Cass. Sez. III n. 26730 del 3 luglio 2008 (Ud 20 mar 2008)
Pres. Altieri Est. Fiale Ric. Doda
Urbanistica. Restituzione immobile sequestrato all’esito del giudizio

Dopo la sentenza definitiva, qualora non vi sia stata conversione in sequestro conservativo ex art. 323, 4° comma, c.p.p., le opere abusive sequestrate devono essere restituite a colui che prova di averne diritto ed il sequestro non può essere mantenuto a garanzia dei provvedimenti demolitori. Nella specie, però - ove non risulta che il richiedente abbia dimostrato di avere diritto alla restituzione per non essersi verificata la automatica acquisizione del fabbricato abusivo al patrimonio disponibile del Comune in seguito alla ingiustificata inottemperanza all'ordine amministrativo di demolizione dalla mancata statuizione circa l'istanza di dissequestro non deriva alcuna nullità, ben potendo la richiesta essere reiterata al giudice dell'esecuzione, al quale spetta l'accertamento dell' effettiva sussistenza del diritto alla restituzione a favore del richiedente,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza dell'11.10.1994, in parziale riforma della sentenza 17.12.1993 del Pretore di Napoli - Sezione distaccata di Barra, ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di D.G. in ordine ai reati di cui:

- alla L. n. 47 del 1985 , art. 20, lett. b), (per avere realizzato un fabbricato in duplice elevazione (mq. 200 al piano terra e mq. 160 al primo piano) senza la necessaria concessione edilizia - acc. in (OMISSIS));

- alla L. n. 1086 del 1971, artt. 2, 4, 13 e 14;

- al R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 221 (T.U. Leggi Sanitarie);

- all'art. 349 cpv. c.p.;

e, con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, essendo stati unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., determinava la pena complessiva in mesi otto di reclusione e L. 600.000 di multa, confermando l'ordine di demolizione del fabbricato abusivo.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il D., il quale ha eccepito:

- violazione dell'art. 599 c.p.p., poichè l'appello sarebbe stato illegittimamente discusso in camera di consiglio, pure essendo i motivi di gravame riferiti non soltanto all'entità della pena, ma estesi alle richieste di dissequestro dell'immobile e di riunione con altro procedimento ritenuto connesso;

- violazione di legge, quanto all'ingiustificato diniego della richiesta riunione;

- violazione della L. n. 47 del 1985, art. 44, per la mancata sospensione del procedimento, a fronte della possibilità di presentazione di domanda di condono edilizio ai sensi della L. n. 724 del 1994;

- carenza assoluta di motivazione in ordine alla richiesta di dissequestro del manufatto;

- vizio di motivazione in ordine alla richiesta di riconoscimento della prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche sull'aggravante contestata.

Tenuto conto della domanda di "condono edilizio" presentata dal ricorrente, ex L. n. 724 del 1994, art. 39, questa Corte - all'udienza del 18.4.1995 - ha disposto la sospensione del procedimento ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 38.

Il Comune di Napoli ha certificato la non-congruità della somma versata a titolo di oblazione, stante la carenza della documentazione prevista dalla L. n. 724 del 1994, art. 39.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato.

1. Quanto al prima doglianza deve ribadirsi la giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo la quale, qualora il giudice di appello provveda in camera di consiglio al di fuori dei casi previsti dall'art. 599 c.p.p., ove (come nel caso in esame) nessuna delle parti abbia formulato riserve ed opposizioni, deve escludersi che la relativa nullità - riconducibile nell'ambito dell'art. 181 c.p.p. - possa essere dedotta mediante ricorso per Cassazione (vedi Cass.:

Sez. 1, 23.6.1993, n. 6361 e Sez. 3, 24.2.1998, n. 2368).

2. Manifestamente infondata è altresì la seconda doglianza, poichè la natura ordinatoria dei provvedimenti in tema di riunione di procedimenti comporta che questi siano sottratti ad impugnazione, potendo comunque chiedersi pur sempre al giudice dell'esecuzione di applicare eventualmente la continuazione tra i reati, ai sensi dell'art. 671 c.p.p., non ostandovi la sentenza del giudice di merito che, proprio per la mancata riunione dei processi, non ha potuto pronunciare sulla sussistenza dell'unico disegno criminoso (vedi Cass., Sez. 3, 5.12.2006, a 39952).

3. In tema di condono edilizio, nel caso di operatività della sospensione ex L. n. 47 del 1985, art. 44 o art. 38, se il giudice, per errore, non sospende un procedimento sospendibile, non si produce per ciò alcuna nullità, essendo tale omissione - in relazione al principio di tassatività delle nullità - priva di sanzione processuale (vedi Cass., Sez. 3: 15.2.2005, Benzo ed altra; 3.7.1998, n. 7847, Todesco ed altri; 27.7.1995, n. 8545, D'Apice e, con riferimento alla sospensione ex L. n. 47 del 1985, art. 38, in seguito alla effettiva presentazione della domanda di condono, Cass., Sez. 3: 10.12.1997, n. 11334, Fede e 20.6.1995, a 7021, Spettro).

L'omissione della sospensione neppure comporta una incompetenza funzionale temporanea, ma solo un vizio "in procedendo", rilevante qualora sussista un interesse concreto ed attuale a dedurlo (Cass., Sez. 3, n. 8545/95).

Deve ribadirsi, in materia, il principio che la sospensione del processo, ex L. n. 47 del 1985, art. 44 o art. 38, opera indipendentemente dalla pronuncia del giudice (che ha natura meramente dichiarativa), purchè sussistano i presupposti di legge.

Proprio per la natura dichiarativa, e non costitutiva, della sospensione, non è necessario un formale provvedimento giudiziale per la operatività di essa, che può essere accertata anche in sede di giudizio finale (Cass., Sez. 3, 14.5.1999, n. 6054, P.M. in proc. Bartaloni ed altri).

Nella fattispecie in esame il ricorrente non ha alcun interesse a lamentare il vizio "in procedendo" in questione, poichè non ha subito alcun pregiudizio, in quanto, in seguito all'avvenuta presentazione dell'istanza di condono, questa Corte di legittimità ha sospeso il procedimento, ex L. n. 47 del 1985, art. 38.

4. Dopo la sentenza definitiva, qualora non vi sia stata conversione in sequestro conservativo ex art. 323 c.p.p., comma 4, le opere abusive sequestrate devono essere restituite a colui che prova di averne diritto ed il sequestro non può essere mantenuto a garanzia dei provvedimenti demolitori.

Nella specie, però - ove non risulta che il richiedente abbia dimostrato di avere diritto alla restituzione per non essersi verificata la automatica acquisizione del fabbricato abusivo al patrimonio disponibile del Comune in seguito alla ingiustificata inottemperanza all'ordine amministrativo di demolizione (ex L. n. 47 del 1985, art. 7, comma 3, e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 3) - dalla mancata statuizione circa l'istanza di dissequestro non deriva alcuna nullità, ben potendo la richiesta essere reiterata al giudice dell'esecuzione, al quale spetta l'accertamento dell'effettiva sussistenza del diritto alla restituzione a favore del richiedente.

5. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema:

- il giudizio di comparazione fra circostanze attenuanti ed aggravanti, ex art. 69 c.p., è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo;

- il medesimo giudizio di comparazione risulta sufficientemente motivato, quando il giudice, nell'esercizio del potere discrezionale a lui demandato, scelga la soluzione dell'equivalenza, anzichè della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Cass., Sez. 1, 26.1.1994, n. 758);

- nel giudizio di comparazione il giudice non è tenuto a specificare le ragioni che lo hanno indotto a dichiarare la equivalenza piuttosto che la prevalenza, a meno che non vi sia stata espressa e motivata richiesta (Cass., Sez. 4, 8.2.1990, n. 1679);

- anche il giudice di appello - pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell'appellante - non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e di valore decisivo, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta confutazione (vedi Cass., Sez. 6, 4.9.1992, n. 9398).

Nella fattispecie in esame, i giudici del merito, nel corretto esercizio del potere discrezionale riconosciuto in proposito dalla legge, dimostrano di aver dato rilevanza decisiva alla entità oggetti va delle condotte criminose accertate ed alla intensità dell'elemento soggettivo (pervicacia dimostrata nella perpetrazione degli illeciti, con violazione dei sigilli apposti al cantiere dall'autorità giudiziaria), elementi dai quali sono logicamente deducibili prevalenti significazioni negative della personalità dell'imputato.

6. La domanda di condono edilizio proposta dal ricorrente è divenuta improcedibile ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 4, per la mancata integrazione sostanziale della necessaria documentazione.

7. La contestata violazione di cui al R.D. 27 luglio 1934, n. 1256, art. 221 non è prevista dalla legge come reato in seguito alla depenalizzazione disposta dal D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, art. 70.

Alla dichiarazione di depenalizzazione del reato potrà eventualmente provvedere il giudice dell'esecuzione, ex art. 673 c.p.p., disponendo la trasmissione di copia degli atti al sindaco del Comune di Napoli, competente - ex D.Lgs. n. 507 del 1999, art. 93, lett. 1), - ad applicare la sanzione amministrativa per la violazione depenalizzata.

8. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2008.