TAR Lombardia (BS) Sez. II n. 1228 del 1 agosto 2011
Urbanistica.  Fascia di rispetto dagli argini

I regolamenti comunali (o le linee-guida regionali) possano disciplinare diversamente la fascia di rispetto dagli argini solo sulla base di un esame dettagliato della condizione dei luoghi, così da garantire in misura equivalente gli interessi pubblici (idraulici e ambientali) coinvolti . In questo quadro la tolleranza mantenuta in passato verso certe tipologie di edificazione non acquista lo status di elemento normativo e non può costituire un presupposto idoneo per conferire ulteriori diritti edificatori

N. 01228/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00736/1999 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 736 del 1999, proposto da:
SEGHERIA BIANCHI GIACOMO SNC DI BIANCHI GUGLIELMO & C., rappresentata e difesa dall'avv. Silvano Canu, con domicilio eletto presso la segreteria del TAR in Brescia, via Zima 3;

contro

COMUNE DI CORTENO GOLGI, rappresentato e difeso dagli avv. Gianfranco Fontana, Italo Ferrari e Francesco Fontana, con domicilio eletto presso i medesimi legali in Brescia, via Diaz 28;

per l'annullamento

- del provvedimento del responsabile del Servizio Tecnico prot. n. 868/2133 del 9 aprile 1999, con il quale è stata respinta la domanda di concessione edilizia presentata l’11 febbraio 1999 per mancato rispetto della distanza minima dal torrente Ogliolo;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Corteno Golgi;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2011 il dott. Mauro Pedron;

Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

1. La ricorrente Segheria Bianchi Giacomo snc di Bianchi Guglielmo & C. mediante atto notificato il 7 giugno 1999 e depositato il 30 giugno 1999 ha impugnato il provvedimento del responsabile del Servizio Tecnico del 9 aprile 1999 con il quale è stata respinta la domanda di concessione edilizia riguardante un capannone. Il diniego si basa sul mancato rispetto della distanza minima di 10 metri dal torrente Ogliolo prevista dall’art. 96 lett. f) del RD 25 luglio 1904 n. 523 e ribadita specificamente per il territorio comunale dalla DGR n. 6/28925 del 3 giugno 1997 (modifiche d’ufficio al PRG).

2. Il Comune di Corteno Golgi si è costituito in giudizio eccependo il difetto di giurisdizione e chiedendo nel merito la reiezione del ricorso.

3. La vicenda è così riassumibile:

(a) lungo la sponda sud del torrente vi sono vari edifici un tempo adibiti a segheria. La vicinanza al torrente consentiva infatti di utilizzare l’acqua come energia motrice in grado di azionare i macchinari per il taglio del legno. Uno di questi edifici è la storica Segheria Veneziana (recentemente recuperata come museo);

(b) accanto alla Segheria Veneziana si trova l’area di proprietà della ricorrente, dove è in funzione una moderna segheria che produce tetti in legno e capriate lamellari. Il compendio immobiliare si compone di diversi mappali (n. 85-88-304-309-308-303-86-310-94-95);

(c) sui predetti mappali insistono alcuni edifici, un silos e alcuni spazi aperti utilizzati per movimentazione e deposito. In corrispondenza di uno di questi spazi (in parte occupato da una tettoia) la ricorrente ha progettato la realizzazione di un capannone con superficie pari a 444,78 mq, che dovrebbe integrare la dotazione aziendale;

(d) il capannone sarebbe di per sé conforme alla destinazione urbanistica (zona D – industriale e artigianale – art. 33 delle NTA) ma il titolo edilizio è stato negato in quanto il Comune ha ritenuto che si configurasse un’ipotesi di nuova costruzione ricadente nella fascia del vincolo idraulico di cui all’art. 96 lett. f) del RD 523/1904 (in base al progetto la distanza dal torrente varia da 0,30 metri a 2,20 metri);

(e) in effetti, al momento della richiesta di concessione edilizia, nel punto prescelto (mappali n. 85-94-95) non preesistevano materialmente altri edifici. Era chiaro inoltre che il capannone non poteva costituire lo sviluppo (tramite ristrutturazione e ampliamento) della piccola tettoia posta su una porzione del sedime di progetto, essendovi eccessiva sproporzione nelle dimensioni dei due manufatti (v. anche la documentazione fotografica e cartografica depositata dal Comune il 16 marzo 2011);

(f) la ricorrente qualifica però l’intervento come ristrutturazione evidenziando che nella mappa catastale del 1960 i mappali n. 94-95 risultavano occupati da edifici. Vi sarebbero poi stati dei crolli negli anni 1962-1963, rispetto ai quali il nuovo intervento dovrebbe essere considerato come ricostruzione (con ampliamento);

(g) nel 2006 è stato approvato un piano di recupero che ha permesso il consolidamento dell’edificio situato sui mappali n. 96-97, contiguo allo spazio oggetto della vicenda in questione;

(h) infine il Comune segnala che all’interno dell’area della ricorrente (ma non nello spazio interessato dalla richiesta di titolo edilizio) una tettoia esistente situata lungo il torrente è stata sostituita con una tettoia abusiva. Quest’ultima si trova in una posizione diversa dalla precedente, con 9 pilastri di appoggio collocati sul muro di argine del torrente.

4. La ricorrente sostiene la propria pretesa all’edificazione con una serie di argomenti che si possono sintetizzare in due punti: (i) nel Comune di Corteno Golgi vi è un’antica consuetudine che ammette la costruzione sulle rive del torrente, e dunque la fascia sottoposta a vincolo idraulico sarebbe sostanzialmente azzerata: saremmo in presenza di una di quelle “discipline vigenti nelle diverse località” rispetto alle quali l’art. 96 lett. f) del RD 523/1904 si qualifica come norma sussidiaria; (ii) vi sarebbe comunque travisamento dei fatti, in quanto il capannone progettato non integrerebbe un intervento di nuova costruzione ma una ristrutturazione con ampliamento (oltretutto la parte ampliata si collocherebbe a una distanza maggiore di 10 metri dal torrente).

5. Sulle questioni evidenziate dalle parti si possono svolgere le seguenti considerazioni:

(a) il caso in esame rientra nella giurisdizione amministrativa, e non in quella del Tribunale superiore delle acque pubbliche, in quanto la prospettiva da cui viene osservata la controversia è quella dei diritti edificatori. Il problema del regolare deflusso delle acque, che costituisce la ragione del vincolo idraulico, non viene in rilievo quale oggetto concreto e immediato del provvedimento impugnato, come richiesto dall’art. 143 comma 1 lett. a) del RD 11 dicembre 1933 n. 1775, ma rimane sullo sfondo quale mero presupposto del vincolo stesso. In effetti il provvedimento impugnato nel richiamare il vincolo idraulico non evidenzia profili di interferenza in concreto tra l’edificazione progettata dalla ricorrente e il regime delle acque ma utilizza la disciplina del vincolo idraulico come limite estrinseco per le nuove costruzioni. Poiché nel presente ricorso è messo in discussione proprio il carattere di novità della costruzione, e quindi la stessa applicabilità dell’art. 96 lett. f) del RD 523/1904, è chiaro che la fattispecie concreta è solo tangenziale alla materia delle acque pubbliche, mentre attiene nella sostanza alla disciplina urbanistica e agli strumenti di pianificazione;

(b) nel merito non appare condivisibile la tesi della ricorrente secondo cui la consuetudine dell’edificazione lungo le sponde integrerebbe una disciplina locale in grado di impedire l’applicazione dell’art. 96 lett. f) del RD 523/1904. A parte l’ovvia considerazione che nel caso in esame il Comune, per effetto delle modifiche d’ufficio al PRG introdotte nel 1997 dalla Regione, era dotato di una normativa esattamente riproduttiva di quella nazionale sul vincolo idraulico, si ritiene che i regolamenti comunali (o le linee-guida regionali) possano disciplinare diversamente la fascia di rispetto dagli argini solo sulla base di un esame dettagliato della condizione dei luoghi, così da garantire in misura equivalente gli interessi pubblici (idraulici e ambientali) coinvolti (v. TAR Brescia Sez. I 26 febbraio 2010 n. 986; TAR Brescia Sez. I 26 giugno 2007 n. 578). In questo quadro la tolleranza mantenuta in passato verso certe tipologie di edificazione non acquista lo status di elemento normativo e non può costituire un presupposto idoneo per conferire ulteriori diritti edificatori;

(c) quanto è stato edificato nel remoto passato nella fascia di rispetto e risulta ormai consolidato può invece essere tutelato sul piano urbanistico-edilizio e permette il riconoscimento di nuovi diritti edificatori, nei limiti discrezionalmente stabiliti dagli strumenti pianificatori comunali;

(d) sotto questo profilo può trovare parziale accoglimento il secondo motivo di ricorso. L’elemento decisivo appare la mappa catastale del 1960, la quale registra la presenza di edifici sui mappali n. 94-95, dove il progetto localizza il nuovo capannone. Il Comune ha raccolto elementi che attestano l’inesistenza di edifici sulla medesima superficie alla data di presentazione della domanda di concessione edilizia. Tuttavia questa circostanza non è in contraddizione insanabile con la documentazione catastale: in realtà, essendo necessario rispettare il valore probatorio attribuito dalla legge alle mappe catastali (v. art. 950 comma 3 c.c.), si può presumere che successivamente al 1960 una parte dei fabbricati abbia subito cedimenti e crolli;

(e) la ricostruzione di edifici in rovina può essere ricompresa tra gli interventi di ristrutturazione. In proposito si osserva che con la rovina dell’edificio il patrimonio giuridico incorporato nello stesso (superficie coperta, volumetria, distanze dai confini e dagli altri edifici) non scompare automaticamente ma diventa latente e può riespandersi (v. TAR Brescia Sez. I 13 maggio 2009 n. 1028). Qualora però sopravvengano strumenti di pianificazione che cancellano il rilievo urbanistico del sedime (o elevano le caratteristiche strutturali necessarie per considerare esistente un edificio) si interrompe il collegamento con la precedente edificazione e i proprietari subiscono il ridimensionamento economico del bene. Queste scelte urbanistiche sono ampiamente discrezionali e corrispondono all’esigenza di garantire la certezza della situazione di base su cui si innestano la programmazione e la successiva trasformazione del territorio. Se al contrario nei piani urbanistici sopravvenuti il tema della riedificazione degli immobili in rovina non viene espressamente affrontato (e questa, per quanto risulta, è la situazione nel caso in esame) vale il principio privatistico che tutela nella sua interezza il diritto di proprietà, compresa la facoltà di ricostituzione materiale del bene, con il solo limite esterno dei diritti incompatibili nel frattempo acquisiti dai terzi;

(f) dunque la pretesa della ricorrente di edificare un capannone in sostituzione dell’edificio preesistente, con la medesima destinazione, appare fondata;

(g) rimane il problema dell’esatta quantificazione del volume e della superficie coperta. In questo come nella maggior parte dei casi si tratta di un calcolo non agevole. Le difficoltà pratiche non incidono tuttavia in senso soppressivo sul diritto edificatorio, che come si è visto può essere cancellato solo da una nuova pianificazione urbanistica. Spetta comunque ai privati l’onere di dimostrare con ogni mezzo (mappe catastali, documentazione fotografica, testimonianze) le presumibili dimensioni. Nello specifico la ricorrente ha fornito alcuni indizi rilevanti. Gli uffici comunali dovranno ora vagliare con attenzione il materiale prodotto per giungere a una stima prudenziale;

(h) occorre precisare che mentre il volume costituisce un elemento rigido del diritto di riedificazione non altrettanto può dirsi per la superficie coperta e per il sedime. Come avviene anche nelle ipotesi ordinarie di demolizione e ricostruzione, e quindi a maggior ragione in una fattispecie dove la ricostruzione segue di anni la cancellazione del fabbricato preesistente, l’amministrazione può imporre la parziale rilocalizzazione e una nuova disposizione del volume, contemperando l’interesse dei privati con l’interesse pubblico. Nella situazione in esame è evidente che l’interesse pubblico consiste nell’esigenza di salvaguardare la funzione del vincolo idraulico evitando un’eccessiva concentrazione di volume in prossimità degli argini. Dunque il Comune potrà motivatamente esigere correzioni al progetto originario al fine di allontanare l’edificazione dagli argini, peraltro sempre all’interno dell’area di proprietà della ricorrente classificata in zona D. Se poi a causa di concomitanti disposizioni limitative non fosse possibile insediare in altri punti del compendio tutto il volume dell’edificio preesistente, il residuo potrebbe, secondo i principi generali della materia urbanistica, essere trasformato in un bonus di cubatura artigianale utilizzabile altrove (e cedibile a terzi);

(i) a margine si osserva che i rilievi mossi dal Comune circa la realizzazione di opere abusive sull’area di proprietà della ricorrente non condizionano e non ampliano la materia del presente giudizio. Rimangono comunque intatti i poteri di vigilanza e repressione normalmente esercitabili dagli uffici comunali in presenza di verifiche o segnalazioni di abusi.

6. In conclusione il ricorso deve essere accolto parzialmente, nel senso che il provvedimento impugnato viene annullato ma i diritti edificatori della ricorrente sono accertati nei limiti esposti sopra al punto 5. L’effetto conformativo della presente sentenza impone al Comune di riesaminare la richiesta della ricorrente (eventualmente modificata o integrata) sulla base delle suddette indicazioni. Il carattere parziale dell’accoglimento e le particolarità della vicenda consentono la compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente il ricorso come precisato in motivazione. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Mauro Pedron, Primo Referendario, Estensore

Stefano Tenca, Primo Referendario





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 01/08/2011