TAR Veneto Sez.II n. 289 del 5 marzo 2019
Urbanistica.Nozione di edificio unifamiliare.

La ratio dell’esenzione di cui all’art. 17, c. 3, lett. b) DPR 390\01 si rinviene nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile ove il nucleo risiede. La nozione di “edificio unifamiliare” richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide “con la piccola proprietà immobiliare” poiché soltanto ove presenti tali caratteri appare meritevole di un trattamento differenziato


Pubblicato il 05/03/2019

N. 00289/2019 REG.PROV.COLL.

N. 01017/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1017 del 2017, proposto da
Rudi Botta, rappresentato e difeso dagli avvocati Cristian Piasente, Barbara Ferrari, con domicilio eletto presso lo studio Cristian Piasente in Verona, via Tezone, 2;

contro

Comune di Bussolengo, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandro Calegari, con domicilio eletto presso il suo studio in Padova, via San Marco n. 11/C;

per l'annullamento

- del provvedimento dirigenziale n. 21600 Prot. del 31.05.2017, notificato tramite messo comunale in data 06/06/2017, con il quale il Comune di Bussolengo comunica la richiesta di “Integrazione dell'importo del contributo di costruzione di cui all'art. 16 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e s.m.i., relativo al Permesso di Costruire n. 86 del 08/10/2010, prot. n. 38073, riguardante la ristrutturazione di un fabbricato residenziale sito in P.le Vittorio Veneto di questo Comune”;

- di ogni altro atto, presupposto inerente e conseguente appartenente al medesimo procedimento;

- con espressa riserva di richiedere il risarcimento del danno ingiusto per la lesione del legittimo affidamento ingenerato nel ricorrente dall'Amministrazione comunale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bussolengo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2018 la dott.ssa Mariagiovanna Amorizzo e uditi per le parti i difensori P. Tacchi Venturi, in sostituzione di Varali, per la parte ricorrente e Iannotta, in sostituzione di Checchinato, per il Comune resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

In data 18 giugno 2010, il ricorrente presentò al Comune di Bussolengo un’istanza di permesso di costruire per il “restauro e risanamento conservativo” di “Villa Sampò”, un palazzo settecentesco, con destinazione residenziale, di cui era, a tale epoca, proprietario.

Il permesso fu rilasciato, con prescrizioni, in data 8 ottobre 2010 (n. 86) e non fu, in quel frangente, richiesto alcun contributo di costruzione.

A distanza di sette anni, in data 6 giugno 2017, il Comune ha notificato al ricorrente la richiesta di pagamento della somma di € 17.343,55 a titolo di conguaglio del contributo di costruzione (di cui € 13.448,89 per conguaglio oneri commisurati al costo di costruzione ed € 3.894,66 per conguaglio oneri di urbanizzazione), riqualificando l’intervento assentito con il permesso rilasciato in data 8/10/2010 come “ristrutturazione”.

Ritenendo la richiesta immotivata, il sig. Botta inviava al Comune un’istanza di annullamento in autotutela alla quale il Comune non dava riscontro.

Il ricorrente ha, quindi, impugnato l’intimazione di pagamento, con il ricorso all’esame, formulando tre motivi di ricorso.

Con il primo motivo lamenta la violazione degli artt. 22, comma 7, del D.P.R. n. 380/2001 e 76 della L.R. Veneto n. 61/1985.

Il P.d.C. n. 86 del 08/10/2010 aveva ad oggetto l’esecuzione di un intervento di restauro e risanamento conservativo di un edificio residenziale unifamiliare senza modifiche di destinazione d’uso o ampliamenti e non di ristrutturazione come, invece, ritenuto dall’Amministrazione.

La suddetta tipologia di intervento rientra tra quelle assentibili con autorizzazione gratuita, ai sensi dell’art.76 della Legge Regionale n. 61/1985 e, pertanto, alcun contributo di costruzione è dovuto.

Con il secondo motivo il provvedimento è censurato per la violazione art. 17, c. 3, lett. b) DPR 380/200, contraddittorietà degli atti e sviamento di potere. Afferma il ricorrente che, anche ove dovesse qualificarsi l’intervento come ristrutturazione edilizia, esso non sarebbe assoggettabile ad alcun contributo, in virtù della norma di esenzione sopra citata, poiché l’edificio oggetto dell’intervento ha destinazione residenziale monofamiliare.

Inoltre il ricorrente ravvisa uno sviamento di potere nella condotta dell’Amministrazione che avrebbe in modo contraddittorio chiesto, a distanza di sette anni dal rilascio del titolo, per la prima volta il pagamento del contributo, affermandone la debenza “a titolo di conguaglio”.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 16 DPR 380/2001. Inoltre ritiene il provvedimento viziato sotto ulteriore profilo dal vizio di eccesso di potere. La richiesta di pagamento del contributo sarebbe sostanzialmente priva di causa, poiché presupposto impositivo è l’aumento del carico urbanistico, nel caso di specie non ravvisabile. Inoltre, afferma il ricorrente, le richieste di conguaglio sarebbero legittime soltanto ove l’erronea determinazione iniziale del contributo fosse dovuta ad un errore di calcolo e non, come nel caso di specie, ad un errore sulla normativa applicabile.

Si è costituito il Comune di Bussolengo, controdeducendo nel merito del ricorso, con memoria depositata il 6 ottobre 2017.

Con riguardo al primo motivo, ha evidenziato come il progetto assentito, nonostante la qualificazione di intervento di restauro e risanamento conservativo, aveva sostanza di ristrutturazione edilizia, essendo consistito in una globale modifica dell’edificio, realizzata mediante: la demolizione e l’abbassamento del secondo solaio, così da creare una mansarda abitabile, “da adibire al gioco, relax e benessere”; l’installazione di una nuova scala, di un ascensore e di tre nuove finestre, la sostituzione del pavimento al pianterreno, con la creazione di un complesso sistema di aerazione, volto a garantire una miglior circolazione dell’aria e ad evitare l’affioramento dell’umidità.

In ragione dell’intervento effettivamente realizzato, il contributo di costruzione era dovuto.

Con riguardo al secondo motivo ha richiamato la giurisprudenza secondo cui l’esenzione prevista dall’art. 16, c. 3, lett. b) dal contributo di costruzione ha finalità sociale e non può trovare applicazione nelle ipotesi come quella di specie, in cui l’intervento ha determinato un mutamento di categoria catastale da A2 (civile abitazione) ad A8 (ville), che ha consentito al sig. Botta di disporre di oltre quindici stanze, distribuite su tre piani fuori terra, poiché, in tali ipotesi, l’intervento non ha alcuna attinenza con la “piccola proprietà immobiliare” e le mere necessità abitative del nucleo familiare.

Con riguardo al terzo motivo ha osservato che il pagamento del contributo di costruzione per le opere di ristrutturazione è previsto espressamente sia dall’art. 17 DPR 380/2001 (che ne prevede l’esonero o la riduzione in presenza di precisi presupposti) che dall’art. 83 L.R. Veneto n. 61/1985, che ne prevede la riduzione. Inoltre, afferma che nel caso in esame, oltre ad essersi verificato un aumento di valore dell’immobile (il chè costituisce la ratio dell’imposizione riferita alla componente del contributo correlata al costo di costruzione), si è anche verificato un aumento del carico urbanistico, tenuto conto dell’entità delle opere realizzate e della realizzazione di un impianto fognario prima non esistente. Sulla questione relativa alla contraddittorietà della richiesta di conguaglio di un contributo mai chiesto prima, osserva che alla pretesa al pagamento del contributo corrisponde una posizione di diritto di credito liberamente azionabile entro il termine di prescrizione.

La domanda cautelare presentata in una con il ricorso introduttivo è stata rinunciata e, a seguito di istanza di prelievo, è stata fissata l’udienza di discussione al 20 dicembre 2018.

Con successivi scritti difensivi le parti hanno ribadito ed approfondito le rispettive posizioni.

Il ricorrente ha eccepito, nella memoria depositata il 19 novembre 2018, l’inammissibilità delle difese del Comune nella parte in cui illustrano le ragioni per le quali si è ritenuto di riqualificare l’intervento assentito con il permesso di costruire n. 86 del 8/10/2010, poiché costituirebbero un’integrazione postuma della motivazione del provvedimento impugnato.

All’udienza pubblica del 20 dicembre la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 22, c. 7 DPR 380/2001 e 76 L.R. Veneto n. 61/1985 poiché il Comune avrebbe richiesto il contributo di costruzione per la realizzazione di un intervento di restauro e risanamento conservativo che né la legge statale né quella regionale qualificano come oneroso.

1.1 Il motivo è infondato.

1.2 Ai fini della verifica della spettanza del contributo, la qualificazione dell’intervento effettuata dall’Amministrazione nel permesso di costruire non è decisiva, dovendo, piuttosto aversi riguardo all’autentica natura dell’attività edilizia esercitata.

1.2 Come confermato di recente dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 12/2018) l’obbligazione al pagamento del contributo di costruzione costituisce, infatti, una prestazione imposta (e precisamente un corrispettivo di diritto pubblico), che sorge al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge, la quale determina altresì integralmente i suoi contenuti, secondo lo schema legge-fatto-effetto.

1.3 L’Amministrazione, pertanto, poteva, come ha fatto, riqualificare l’intervento al fine di determinare la debenza e l’entità del contributo conseguente al rilascio del titolo.

2. Tale verifica occorre effettuare anche nel presente giudizio - avendo il ricorrente contestato anche la qualificabilità in concreto delle opere realizzate quali opere di ristrutturazione - atteso che, per giurisprudenza ormai consolidata, il giudizio nel quale sia fatto oggetto di impugnazione un atto di liquidazione o modifica del contributo di costruzione, ha ad oggetto la fondatezza del diritto di credito del Comune al pagamento del contributo o ad un determinato importo dello stesso, di cui il Giudice amministrativo conosce in sede di giurisdizione esclusiva.

2.1 Non può, pertanto, essere accolta l’eccezione formulata dalla ricorrente nella memoria depositata il 19 novembre 2018, di inammissibilità delle difese del Comune nella parte in cui sono specificate le ragioni per le quali l’intervento è stato riqualificato come ristrutturazione, poiché costituirebbero un’integrazione postuma della motivazione del provvedimento impugnato.

Infatti, l’atto impugnato, non avendo natura autoritativa, non necessita di motivazione ulteriore rispetto alla specificazione del titolo della pretesa azionata, che, nella specie, risulta esplicitato.

Inoltre, configurandosi l’azione proposta dal ricorrente come azione di accertamento negativo della pretesa creditoria vantata dall’Amministrazione, le deduzioni del Comune costituiscono esplicazione del suo diritto di difesa, essendo a carico dell’Ente l’onere di fornire la prova del diritto vantato.

3. Orbene dall’esame della relazione tecnica allegata all’istanza di permesso di costruire n. 86/2010 e degli elaborati progettuali, emerge la correttezza della qualificazione di lavori assentiti come interventi di ristrutturazione e non di restauro e risanamento conservativo.

3.1 Per costante giurisprudenza ciò che caratterizza gli interventi di restauro e risanamento conservativo e li differenzia dagli interventi di ristrutturazione, sotto il profilo teleologico, è la finalità del recupero funzionale di un bene che si vuole resti immutato nelle caratteristiche tipologiche, formali e strutturali. Gli interventi di ristrutturazione edilizia mirano, invece, alla trasformazione dell’edificio (T.A.R. Bari, (Puglia) sez. III, 09/04/2018, n.530: “Ricorre la categoria del restauro e risanamento conservativo allorquando sussiste un'attività rivolta a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali (di esso), ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Poiché il restauro ed il risanamento implicano anche il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione di elementi o estranei, o deteriorati di tal organismo preesistente non consente di confondere la relativa vicenda con quella della ristrutturazione edilizia. Invero, quest'ultima si configura nel rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio e nell'alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e risanamento, che invece presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio (nella sua lata accezione di componenti strutturali originali o meramente riproduttivi) e la distribuzione interna della sua superficie.”).

3.2 Come ha recentemente ribadito il Cons. Stato, nella sentenza della VI Sezione, n. 4483, del 23/07/2018 “Affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi, ovvero l'ordine in cui erano disposte le diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d'uso esistente. Anche in questi casi si configura il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio ed una alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie.” (nel medesimo senso anche T.A.R. Lecce, (Puglia) sez. I, 05/04/2018, n.554 “Affinché sia ravvisato un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi ovvero l'ordine in cui erano disposte le diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d'uso esistente, atteso che anche in questi casi si configura il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio ed una alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile; non possono, dunque, qualificarsi come strettamente manutentivi di una costruzione preesistente, ovvero diretti al suo consolidamento o restauro conservativo, i lavori che determinano la creazione di un organismo nuovo che veda alterata la sua struttura o la struttura interna dell'edificio; infatti, gli interventi edilizi che alterino l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non possono configurarsi né come manutenzione straordinaria né come restauro o risanamento conservativo, ma rientrano nell'ambito della ristrutturazione edilizia”, cfr. anche TAR Lazio, II, 10.8.2017, n. 9290).

3.3 Nel caso in esame, dalla relazione tecnica e dal progetto allegato all’istanza di permesso di costruire, emerge che l’intervento è consistito nelle seguenti opere: 1) la completa riorganizzazione delle superfici interne; 2) il rifacimento del solaio del secondo piano che viene portato a quota inferiore, determinando l’ampliamento del volume dell’ultimo piano dell’edificio; 3) la trasformazione della scala interna, originariamente organizzata per rampe, in scala elicoidale; 4) il ribassamento del pavimento del piano terra per realizzare la camera di ventilazione; 5) l’inserimento di tre lucernari sul tetto dell’edificio con modifica del prospetto; 6) l’inserimento di un ascensore.

Non solo, pertanto, si è realizzata una completa redistribuzione delle superfici interne su ciascuno dei piani dell’edificio, ma anche dei volumi, per effetto del ribassamento del solaio del secondo piano.

Ciò è avvenuto mediante modifiche ad elementi strutturali dell’edificio, quali il solaio del secondo piano (che è stato portato a quota più bassa), la scala (trasformata in scala elicoidale), il pavimento del pianterreno (ribassato per creare la camera di ventilazione) ed il prospetto (modificato mediante inserimento di tre lucernari).

3.4 Pertanto, nonostante l’intervento non abbia determinato una modifica di destinazione d’uso, o un aumento della volumetria complessiva dell’edificio, esso appare qualificabile complessivamente quale ristrutturazione edilizia.

La finalità perseguita, infatti, è stata sì quella di migliorare lo stato dell’edificio, ma apportandovi modifiche che ne hanno trasformato elementi strutturali e formali.

4. Con il secondo motivo, il ricorrente contesta che l’Amministrazione abbia diritto di pretendere il pagamento del contributo, anche ove l’intervento sia qualificabile come ristrutturazione edilizia, ostandovi il disposto dell’art. 17, c. 3, lett. b) DPR 380/2001. La disposizione prevede, infatti, un’ipotesi di esenzione dal contributo per gli interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari, quale sarebbe quello oggetto di causa.

Afferma, inoltre, che l’opzione interpretativa invalsa in giurisprudenza secondo cui l’esenzione si giustificherebbe come “aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore spazio per la propria decorosa sistemazione abitativa” non troverebbe riscontro nel dato normativo e sarebbe, pertanto, non percorribile, anche alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 231 del 03.11.2016.

4.1 La tesi non persuade.

4.2 Invero la stessa Corte costituzionale ha costantemente affermato che l’onerosità del permesso di costruire costituisce un principio generale. Le eccezioni al suddetto principio devono, pertanto, essere oggetto di interpretazione restrittiva, conforme alla ratio dell’esenzione.

4.3 Va osservato che tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall’obbligo contributivo contenute nell’art. 17 DPR 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un positivo impatto sull’ambiente. Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b (“Il contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”) che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è preposta.

4.4 Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento che riviene la ratio dell’esenzione di cui all’art. 17, c. 3, lett. b) nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile ove il nucleo risiede.

La nozione di “edificio unifamiliare” richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide “con la piccola proprietà immobiliare” poiché soltanto ove presenti tali caratteri appare meritevole di un trattamento differenziato (T.A.R. sez. I, Brescia, 26/04/2018, n. 449 nel medesimo senso si cfr. anche T.A.R. Toscana, Sez. III, 26 aprile 2017 n. 616, T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 22 giugno 2015 n. 1416, T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 21 novembre 2014 n. 2180 e T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 2 luglio 2014 n. 1707).

4.5 D’altronde il presupposto del contributo di costruzione, se per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla compartecipazione alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall’intervento genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è correlato all’aumento di valore che consegue all’intervento. Pertanto, si giustifica la sottrazione all’imposizione dell’aumento di valore che la famiglia consegue per effetto della ristrutturazione solo per le finalità di ordine sociale sopra individuate che, nel caso di specie, tenuto conto delle dimensioni del fabbricato, del suo pregio storico-monumentale e della rilevanza dell’intervento, non ricorrono.

4.6 I principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 231/2016, inoltre, sono del tutto inconferenti rispetto alla fattispecie in esame. La Corte si è pronunciata sulla legittimità costituzionale di norme di legge regionale con cui era stata estesa la portata applicativa delle fattispecie di esenzione previste dall’art. 17 DPR 380/2001 e si è limitata a valutare se le suddette disposizioni avessero travalicato i limiti individuati dalla norma statale di principio e, per tale via, violato l’art. 117, c. III, Cost. Nulla, invece, ha affermato sull’interpretazione delle fattispecie di esenzione. Inoltre, neppure rileva, ai fini dell’interpretazione della norma in esame, il riferimento contenuto nella sentenza all’aumento di carico urbanistico, dovuto alla previsione normativa costituente il parametro interposto di legittimità costituzionale, ossia l’art. 17, c. 4, che prevede una riduzione del contributo per le opere di manutenzione straordinaria che comportino aumento del carico urbanistico (all’art. 6, comma 2, lett. a TUE).

5. È infondato anche il terzo motivo di ricorso con il quale il ricorrente afferma che, anche a prescindere dall’applicabilità della causa di esenzione di cui all’art. 17, c. 3 lett. b) il contributo nella specie non può essere preteso poiché ne difetterebbe il fondamento causale da rinvenirsi nell’aumento di carico urbanistico derivante dall’intervento.

5.1 L’argomento prova troppo. È vero che una delle componenti del contributo di costruzione è determinata in relazione agli oneri di urbanizzazione e che, pertanto, per tale parte, il contributo trova un suo fondamento giustificativo nell’aumento del carico urbanistico derivante dall’intervento.

È, altresì, vero, tuttavia, che per costante giurisprudenza il contributo di costruzione non si pone in rapporto sinallagmatico con le opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi, venendo determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere (C.d.S., Ad. Plen., n.12/2018). Ciò in quanto il contributo di costruzione ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario ed a carattere generale.

5.2 In linea di principio, pertanto, non può affermarsi che l’assenza di aumento del carico urbanistico escluda l’obbligo di corrispondere il contributo, ove la legge il suddetto obbligo imponga in relazione ad un determinato intervento.

5.3 D’altro canto, il contributo di costruzione è costituito anche dall’ulteriore componente correlata al costo di costruzione, volta a compensare la c.d. compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, che prescinde dall’aumento di carico urbanistico.

5.4 Nella specie, dovendosi, come si è detto, qualificare l’intervento come di ristrutturazione, il contributo è dovuto, poiché, non ricorrendo alcuna delle fattispecie per le quali l’art. 76 L.R. Veneto, n. 61/1985 prevede il rilascio di un’autorizzazione o di una concessione gratuita, trova applicazione la residuale previsione di cui al n. 4 del comma 1 (concessione onerosa).

5.5 Conferma dell’onerosità dell’intervento si trae, inoltre, dall’art. 82 ultimo comma, che, con riferimento al calcolo della componente del contributo di costruzione correlata agli oneri di urbanizzazione prevede: “Il contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione relativo a interventi di ristrutturazione, ivi compresi gli ampliamenti che non comportino aumento della superficie utile di calpestio, è pari a quello calcolato per interventi di nuova edificazione moltiplicato per 0,20.”

Si riferisce agli interventi di ristrutturazione anche l’art. 83 ultimo comma, L.R. Veneto n. 61/1985, che definisce i criteri di determinazione del costo di costruzione ai fini della quantificazione del contributo per particolari interventi di ristrutturazione.

6. Sono, altresì, da rigettare le residue censure che attengono a vizi di eccesso di potere, difetto di motivazione o che presuppongono la tendenziale immodificabilità delle determinazioni sul contributo di costruzione assunte dall’Amministrazione in sede di rilascio del titolo. Esse possono essere esaminate congiuntamente alla luce dei principi affermati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella citata sentenza n. 12/2018.

6.1 La pronuncia – nel dirimere il contrasto giurisprudenziale circa l’ammissibilità ed i limiti della riliquidazione del contributo di costruzione determinato al momento del rilascio del titolo edilizio - conferma i seguenti principi: 1) l’obbligazione di pagamento del contributo di costruzione ha natura di corrispettivo di diritto pubblico, i cui presupposti e contenuti sono definiti interamente dalla legge; 2) il rapporto obbligatorio che ne discende soggiace interamente alla disciplina civilistica, nonostante la fonte legale da cui promana; 3) dalla natura privatistica del rapporto che s’instaura tra l’Amministrazione ed il privato deriva che gli atti con i quali l’Amministrazione determina o riliquida il contributo hanno natura paritetica; 4) l’Amministrazione può – entro il termine di prescrizione decennale decorrente dal momento in cui sorge l’obbligazione – esercitare il diritto di credito che dalla legge deriva, senza i limiti previsti per l’autotutela per gli atti aventi natura autoritativa, modificando l’importo originariamente richiesto.

6.2 Sulla scorta dei suddetti principi può affermarsi che:

6.3 Sono infondate le censure formulate nella seconda parte del secondo motivo di ricorso con le quali il ricorrente lamenta la contraddittorietà tra la richiesta di conguaglio del contributo ed il presupposto dichiarato nella richiesta di pagamento, ossia che il contributo di costruzione non sia mai stato richiesto in fase di rilascio del P.d.C. (seconda sub-censura del secondo motivo) e quelle a mezzo delle quali si contesta l’ammissibilità della richiesta del contributo per la prima volta a distanza di anni dal momento del rilascio del titolo.

La natura di diritto soggettivo della pretesa azionata con l’atto impugnato, consente all’Amministrazione di agire per la riscossione in ogni tempo, entro il termine di prescrizione decennale. Non essendo previsto alcun termine di decadenza per la richiesta del contributo, deve ritenersi che l’Amministrazione possa chiedere anche per la prima volta a distanza di tempo – purchè entro il termine di prescrizione – il pagamento del contributo.

6.4 È infondata la censura formulata nel terzo motivo, secondo cui le modifiche all’importo del contributo liquidato al momento del rilascio del titolo sarebbero consentite solo in caso di errore di calcolo e con una congrua motivazione. La Plenaria si è espressamente pronunciata in senso contrario.

6.5 È, altresì, infondata la censura, formulata nel terzo motivo, secondo cui la richiesta di pagamento inviata a distanza di sette anni dal rilascio del titolo sarebbe contrastante con l’affidamento ingenerato nel privato. Trattandosi di pretesa creditoria, i cui presupposti e parametri determinativi sono interamente previsti dalla legge, l’affidamento non è invocabile, salvo nella eccezionale ipotesi in cui la conoscibilità di tali presupposti e parametri non sia possibile con il normale sforzo diligente. Tale circostanza non ricorre nel caso di specie, nella quale non sono in contestazione i parametri di quantificazione dell’importo del contributo, ma la qualificazione dei lavori effettuati, elemento perfettamente conoscibile dallo stesso ricorrente.

7. In definitiva il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

8. Le oscillazioni giurisprudenziali sulla modificabilità degli atti di determinazione e riliquidazione del contributo di costruzione e la peculiarità della fattispecie, giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Alberto Pasi, Presidente

Stefano Mielli, Consigliere

Mariagiovanna Amorizzo, Referendario, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Mariagiovanna Amorizzo        Alberto Pasi