l’addizione di volumi che non abbiano natura di “volumi tecnici” è sicuramente incompatibile con il concetto di ristrutturazione.

Del resto che si trattasse di opere abusive non sanate è riconosciuto dalla stessa ricorrente con la presentazione della pratica di “condono edilizio” della quale la suindicata ordinanza del 25 settembre 2006 dà atto, e che è stata respinta con provvedimento ormai definitivo.

Quanto, infine, alla dedotta incertezza della situazione strutturale degli ampliamenti in pianta del manufatto originale (quarto motivo), è sufficiente rinviare alle considerazioni sviluppate al paragrafo n. 4.

7. Il secondo ricorso per motivi aggiunti va, pertanto, respinto.

8. Questi i motivi di doglianza dedotti con il terzo ricorso per motivi aggiunti, con cui è stato impugnato il diniego di permesso di costruire in sanatoria n. 12 del 29 giugno 2007:

1) non sarebbe possibile dedurre dal provvedimento impugnato le ragioni del diniego di approvazione edilizia e i motivi di contrasto con la normativa urbanistica, essendosi il Comune limitato a richiamare la motivazione contenuta nei due precedenti dinieghi D/02/00019 del 27 maggio 2002 e D/04/0003 del 5 febbraio 2004, lasciando in tal modo intendere di essere ritornato alla posizione iniziale e di aver limitato il diniego alla sola parte della costruzione relativa al “portico sul retro”; in ogni caso il diniego di concessione in sanatoria impugnato sarebbe viziato in quanto emesso in mancanza del parere della commissione edilizia;

2) si ribadiscono le censure formulate avverso i due precedenti dinieghi del 27 maggio 2002 e del 5 febbraio 2004 con il ricorso principale e con il primo ricorso per motivi aggiunti.

In relazione al terzo ricorso per motivi aggiunti, il Comune di San Gimignano ha eccepito l’inammissibilità dello stesso, essendo stato proposto avverso un provvedimento dichiaratamente meramente confermativo di precedenti atti di identico contenuto, nonché la cessazione della materia del contendere e/o la sopravvenuta carenza di interesse in quanto, avendo la ricorrente presentato anche domanda di “condono edilizio” definito negativamente con provvedimento non impugnato.

Si può prescindere dall’esame delle eccezioni in rito sollevate dal Comune intimato, stante l’infondatezza del ricorso nel merito.

L’impugnato diniego è stato emesso a fronte di una nuova richiesta la quale non costituisce altro che la reiterazione delle precedenti richieste di cui alle pratiche n. 423/2001 e n. 687/2003, già respinte con provvedimenti che sfuggono, come si è visto, alle censure avverso gli stessi formulate.

Tale ultimo diniego è stato preceduto (ed ha fatto riferimento) dal relativo avviso ex art. 10 bis della legge n. 241/1990. In tale avviso, datato 20 febbraio 2007, si fa espresso riferimento all’ordinanza n. 3 del 25 settembre 2006 - nella quale si afferma espressamente che in relazione all’edificio per cui è causa non sono ammesse addizioni, essendo l’edificio situato in zona agricola ed essendo avulso da un’azienda, per cui il manufatto è suscettibile solo di interventi di manutenzione e/o ristrutturazione senza addizioni volumetriche – e se ne riporta il dispositivo, ricordando che con tale ordinanza “si dispone la demolizione delle opere abusive eseguite in località Casaglia e la rimessione in pristino del fabbricato in oggetto che dovrà essere ricondotto alle dimensioni e conformazioni originarie definite dalle rappresentazioni fotografiche precedenti ai lavori (tra le quali quelle contenute nella scheda di PRG relativa all’originario manufatto) nonchè dagli atti depositati presso gli uffici comunali”. Infatti, in tale ordinanza n. 3 del 25 settembre 2006, si premetteva espressamente che “occorre non solo negare la legittimazione a permanere connessa alla approvazione per ragioni statiche anche del portico laterale, ma anche di non approvare il progetto presentato in sanatoria per la realizzazione del piano di elevazione superiore al piano terra e per l’innalzamento del piano di imposta della copertura al di sopra della porta principale ad arco preesistente”.

Nessun dubbio, pertanto, che il rinvio ai dinieghi precedenti, operato con il provvedimento impugnato, sia comprensivo anche dell’ordinanza n. 3 del 25 settembre 2006 che si pone quale elemento di chiusura delle P.E. 423/2001 e 687/2003 attraverso il definitivo diniego anche per la permanenza del portico laterale, del “piano di elevazione superiore al piano terra” e dell’”innalzamento del piano d’imposta della copertura al di sopra della porta principale ad arco preesistente”.

In tale contesto, pertanto, quand’anche non si volesse riconoscere al provvedimento impugnato portata meramente confermativa dei precedenti dinieghi, non vi era alcuno spazio per investire la Commissione Edilizia di una nuova richiesta di parere.

Quanto, poi, agli ulteriori motivi di ricorso, meramente reiterativi dei motivi formulati con il ricorso principale e con il primo ricorso per motivi aggiunti avverso, rispettivamente, i due precedenti dinieghi D/02/00019 del 27 maggio 2002 e D/04/0003 del 5 febbraio 2004, gli stessi si appalesano infondati per le ragioni già indicate ai paragrafi nn. 2 e 4, cui si rinvia.

9. Il terzo ricorso per motivi aggiunti va, pertanto, respinto.

10. Quanto alle spese di giudizio, le stesse seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così decide:

1) respinge il ricorso principale;

2) dichiara in parte irricevibile e in parte respinge, nei sensi di cui in motivazione, il primo ricorso per motivi aggiunti;

3) respinge il secondo ricorso per motivi aggiunti;

4) respinge il terzo ricorso per motivi aggiunti.

Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere all’Amministrazione resistente le spese di lite che liquida nella complessiva somma di euro 8.000,00 (ottomila/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente

Eleonora Di Santo, Consigliere, Estensore

Silvio Lomazzi, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/04/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)