TAR Sicilia (CT) Sez. V n. 3981 del 4 dicembre 2024
Urbanistica.Autorizzazione sismica in sanatoria non riconosciuta dall'ordinamento
L'istituto della autorizzazione sismica in sanatoria non è riconosciuto nel nostro ordinamento. In particolare va osservato che l'art. 94 del D.P.R. n. 380 del 2001 persegue il fine di eseguire una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico ed è espressione di un principio fondamentale in materia di governo del territorio. A fronte di una così grave ed incontestata violazione di norme riferite alla tutela dell’incolumità pubblica in quanto riferite alla stabilità degli edifici alla corretta applicazione delle tecniche di costruzione, derivante dall’assenza di un (necessariamente) preventivo parere di regolarità sismica delle opere è evidente l’irrilevanza di una lamentata lesione dei diritti di partecipazione procedimentale, dal momento che ogni ipotetico apporto, in caso di presentazione di osservazioni, non avrebbe potuto comunque ovviare al difetto di un requisito non “ recuperabile”, come detto, in via postuma (segnalazione Ing. M. Federici)
Pubblicato il 04/12/2024
N. 03981/2024 REG.PROV.COLL.
N. 01797/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1797 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS- in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonio Saitta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Messina, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Rosario Dovico, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Assessorato delle Infrastrutture e della Mobilità della Regione siciliana - Dipartimento Regionale Tecnico, Ufficio del Genio Civile di Messina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale di Catania, con domicilio ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
per l'annullamento:
a) per quanto riguarda il ricorso principale
- della determinazione del 3 luglio 2023, n. -OMISSIS-, notificata il 13 luglio successivo, con la quale il Dirigente del Dipartimento Servizi Territoriali e Urbanistici del Comune di Messina ha ordinato alla società ricorrente di provvedere alla demolizione di alcune opere, asseritamente abusive, “così come elencati nella relazione della Polizia Municipale (nota prot. n. -OMISSIS- dell’11 maggio 2023)”, sotto comminatoria di esecuzione d’ufficio in danno in caso di inottemperanza;
- nonché, ove occorra, della relazione tecnica del 16-23 marzo 2023, a firma del Coordinatore dei Servizi Territoriali Urbanistici;
- e della nota della Polizia Municipale 11 maggio 2023, prot. n. -OMISSIS- (non conosciuta);
b) per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da -OMISSIS-. il 6 maggio 2024:
per l’annullamento:
- oltre che dei provvedimenti indicati nel ricorso introduttivo, della Comunicazione del Comune del 7 marzo 2024, prot. n. -OMISSIS-, nella parte in cui dichiara il progetto “carente dei requisiti e presupposti previsti dall’art. 27, c.7, della legge regionale n. 7/2019” precisando che, in difetto
di integrazione entro il termine di trenta giorni, “l’attività edilizia è da intendersi vietata e il fascicolo in esame verrà trasmesso all’Unità Repressione Abusivismo, per i provvedimenti consequenziali”
- della comunicazione del 9 aprile 2024, prot. n. -OMISSIS-, non notificata, con il quale il Dirigente del Dipartimento Edilizia Privata del Comune di Messina ha dichiarato concluso il procedimento di SCIA 16 febbraio 2024, prot. n. -OMISSIS-;
- della comunicazione dell’Ufficio del Genio Civile di Messina 1 marzo 2024, prot. n. -OMISSIS- trasmessa con racc. 14 marzo 2024, n. -OMISSIS-, con la quale il predetto ufficio ha comunicato di aver emesso verbale di contestazione per l’inosservanza della normativa sismica;
- del verbale di cui sopra, formato dall’Ufficio del Genio Civile, non conosciuto, con il quale si sarebbe contestata “l’inosservanza degli artt. 93, 94, 85 e 86 di cui al Capo IV del D.P.R. 06/06/2001, n. 380, perché l’esecuzione dei lavori è avvenuta senza aver richiesto ed ottenuto la prescritta preventiva autorizzazione da parte di quest’ufficio”.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Messina e dell’Assessorato delle Infrastrutture e della Mobilità della Regione siciliana - Dipartimento Regionale Tecnico - Ufficio Genio Civile Messina;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2024 il dott. Salvatore Accolla e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società ricorrente esponeva che, a seguito di un sopralluogo compiuto dai Vigili urbani presso i locali adibiti all’esercizio della propria attività, il Comune convenuto aveva ad essa contestato l’esistenza di opere abusive perché qualificate come interventi di “ristrutturazione edilizia”, necessitanti di permesso di costruire.
In particolare, era stata ordinata la demolizione delle seguenti opere:
a) chiusura con struttura a vetri e cambio di destinazione di una veranda;
b) realizzazione di una scala metallica in terrazza per raggiungere il vano ascensore;
c) realizzazione di una struttura in reticolato metallico aperto (c.d. “orsogrill”) e tettoia in materiale coibentato a protezione dell’impianto di distribuzione dell’ossigeno terapeutico;
d) manufatto “amovibile” delle dimensioni di 8 mq. (ml. 4,22 x 2,50 x 2,67 di altezza);
e) “ampia tettoia con copertura in metallo e vetri”;
f) “modeste modifiche interne dell’unità immobiliare”.
La ricorrente affermava che, in termini generali, si sarebbe trattato di opere di modestissima entità, sicuramente non annoverabili tra quelle di ristrutturazione edilizia.
Più specificamente, gli atti impugnati sarebbero stati illegittimi per i seguenti motivi.
In primo luogo la società ricorrente contestava la genericità e l’imprecisione delle indicazioni contenute nel provvedimento che, tra l’altro, sarebbe stato carente nell’individuazione dell’epoca di realizzazione delle strutture contestate. Affermava, ad esempio, che la chiusura a vetri del terrazzo sarebbe stata risalente a molti decenni prima, probabilmente ai primi anni ’60 del secolo scorso.
Tela carenza avrebbe inciso sul riferimento al regime giuridico-urbanistico vigente al tempo della realizzazione. Evidenziava, in proposito, che l’attuale necessità di un titolo edilizio per le opere in esame non avrebbe significato necessariamente che lo stesso regime giuridico sarebbe stato vigente al tempo della loro realizzazione.
In un secondo motivo di ricorso affermava che le opere contestate non sarebbero state oggettivamente sussumibili sotto la previsione normativa della “ristrutturazione edilizia”, indebitamente posta a base del provvedimento sanzionatorio impugnato, dal momento che nessuna di esse avrebbe comportato la realizzazione di un organismo edilizio diverso, in tutto o in parte, dall’esistente.
Per tali opere la sanzione avrebbe potuto essere solo di tipo pecuniario e non ripristinatoria.
Infine, precisava che, qualora fossero state ritenute fondate le censure anche solo in relazione ad alcuni pretesi abusi, il ricorso avrebbe potuto essere accolto, almeno in parte qua, dal momento che l’ordine di demolizione non sarebbe un provvedimento plurimotivato, bensì monomotivato con una pluralità di oggetti (tanti quanto le singole opere ritenute abusive).
Per tutte le predette ragioni chiedeva l’annullamento degli atti impugnati.
Si costituiva in giudizio il Comune di Messina il quale affermava che non vi sarebbe stato alcun difetto di istruttoria o genericità nell’indicazione delle opere ritenute abusive. Sarebbe, poi, stata innegabile la necessità del permesso di costruire per tali opere, dal momento che avrebbero determinato un aumento di superficie e volumetria complessiva dell’edificio.
Per tali ragioni chiedeva il rigetto del ricorso.
Con ricorso per motivi aggiunti la società ricorrente, rendeva noto di essersi determinata a rimuovere le opere esterne ed impugnava, in relazione alle opere interne, i provvedimenti negativi, indicati in epigrafe, emessi, nelle more, dalle Amministrazioni competenti, a seguito della presentazione, da parte della stessa ricorrente, di una SCIA per la regolarizzazione delle opere ritenute abusive.
Tali ultimi provvedimenti sarebbero stati affetti, anzitutto, da vizi di illegittimità derivata coincidenti con quelli evidenziati nel ricorso principale.
Aggiungeva inoltre, che, contrariamente a quanto affermato nella motivazione del ricorso, la pendenza di altro procedimento di SCIA asseritamente non definito (ma che, in realtà, alla data di emanazione dello stesso procedimento sarebbe stato già definito con provvedimento del 23 febbraio 2024) non avrebbe rappresentato un impedimento all’approvazione di tali ultime segnalazioni.
Lamentava che gli adempimenti istruttori asseritamente mancanti sarebbero stati solo genericamente indicati.
Evidenziava, poi, che il riferimento, nella nota conclusiva dell’istruttoria della SCIA per le opere interne, alla necessità di valutazione, da parte del Genio civile e della Soprintendenza, delle modifiche strutturali e dei prospetti evidenziate nei grafici, avrebbe, tutt’al più, potuto giustificare integrazioni istruttorie e non la bocciatura del progetto.
Ancor più illogico sarebbe stato il riferimento alla presunta violazione delle distanze con le proprietà finitime, trattandosi, per l’appunto, di opere interne.
Lamentava, poi, la mancata comunicazione del preavviso di rigetto, dal momento che nella comunicazione di cui alla nota 7 marzo 2024, prot. n. -OMISSIS-, vi sarebbe stato riferimento solo all’argomento della pendenza della SCIA di regolarizzazione delle tettoie.
Infatti, essendo state contestate asserite carenze documentali della SCIA, la comunicazione del preavviso di rigetto avrebbe consentito all’interessata di rimediarvi; né, d’altra parte, avrebbe potuto obiettarsi che analoghe richieste istruttorie sarebbero state fatte a proposito della SCIA n.-OMISSIS-, trattandosi di un diverso procedimento, con oggetto diverso.
Rilevava, poi, che il Genio civile avrebbe recepito acriticamente quanto rappresentato dal Comune con la nota n. -OMISSIS- dell’11 maggio 2023 senza aver previamente eseguito alcun accertamento sui luoghi. Inoltre, lo stesso parere del Genio civile sarebbe stato emanato senza comunicazione dell’avvio del procedimento, obbligatoria anche in caso di adozione di atti vincolati.
Evidenziava, infine, che la presentazione della SCIA per la regolarizzazione delle opere non avrebbe fatto venir meno l’interesse della società in relazione al ricorso introduttivo. Proprio il rigetto della SCIA avrebbe confermato il pieno interesse all’annullamento dell’ordine di demolizione oggetto del ricorso introduttivo.
L’Amministrazione regionale si costituiva in giudizio con memoria di mera forma.
All’udienza dell’1 ottobre 2024, udita la discussione delle parti presenti, il ricorso veniva posto in decisione.
DIRITTO
Come indicato in parte narrativa, la società ricorrente ha impugnato con il ricorso principale l’ordine di demolizione di alcuni manufatti realizzati nell’edifico nella quale essa esercita la propria attività e con il ricorso per motivi aggiunti il successivo provvedimento di archiviazione della SCIA in sanatoria per le opere interne ed il provvedimento repressivo dei medesimi abusi adottato dal Genio civile di Messina.
Ciò premesso, le censure formulate nel ricorso principale non possono trovare accoglimento, anzitutto, perché, contrariamente a quanto affermato dalla società, l’indicazione dei manufatti abusivi non può non ritenersi sufficientemente dettagliata ed analitica e, pertanto, priva del dedotto difetti di genericità.
Nel provvedimento, infatti, sono partitamente e dettagliatamente indicate le varie opere ritenute abusive dall’Amministrazione comunale (chiusura della veranda, realizzazione di una scala metallica, tettoie, manufatti amovibili e così via) ed in tal senso l’oggetto dell’ordine di demolizione deve ritenersi assolutamente definito e pienamente identificabile.
Non può, d’altra parte, ritenersi gravante sull’Amministrazione, come sembrerebbe pretendere parte ricorrente, l’onere di individuazione ed indicazione dell’epoca di realizzazione delle stesse opere in modo da consentire l’individuazione della loro conformità alla disciplina urbanistica tempo per tempo vigente, dal momento che in materia, per costante orientamento della giurisprudenza amministrativa va posto in capo al proprietario (o al responsabile dell'abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione l'onere di provare il carattere risalente del manufatto per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione di opera risalente ad epoca anteriore all'introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi. Ciò in quanto solo il privato può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone e dunque in applicazione del principio di vicinanza della prova) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto; mentre l'amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all'interno dell'intero suo territorio (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019 n. 903).
A questo proposito il Collegio, pur avendo presente che l'orientamento più recente ha ritenuto meritevoli di rilievo elementi "mitigatori" del regime probatorio, permettendo l'ingresso di elementi indiziari prodotti dal proprietario dell'immobile o dall'autore del presunto abuso valorizzabili al fine di ritenerne la legittimità in ragione della dimostrata edificazione in epoca anteriore al 1967, non
ritiene, tuttavia, che da siffatta mitigazione possa pervenirsi ad un'inversione dell'onere della prova in capo all'amministrazione comunale poiché, come sopra argomentato, la disponibilità delle prove dell'epoca di realizzazione rimane, ordinariamente, nella disponibilità della parte privata.
In ogni caso, la documentazione prodotta dal privato deve raggiungere un livello probatorio di verosimiglianza circa l'individuazione, almeno utilmente approssimativa, dell'epoca di realizzazione, che consenta di poter superare l'indizio costituito dalla mancata rappresentazione della medesima opera edilizia nelle risultanze catastali ovvero negli atti di acquisto dell'immobile e nelle relative planimetrie allegate (Cons. Stato, sez. VI, 8 novembre 2023 n. 9612).
Nel caso di specie gli elementi forniti dall'interessata non assurgono affatto a quel livello di verosimiglianza che, secondo la giurisprudenza sopra richiamata, consente di superare le evidenze documentali fornite dall'amministrazione circa la realizzazione dell'ampliamento del fabbricato in data successiva al 1967.
Ed in effetti, la parte si è limitata ad affermare, labialmente e genericamente, che la chiusura a vetri del terrazzo sarebbe stata “risalente a moltissimi decenni addietro, probabilmente ai primi anni ’60 del ‘900, tant’è che non vi è memoria dei lavori de quibus negli attuali amministratori della struttura” e sulle restanti opere non ha addirittura formulato alcuna specifica osservazione.
A proposito della contestata sussunzione degli interventi sotto la previsione normativa della “ristrutturazione edilizia” il Collegio rileva come sia necessaria una considerazione complessiva degli abusi realizzati, alla quale non può sostituirsi l’esame singolare delle singole opere partitamente indicate nel provvedimento.
In effetti, appare inammissibile e non consentita una valutazione atomistica degli abusi, essendo necessario tener conto dell’immobile nella sua interezza, in quanto il frazionamento dei singoli interventi preclude la considerazione totale dell’impatto che l’opera produce sull’assetto territoriale (cfr. da ultimo, Consiglio di Stato, sentenza, 11 marzo 2024, n. 2321). Non è possibile, pertanto, frazionare i singoli interventi difformi al fine di dedurre la loro autonoma irrilevanza (Consiglio di Stato, sentenza n. 8032/2024).
Nel caso in esame è evidente, in effetti, come correttamente indicato dal Comune convenuto, che le opere, considerate tanto singolarmente, quanto nel loro complesso, hanno comportato un aumento di volumetria e di superfici utili, che avrebbe richiesto il rilascio di un permesso di costruire.
In conclusione, per le ragioni indicate, il ricorso principale deve ritenersi infondato.
Infondato è, altresì, il ricorso per motivi aggiunti.
Al di là di alcune incongruenze del provvedimento, quale, ad esempio, il riferimento alla violazione delle distanze con le proprietà finitime, per contestazioni in realtà riferite ad opere interne, e di una certa genericità nell’indicazione delle asserite “divergenze planimetriche” appare decisivo ed assorbente a giustificare il diniego di sanatoria degli abusi il parere negativo espresso dal Genio civile, che pur sulla scorta di un accertamento non compiuto direttamente, bensì dai Vigili urbani, ha del tutto legittimamente rilevato, sulla scorta delle risultanze di tale verbale, la violazione dell’obbligo di preventiva autorizzazione dei lavori da parte dei propri uffici.
In proposito, anche da ultimo la giurisprudenza ha ribadito che “l'istituto della autorizzazione sismica in sanatoria non è riconosciuto nel nostro ordinamento. In particolare va osservato che l'art. 94 del D.P.R. n. 380 del 2001 persegue il fine di eseguire una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico ed è espressione di un principio fondamentale in materia di governo del territorio.” (Cons. Stato, Sez. VI, sent., (data ud. 06/11/2024) 20/11/2024, n. 9355).
A fronte di una così grave ed incontestata violazione di norme riferite alla tutela dell’incolumità pubblica in quanto riferite alla stabilità degli edifici alla corretta applicazione delle tecniche di costruzione, derivante dall’assenza di un (necessariamente) preventivo parere di regolarità sismica delle opere è evidente l’irrilevanza della lamentata lesione dei diritti di partecipazione procedimentale della società ricorrente, dal momento che ogni ipotetico apporto di quest’ultima, in caso di presentazione di osservazioni, non avrebbe potuto comunque ovviare al difetto di un requisito non “ recuperabile”, come detto, in via postuma.
D’altra parte, come anticipato, non può ritenersi decisivo che il diniego di autorizzazione da parte del Genio civile sia stato espresso senza un preventivo autonomo accertamento da parte dello stesso ufficio, dal momento che, per quanto appena evidenziato, non rileva l’accertamento dell’effettiva consistenza delle opere, ma il difetto, in sé, del preventivo atto autorizzativo da parte dell’Amministrazione preposta alla tutela e all’osservanza della normativa sismica.
Per tutte le predette ragioni, in conclusione, tanto il ricorso principale che il ricorso per motivi aggiunti devono esser rigettati.
La peculiarità della controversia giustifica, in via eccezionale, la compensazione delle spese di causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, rigetta sia il ricorso principale che quello per motivi aggiunti.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento della denominazione della parte ricorrente.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Agnese Anna Barone, Presidente
Giuseppina Alessandra Sidoti, Consigliere
Salvatore Accolla, Primo Referendario, Estensore