Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2193, del 28 aprile 2014
Urbanistica.Segnalazione tecnica dei vigili del fuoco per edificio pericolante

La segnalazione tecnica dei vigili del fuoco non ha valore di accertamento tecnico in senso proprio, bensì di sollecito all’amministrazione comunale ad intervenire per quanto di sua competenza. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02193/2014REG.PROV.COLL.

N. 00611/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 611 del 2003, proposto da: 
Fabiani Silvana, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Vianello, Renato Vanino, Carlo Pillinini e Luca Vianello, con domicilio eletto presso Luca Vianello in Roma, Lungotevere Marzio,1;

contro

Comune di Paularo, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Ettore Verino ed Enrico Bulfone, con domicilio eletto presso Mario Ettore Verino in Roma, via Barnaba Tortolini, 13;
Tiepolo Sergio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Friuli –Venezia Giulia, Trieste n. 704/2001, resa tra le parti, concernente demolizione di edificio pericolante



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 marzo 2014 il Consigliere Doris Durante;

Uditi per le parti gli avvocati Luca Vianello e Mario Ettore Verino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1.- Il Comune di Paluano, con ordinanza contingibile e urgente n. 16/99 del 7 luglio 1999, disponeva la demolizione del fabbricato denominato “Casa Malton” sito in Paluano, alla via Sartori n. 9 della frazione di Dierico.

Tale ordinanza richiamava la precedente ordinanza contingibile e urgente n. 780 del 28 ottobre 1994, con la quale era già stato ingiunto ai proprietari di demolire il fabbricato che, danneggiato dagli eventi sismici del 1976, non era stato oggetto di interventi di consolidamento e di ripristino, risultando pericoloso per la pubblica incolumità; dava atto dell’accertato peggioramento delle condizioni statiche del fabbricato e del parere reso dal Procuratore della Repubblica di Tolmezzo e concludeva nel senso della necessità di dover procedere alla demolizione del fabbricato medesimo a cura del Comune ed a spese dei proprietari.

2.- Fabiani Silvana, proprietaria pro quota (nella misura di 234/1000) del mappale n. 486 del foglio 41 del N.C.T. di Paulano sul quale insisteva il fabbricato “Casa Malton”, con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli – Venezia Giulia, impugnava l’ordinanza del 7 luglio 1999 di demolizione ed ogni provvedimento presupposto e consequenziale, deducendo:

violazione dell’art. 38, comma 2, della l. n. 142 del 1990; eccesso di potere per radicale travisamento dei fatti e per mancanza dei presupposti per l’esercizio del potere extra ordinem; violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990; violazione dell’art. 97 della Costituzione; carenza di istruttoria, nonché illogicità ed irragionevolezza delle scelte tecniche effettuate;

eccesso di potere e violazione del principio di proporzione tra sacrificio imposto ed obiettivo pubblico da realizzare;

eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà del comportamento del Comune e del difetto di motivazione;

violazione dell’art. 38, comma 3 della l. n. 142 del 1990.

Proponeva anche domanda risarcitoria, chiedendo la nomina di un consulente tecnico per stabilire il valore dell’immobile demolito.

3.- Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con sentenza n. 704 del 30 novembre 2001, respingeva il ricorso con condanna della ricorrente al pagamento di lire tre milioni per spese di giudizio.

Il TAR riteneva infondata la tesi difensiva prospettata dalla ricorrente incentrata su un’implicita revoca dell’ordinanza contingibile e urgente del 1994, per effetto dell’autorizzazione rilasciatale due anni dopo dal Sindaco per opere di manutenzione straordinaria all’edificio e dell’avvio del procedimento espropriativo dell’immobile.

Tra i provvedimenti, affermava il TAR, non sussisteva l’asserita incompatibilità, perché l’autorizzazione presupporrebbe e non smentirebbe lo stato di pericolo e perché il rilascio dell’autorizzazione stessa sarebbe stato sottoposto all’assunzione espressa, da parte della ricorrente, di responsabilità per ogni altro rischio, condizione alla quale la ricorrente non avrebbe inteso sottostare, sicché le opere non sarebbero state eseguite.

Quanto al procedimento espropriativo, non avrebbe avuto sèguito alcuno per la revoca quasi immediata della deliberazione dichiarativa della pubblica utilità.

La mancata impugnazione della ordinanza contingibile e urgente del 1994 non comporterebbe, comunque, secondo il TAR, l’inammissibilità in totodel gravame, ma solo dei motivi sulla legittimità e permanenza attuale dei presupposti dell’atto impugnato.

Rilevava, quindi, il TAR che l’ordinanza di demolizione si fonderebbe su autonomi presupposti, quali, l’inadempimento alla precedenza ordinanza; l’assenza di qualunque intervento da parte dei proprietari; diverse segnalazioni di cittadini circa il grave pericolo che le condizioni dell’immobile comportava per la pubblica incolumità; alcuni crolli di pietre sulla vicina strada pubblica, con pericolo dei passanti; l’accertamento dell’aggravarsi delle condizioni statiche dell’immobile; il parere al riguardo del Procuratore della Repubblica di Tolmezzo.

Il TAR riteneva, quindi, che le censure mosse al riguardo, se non inammissibili, risultavano infondate e con percorso motivazionale stringente, concludeva per il rigetto del ricorso.

5.- Con ricorso in appello, Fabiani Silvana impugnava la suddetta sentenza, chiedendone l’annullamento o la riforma per tutti i motivi del ricorso di primo grado riproposti criticamente in appello, in quanto erroneamente non apprezzati dal giudice di primo grado.

Il Comune di Paluano, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto dell’appello perché inammissibile e infondato.

Alla pubblica udienza del 4 marzo 2014 il giudizio è stato assunto in decisione.

6.- L’appello è infondato e va respinto.

7.- Con il primo motivo di appello, la ricorrente censura la sentenza del TAR, perché avrebbe ritenuto che il provvedimento impugnato non rappresenterebbe altro che l’atto conclusivo della sequela procedimentale avviata con l’ordinanza contingibile e urgente n. 780 del 1994.

Assume che sarebbe illogico il ragionamento del TAR che avrebbe ritenuto legittimo il protrarsi per un arco di tempo abnorme (cinque anni) dell’efficacia dell’ordinanza contingibile e urgente del 1994.

Sostiene che l’ordinanza di demolizione del 1999 sarebbe atto nuovo e, in quanto tale, privo dei necessari e imprescindibili accertamenti volti a verificare l’attualità della situazione di pericolo; che sarebbe abnorme e irragionevole che un procedimento contingibile e urgente, fondato su una situazione di grave e attuale pericolo insuscettibile di essere tollerata oltre e tale da legittimare l’adozione di provvedimenti extra ordinem, possa trovare il suo presupposto in situazioni lontane nel tempo (accertamento dello stato di pericolosità dello stabile del 1994), tanto più che nelle more sarebbero intervenuti altri accertamenti e comportamenti dell’amministrazione che avrebbero escluso l’immanenza del pericolo per la pubblica incolumità.

Cita in tale ottica, il transennamento dell’area stradale sottostante; l’autorizzazione alla sostituzione del manto di copertura dell’edificio; la perizia del 10 luglio 1998 dell’ing. Enzo Durigon, incaricato da alcuni comproprietari del fabbricato, che avrebbe certificato l’idoneità statica del fabbricato stesso abbisognevole solo di alcuni limitati interventi di messa in sicurezza del manto di copertura e di alcuni intonaci; la comunicazione del 30 ottobre 1998 del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Udine, incaricato di verificare le condizioni statiche dell’immobile, che avrebbe attestato che le strutture portanti verticali non evidenziavano lesioni tali da pregiudicare la stabilità del fabbricato, di cui prevedeva l’estensione del transennamento per la presenza di infiltrazioni di acque meteoriche nel tetto, che avrebbero reso probabile la ricaduta di materiali di copertura dallo sporto di gronda o il verificarsi di crolli interni; la procedura espropriativa prevista dal Comune con delibera n. 170 del 2 giugno 1999, che prevedeva, in sede di approvazione dei lavori di intervento sulla viabilità comunale, l’esproprio della “Casa Malton” e del terreno su cui insisteva al fine di realizzare su via Sartori dei parcheggi.

Le risultanze di questi accertamenti e comportamenti del Comune, a detta della ricorrente, sarebbero in netto contrasto con la perizia di inidoneità statica sulla cui base è stata assunta l’ordinanza sindacale n. 780 del 1994.

La censura è infondata.

8.- Come correttamente rilevato dal TAR con percorso motivazionale che si condivide, l’iter istruttorio volto ad accertare la situazione di pericolo e l’urgenza di provvedere era già stato espletato nel 1994, con l’acquisizione della perizia e del certificato di non idoneità statica dell’ing. Pietro Bianchi, posti a base dell’ordinanza contingibile e urgente n. 790 del 1994.

Non v’era dunque necessità alcuna di procedere ad un nuovo accertamento, posto che quello a suo tempo effettuato aveva già evidenziato la necessità improcrastinabile di provvedere.

Nemmeno può porsi in discussione l’aggravamento delle condizioni dell’immobile sul quale nei cinque anni intercorrenti tra la prima ordinanza contingibile e urgente e quella di demolizione, nessun intervento manutentivo era stato realizzato con la conseguenza che l’immobile era rimasto esposto all’azione degli agenti atmosferici, più incisiva a seguito della rimozione di parte del tetto per ragioni di sicurezza.

L’accertamento dei vigili del fuoco, diretto, invero, agli interventi più urgenti di loro competenza e non alla condizione di insieme del fabbricato, non smentisce o toglie valenza all’accertamento dell’ing. Bianchi del 1994.

Le fotografie prodotte dalla stessa ricorrente già nel giudizio di primo grado, evidenziano che l’immobile danneggiato è finitimo a diverse abitazioni, oltre a vie pubbliche, tanto che sarebbe impossibile estendere il transennamento in modo da garantire la sicurezza ai passanti.

I riscontrati persistenti crolli di pietre costituiscono d’altra parte indubbio pericolo per la pubblica incolumità.

In conclusione, non può che condividersi quanto affermato dal giudice di primo grado, sulla doverosità della disposta demolizione, a fronte di un accertamento tecnico con cui era stata valutata l’inidoneità dell’immobile e la necessità del suo abbattimento.

7.1- Quanto ai fatti nuovi richiamati dalla difesa dell’appellante, essi non sono idonei a provare che fosse venuto meno lo stato di pericolosità dello stabile.

La segnalazione tecnica dei vigili del fuoco non ha valore di accertamento tecnico in senso proprio, bensì di sollecito all’amministrazione comunale ad intervenire per quanto di sua competenza.

La richiamata perizia dell’ing. Durigon, è perizia di parte, non svolta in contraddittorio, per cui non può esserle attribuito un valore probante maggiore di quella redatta dall’ing. Bianchi.

L’autorizzazione rilasciata dal Comune per la sostituzione del manto di copertura dell’edificio non conteneva nemmeno implicitamente il superamento della valutazione di pericolosità statica dell’edificio. Anzi l’amministrazione aveva subordinato l’autorizzazione alla sottoscrizione da parte della richiedente di dichiarazione sostitutiva, con la quale si assumeva ogni responsabilità nei confronti dei terzi e dell’ente pubblico (dichiarazione che non è mai stata sottoscritta, con conseguente inefficacia dell’autorizzazione).

La procedura espropriativa a suo tempo deliberata dal Comune prevedeva l’esproprio del fabbricato e la sua demolizione.

In conclusione, mancano elementi certi che suffraghino la prospettazione della ricorrente, che risulta, pertanto, infondata.

8.- Con il secondo motivo di appello, la ricorrente lamenta la violazione del principio di proporzione tra sacrificio imposto al privato e l’obiettivo pubblico da realizzare, assumendo l’incongruità della demolizione del fabbricato che avrebbe avuto in limine solamente la necessità di opere di ripristino, non essendo compromesse le strutture portanti.

La censura è priva di pregio alla luce degli accertamenti effettuati sullo stabile, attesa altresì la mancanza di qualunque intervento manutentivo o strutturale sull’immobile nell’arco di tempo più che congruo per consentire interventi di messa in sicurezza.

9.- Con il terzo motivo, l’appellante evidenzia un’asserita contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione.

La ricorrente si riferisce all’autorizzazione rilasciata dal Comune per la sostituzione del manto di copertura dell’edificio e al procedimento espropriativo dell’area deliberato dal Comune.

Invero, la ratio dei provvedimenti è diversa.

L’autorizzazione al rifacimento del tetto, in quanto subordinata alla sottoscrizione da parte della richiedente di dichiarazione sostitutiva, con la quale si assumeva ogni responsabilità nei confronti dei terzi e dell’ente pubblico, confermava la pericolosità della struttura (la dichiarazione non fu mai stata sottoscritta, con conseguente inefficacia dell’autorizzazione).

Quanto alla procedura espropriativa a suo tempo avviata dal Comune che prevedeva l’esproprio del fabbricato e la sua demolizione, essa era finalizzata alla realizzazione di parcheggi sull’area di risulta dalla demolizione, sicché non negava lo stato di pericolosità dello stabile, di cui prevedeva la demolizione.

La procedura espropriativa, tuttavia, non fu mai conclusa perché annullata dall’amministrazione in autotutela per mancanza di copertura finanziaria (delibere n. 170/1999 e n. 202/99 di Giunta comunale).

Non è, quindi, ravvisabile nel comportamento dell’amministrazione alcuna contraddittorietà.

10.- Con il quarto motivo, l’appellante assume che non sarebbe stata accertata la mancata ottemperanza all’ordinanza contingibile e urgente.

La censura è pretestuosa, essendo indubbio che non v’era stata ottemperanza né manifestazione di volontà di voler ottemperare, né sono mai state proposte dagli interessati diverse e meno onerose soluzioni per la demolizione.

L’infondatezza delle censure e la legittimità dell’operato dell’amministrazione comporta l’infondatezza della domanda di risarcimento danni, per mancanza delle condizioni dell’azione risarcitoria.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:

Mario Luigi Torsello, Presidente

Fulvio Rocco, Consigliere

Doris Durante, Consigliere, Estensore

Nicola Gaviano, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/04/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)