TAR Lazio (RM) Sez. II-bis n. 13369 del 2 luglio 2024
Urbanistica. Non sanabilità delle violazioni della disciplina antisismica

Il deposito allo sportello unico, dopo la realizzazione delle opere e, quindi, "a sanatoria", della comunicazione richiesta dall'art. 93 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e degli elaborati progettuali non estingue la contravvenzione antisismica, che punisce l'omesso deposito preventivo di detti elaborati, in quanto l'effetto estintivo è limitato dall'art. 45 del medesimo d.P.R. alle sole contravvenzioni urbanistiche. Ché, anzi, il rispetto del requisito della conformità delle opere sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione che a quella vigente al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione (cd. "doppia conformità"), richiesto ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex artt. 36 e 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è da ritenersi escluso nel caso di edificazioni eseguite in assenza del preventivo ottenimento dell'autorizzazione sismica (segnalazione Ing. M. Federici) 

Pubblicato il 02/07/2024

N. 13369/2024 REG.PROV.COLL.

N. 09109/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9109 del 2018, proposto da
“Roma Resort” S.r.l. e “Coinvest” S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Claudio Di Tonno e Matteo Di Tonno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Giulio Mastroianni in Roma, viale delle Medaglie D'Oro, 48;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sergio Siracusa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso l’avvocatura dell’ente in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

per l'annullamento

della Determinazione Dirigenziale n. 1615 del 25 maggio 2018 a firma del Direttore di Direzione dell'Ufficio Tecnico, Servizio Ispettorato e Disciplina Edilizia di Roma Capitale ad oggetto “ingiunzione di pagamento della sanzione pecuniaria amministrativa e demolizione con ripristino dello stato dei luoghi in conseguenza della realizzazione degli interventi abusivi in Via Emanuele Filiberto, n. 100, Seminterrato, Int. 1-2-3-4-5” nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali e, per quanto occorrer possa, della nota prot. n. 87238 del 25 maggio 2016 e della comunicazione di sospensione dei lavori prot. n. CA/193644/2016 del 22 novembre 2016.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 il dott. Giuseppe Licheri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con gravame ritualmente proposto, le società ricorrenti avversavano la determinazione dirigenziale n. 1615 del 25.5.2018 con la quale il Municipio I di Roma Capitale intimava la demolizione, entro 60 giorni, degli interventi edilizi abusivamente realizzati sull’immobile sito in Roma alla via Emanuele Filiberto n. 100, piano seminterrato, interni 1,2,3,4 e 5 e consistenti nel cambio di destinazione d’uso da una categoria generale ad un’altra, ai sensi di cui all’art. 7, comma terzo della L.R. n. 36/1987 (nel testo della medesima ratione temporis applicabile) eseguito, secondo l’amministrazione municipale, senza la previa presentazione di adeguato titolo abilitativo.

Più nel dettaglio, con il provvedimento avversato Roma Capitale riscontrava l’esecuzione delle seguenti opere:

- manutenzione straordinaria dell’int. 1 consistente nell’installazione di una porta;

- manutenzione straordinaria dell’int. 2 ottenuta attraverso la realizzazione di una vasca in muratura, in contrasto con l’art. 40 del regolamento edilizio del comune di Roma;

- manutenzione straordinaria degli intt. 3 e 4 consistenti nell’aver praticato aperture nella maglia muraria portante del fabbricato in assenza di autorizzazione sismica;

- manutenzione straordinaria dell’int. 5 attraverso la chiusura in muratura di una finestra;

- cambio di destinazione d’uso da residenziale a turistico ricettivo nell’int. 2.

L’impugnativa veniva estesa anche alla nota municipale prot. n. 87238 del 25.5.2016 ed all’ordine di sospensione dei lavori n. 193644 del 22.11.2016.

In fatto, esponeva la parte ricorrente di svolgere attività ricettivo-turistica di tipo extralberghiero sull’immobile in questione e di aver presentato, il 26.6.2015, una SCIA per il frazionamento dell’unità immobiliare, la ridistribuzione interna degli ambienti mediante demolizione e ricostruzione di tramezzature, l’apertura di porte nella muratura portante interna, la realizzazione di nuovi servizi igienico sanitari ed il rifacimento di pavimentazione e tinteggiatura, segnalazione a cui faceva seguito, il 10.11.2015, una SCIA in variante ad altra segnalazione depositata il 28.9.2015 per il frazionamento dell’unità immobiliare.

Dopo aver ricevuto la comunicazione municipale del 25.5.2016, relativa ad inefficacia della SCIA in variante da ultimo presentata, essa depositava il 29.7.2016, per il solo int. n. 2, una DIA per cambio di destinazione d’uso dell’ambiente suddetto da abitazione ad ufficio privato.

Una volta pervenuto, poi, l’ordine di sospensione lavori del 22.11.2016, essa inoltrava richiesta di riesame della medesima che tuttavia Roma Capitale, con nota del 14.6.2017, respingeva giungendo, il successivo 25.5.2018, ad emanare il provvedimento oggetto della presente impugnativa con il quale, ricadendo l’immobile in zona omogenea “A” di cui al D.M. n. 1444/1968, l’amministrazione municipale, oltre ad impartire l’ordine di ripristino di cui sopra si è dato conto, ingiungeva alle ricorrenti di pagare, a titolo di sanzione pecuniaria prevista dall’art. 16, comma 5, L.R. n. 15/2008, la somma di Euro 15.000,00.

Contro il prefato provvedimento, parte ricorrente articolava i seguenti motivi di censura.

Con il primo, essa deduceva la violazione dell’art. 14, L.R. n. 15/2008, e dell’art. 27, comma 3, d.P.R. n. 380/2001, in quanto l’intimazione al ripristino impugnata sarebbe stata adottata dopo che, a seguito del decorso del termine di 45 giorni dalla sua emanazione, era divenuta inefficace la comunicazione di sospensione dei lavori del 22.11.2016.

Con il secondo, essa si doleva della violazione dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, nonché dell’eccesso di potere del provvedimento impugnato per difetto di istruttoria, ritenendo che l’amministrazione erroneamente avrebbe qualificato gli interventi di apertura porte, realizzazione vasca, chiusura finestra e realizzazione di aperture nella maglia muraria quali opere di manutenzione straordinaria, non rientrando le stesse nella tipizzazione di cui all’art. 3, d.P.R. cit, lett. b), tale natura non potendo essere di certo, secondo parte ricorrente, ricavata dall’assenza di autorizzazione sismica la quale comunque, come da nota del 6.11.2015 della Regione Lazio, sarebbe stata rilasciata per gli interventi già eseguiti e, in ogni caso, la successiva presentazione della DIA a sanatoria del 15.7.2016, unita all’ampio lasso di tempo intercorso, avrebbe comunque esplicato l’effetto sanante degli interventi in questione.

Ancora, sempre con il motivo di gravame in esame, parte ricorrente lamentava la perplessità del provvedimento impugnato sotto il profilo dell’esatta individuazione delle opere asseritamente abusive.

Infatti, secondo la parte privata, la descrizione degli abusi sarebbe stata lacunosa ed incerta citando ad esempio, a tal proposito, la localizzazione della chiusura della finestra che, nell’ordine di demolizione sarebbe stata rinvenuta all’int. 5, mentre nel presupposto accertamento tecnico la stessa sarebbe da posizionarsi all’int. 6, fermo restando, a giudizio della parte, come la ridetta opera non avrebbe comportato modifica alcuna all’aspetto esteriore dell’immobile, circostanza questa, tra l’altro, rilevata in sede provvedimentale dalla stessa amministrazione capitolina.

Con riguardo, poi, alla realizzazione di una vasca da bagno, neanch’essa avrebbe costituito opera di manutenzione straordinaria giacché, secondo la ricorrente, proprio il regolamento edilizio comunale asseritamente violato prescriverebbe, al contrario, l’installazione di tale accessorio all’interno dei servizi igienici pertinenti ad immobili di civile abitazione.

Infine, con riferimento al contestato cambio di destinazione d’uso residenziale a turistico ricettivo dell’int. n. 2, ad avviso della ricorrente la normativa regionale in materia di strutture ricettive extralberghiere facoltizzerebbe l’utilizzo a fini ricettivi di immobili aventi destinazione residenziale senza che questo integri, per ciò solo, un mutamento di destinazione d’uso del bene urbanisticamente rilevante, come del resto ripetutamente statuito da numerose pronunce di giudici appartenenti al plesso giurisdizionale adito.

Roma Capitale si costituiva in giudizio con atto di mera forma.

In vista della discussione nel merito del ricorso in pubblica udienza, le parti scambiavano memorie e depositavano documentazione nel rispetto dei termini di cui all’art. 73 c.p.a.

Parte ricorrente insisteva per i motivi di ricorso originariamente proposti.

Roma Capitale, invece, prendeva esplicitamente posizione, per la prima volta, sul gravame contestandone la fondatezza.

Replicava sul punto la ricorrente.

Infine, all’udienza pubblica del 20.3.2024, la causa veniva trattenuta in decisione.

Con il presente ricorso, le società ricorrenti (in qualità, rispettivamente, di proprietaria e di utilizzatrice a fini turistico-ricettivi di carattere extralberghiero della struttura in questione) proponevano gravame avverso la determinazione dirigenziale di cui in premessa, con la quale il Municipio I di Roma Capitale, avendo ravvisato nelle opere realizzate un intervento edilizio di ristrutturazione consistente nel cambio di destinazione d’uso da residenziale a turistico ricettivo dell’immobile in parola, intimava loro il ripristino dell’originario stato dei luoghi, oltre ad irrogare una sanzione pecuniaria di Euro 15.000,00 alla luce del disposto dell’art. 16, comma 5, della L.R. n. 15/2008, atteso che il bene di cui trattasi è ricompreso nella zona omogenea “A” di cui al D.M. n. 1444/1968.

In disparte eventuali profili di irricevibilità del ricorso per tardività dell’impugnazione dell’atto presupposto consistente nella nota prot. n. CA/87328 del 25.5.2016 declaratoria di inefficacia della SCIA in variante presentata il 10.11.2015, nonché eventuali profili di parziale inammissibilità dello stesso (alla luce della DIA in sanatoria che parte ricorrente asserisce di aver presentato il 15.7.2016 ma che, come attestato dal timbro di protocollazione in entrata apposto sulla prima pagina di tale dichiarazione, risulta essere stato acquisito dal competente ufficio capitolino il 29.7.2016, con la quale essa aveva dichiarato di aver mutato la destinazione d’uso del locale di cui all’int. 2 da residenziale in ufficio, circostanza questa che, rendendo logicamente incompatibile la preposizione del medesimo ad un uso turistico ricettivo, dovrebbe rendere inammissibile il gravame per mancanza di un interesse attuale alla sua definizione), il ricorso appare infondato per i motivi di cui in prosieguo.

Costituisce acquisizione pretoria indiscussa – dal quale il Collegio non ravvisa ragione alcuna per discostarsi nel caso di specie – quella secondo la quale “La valutazione dell'abuso edilizio presuppone, tendenzialmente, una visione complessiva e non atomistica dell'intervento, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio. Ne consegue che, nel rispetto del principio costituzionale di buon andamento, l'amministrazione comunale deve esaminare contestualmente l'intervento abusivamente realizzato, e ciò al fine precipuo di contrastare eventuali artificiose frammentazioni che, in luogo di una corretta qualificazione unitaria dell'abuso e di una conseguente identificazione unitaria del titolo edilizio che sarebbe stato necessario o che può, se del caso, essere rilasciato, prospettino una scomposizione virtuale dell'intervento finalizzata all'elusione dei presupposti e dei limiti di ammissibilità della sanatoria stessa” (così Cons. St., sez. VI, n. 9257 del 26.10.2023. In termini del tutto analoghi: T.A.R. Campania – Napoli, sez. II, n. 284 del 10.1.2024; T.A.R. Veneto, sez. II, n. 1700 del 22.11.2023; Cons. St., sez. VI, n. 5528 del 21.6.2024; T.A.R. Lazio – Roma, sez. II, n. 11782 del 10.6.2024).

Nel caso di specie, la valutazione dei titoli edilizi presentati dalla ricorrente, condotta anche con il compimento di diversi sopralluoghi in loco, ha condotto l’amministrazione a verificare che, attraverso la rimozione del preesistente soggiorno ed angolo cottura dal locale posto all’int. n. 2 e la collocazione nel medesimo di una reception alberghiera, parte ricorrente è pervenuta non solamente a privare di caratteristiche residenziali l’ambiente in questione ma, attraverso la preposizione del locale di cui trattasi al servizio delle restanti unità immobiliari, ha condotto a termine un’opera di mutamento di destinazione d’uso dell’intero edificio di sua proprietà, senza che i titoli edilizi successivamente presentati (peraltro, aventi ad oggetto lavori già effettuati e non opere ancora “da eseguire”, come pure non correttamente indicato dalla parte presentatrice dei medesimi) valgano a sanare il cambio di destinazione d’uso impresso all’immobile.

Da questo punto di vista, quindi, correttamente Roma Capitale ha compiuto, col provvedimento gravato, una valutazione unitaria e sintetica, a nulla valendo le considerazioni spese da parte ricorrente, tanto in sede procedimentale quanto nella presente sede processuale, le quali sono evidentemente volte ad indirizzare la valutazione degli abusi commessi su di un piano parcelizzato e scomposto, in evidente distonia con il precetto giurisprudenziale sopra menzionato che, ove disatteso, non consentirebbe all’amministrazione di cogliere il carattere complessivo di un’opera che è (e deve essere valutata) in termini sintetici ed unitari, poiché solo per tal guisa è consentito comprenderne la portata e la ricaduta in termini di conseguente aggravio urbanistico e di trasgressione della normativa edilizia vigente all’epoca dei fatti.

Oltretutto, quand’anche si volesse riconoscere effetti sananti alle dichiarazioni e comunicazioni successivamente presentate, le stesse non appaiono corrispondere allo stato dei luoghi che la parte dichiara di avere impresso agli ambienti in questione, risultando agli atti che, ancora il 16.5.2018, in occasione di un nuovo sopralluogo compiuto dalla polizia locale e dai tecnici municipali (che conduceva, nell’occasione, alla redazione di un verbale di accertamento di violazioni amministrative concernenti l’attività ricettiva ivi svolta) e, quindi, in data ben posteriore all’asserito mutamento di destinazione d’uso del locale int. 2 in ufficio di cui alla DIA del luglio 2016, veniva riscontrato che “la ricezione dei clienti, oltre alla consegna delle chiavi ed al successivo pagamento del soggiorno, avviene presso l’unico banco reception ubicato al piano seminterrato (prima porta a sx entrando da via E. Filiberto)” (cfr. produzione documentale di Roma Capitale del 31.1.2024, nota prot. n. CA/118339 del 21.6.2018 e relativi allegati).

In sostanza, appare acclarato come per mezzo di quello che, osservandolo attraverso il prisma di una visione analitica propugnata da parte ricorrente, potrebbe apparire un modesto abuso (il cambio di destinazione d’uso di solo un locale seminterrato) si è portata a compimento la (ben più ampia) opera di trasformazione di un intero edificio avente destinazione residenziale in una struttura ricettiva di tipo (si badi bene, non extralberghiero, ma) alberghiero composta da 27 unità immobiliari, con 48 camere e 81 posti letto, le cui dimensioni appaiono quindi ben più ambiziose rispetto al modesto b&b che parte ricorrente sosteneva di esercitare.

Di conseguenza, nessun pregio possono avere le doglianze attarverso le quali essa lamenta la violazione della disciplina regionale in materia di attività extralberghiera (che prescrivono la sostanziale indifferenza di tale destinazione rispetto ai mutamenti di destinazione d’uso rilevanti sotto il profilo edilizio-urbanistico) dal momento che, come acclarato in atti, il fabbricato in questione, a mezzo dell’opera contestata, aveva perduto, nei fatti, la propria destinazione residenziale per essere adibito, in assenza del prescritto titolo abilitativo, ad uso turistico ricettivo di natura alberghiera.

Pertanto, la doglianza in parola rende del tutto infondato il gravame proposto e, in omaggio al principio della ragione più liquida, dispensa il Collegio dal soffermarsi partitamente sulla legittimità (o meno) dei restanti interventi contestati alla ricorrente, non senza però esimersi dal chiarire ulteriori profili di infondatezza degli argomenti agitati dalla parte.

Innanzitutto, non coglie nel segno neppure il primo motivo di ricorso, con il quale parte ricorrente deduce l’illegittimità dell’ordine di demolizione impartito poiché emanato dopo lo spirare del termine di efficacia del provvedimento di sospensione lavori adottato ai sensi dell’art. 27, comma 3, d.P.R. n. 380/2001.

Infatti, come ripetutamente statuito in giurisprudenza “Il decorso del termine in questione non comporta invece conseguenze di altro tipo, e in particolare la decadenza del potere sanzionatorio degli abusi commessi pretesa dalla parte ricorrente appellante, decadenza che, oltre a non essere prevista espressamente dalla legge, avrebbe una conseguenza del tutto illogica, ovvero trattare la repressione di un abuso in modo difforme in base alla circostanza, del tutto casuale, dell’adozione o mancata adozione dell’ordinanza che sospende i lavori” (così Cons. St., sez. VI, n. 3536 dell’11.6.2018), dovendosi così predicare la non consumazione del potere sanzionatorio per mero effetto del mancato esercizio del medesimo entro il termine di efficacia dell’ordine di sospensione dei lavori.

Secondariamente, va respinta anche la censura concernente un presunto effetto sanante dell’autorizzazione sismica rilasciata dalla Regione Lazio dopo l’esecuzione dei lavori di apertura di vani nella maglia muraria portante dell’edificio, ponendosi la stessa in contrasto con i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità secondo i quali “Il deposito allo sportello unico, dopo la realizzazione delle opere e, quindi, "a sanatoria", della comunicazione richiesta dall'art. 93 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e degli elaborati progettuali non estingue la contravvenzione antisismica, che punisce l'omesso deposito preventivo di detti elaborati, in quanto l'effetto estintivo è limitato dall'art. 45 del medesimo d.P.R. alle sole contravvenzioni urbanistiche. Ché, anzi, il rispetto del requisito della conformità delle opere sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione che a quella vigente al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione (cd. "doppia conformità"), richiesto ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex artt. 36 e 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è da ritenersi escluso nel caso di edificazioni eseguite in assenza del preventivo ottenimento dell'autorizzazione sismica” (così Cass. pen., sez. III, sent. n. 41872 del 9.6.2023. In termini del tutto analoghi: Cass. pen., sez. III, n. 35851/2023; Cass. pen., sez. III, n. 2357/2022).

In definitiva, quindi, il gravame proposto è del tutto privo di fondamento e va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, in favore di Roma Capitale, nella misura che segue.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di Roma Capitale che liquida in Euro 6.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati:

Pietro Morabito, Presidente

Michelangelo Francavilla, Consigliere

Giuseppe Licheri, Referendario, Estensore