TAR Lazio (RM) Sez. II-bis, n. 8380 del 10 ottobre 2012
Urbanistica. Nuovo PRG legittimità mutamento destinazione agricola a servizi pubblici di livello urbano.

La sola circostanza di fatto che prima dell’adozione del nuovo piano regolatore, sia stato presentato al Comune un progetto per la fondazione di un’azienda agricola sul terreno di proprietà non qualifica un’aspettativa legittimante, a vincere la quale siano necessarie ragioni peculiari e diverse dalle mere esigenze di sistemazione urbanistica come rilevate in sede di pianificazione. L’opzione concreta una previsione espropriativa ex novo introdotta, con la conseguente non invocabilità del principio che impone all’Amministrazione un onere motivazionale particolarmente intenso. Applicandosi alla fattispecie i principi in ragione dei quali non è richiesta una motivazione specifica ed estesa, a sostegno delle scelte pianificatorie del Comune, salvi i casi di sussistenza in capo ai privati interessati di aspettative qualificate da norme in vigore. Le ragioni delle scelte adottate possono ricavarsi dai principi generali che ispirano lo strumento urbanistico. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 08380/2012 REG.PROV.COLL.

N. 09751/2008 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9751 del 2008, proposto da:

Paniconi Roberto, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Lavitola e Irene Bellavia, con domicilio eletto presso Giuseppe Lavitola in Roma, via Costabella, 23;

contro

Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi D'Ottavi, con domicilio eletto in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

Regione Lazio e Provincia di Roma in persona dei loro legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio;

per l'annullamento

- della delibera 19-20.3.2003 n. 33 del Consiglio Comunale di Roma, con la quale è stato adottato il nuovo piano regolatore generale;

- dell’accordo di copianificazione sottoscritto in data 6.2.2008 dal Sindaco del Comune di Roma e dal Presidente della Regione Lazio e delle relative delibere di ratifica (del. G.R. 8.2.2008 n. 80 e del. C.C. 12.2.2008 n. 18);

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 giugno 2012 il dott. Antonio Vinciguerra e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Il sig. Roberto Paniconi è proprietario di un terreno sito nel territorio comunale di Roma, alla via Ardeatina, con superficie di circa 120.000 mq..

Con atto notificato al Comune di Roma, alla Regione Lazio e alla Provincia di Roma e depositato presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, competente all’istruttoria, il sig. Paniconi ha impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato il piano regolatore generale adottato con delibera 19-20.3.2003 del Consiglio Comunale di Roma, in parte modificato da accordo di copianificazione tra Comune e Regione, intervenuto il 6.2.2008 e ratificato dalle rispettive amministrazioni.

In data 18.9.2008 il Comune di Roma ha presentato istanza di trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale, ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 1199/1971. Pertanto il sig. Paniconi ha notificato al Comune e alla Provincia di Roma e alla Regione Lazio, il 16.10.2008, l’atto di costituzione innanzi a questo Tribunale.

Il ricorrente lamenta la lesione del suo interesse alla conservazione della destinazione agricola, qual’era nel previgente p.r.g. del 1965, della zona ove insiste l’area di sua proprietà, laddove il nuovo p.r.g. ha operato un mutamento destinandola a servizi pubblici di livello urbano.

Contesta difetto di logica e di sufficiente motivazione nella scelta pianificatoria, e in subordine contesta la legittimità della norma (art. 83 delle norme tecniche di attuazione) la quale prevede, come alternativa all’esproprio, la possibilità della cessione perequativa nei soli casi e nei termini di cui all’art. 22, ma non la estende alla fattispecie di suo interesse e riserva la scelta alla sola Amministrazione e non ai proprietari delle aree.

Con altro motivo di doglianza il sig. Paniconi contesta l’omissione del procedimento di riadozione del piano, in ragione di quanto disposto dall’art. 10, comma 2, della legge urbanistica (L. n. 1150/1942), richiamato dall’art. 66 bis della L.R. del Lazio n. 38/1999, tenuto conto altresì che le modifiche apportate in sede di conferenza di copianificazione hanno introdotto innovazioni sostanziali.

Infine contesta le modalità definite per la formazione del piano, che, a suo dire, hanno aggravato il procedimento.

L’Amministrazione di Roma Capitale, già Comune di Roma, si è costituita in giudizio e ha controdedotto nel merito, con argomentazioni a sostegno della legittimità del p.r.g.

Il ricorrente ha presentato memoria conclusionale di replica.

La causa è passata in decisione all’udienza del 7.6.2012.

DIRITTO

È infondata la censura con la quale è dedotta la carenza motivazionale della scelta di mutare la destinazione di zona da agricola a servizi pubblici di livello urbano.

L’opzione concreta una previsione espropriativa ex novo introdotta, con la conseguente non invocabilità del principio che impone all’Amministrazione un onere motivazionale particolarmente intenso, applicandosi – al contrario – i comuni principi in ragione dei quali a sostegno delle scelte pianificatorie del Comune non è richiesta una motivazione specifica ed estesa, salvi i casi di sussistenza in capo ai privati interessati di aspettative qualificate da norme in vigore, e le ragioni delle scelte adottate possono ricavarsi dai principi generali che ispirano lo strumento urbanistico (cfr. Cons. St. IV, 4.4.2011 n. 2104; id. 9.12.2010 n. 8682; 4.5.2010 n. 2545). La sola circostanza di fatto – riportata nell’atto introduttivo del ricorso - che il ricorrente abbia, prima dell’adozione del nuovo piano regolatore, presentato al Comune un progetto per la fondazione di un’azienda agricola sul terreno di sua proprietà non qualifica un’aspettativa legittimante a vincere la quale siano necessarie ragioni peculiari e diverse dalle mere esigenze di sistemazione urbanistica come rilevate in sede di pianificazione.

Con deduzione subordinata il ricorrente lamentano l’illegittimità dell’art. 83 delle n.t.a., il quale, pur prevedendo al comma 5 l’acquisizione delle aree vincolate a verde e servizi mediante cessione compensativa in alternativa all’esproprio, la configura come strumento applicabile a discrezione dell’Amministrazione e comunque esclusivamente con riferimento alle fattispecie dei Programmi Integrati della Città consolidata e della Città da ristrutturare (artt. 50 e 53), ovvero ricadenti all’interno delle Centralità locali (art. 66) o nella fascia perimetrale delle Mura Aureliane.

Secondo parte ricorrente, questa modalità operativa andava sottratta alla discrezionalità dell’Amministrazione e considerata quale facoltà esercitabile dai proprietari di beni assoggettati a vincoli espropriativi, avuto riguardo anche a quanto previsto dalla Corte cost., sent. n. 179/1999.

La censura è infondata.

Si tratta infatti di una tecnica pianificatoria la quale, in mancanza di precise disposizioni di legge, può essere legittimamente - come nella specie - gestita dall’Amministrazione sulla base di un’attenta e diversificata considerazione degli obiettivi, dei contesti e degli oggetti della pianificazione: obiettivi, contesti e oggetti i quali si intrecciano - soprattutto nel p.r.g. romano - in maniera complessa, articolata e diversificata; il che preclude la possibilità di configurare sic et simpliciter i lamentati profili di contraddittorietà o di ingiusta disparità di trattamento (che presupporrebbero la sussistenza di situazioni uniformemente e univocamente comparabili).

Nel merito delle altre deduzioni, il Collegio rileva anzitutto l’insussistenza dell’ipotizzato vizio procedimentale, dedotto in via generale (quanto alla regolarità della procedura seguita nella formazione dell’accordo di copianificazione tra Comune e Regione Lazio), o quanto meno il suo carattere di mera irregolarità, inidonea a determinare l’illegittimità procedurale.

Ed invero, in disparte la dubbia sussistenza di interesse a censurare gli atti di pianificazione anche sotto tale profilo, non risultando dimostrato che le modifiche in discorso abbiano interessato anche i suoli del ricorrente, appare evidente che le affermazioni di quest’ultima sono ancorate a una logica pressoché esclusivamente “quantitativa”, intesa a valorizzare il mero dato numerico piuttosto che la concreta incidenza delle modifiche sulle scelte pianificatorie del Comune, sulla destinazione impressa ai suoli, sulla loro suddivisione e su tutti gli altri dati qualificanti uno strumento urbanistico generale

L’ipotesi di violazione di legge, come dedotta da parte ricorrente, fonda su una valorizzazione assoluta della previsione, contenuta nell’art. 66 bis,, comma 5, della L.R. 22.12.1999 n. 38, che contempla un ulteriore “passaggio” in Consiglio Comunale per l’approvazione delle eventuali modifiche apportate al p.r.g. dalla Conferenza di copianificazione. Ciò che determina, da un lato, la svalutazione del momento finale dell’approvazione del p.r.g. da parte dello stesso organo consiliare (sulla base del rilievo che in tale sede esso sarebbe titolare di poteri diversi, e più limitati, rispetto a quelli di cui disporrebbe in sede di approvazione delle modifiche), e per altro verso l’affermazione della irrilevanza del carattere “sostanziale” o meno delle modifiche in concreto introdotte (essendo rilevante, ai fini che qui interessano, il solo fatto che si tratti di modifiche diverse da quelle di cui al comma 3 dello stesso art. 66 bis, ossia quelle intese all’adeguamento del piano ad altri strumenti di pianificazione, le uniche che il comma 5 esclude espressamente dal “passaggio” procedimentale in questione).

Siffatto argomento non tiene conto dei principi fondamentali in materia di procedimento amministrativo, la cui applicazione alla fattispecie in esame certamente induce a conclusioni diverse.

E difatti, la circostanza che il legislatore regionale abbia introdotto un modulo procedimentale “speciale”, a fini di snellimento e semplificazione, per la formazione dello strumento urbanistico generale de quo non esclude, naturalmente, che a detto procedimento vadano comunque applicati, in quanto compatibili, i principi generali rivenienti dalla legge 7.8.1990 n. 241, e dalla relativa applicazione giurisprudenziale; fra questi, vi è quello per cui l’Amministrazione che promuove il procedimento e cui spetta l’adozione del provvedimento finale - nella specie, il Comune - conserva, per tutta la durata del procedimento medesimo e fino all’adozione dell’atto conclusivo di esso, il potere di rilevare eventuali vizi di legittimità e di sollecitarne la rimozione, se del caso disponendo la rinnovazione di attività istruttorie ed endoprocedimentali.

Di conseguenza, anche a voler condividere l’impostazione secondo cui il Consiglio Comunale, investito del provvedimento di approvazione del p.r.g. e del relativo accordo di pianificazione, non avrebbe avuto – pur essendo fisicamente lo stesso organo cui è riferita la previsione del comma 5 dell’art. 66 bis – il potere di “approvare” le modifiche secondo quanto previsto da detta disposizione, non può negarsi che quanto meno esso avrebbe avuto la facoltà di rifiutare in toto l’approvazione del piano, richiedendo la rinnovazione dell’istruttoria, qualora avesse ritenuto che le modifiche apportate al p.r.g. avessero comportato un sostanziale stravolgimento dello strumento precedentemente esaminato; tale facoltà, che costituisce esplicazione dell’ordinario potere di approvazione - o di non approvazione - del p.r.g. che la legge attribuisce al Consiglio Comunale, non può certo dirsi elisa o abrogata dal particolare modello procedimentale adottato dal legislatore regionale in subiecta materia.

Siffatte considerazioni inducono a ritenere superfluo l’approfondimento della questione circa la possibile natura “sanante” o di ratifica dell’approvazione consiliare del p.r.g., dovendo concludersi che tale approvazione, non accompagnata da contestazioni né da eccezioni di sorta, dimostra quanto meno che il Consiglio Comunale ritenne irrilevanti o comunque non decisive le modifiche in discorso.

A questo punto, quindi, il problema diventa quello della natura “sostanziale” o meno delle modifiche introdotte dalla Conferenza di copianificazione; anche su tale punto vi è diversità di opinioni tra le parti, assumendo l’Amministrazione di Roma Capitale, e contestando la società ricorrente, che si sia trattato di modifiche meramente formali e marginali.

In omaggio al principio di non aggravamento procedimentale, e tenuto conto della complessità dell’iter delineato nella specie dalla legislazione regionale, tale da non escludere che in sede di Conferenza possano essere apportate anche modifiche formali o di dettaglio, non può ritenersi che anche queste ultime debbano sempre e comunque comportare un “ritorno” degli atti in Consiglio (dovendo al riguardo riconoscersi all’Amministrazione comunale un ragionevole margine di discrezionalità valutativa).

Tale conclusione appare in linea anche con l’impostazione generale della stessa L.R. n. 38/1999, la quale nel prevedere la procedura “ordinaria” di formazione del p.r.g. per gli altri comuni della Regione Lazio (art. 28 seg.), pur introducendo anche in tale contesto il meccanismo dell’accordo di pianificazione (art. 32), non contempla un siffatto obbligo di ulteriore passaggio in Consiglio Comunale delle eventuali modifiche introdotte dalla Conferenza; di tal che, l’ipotesi di un regime differente per la sola amministrazione della capitale produrrebbe l’effetto di rendere l’iter formativo del p.r.g. di Roma più complesso e farraginoso di quello degli altri comuni laziali, in contrasto con le dichiarate esigenze di semplificazione e velocizzazione che ispirano il disposto di cui all’art. 66 bis più volte citato.

Tutto ciò premesso, in linea con l’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato (Cons.St., IV, 28.9.2009 n. 5818) il Collegio è dell’avviso che il motivo di doglianza secondo cui le modifiche apportate dalla Conferenza rivestirebbero rilevanza sostanziale, non trovi riscontro nella documentazione in atti.

Da un esame comparativo delle n.t.a. del p.r.g. quali si presentavano a seguito delle controdeduzioni comunali alle osservazioni dei privati e quali risultanti dal lavoro della Conferenza, nonché della relazione tecnica predisposta da quest’ultima, emerge che sono rimaste manifestamente inalterate non solo tutte le scelte di fondo operate in sede di adozione, ma anche quelle relative alla destinazione generale dei suoli ed al rapporto quantitativo fra le varie zone individuate dal piano; in sostanza, malgrado l’elevato numero delle modifiche apportate, le stesse hanno per lo più carattere formale, consistendo – come riconosciuto dalla stessa Conferenza – in semplici errata corrige, ovvero in riformulazioni di prescrizioni non mutate nella sostanza o in modifiche marginali intese a rendere coerenti le singole previsioni con altre norme tecniche, con quanto controdedotto a eventuali osservazioni o anche solo con l’impianto generale del p.r.g.

D’altra parte, tenuto conto della specifica competenza tecnica dei componenti la Conferenza, non desta meraviglia il fatto che uno strumento urbanistico, proveniente dalla fase delle osservazioni dei privati e delle relative controdeduzioni, richiedesse una consistente attività di riscrittura formale, al fine di renderlo organico e coerente, specie a fronte di una realtà urbanistica di estrema complessità quale indubbiamente è quella del territorio di Roma.

Le ultime argomentazioni di ricorso, relative a un ipotizzato aggravio procedimentale, non sono sufficientemente specifiche da consentire l’identificazione di vizi tipici e, comunque, non impingono l’interesse dedotto a configurarne lesione.

In conclusione, esaminate le ragioni di doglianza è d’uopo pronunciare l’infondatezza del gravame e disporne la reiezione.

Sussistono giusti motivi per compensare, tra le parti, le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis) rigetta il ricorso in epigrafe.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:

Antonio Vinciguerra, Presidente, Estensore

Raffaello Sestini, Consigliere

Francesco Arzillo, Consigliere

 

 

 

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/10/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)