Il decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69 e s.m.i. cosiddetto Salva Casa
(Secondo scritto di approfondimento)
di Massimo GRISANTI
Segue il primo scritto d’approfondimento pubblicato su Lexambiente il 12 agosto 2024, Sulle modificazioni all’art. 2-bis (Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati) del Testo unico dell’edilizia.
In questo secondo vengono analizzate le modificazioni all’art. 6 t.u.e.
2. Sulle modificazioni all’art. 6 (Attività edilizia libera) del Testo unico dell’edilizia.
2.1. Osservo che in virtù del combinato disposto dell’art. 2, comma 4 – a mente del quale “I comuni, nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, disciplinano l’attività edilizia” – e dell’art. 6, primo comma, del t.u.e. – a mente del quale “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali …” – gli interventi elencati nell’art. 6 t.u.e. sono esenti dal titolo abilitativo edilizio solo tendenzialmente, perché il legislatore ha ammesso che attraverso gli strumenti urbanistici – tra cui rientra il regolamento edilizio, giusto quanto statuito dal Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza n. 8358/2023 – i comuni possono richiedere il titolo abilitativo quale forma di controllo ex ante sull’attività edilizia.
Infatti, attraverso l’inciso “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali” – prescrizione tutte, nessuna esclusa, quindi non solo tecnico-costruttive, ma anche procedurali – il legislatore ha previsto un’eccezione al principio fondamentale della libertà di taluni interventi dai controlli preventivi – anch’essa eccezione è ovviamente norma di principio – che abilita i comuni, in esercizio del potere regolamentare ex art. 7 d.lgs. 267/2000, a introdurre il titolo abilitativo. Ovviamente, al fine di non incorrere in abuso di potere e nel rispetto della storica esenzione degli interventi di manutenzione ordinaria, l’abilitazione deve essere utilizzata cum grano salis circoscrivendo la facoltà a specifici ambiti territoriali meritevoli di tutela anticipata per i valori che esprimono (a titolo esemplificativo: patrimonio culturale, assetto idrogeologico, sicurezza idraulica).
2.2. Ciò premesso, la realizzazione e installazione di vetrate panoramiche – in questi giorni siamo tempestati da spot pubblicitari che reclamizzano le VEPA installabili e mantenibili durevolmente senza permessi, delle vere e proprie istigazione alla commissione di abusi edilizi – possono riguardare solo balconi, logge e porticati esistenti. Mai possono costituire esse stesse un nuovo corpo di fabbrica.
Possono svolgere solo temporaneamente le funzioni di protezione dagli agenti atmosferici – quindi la presenza non può eccedere 180 giorni l’anno, compresi i tempi di (ripetuto) montaggio e smontaggio, diversamente il manufatto non ha più quella connotazione di precarietà per soddisfare esigenze contingenti e temporanee che eccezionalmente consente di derogare all’obbligo di munirsi di permesso di costruire – e mai possono totalmente impermeabilizzare i balconi perché non possono essere dirette a realizzare nuove strutture dotate di copertura.
Ma contraddittoriamente queste strutture «devono» favorire una naturale microareazione ed assicurare un costante flusso di arieggiamento per garantire la salubrità dei vani interni domestici. Invero, è lapalissiano che un aggiunto elemento di chiusura peggiora l’arieggiamento precedente.
Per non dire che i vani domestici dotati di aperture che affacciano solo nelle logge già non rispondono ai requisiti igienico sanitari fissati dall’art. 5 del decreto 5 luglio 1975 del Ministro per la sanità, visto che non godono di diretta areazione e illuminazione, e dovrebbero essere dichiarati insalubri da funzionari irreprensibili che tengono alla salute pubblica.
Si consideri che il locale che gode di illuminazione e areazione diretta è solo quello attinto dai raggi solari e affaccia verso l’esterno (v. TAR Toscana, sez. III, n. 1522/2022), giammai quello che beneficia di meri residui di luce diffusi attraverso loggiati o porticati (che «ambiente esterno» invero non sono, bensì parti della costruzione).
2.3. In particolare, un aspetto che sempre deve essere valutato è quello che l’installazione delle tende a pergola, in specie quelle bioclimatiche, non può incidere sulle condizioni igienico sanitarie dei locali di abitazione determinando, come detto in precedenza, la riduzione del loro fattore luce diurna medio a valori inferiori al 2%, prescritto dall’art. 5 del decreto 5 luglio 1975 del Ministro per la sanità. Si noti bene, il rapporto di 1/8 tra la superficie finestrata e quella del pavimento del locale attiene all’areazione del locale, giammai all’illuminazione.
Infatti, tra gli espressi presupposti della libera esecuzione degli interventi vi è quello del rispetto delle norme igienico sanitarie incidenti sull’attività edilizia.
Si consideri che il «fattore luce diurna medio», assorbito dal fuorviante 1/8, perdura ad essere considerato uno standard alieno alla progettazione e alle verifiche di conformità igienico-edilizia, in ispecie ai fini dell’attestazione di agibilità, nonostante che sia stato prescritto nell’edificazione e nel riutilizzo del patrimonio esistente già con le istruzioni rese con la circolare n. 3151 del 22 maggio 1967 del Ministero dei lavori pubblici.
Per primi i funzionari comunali non riescono a comprendere come il corretto livello di illuminazione diurna dei vani di abitazione ritarda l’insorgenza di problemi o la perdita della vista e influisce sull’umore: in definitiva, sul benessere psico-fisico degli alloggiati. E neppure comprendono, i pubblici ufficiali, e sono tali anche i liberi professionisti asseveranti, che possono incorrere in richieste di risarcimento danni per non aver rilevato, con colpa grave, l’inesistenza di tale standard igienico sanitario per ben due volte: al momento dell’esame del progetto e al momento dell’esame della segnalazione certificata di agibilità.
Cosicché è impensabile che sia eseguibile sine titulo l’installazione di tende a pergola che sormontino finestre di locali principali di abitazione, oppure a loro addossate, senza aver comprovato – a mezzo di apposite verifiche scientifiche che prendono in considerazione l’esposizione cardinale, le dimensioni e la conformazione del locale di abitazione, le cromaticità dei relativi pavimenti e pareti ecc. – che l’innovazione non determini la perdita dei requisiti di agibilità di detti locali. Si ricorda che questi, in ogni tempo, possono essere dichiarati inagibili in esercizio del potere di vigilanza sanitaria ex art. 222 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, con conseguente adozione dell’ordinanza di sgombero.