Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3606, del 8 luglio 2013
Urbanistica.Pianificazione comunale come modello di sviluppo dei luoghi  in considerazione della loro storia e tradizione, attraverso la partecipazione dei cittadini

L’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo. Uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, bensì in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio (tra le quali certamente rientra l’aspirazione, anche in proprietà, alla casa di abitazione), sia, in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione “de futuro” sulla propria stessa essenza, svolta, per autorappresentazione ed autodeterminazione, dalla comunità medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, attraverso la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03606/2013REG.PROV.COLL.

N. 01881/2010 REG.RIC.

N. 10030/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1881 del 2010, proposto da: 
Comune di Trani, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Gagliardi La Gala, con domicilio eletto presso Eugenio Gagliano in Roma, via Giuseppe Pitre', 13;

contro

Nicola Innino, rappresentato e difeso dall'avv. Massimo F. Ingravalle, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180;

nei confronti di

Regione Puglia;

 

sul ricorso numero di registro generale 10030 del 2011, proposto da: 
Comune di Trani, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Gagliardi La Gala, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria n. 2;

contro

Nicola Innino, rappresentato e difeso dall'avv. Massimo F. Ingravalle, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli n.180;

per la riforma

quanto al ricorso n. 1881 del 2010:

della sentenza del TAR Puglia - Bari: Sezione II n. 02640/2009, resa tra le parti, concernente TIPIZZAZIONE AREA VINCOLO CADUCATO

quanto al ricorso n. 10030 del 2011:

della sentenza del TAR Puglia - Bari: Sezione III n. 00997/2011, resa tra le parti, concernente ADOZIONE VARIANTE URBANISTICA TIPIZZAZIONE AREA

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Nicola Innino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 giugno 2012 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Bruno Taverniti su delega di Franco Gagliardi La Gala e Massimo F. Ingravalle

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con l’appello in esame il Comune di Trani impugna la sentenza 6 novembre 2009 n. 2640, con la quale il TAR per la Puglia, sez. II, decidendo su una pluralità di ricorsi proposti dal sig. Innino Nicola, ha dichiarato improcedible il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, ed ha accolto ulteriori tre ricorsi per motivi aggiunti.

L’oggetto della controversia è rappresentato da una pluralità di atti tutti afferenti alla approvazione del PUG della città di Trani, ed in particolare (terzo ricorso per motivi aggiunti), la deliberazione del Consiglio di Trani 31 marzo 2009 n. 8, avente ad oggetto l’approvazione del citato PUG, nella parte in cui ha disposto di non accogliere l’osservazione n. 97 presentata dal ricorrente, relativamente ad una area “a vincolo decaduto” di sua proprietà, di minima estensione, e unico lotto residuo all’interno di un quartiere interamente realizzato e completo di tutte le urbanizzazioni..

La sentenza appellata afferma, in particolare:

- l’amministrazione non è tenuta ad addurre puntuali e specifiche motivazioni per sorreggere le proprie scelte di pianificazione, con la sola eccezione di casi particolari, quali il superamento degli standards minimi, ovvero l’esistenza in capo al privato di aspettative giuridicamente tutelabili;

- “le scelte urbanistiche circa la disciplina del territorio possono formare oggetto di sindacato giurisdizionale nei soli casi di arbitrarietà, irrazionalità o irragionevolezza, ovvero di palese travisamento dei fatti”;

- “il Comune di Trani da prima già in sede di osservazioni al PRG del 1971 – non accolte dal Ministero in sede di approvazione – poi con la deliberazione CC n. 128 del 20 marzo 1990 con cui provvedeva alla tipizzazione come zona intensiva a condizione che venissero cedute alcune aree – annullata dal CO.RE.CO – infine con provvedimento del Commissario regionale ad acta con cui disponeva l’integrazione del nuovo PRG, tipizzando l’area di proprietà Innino come zona intensiva ovvero come zona di completamento, ingenerava progressivamente nell’odierno ricorrente la ragionevole aspettativa di una revisione della destinazione urbanistica della propria area, tanto da differenziarne la posizione rispetto alla generalità dei consociati”;

- “tali atti, pur se non giunti per diverse ragioni a completamento dell’iter per la formazione del nuovo strumento urbanistico generale, danno consistenza e qualificazione ad una aspettativa legittima che, lungi dal vincolare la pianificazione comunale, deve però farsi carico di motivazione specifica in ipotesi di suo sacrificio, dando conto delle ragioni di pubblico interesse che sorreggono tale scelta, caratterizzata da prescrizioni ancor più gravose e da ulteriore cessione di aree a standards”;

- ed infatti, l’affidamento del privato nella definizione urbanistica a lui favorevole può derivare anche “da ulteriori attività dell’amministrazione, quali reiterati atti anche endoprocedimentali a rilevanza esterna, volti ad accogliere le istanze pretensive degli interessati”;

- vi è, nel caso di specie, sovradimensionamento degli standards “che non trova ragionevole giustificazione in riferimento ad area oramai a regime speciale rispetto alle altre aree oggetto di vincolo decaduto, ed in spregio allo stesso criterio perequativo di cui alla l. r. n. 20/2001”.

Avverso tale sentenza, vengono proposti i seguenti motivi di appello (come ricavabili dal testo del ricorso, in part. pagg. 4 – 7):

a) error in iudicando, poiché “il procedimento di adozione ed approvazione del nuovo strumento primario sulla base di una nuova norma e di diversi principi (e cioè, l. reg. n. 20/2001 e principio della cd. perequazione) ha generato una cesoia temporale e programmatica che rende, per sua natura ed essenza, del tutto evanescente qualsiasi aspettativa”;

b) error in iudicando, poiché il Tribunale erra quando afferma che sussistono “reiterati atti endoprocedimentali a rilevanza esterna volti ad accogliere le istanze pretensive dei privati”, poiché si tratta di atti “inseriti in un procedimento ben distinto e ben diverso da quello che ha informato l’odierno PUG”; né genera affidamenti la posizione dell’UTC “che in sede di osservazioni si è limitato a suggerire la singolarità della fattispecie”;

c) error in iudicando, poiché “non esiste alcun sovradimensionamento degli standards”, poiché “tutto il territorio comunale è stato trattato con i medesimi parametri ed indici, giungendo ad una effettiva perequazione”. Più in particolare, “se in un primo momento era stato previsto dal Comune un determinato maggiore indice territoriale, questo indice, in virtù del motivato intervento della Regione, è stato ridotto . . . spalmandolo sull’intero territorio considerato dal PUG”.

Si è costituito in giudizio il sig. Nicola Innino, il quale ha preliminarmente eccepito l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse del Comune di Trani, “stante l’avvenuta adozione, nelle more del giudizio, di una variante urbanistica al vigente PUG; con specifico riferimento ai suoli per cui è causa”. Ha comunque concluso richiedendo il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

All’udienza di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

 

2. Con ulteriore ricorso in appello, il Comune di Trani impugna la sentenza 28 giugno 2011 n. 997, con la quale il TAR per la Puglia, sez. III, in accoglimento di un ricorso proposto dal sig. Innino, ha annullato la deliberazione n. 37 del 2010, di adozione variante urbanistica.

La sentenza impugnata afferma, in particolare, che il Comune, pur dando atto della sentenza n. 2640/2009 del TAR che evidenziava “la necessità di provvedere a nuova pianificazione in variante di area, dando rilevo all’affidamento di parte ricorrente”, tuttavia concludeva per la qualificazione quale zona BSD, vigente nei comparti frontistanti lungo la via Istria, senza però che sia stata adottata alcuna motivazione in ordine alla impossibilità di qualificare il suolo in questione come zona B di completamento”, con ciò incorrendo nella violazione dell’art. 3 l. n. 241/1990.

Avverso tale sentenza, vengono proposti, quali motivi di impugnazione, in parte i medesimi motivi di cui al ricorso n. 1881/2010 r.g. (e riportati sub a), ed inoltre (v. pagg. 8 – 9 app), l’error in iudicando, determinato dal fatto che la sentenza non avrebbe considerato una “duplice motivazione per relationem” offerta sia dalla proposta di delibera, sia dai chiarimenti integrativi resi dal dirigente dell’UTC (e consistente nell’ “unificare il tipo di urbanizzazione dell’area de qua a quella dei comparti frontistanti via Istria).

Si è costituito in giudizio il sig. Innino Nicola, che ha preliminarmente eccepito la irricevibilità dell’appello per tardività. Ha comunque concluso richiedendo il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

All’odierna udienza di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

 

DIRITTO

3. Il Collegio deve procedere alla riunione degli appelli, perché gli stessi vengano decisi con unica sentenza, stante la connessione.

 

4. L’appello proposto avverso la sentenza n. 2640/2009 deve essere accolto, in relazione a tutti i motivi proposti, con conseguente riforma della sentenza impugnata ed accoglimento del ricorso instaurativo del giudizio di I grado.

Preliminarmente, il Collegio deve rigettare l’eccezione di improcedibilità dell’appello medesimo, come proposta dall’appellato sig. Innino, posto che sussiste l’interesse del Comune a rimuovere una statuizione che produce un obbligo di conformazione della potestà pianificatoria dell’amministrazione comunale.

Il problema del contenuto e dei limiti della pianificazione urbanistica; del significato stesso del concetto di “urbanistica” in senso giuridico e, di conseguenza, del contenuto della potestà pianificatoria, è stato affrontato da questo Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza 10 maggio 2012 n. 2710, con considerazioni che devono essere riconfermate ai fini della presente decisione.

Si è affermato che il potere di pianificazione urbanistica del territorio – la cui attribuzione e conformazione normativa è costituzionalmente conferita alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, ex art. 117, comma terzo, Cost. ed il cui esercizio è normalmente attribuito, pur nel contesto di ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al Comune – non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse.

Al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non è limitato solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti), ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico – sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati.

Proprio per tali ragioni, lo stesso legislatore costituzionale, nel novellare l’art. 117 della Costituzione per il tramite della legge cost. n. 3/2001, ha sostituito – al fine di individuare le materie rientranti nella potestà legislativa concorrente Stato - Regioni - il termine “urbanistica”, con la più onnicomprensiva espressione di “governo del territorio”, certamente più aderente, contenutisticamente, alle finalità di pianificazione che oggi devono ricomprendersi nel citato termine di “urbanistica”.

D’altra parte, già il legislatore ordinario (sia pure ai fini della attribuzione di giurisdizione sulle relative controversie), con l’art. 34, comma 2, d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80, aveva affermato che “la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio”.

Tali finalità, per così dire “più complessive” dell’urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla legge 17 agosto 1942 n. 1150, laddove essa individua il contenuto della “disciplina urbanistica e dei suoi scopi” (art. 1), non solo nell’”assetto ed incremento edilizio” dell’abitato, ma anche nello “sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica”.

In definitiva, l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo.

Uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli - non in astratto, bensì in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi –, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico – sociali della comunità radicata sul territorio (tra le quali certamente rientra l’aspirazione, anche in proprietà, alla casa di abitazione), sia, in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione “de futuro” sulla propria stessa essenza, svolta - per autorappresentazione ed autodeterminazione - dalla comunità medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, attraverso la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio.

In definitiva, il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma esso è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti.

Ne consegue che, diversamente opinando, e cioè nel senso di ritenere il potere di pianificazione urbanistica limitato alla sola prima ipotesi, si priverebbe la pubblica amministrazione di un essenziale strumento di realizzazione di valori costituzionali, quali sono almeno quelli espressi dagli articoli 9, comma secondo, 32, 42, 44, 47, comma secondo, Cost..

A quanto sin qui esposto, occorre aggiungere che l’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui le scelte effettuate incidano su zone territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e “mirata” (Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2008 n. 5478), così come, nell’ambito del procedimento volto all’adozione dello strumento urbanistico, non occorre controdedurre singolarmente e puntualmente a ciascuna osservazione e opposizione.

Occorre, infatti, ribadire che le scelte urbanistiche (in particolare, in sede di variante) richiedono puntuale motivazione esclusivamente ove incidano su zone territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative (specie edificatorie) dei privati proprietari, in conseguenza non soltanto di statuizioni di pronunce giurisdizionali passate in giudicato, ma anche di accordi con l'ente locale ed in particolare di convenzioni di lottizzazione divenute operative. A fronte di aspettative di mero fatto, le scelte di natura tanto ambientale quanto urbanistica rimesse all'Amministrazione nell'interesse generale, infatti, sono di regola sufficientemente motivate con l'indicazione dei profili generali e dei criteri che hanno sorretto la previsione, senza necessità di una motivazione puntuale e "mirata" (Cons. Stato, sez. IV. n. 5478/2008 cit.).

Le scelte urbanistiche, dunque, richiedono una motivazione più o meno puntuale a seconda che si tratti di previsioni interessanti la pianificazione in generale ovvero un’area determinata, ovvero qualora incidano su aree specifiche, ledendo legittime aspettative; così come mentre richiede una motivazione specifica una variante che interessi aree determinate del PRG., per le quali quest’ultimo prevedeva diversa destinazione (a maggior ragione in presenza di legittime aspettative dei privati), non altrettanto può dirsi allorchè la destinazione di un’area muta per effetto della adozione di un nuovo strumento urbanistico generale, che provveda ad una nuova e complessiva definizione del territorio comunale.

In questa ipotesi, infatti, non è in discussione la destinazione di una singola area, ma il complessivo disegno di governo del territorio da parte dell’ente locale, di modo che la motivazione non può riguardare ogni singola previsione (o zonizzazione), ma deve avere riguardo, secondo criteri di sufficienza e congruità, al complesso delle scelte effettuate dall’ente con il nuovo strumento urbanistico.

Né, d’altra parte, una destinazione di zona precedentemente impressa determina l’acquisizione, una volta e per sempre, di una aspettativa di edificazione non più mutabile, essendo appunto questa modificabile (oltre che in variante) con un nuovo PRG, conseguenza di una nuova e complessiva valutazione del territorio, alla luce dei mutati contesti e delle esigenze medio tempore sopravvenute.

 

5. Quanto sin qui esposto in via generale, con riferimento al contenuto ed ai limiti della potestà pianificatoria ed ai limiti di contenuto motivazionale sia dell’atto di approvazione del PRG, sia dell’atto di reiezione delle osservazioni proposte al medesimo, durante l’iter di adozione, già sorregge l’accoglimento dei motivi di appello e la riforma della sentenza impugnata.

Ciò a maggior ragione nel caso di specie, laddove l’aspettativa del privato – alla quale, secondo la sentenza appellata, avrebbe dovuto corrispondere una puntuale motivazione - si fonda su “ulteriori attività dell’amministrazione, quali reiterati atti anche endoprocedimentali a rilevanza esterna, volti ad accogliere le istanze pretensive degli interessati”. E ciò in quanto, sempre secondo la sentenza appellata, “tali atti, pur se non giunti per diverse ragioni a completamento dell’iter per la formazione del nuovo strumento urbanistico generale, danno consistenza e qualificazione ad una aspettativa legittima che, lungi dal vincolare la pianificazione comunale, deve però farsi carico di motivazione specifica in ipotesi di suo sacrificio, dando conto delle ragioni di pubblico interesse che sorreggono tale scelta, caratterizzata da prescrizioni ancor più gravose e da ulteriore cessione di aree a standards”.

Le affermazioni della sentenza appellata non possono essere condivise, posto che l’affidamento del privato in un particolare esercizio di potestà pianificatoria a lui favorevole, così come ricostruito dalla giurisprudenza (e peraltro riportato nella decisione) si riferisce a circostanze obiettive, come quelle risultanti da atti con i quali l’amministrazione ha inequivocabilmente espresso la propria volontà pianificatoria, ovvero da giudicati.

Ritenere che i pareri, gli avvisi o quant’altro presente nell’attività istruttoria possa far sorgere una aspettativa legittima del privato – salvo casi particolari in cui l’amministrazione abbia ecceduto con i propri atti i limiti tipici della fase istruttoria – comporta anche ritenere che uffici o organi privi di competenza, e quindi non titolari di potestà pianificatoria, possano porre in essere atti in diversa misura incidenti sull’esercizio di detta potestà, anche solo con l’ “obbligare” l’organo competente ad un onere di motivazione più puntuale, altrimenti non richiesto.

E ciò a maggior ragione nel caso di specie, in cui l’iter procedimentale (del quale è opinabile l’”unitarietà”, così come rilevato dall’appellante) si è snodato nel corso di anni ed ha visto l’intervento di distinti organi di amministrazione ordinaria e straordinaria.

Quanto sin qui esposto consente anche di accogliere il motivo di appello, rivolto avverso il capo della sentenza ove si afferma un illegittimo sovradimensionamento degli standards “che non trova ragionevole giustificazione in riferimento ad area oramai a regime speciale rispetto alle altre aree oggetto di vincolo decaduto, ed in spregio allo stesso criterio perequativo di cui alla l. r. n. 20/2001”.

Per le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata e rigetto del ricorso instaurativo del giudizio di I grado.

 

6. L’accoglimento dell’appello proposto avverso la sentenza n. 2640/2009 rende improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse l’appello proposto dal medesimo Comune di Trani avverso la sentenza n. 997/2011 (con ciò dispensandosi il Collegio dal decidere in ordine alla eccepita tardività del medesimo).

Ciò in quanto l’intervenuto annullamento della prima sentenza produce un effetto caducatorio della delibera del Consiglio comunale n. 37/2010, che nell’adeguamento dell’attività amministrativa a tale sentenza provvisoriamente esecutiva rinveniva il proprio presupposto.

Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sugli appelli proposti dal Comune di Trani (nn. 1881/2010 e 10030/2011 r.g.):

a) riunisce gli appelli;

b) accoglie l’appello r.g. n. 1881/2010 e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso instaurativo del giudizio di I grado;

c) dichiara improcedibile l’appello n. 10030/2011 r.g.;

d) compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:

Gaetano Trotta, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)