Sismica. La Corte Costituzionale ha perso la pazienza
(Commento alla sentenza n. 300 del 2/12/2013 della Corte Costituzionale, depositata il 11/12/2013)

di Massimo GRISANTI

E alla fine anche la Corte Costituzionale perse la pazienza con le Regioni (n.d.r. il vero ente inutile da sopprimere).

 

E’ stata appena depositata nella cancelleria della Consulta la sentenza n. 300/2013 che ha dichiarato incostituzionale l’art. 171 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012, che introduce una nuova lettera c-bis) all’art. 3, comma 3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 11 agosto 2009, n. 16 (Norme per la costruzione in zona sismica e per la tutela fisica del territorio), in base alla quale, in riferimento agli interventi edilizi in zona sismica, spetta ad un regolamento regionale individuare «gli interventi che per la loro limitata importanza statica sono esentati dagli adempimenti di cui agli articoli 65 e 93 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001».

 

Il Giudice delle Leggi ha sentenziato:

“(…) Occorre anzitutto premettere che questa Corte ha già chiarito, anche di recente (sentenze n. 101 del 2013 e n. 201 del 2012), che la disciplina degli interventi edilizi in zona sismica attiene alla materia della «protezione civile», di competenza concorrente, e non, come afferma la difesa regionale, a quella dell’«urbanistica» (di potestà primaria secondo lo statuto regionale), per la sua attinenza anche a profili di incolumità pubblica. Tale inquadramento – ha aggiunto la Corte nella citata pronunzia n. 101 del 2013 – «recentemente ribadito nella sentenza n. 64 del 2013, era peraltro già stato affermato nelle sentenze n. 254 del 2010 e n. 248 del 2009, in riferimento alla illegittimità di deroghe regionali alla normativa statale per l’edilizia in zone sismiche, ed in relazione al titolo competenziale di tale normativa: la Corte ha ritenuto che essa rientri nell’ambito del governo del territorio, nonché nella materia della protezione civile, per i profili concernenti “la tutela dell’incolumità pubblica” (sentenza n. 254 del 2010)».

Così chiarito l’ambito competenziale entro il quale deve essere esaminata la questione sottoposta all’esame della Corte, occorre ancora rilevare che la categoria degli “interventi di limitata importanza statica”, a cui fa riferimento la disposizione regionale impugnata, non è conosciuta dalla normativa statale: non se ne fa menzione nel citato d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), che pure, all’art. 3, è attento a classificare i diversi interventi edilizi all’interno di una specifica tassonomia; né la categoria utilizzata dal legislatore regionale è reperibile nella normativa tecnica, contenuta nel decreto del Ministro delle infrastrutture 14 gennaio 2008 (Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni). Dunque, già sotto questo profilo la legislazione regionale si discosta illegittimamente dalla normativa statale rilevante, perché introduce una categoria di interventi edilizi ignota alla legislazione statale.

In ogni caso, il vizio di illegittimità costituzionale si palesa alla luce della risolutiva considerazione che la disposizione impugnata si pone in contrasto con il principio fondamentale che orienta tutta la legislazione statale, che esige una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico. Infatti, con specifico riferimento al d.P.R. n. 380 del 2001, invocato quale parametro interposto nel presente giudizio, la Corte, nella sentenza n. 182 del 2006, ha affermato che l’«intento unificatore della legislazione statale è palesemente orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che trascende anche l’ambito della disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui ugualmente compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali». Analogo principio è ribadito nella recente sentenza n. 101 del 2013.

Pertanto, benché apparentemente l’impugnato art. 171 introduca una deroga soltanto in relazione a due specifiche previsioni della normativa statale [gli artt. 65 (R) e 93 (R) del d.P.R. n. 380 del 2001], in realtà la sua portata è più radicale e finisce per incidere, compromettendolo, sul principio fondamentale della necessaria vigilanza sugli interventi edilizi in zone sismiche. In ragione di ciò è irrilevante che l’impugnato art. 171 disponga che gli interventi edilizi «di limitata importanza statica» siano esenti soltanto dagli adempimenti di cui agli artt. 65 e 93 del d.P.R. n. 380 del 2001. Il suo effetto sostanziale, infatti, va oltre la deroga ai suddetti artt. 65 e 93 e consiste, piuttosto, nel sottrarre tali interventi edilizi «di limitata importanza statica» ad ogni forma di vigilanza pubblica. Infatti, i citati artt. 65 e 93 prescrivono gli obblighi minimi di segnalazione allo sportello unico, cosicché il legislatore regionale, esentando alcuni tipi di interventi edilizi dall’assolvimento di tali obblighi minimi, in realtà li esenta da qualsivoglia obbligo. La disposizione regionale impugnata consente, dunque, che determinati interventi edilizi in zona sismica siano effettuati senza che la pubblica autorità ne sia portata a conoscenza, precludendo a quest’ultima, a fortiori, qualunque forma di vigilanza su di essi.

Vale la pena ricordare che recentemente l’art. 3, comma 6, del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2012, n. 122, ha consentito – in relazione alle ricostruzioni e riparazioni delle abitazioni private – una deroga esplicita ad una serie di disposizioni, fra le quali gli artt. 93 e 94 del d.P.R. n. 380 del 2001. Tale deroga però, come ha rimarcato questa Corte nella sentenza n. 64 del 2013, è attuata, «non senza significato, proprio con disposizione statale, a conferma della necessità di quell’intervento unificatore più volte richiamato dalla giurisprudenza di questa Corte».”.

 

Poiché errare è umano e persevarare e diabolico e destabilizzante – poiché grazie a numerose disposizioni regionali, finanche quelle dell’apripista della Regione Toscana (regolamento n. 36/R approvato con D.P.G.R. del 9 luglio 2009), sono state poste in essere sul territorio numerose costruzioni la cui sicurezza è sconosciuta e quindi costituenti pericolo per la pubblica incolumità – è giunta l’ora che i Procuratori della Repubblica dei capoluoghi di regione inizino ad indagare coloro i quali – di livello politico – abusando oltremodo, con evidente atteggiamento di superiorità indice di impunità divina o castale, del potere legislativo e regolamentare loro attribuito dalla Costituzione hanno finito per permettere la messa in pericolo dei Cittadini e dei beni innanzi ai fattori di rischio connessi con l’utilizzazione del territorio.

 

Come detto già in altre occasioni, il pesce puzza dalla testa: ma non solo il pesce politico, ma anche quello giudiziario (che spesso e volentieri vive in simbiosi con l’altro).

 

 

Scritto il 11 dicembre 2013