Corte Costituzionale sent. 275 del 3 dicembre 2012

Oggetto: Energia - Norme sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti energetiche rinnovabili, attuative di direttiva europea - Procedure relative alla autorizzazione per la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili - Disposizioni su autorizzazione unica, procedura abilitativa semplificata e comunicazione - Ritenuta riferibilità alla Provincia autonoma, nonostante la clausola di salvaguardia - Lamentata incidenza in ambiti di competenza primaria provinciale quali, in particolare, l'urbanistica e il paesaggio, o, in subordine, lamentata natura di dettaglio delle norme statali - Lamentata applicazione alla Provincia di atti normativi sub legislativi, quali linee guida e decreti ministeriali, in materie di competenza provinciale primaria o concorrente; Istruzione - Norme sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti energetiche rinnovabili, attuative di direttiva europea - Sistemi di qualificazione degli installatori - Obbligo di attivazione di un programma di formazione per gli installatori di impianti di fonti rinnovabili, nonché previsione di un potere sostitutivo dell'Enea - Ritenuta riferibilità alla Provincia autonoma, nonostante la clausola di salvaguardia - Lamentata incidenza in ambito di competenza primaria provinciale quale la formazione professionale, o, in subordine, lamentata natura di dettaglio delle norme statali.

Dispositivo: non fondatezza

SENTENZA N. 275

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 5, 6, e 15, commi 3 e 4, primo periodo, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso notificato il 27 maggio 2011, depositato in cancelleria il 31 maggio 2011 ed iscritto al n. 52 del registro ricorsi 2011.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 7 novembre 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso notificato il 27 maggio 2011 e depositato il successivo 31 maggio, la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro-tempore, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, 6, commi 9 e 11, nonché degli artt. 5 e 6 nel loro complesso, e dell’art. 15, commi 3 e 4, primo periodo, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), per violazione: a) dell’art. 4, n. 3), dell’art. 8, numeri 1), 3), 4), 5), 6), 13), 16), 17), 19), 21), 22), 24) e 29), dell’art. 9, numeri 9) e 10), dell’art. 16, degli artt. 80, comma 1, e 81, comma 2, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); b) del d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione); c) del d.P.R. 1° novembre 1973, n. 690 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige concernenti tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare); d) del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche); e) del d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di energia); f) del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e di Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616); g) dell’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); h) nonché – limitatamente agli artt. 5 e 6 del decreto legislativo n. 28 del 2011 – dell’art. 117, terzo e quinto comma, della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione).

1.1.— La ricorrente premette di essere titolare di potestà legislativa primaria in materia di «urbanistica» e di «tutela del paesaggio», ai sensi dell’art. 8, numeri 5) e 6), dello statuto speciale di autonomia, ed osserva come, già prima della modifica del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, l’art. 01 del d.P.R. n. 235 del 1977 (aggiunto dal decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica») avesse trasferito alle Province autonome le funzioni esercitate dallo Stato, concernenti le attività di ricerca, produzione, stoccaggio, conservazione, trasporto e distribuzione di qualunque forma di energia. In conseguenza di tale trasferimento, il medesimo d.P.R. n. 235 del 1977 ha disposto, all’art. 15, che «non si applicano nel territorio delle province di Trento e di Bolzano le disposizioni di legge incompatibili con quanto disposto nel presente decreto».

Il riconoscimento della competenza delle Province autonome in materia di realizzazione degli impianti di produzione di energia, attuato con circa due decenni di anticipo rispetto alla riforma costituzionale del 2001, sarebbe fondato, oltre che sulla già richiamata potestà legislativa primaria in materia di urbanistica e di tutela del paesaggio, sulla potestà concorrente in materia di utilizzazione delle acque pubbliche e di igiene e sanità. Vengono pertanto in rilievo, sempre secondo la ricorrente, le ulteriori norme di attuazione dello statuto speciale di autonomia, contenute in particolare nel d.P.R. n. 381 del 1974, avente ad oggetto la materia dell’urbanistica e delle opere pubbliche; nel d.P.R. n. 115 del 1973, riguardante il trasferimento alle Province autonome dei beni demaniali dello Stato e della Regione; nel d.P.R. n. 690 del 1973, in tema di tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare.

È infine richiamato l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, che regola in generale il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, escludendo sia l’applicabilità diretta delle norme legislative statali nelle materie di competenza primaria della Provincia autonoma, sia l’intervento, nelle stesse materie, di atti di normazione statale sub-primaria.

1.2.— Ancora in premessa, la ricorrente segnala i provvedimenti normativi emanati in sede provinciale per disciplinare la realizzazione degli impianti di energia, evidenziando in particolare che, nelle materie di competenza primaria, in coerenza con la clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 19 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), essa ha già dato attuazione all’art. 6 della direttiva 2001/77/CE, con l’art. 29 della legge provinciale 29 dicembre 2005, n. 20 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2006 e pluriennale 2006-2008 della Provincia autonoma di Trento), che ha introdotto l’art. 1-bis 3 nella legge provinciale 6 marzo 1998, n. 4 (Disposizioni per l’attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1977, n. 235. Istituzione dell’azienda speciale provinciale per l’energia, disciplina dell’utilizzo dell’energia elettrica spettante alla Provincia ai sensi dell’articolo 13 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, criteri per la redazione del piano della distribuzione e modificazioni alle leggi provinciali 15 dicembre 1980, n. 38 e 13 luglio 1995, n. 7).

Il predetto art. 1-bis 3 definisce le procedure amministrative applicabili alla realizzazione degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

1.3.— Con riferimento ai parametri costituzionali evocati, la difesa provinciale osserva come il novellato art. 117, terzo comma, Cost. abbia attribuito alle Regioni ordinarie competenza legislativa concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», con l’effetto di ampliare l’autonomia spettante alla Provincia autonoma in detta materia, in applicazione dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 (è richiamata la sentenza n. 383 del 2005 della Corte costituzionale).

Più di recente, con la sentenza n. 165 del 2011, la Corte costituzionale ha precisato che, in materia di energia, la Provincia autonoma può rivendicare una competenza legislativa concorrente identica a quella delle Regioni ordinarie, nonché, in applicazione dei principi posti dall’art. 118 Cost., una competenza amministrativa più ampia rispetto a quella ad essa spettante sulla base del d.P.R. n. 235 del 1977.

Ciò posto, la realizzazione degli impianti di produzione di energia presenta evidenti connessioni con le materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio, non risolvibili nella prospettiva dell’assorbimento nella materia dell’energia, trattandosi di ambiti materiali di competenza primaria della Provincia autonoma. Tale conclusione troverebbe conferma nella clausola di salvaguardia, inserita nell’art. 45 del d.lgs. n. 28 del 2011, il quale, al pari dell’art. 19 del d.lgs. n. 387 del 2003, tutela l’autonomia statutaria. Ai fini della localizzazione e della realizzazione degli impianti di produzione di energia anche da fonti rinnovabili, risultano pertanto rilevanti le competenze materiali attribuite dagli statuti speciali di autonomia.

1.4.— Dopo aver sottolineato che le disposizioni del d.lgs. n. 28 del 2011, nella parte in cui includono espressamente le Province autonome, contraddicono la clausola di salvaguardia e il sistema di tutela delle autonomie ad essa sotteso, la ricorrente procede all’esame degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, che disciplinano rispettivamente l’«autorizzazione unica» e la «procedura abilitativa semplificata e comunicazione per gli impianti da energia rinnovabile».

1.4.1.— L’art. 5, comma 1, dispone che «fatto salvo quanto previsto dagli articoli 6 e 7, la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti, nonché le modifiche sostanziali degli impianti stessi, sono soggetti all’autorizzazione unica di cui all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 come modificato dal presente articolo, secondo le modalità procedimentali e le condizioni previste dallo stesso decreto legislativo n. 387 del 2003 e dalle linee guida adottate ai sensi del comma 10 del medesimo articolo 12, nonché dalle relative disposizioni delle Regioni e delle Province autonome».

Quest’ultimo riferimento alle autonomie speciali, secondo la ricorrente, implicherebbe che il comma 1 dell’art. 5 trovi applicazione nei confronti della Provincia di Trento, sul presupposto che ad essa siano applicabili anche il d.lgs. n. 387 del 2003 e le disposizioni contenute nel decreto 10 settembre 2010 del Ministro dello sviluppo economico – di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attività culturali – recante «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili».

In proposito, la difesa provinciale rammenta di aver impugnato le citate linee guida, proponendo conflitto di attribuzioni, e che il relativo giudizio risulta ancora pendente davanti alla Corte costituzionale.

1.4.2.— L’art. 6, comma 1, dispone a sua volta che «per l’attività di costruzione ed esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili di cui ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida […] si applica la procedura abilitativa semplificata di cui ai commi seguenti». Al comma 9 dello stesso art. 6 è stabilito che «le Regioni e le Province autonome possono estendere la soglia di applicazione della procedura di cui al comma 1 agli impianti di potenza nominale fino a 1 MW elettrico, definendo altresì i casi in cui, essendo previste autorizzazioni ambientali e paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse dal Comune, la realizzazione e l’esercizio dell’impianto e delle opere connesse sono assoggettate all’autorizzazione unica di cui all’articolo 5». Il medesimo comma 9 dispone, inoltre, che «le Regioni e le Province autonome stabiliscono […] le modalità e gli strumenti con i quali i Comuni trasmettono alle stesse Regioni e Province autonome le informazioni sui titoli abilitativi rilasciati».

Il comma 11 dell’art. 6 aggiunge che «la comunicazione relativa alle attività in edilizia libera, di cui ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida […] continua ad applicarsi, alle stesse condizioni e modalità, agli impianti ivi previsti», e che «le Regioni e le Province autonome possono estendere il regime della comunicazione di cui al precedente periodo ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 kw, nonché agli impianti fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche».

A parere della ricorrente, il richiamo alle Province autonome contenuto nei commi 9 e 11 dell’art. 6 presuppone la diretta applicabilità alle stesse dell’intero art. 6 e delle linee guida approvate con d.m. 10 settembre 2010.

1.4.3.— La difesa provinciale esamina, infine, l’art. 15 del d.lgs. n. 28 del 2011, che introduce la disciplina dei «sistemi di qualificazione degli installatori», prevedendo, al comma 3, che «entro il 31 dicembre 2012, le Regioni e le Province autonome, nel rispetto dell’allegato 4, attivano un programma di formazione per gli installatori di impianti a fonti rinnovabili o procedono al riconoscimento di fornitori di formazione, dandone comunicazione al Ministero dello sviluppo economico, al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare». Il comma 4 dello stesso art. 15 aggiunge che «allo scopo di favorire la coerenza con i criteri di cui all’allegato 4 e l’omogeneità a livello nazionale, ovvero nel caso in cui le Regioni e le Province autonome non provvedano entro il 31 dicembre 2012, l’ENEA mette a disposizione programmi di formazione per il rilascio dell’attestato di formazione».

1.5.— La ricorrente sottolinea che l’impugnazione riguarda, in via principale, gli artt. 5, comma 1, e 6, commi 9 e 11, nella parte in cui menzionano la Provincia autonoma di Trento, nonché gli altri commi dei medesimi artt. 5 e 6, se ed in quanto riferibili alla Provincia autonoma, per effetto dei richiami suddetti.

In subordine, sul presupposto che la materia così disciplinata sia quella di «produzione, trasporto e distribuzionale nazionale dell’energia», le disposizioni statali sono impugnate nella parte in cui vincolano la Provincia autonoma al rispetto di regole che non costituiscono principi fondamentali.

Sono quindi illustrate le ragioni per cui la ricorrente ritiene le disposizioni impugnate lesive delle proprie competenze statutarie.

1.5.1.— Avuto riguardo al contenuto degli artt. 5 e 6, la difesa provinciale osserva come le procedure che regolano la messa in opera di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili abbiano lo scopo di assicurare che tale realizzazione non avvenga con il sacrificio di altri valori, legati al governo del territorio e, in particolare, alla tutela del paesaggio. Pur sembrando paradossale, gli impianti in oggetto, per il loro carattere necessariamente diffuso sul territorio, ne mettono a rischio i valori in misura maggiore rispetto agli impianti tradizionali di produzione di energia, «suscettibili di essere concentrati in un unico punto opportunamente scelto».

È vero dunque, prosegue la difesa provinciale, che l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto di produzione di energia non implica solo valutazioni che attengono al fabbisogno di energia, comportando la necessaria considerazione degli interessi pubblici connessi allo sviluppo del territorio e alla tutela paesaggistica, ritenuti particolarmente «sensibili» nella Provincia di Trento. Il procedimento autorizzativo costituisce, pertanto, la sede propria della verifica di compatibilità tra il bisogno di produzione di energia ed i fondamentali valori legati al territorio, che lo statuto speciale affida primariamente alla Provincia. Diversamente ragionando, rimarrebbe oscuro il significato delle clausole di salvaguardia che il legislatore statale ha dettato negli artt. 19 del d.lgs. n. 387 del 2003 e 45 del d.lgs. n. 28 del 2011.

In questa prospettiva, risulterebbero costituzionalmente illegittimi gli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 in quanto assoggettano la Provincia autonoma alle norme in essi contenute, a quelle dettate dal d.lgs. n. 387 del 2003 e alle linee guida approvate con d.m. 10 settembre 2010. Né varrebbe richiamare, in senso contrario, la giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto natura di principio fondamentale all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, posto che detto principio non è destinato a vincolare la Provincia autonoma nelle materie di potestà legislativa primaria, e la Provincia ha già provveduto a dare attuazione all’art. 6 della direttiva 2001/77/CE, con la legge provinciale n. 20 del 2005.

In ogni caso, se anche si ritenesse che la disciplina impugnata sia riconducibile alla materia della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, ugualmente, a parere della ricorrente, le norme impugnate sarebbero illegittime nella parte in cui vincolano la Provincia autonoma, in quanto nelle materie di competenza concorrente il legislatore statale non può emanare norme di dettaglio, né norme di rango sub-primario, né, infine, stante la clausola di salvaguardia, norme direttamente applicabili alla suddetta Provincia.

1.5.2.— La difesa provinciale evidenzia come l’art. 5, comma 1, e l’art. 6, commi 9 e 11, implichino l’applicabilità alla Provincia autonoma di norme dettagliate: la prima delle disposizioni indicate, infatti, richiama le «modalità procedimentali» e le «condizioni» fissate nelle linee guida approvate con d.m. 10 settembre 2010, e l’art. 6, a sua volta, richiama i paragrafi 11 e 12 delle linee guida.

Presenterebbero infatti contenuto di dettaglio, oltre alle linee guida citate, sia la norma transitoria dettata dall’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, sia le norme introdotte dall’art. 6, commi da 2 a 11, del medesimo decreto legislativo, sia, infine, il decreto ministeriale, non ancora emanato, previsto dall’art. 5, comma 3. Nondimeno, per effetto dei richiami contenuti negli impugnati artt. 5, comma 1, e 6, commi 9 e 11, del d.lgs. n. 28 del 2011, tutte le indicate disposizioni risulterebbero applicabili alla Provincia autonoma.

Considerazioni analoghe varrebbero per le norme contenute nell’art. 6, comma 9, secondo e terzo periodo, del d.lgs. n. 28 del 2011.

La prima disposizione interferirebbe nei rapporti tra la Provincia autonoma di Trento e i Comuni in materia di urbanistica, e la seconda sarebbe lesiva delle competenze provinciali in materia di finanza locale e nelle numerose altre materie sulle quali incide il procedimento di autorizzazione alla costruzione ed esercizio degli impianti.

Pertanto, gli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 violerebbero, in primis, le norme statutarie richiamate in epigrafe, in particolare l’art. 8, n. 5) e n. 6), dello statuto speciale di autonomia, e in subordine l’art. 117, terzo comma, Cost., che attribuisce alla competenza legislativa concorrente la materia dell’energia.

Le disposizioni impugnate si porrebbero in contrasto anche con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, in quanto introducono o richiamano norme a vario titolo non direttamente applicabili alla Provincia autonoma, e ciò anche nell’ipotesi, prospettata in via subordinata, in cui si neghi che le materie di riferimento siano l’urbanistica e la tutela del paesaggio, assumendosi la «prevalenza» della materia «energia» di potestà legislativa concorrente.

1.5.3.— La Provincia autonoma di Trento osserva come, in relazione al contenuto delle linee guida approvate con il d.m. 10 settembre 2010, risulti ancor più evidente il rilievo preminente delle materie della tutela del paesaggio e dell’urbanistica, atteso l’espresso riferimento, contenuto nell’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, all’inserimento degli impianti nel paesaggio.

Non sarebbe dubitabile, secondo la ricorrente, che l’oggetto delle linee guida attenga prevalentemente alla materia della tutela del paesaggio, di competenza primaria della Provincia autonoma, là dove la natura programmatica degli atti attraverso i quali si procede all’indicazione dei siti non idonei chiama in causa anche la materia dell’urbanistica, pure di competenza primaria statutaria.

La difesa provinciale si sofferma sulla natura normativa, e non di atto di indirizzo, del d.m. 10 settembre 2010 che ha approvato le linee guida, in quanto conterrebbe una disciplina generale, astratta ed innovativa. Allo stesso modo, secondo la ricorrente, deve essere considerato atto normativo il d.m. previsto dall’impugnato art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, giacché con esso saranno introdotte disposizioni integrative della legge, come è confermato dalla disciplina transitoria dettata dall’art. 5. La ricorrente segnala che la Corte costituzionale ha più volte fatto applicazione dei criteri «sostanziali» per identificare la natura degli atti statali (sono citate le recenti sentenze n. 278 e n. 274 del 2010).

L’applicazione alle Province autonome di atti di normazione secondaria, in materie di competenza primaria statutaria, contrasterebbe con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, in base al quale nelle predette materie la stessa legislazione statale non opera direttamente, e la normativa provinciale deve essere adeguata ai principi e alle norme che costituiscono «limiti» ai sensi degli articoli 4 e 5 dello statuto speciale di autonomia. La potestà legislativa della Provincia autonoma può infatti essere condizionata soltanto da atti legislativi statali, come ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 209 del 2009, n. 145 del 2005 e n. 267 del 2003).

Peraltro, osserva la difesa provinciale, «il divieto di regolamenti statali nelle materie regionali» riguarda anche le Regioni ordinarie, e valeva già prima che fosse espressamente previsto ad opera della legge cost. n. 3 del 2001 (è nuovamente richiamata la sentenza n. 267 del 2003).

1.6.— La ricorrente procede quindi ad illustrare le censure prospettate nei confronti dell’art. 15 del d.lgs. n. 28 del 2011.

La norma è impugnata, limitatamente al comma 3 e al comma 4, primo periodo, in quanto sancisce a carico delle Province autonome l’obbligo di attivare un programma di formazione degli installatori di impianti a fonti rinnovabili, o, in alternativa, di riconoscere fornitori di formazione, contraddicendo la clausola di salvaguardia.

La difesa provinciale evidenzia come le citate disposizioni sanciscano, a carico delle Province autonome, un dovere di attivazione di programmi di formazione per gli installatori di impianti a fonti rinnovabili, là dove le stesse Province sono dotate di potestà legislativa primaria in materia di «formazione professionale», ai sensi dell’art. 8, n. 29), dello statuto speciale di autonomia, e richiama le pronunce della Corte costituzionale nelle quali si trova affermato che «in materia di istruzione e formazione professionale, l’art. 117 Cost. non prevede una forma di autonomia più ampia di quella configurata dagli artt. 8 e 9 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige» (sentenze n. 328 del 2010 e n. 213 del 2009).

In particolare, l’art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, in quanto norma direttamente applicabile alla Provincia autonoma in un ambito materiale di competenza primaria provinciale, si porrebbe in contrasto con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.

Ulteriormente la ricorrente osserva come, in considerazione della natura di dettaglio sia della norma statale impugnata, sia dell’Allegato 4 al d.lgs. n. 28 del 2011 – al cui rispetto la stessa norma vincola le Province autonome –, il parametro statutario evocato sarebbe violato anche se non esistesse l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.

Quanto, infine, alla disposizione contenuta nel comma 4, primo periodo, dell’art. 15, la difesa provinciale osserva come detta norma, oltre a ribadire il dovere delle Province autonome di attivare il programma di formazione – ovvero di riconoscere i fornitori di formazione – e di rispettare le previsioni di cui all’Allegato 4, preveda un potere sostitutivo al di fuori dei casi previsti dall’art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987.

Sarebbe pertanto evidente il contrasto delle norme impugnate con l’art. 8, n. 29), dello statuto speciale di autonomia, nonché con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e con l’art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987.

2.— Con atto depositato il 5 luglio 2011 si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato non fondato.

2.1.— Dopo aver riepilogato il contenuto delle censure proposte dalla Provincia autonoma di Trento, la difesa dello Stato rileva in primo luogo l’infondatezza della tesi, prospettata in via principale dalla ricorrente, secondo cui le disposizioni contenute negli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 sarebbero riconducibili alle materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio, entrambe di competenza primaria provinciale.

In realtà, le disposizioni indicate avrebbero modificato ed integrato la disciplina delle autorizzazioni alla realizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, contenuta nell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, e tale norma, secondo una ormai cospicua giurisprudenza costituzionale, sarebbe riconducibile in misura prevalente alla materia di competenza concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (sono richiamate le sentenze n. 107 del 2011, n. 366, n. 332, n. 313, n. 194, n. 168, n. 124 e n. 119 del 2010). A ciò conseguirebbe che anche le disposizioni oggetto del presente scrutinio debbano essere ascritte alla materia “energia”.

2.2.— Ugualmente priva di fondamento, a parere dell’Avvocatura generale dello Stato, sarebbe la tesi prospettata in via subordinata dalla Provincia autonoma di Trento, secondo cui gli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 conterrebbero disposizioni di dettaglio, in violazione dei limiti imposti dall’art. 117, terzo e quinto comma, Cost. alla potestà legislativa statale.

La difesa statale richiama le numerose pronunce della Corte costituzionale nelle quali si trova affermato che all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 va riconosciuta natura di principio fondamentale della materia “energia”, «in quanto tale disposizione risulta ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità, garantendo, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo» (ex plurimis, sentenze n. 124 del 2010, n. 282 del 2009, n. 364 del 2006, n. 383 e n. 336 del 2005).

Le disposizioni di cui agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 presenterebbero anch’esse natura di principio fondamentale, sia nella parte in cui richiamano espressamente l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, sia là dove apportano modifiche ed integrazioni alla disciplina previgente, in ottemperanza alla nuova normativa comunitaria, concorrendo a delineare il sistema complessivo delle autorizzazioni, da applicarsi uniformemente su tutto il territorio nazionale. Né, d’altra parte, sarebbe possibile scindere il contenuto delle norme previgenti e di quelle introdotte con il d.lgs. n. 28 del 2011 in materia di autorizzazione alla realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, «nel falso presupposto che le prime detterebbero disposizioni di principio e le seconde disposizioni di dettaglio».

Gli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2001 sarebbero dunque pienamente legittimi nella parte in cui contengono disposizioni di carattere generale, applicabili anche alle Province autonome, potendosi peraltro dubitare dell’ammissibilità delle censure specificamente rivolte ai commi 9 e 11 dell’art. 6 citato, per carenza di interesse all’impugnazione. Le previsioni ivi contenute risultano, infatti, ampliative della potestà legislativa della ricorrente, in quanto consentono di derogare alle disposizioni di carattere generale dettate dalla normativa statale di riferimento.

2.3.— La difesa dello Stato reputa priva di fondamento anche la censura, prospettata in via subordinata dalla ricorrente, secondo cui l’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2011 sarebbe illegittimo in quanto pretende di vincolare la Provincia autonoma al contenuto delle linee guida, previste dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e approvate con d.m. 10 settembre 2010, nonché alle disposizioni che saranno dettate con il d.m. previsto dal medesimo art. 5, comma 3. In assunto della ricorrente, in entrambi i casi sarebbe violato l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, in quanto si renderebbero applicabili alla Provincia autonoma, in materie di competenza provinciale, disposizioni introdotte con fonti sub-primarie.

La tesi, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, sarebbe basata sull’erroneo presupposto che sia le linee guida, sia il d.m. previsto dal citato art. 5, comma 3, operino in materie riservate alla competenza primaria provinciale, laddove, pur presentando connessioni con i temi della tutela del paesaggio e dell’uso del territorio, la normativa regolamentare indicata sarebbe in prevalenza attinente all’ambito materiale dell’“energia”.

Si tratta, infatti, di disposizioni regolamentari che completano la disciplina dell’approvvigionamento energetico da fonti rinnovabili e «si inseriscono organicamente nel quadro complessivo della relativa materia».

In questa prospettiva, andrebbe esclusa l’evocazione dei parametri statutari e del principio in base al quale l’autonomia provinciale può essere limitata esclusivamente con atti legislativi statali di rango primario.

In ogni caso, ove si ritenesse che le disposizioni contenute nelle citate linee incidano su materie di competenza primaria provinciale, ugualmente la censura prospettata dalla ricorrente non potrebbe essere accolta.

L’Avvocatura generale dello Stato richiama in proposito la procedura d’intesa Stato-Regioni-Province autonome, prevista dall’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, che ha preceduto l’approvazione delle linee guida, evidenziando la partecipazione della ricorrente a tale intesa, come emergerebbe dalla Conferenza dei servizi svoltasi l’8 luglio 2010.

Se tale partecipazione fosse confermata, e dunque con riserva di puntuale verifica, la censura riguardante l’applicazione delle linee guida alla Provincia autonoma di Trento risulterebbe inammissibile in quanto contraria al principio della leale collaborazione (sono richiamate le sentenze n. 367 e n. 162 del 2007 della Corte costituzionale).

Ancora, secondo la difesa statale, l’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2011, nella parte in cui ha previsto che le procedure di autorizzazione sono assoggettate alle modalità procedimentali e alle condizioni indicate nelle linee guida, avrebbe operato una sorta di «legificazione» delle disposizioni ivi contenute, con la conseguenza che verrebbe meno, in radice, la censura avanzata dalla ricorrente sulla illegittimità dei vincoli posti all’autonomia provinciale da atti di normazione secondaria.

E infine, osserva l’Avvocatura generale dello Stato, se anche si ritenesse che la normativa regolamentare già emanata (le linee guida citate) e da emanarsi (il d.m. previsto dall’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011) attenga a materie di competenza primaria della Provincia autonoma ricorrente, non per questo risulterebbe necessaria la declaratoria di illegittimità costituzionale invocata dalla ricorrente. Occorrerebbe infatti tenere conto della clausola di salvaguardia, di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 28 del 2011, e della possibilità di interpretare in modo costituzionalmente orientato la normativa censurata.

Nella specie, si potrebbe ritenere che le disposizioni dettate nelle linee guida, e quelle che saranno introdotte con il d.m. previsto dall’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, non trovino applicazione nei confronti della ricorrente.

2.4.— La difesa statale esamina la censura avanzata dalla Provincia autonoma di Trento nei confronti dell’art. 15, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 28 del 2011, in assunto contenente disposizioni di dettaglio nella materia dell’istruzione professionale, attribuita alla competenza legislativa primaria della stessa Provincia.

Anche in questo caso, a parere dell’Avvocatura generale dello Stato, la ricorrente avrebbe erroneamente individuato l’ambito materiale inciso dalla normativa statale: quest’ultima non riguarderebbe i profili contenutistici e metodologici dell’attività di istruzione, ma atterrebbe alla definizione dei requisiti e dei livelli di qualificazione richiesti per gli installatori di impianti da fonti rinnovabili, in attuazione delle corrispondenti norme comunitarie, e sarebbe finalizzata ad assicurare standard omogenei sul territorio nazionale.

L’attività di istruzione professionale rimarrebbe pertanto affidata alle determinazioni della Provincia autonoma, mentre la normativa statale avrebbe definito i parametri di qualità che devono essere garantiti, al fine di assicurare un adeguato servizio di installazione. L’individuazione dei predetti parametri varrebbe a delimitare i confini esterni dell’attività di istruzione e formazione professionale, e dunque rientrerebbe nella determinazione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, materie entrambe affidate alla competenza esclusiva statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere m) ed n), Cost.

3.— In data 31 gennaio 2012, la Provincia autonoma di Trento ha depositato memoria di replica alle argomentazioni esposte dalla difesa dello Stato.

La difesa provinciale osserva come la decisiva connessione della disciplina autorizzatoria con la tutela del paesaggio risulterebbe confermata dalla sentenza n. 275 del 2011 della Corte costituzionale, che ha annullato le citate linee guida nella parte in cui risultavano lesive della competenza primaria della Provincia autonoma nella indicata materia.

La ricorrente evidenzia poi la genericità e, comunque, l’infondatezza della tesi sostenuta dall’Avvocatura generale dello Stato a proposito della natura di principi fondamentali delle norme statali oggetto dell’odierno scrutinio, ribadendo che tutte le disposizioni «impugnate o richiamate da queste (diverse dall’art. 12 d.lgs. 387/2003)» contengono previsioni di dettaglio, come tali non applicabili alla Provincia autonoma.

In ogni caso, la tesi della difesa statale non potrebbe valere per le linee guida, essendo pacifico che «norme integrative dei principi fondamentali non possono essere dettate da una fonte secondaria», là dove la sentenza n. 275 del 2011 della Corte costituzionale ha qualificato il d.m. 10 settembre 2010 come atto sostanzialmente regolamentare.

Peraltro, la difesa dello Stato avrebbe trascurato completamente la censura prospettata in riferimento all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, continuando anzi ad affermare la «diretta applicabilità» delle disposizioni contenute negli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 anche alla Provincia autonoma di Trento.

3.1.— La ricorrente esamina l’eccezione di inammissibilità, per carenza di interesse, delle censure prospettate in riferimento all’art. 6, commi 9 e 11, del d.lgs. n. 28 del 2011, basata sul rilievo che le citate disposizioni consentirebbero alla Provincia autonoma di introdurre deroghe alla disciplina statale di riferimento.

L’eccezione sarebbe priva di fondamento perché, in realtà, le predette norme consentono alle Regioni e alle Province autonome di «estendere» la disciplina statale semplificata, là dove la Provincia autonoma intende contestare l’applicabilità di quest’ultima nel suo territorio.

In particolare, la ricorrente precisa che la facoltà attribuita dall’art. 6 presuppone l’applicazione alla stessa Provincia della disciplina dettata nei paragrafi 11 e 12 delle linee guida, la cui legittimità è contestata «sia nella prospettiva della competenza primaria provinciale sia, in subordine, nella prospettiva della competenza concorrente, dato il carattere dettagliato di diverse norme contenute nell’art. 6 ed il carattere dettagliato e comunque sub legislativo delle linee guida». Il regime di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 vale infatti, riguardo agli atti regolamentari, anche per le materie di potestà legislativa concorrente.

Quanto alla eccepita inammissibilità della impugnazione delle linee guida per effetto del vincolo derivante dalla partecipazione della Provincia autonoma di Trento alla Conferenza unificata, la difesa provinciale richiama la motivazione con cui la sentenza n. 275 del 2011 della Corte costituzionale ha respinto un’eccezione di identico contenuto.

Non condivisibile risulterebbe anche la tesi secondo cui l’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2011, attraverso il richiamo alle linee guida, avrebbe operato una forma di «legificazione» delle disposizioni ivi contenute. In senso contrario, la difesa provinciale osserva come, per un verso, i rinvii ad altre fonti non possano mutare il rango della fonte richiamata, e, per altro verso, che «attribuire al legislatore (per di più delegato) il potere di “sanare” i regolamenti adottati nelle materie regionali con un semplice rinvio significherebbe consentire l’agevole elusione dell’art. 117, sesto comma, Cost.», con il rischio di estendere tale meccanismo ai casi di regolamenti adottati senza previa intesa, ovvero in materie coperte da riserva assoluta di legge. Del resto, una volta che la Corte costituzionale ha ritenuto, con la sentenza n. 275 del 2011, che le linee guida hanno invaso la potestà primaria provinciale in materia di tutela del paesaggio, la loro «legificazione» non avrebbe fatto altro che trasferire il vizio sulla «legge legificante». Ciò che contraddirebbe, tra l’altro, il principio dell’interpretazione costituzionalmente conforme, poiché condurrebbe ad ulteriori illegittimità costituzionali della normativa in esame.

Priva di fondamento risulterebbe infine la tesi “interpretativa”, avanzata dalla difesa dello Stato, basata sulla valorizzazione della clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 45 del d.lgs. n. 28 del 2011, e ciò in quanto la genericità della predetta clausola la renderebbe inidonea a prevalere sui riferimenti precisi alla Provincia autonoma contenuti nelle disposizioni in esame.

3.2.— Avuto riguardo all’impugnato art. 15, commi 3 e 4, primo periodo, del d.lgs. n. 28 del 2011, la difesa provinciale contesta che le disposizioni ivi contenute siano riconducibili alle norme generali sull’istruzione e sui livelli essenziali delle prestazioni.

Le citate norme non riguarderebbero affatto i requisiti di professionalità degli installatori, mentre prevedono l’attivazione di un programma di formazione professionale, incidendo in tal modo sulla corrispondente materia di competenza primaria provinciale, nel cui ambito materiale lo Stato non può né disporre che l’amministrazione provinciale compia attività in diretta applicazione della legge statale, stante il disposto dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, né imporre al legislatore provinciale di prevedere una specifica attività di formazione. In ragione del titolo competenziale indicato, soltanto il legislatore provinciale potrebbe stabilire le priorità, i tempi e i modi dell’attività pubblica di formazione professionale nel proprio territorio.

In conclusione, la ricorrente osserva come la difesa statale pretenda di far valere, nei confronti della Provincia autonoma di Trento, vincoli derivanti non già dallo statuto di autonomia bensì dalle norme del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in violazione del disposto dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, il quale consente l’applicazione del Titolo V alle autonomie speciali solo in quanto più favorevole rispetto alle norme statutarie.

4.— Con memoria depositata in data 31 gennaio 2012, l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce le difese svolte nell’atto di costituzione ed insiste per il rigetto del ricorso.

4.1.— Gli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 sarebbero riconducibili alla materia dell’“energia”, di competenza concorrente, in quanto costituirebbero la «naturale evoluzione» dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003.

In alternativa, sempre secondo la difesa statale, le predette disposizioni dovrebbero essere ascritte alla materia dei «livelli essenziali delle prestazioni amministrative», in quanto configurano il procedimento, da applicarsi uniformemente su tutto il territorio nazionale, per conseguire l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti di energia da fonti rinnovabili.

La disciplina statale oggetto di impugnazione non riguarderebbe dunque i profili sostanziali dell’impatto ambientale ovvero paesaggistico degli impianti, ma soltanto l’iter procedurale da seguire ai fini dell’autorizzazione, sul presupposto che siano rispettate le normative poste a tutela dell’ambiente e del paesaggio.

4.2.— Quanto all’applicazione delle linee guida alla Provincia autonoma, la difesa statale ribadisce l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione, in ragione della partecipazione della Provincia autonoma di Trento alla Conferenza unificata che ne ha preceduto l’approvazione. Dal verbale della seduta dell’8 luglio 2010 si evincerebbe, infatti, che la ricorrente non intendeva negare l’applicabilità delle linee guida nel suo territorio, avendo semplicemente chiesto che fosse inserita una clausola di salvaguardia delle competenze statutarie in relazione alle disposizioni contenute nei punti 1.2., 17.1. e 17.2.

A conferma di quanto esposto, la difesa statale sottolinea che la sentenza n. 275 del 2011 della Corte costituzionale ha accolto parzialmente il conflitto proposto dalla ricorrente, annullando i punti 1.2. e 17.1. delle linee guida, e facendo salva, per il resto, l’applicazione delle stesse linee guida nei confronti della Provincia autonoma.

L’impugnazione odierna, per la parte in cui riguarda l’applicabilità delle linee guida, risulterebbe dunque inammissibile, perché contraria all’oggetto del precedente conflitto di attribuzioni e al contenuto della sentenza n. 275 del 2011.

Sarebbe comunque evidente, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, l’infondatezza della pretesa della ricorrente di sottrarsi all’applicazione delle linee guida oltre i limiti segnati dalla richiamata sentenza.

4.3.— In riferimento alle censure prospettate nei confronti dell’art. 15, commi 3 e 4, primo periodo, del d.lgs. n. 28 del 2011, la difesa statale ribadisce che le disposizioni ivi contenute sarebbero qualificabili come norme generali sull’istruzione e sui livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, e dunque rientrerebbero nella competenza esclusiva statale prevista dall’art. 117, secondo comma, lettere m) ed n), Cost.

5.— In data 17 ottobre 2012, la difesa provinciale ha depositato ulteriore memoria di replica alle argomentazioni svolte dalla difesa dello Stato.

5.1.— La ricorrente contesta che le disposizioni contenute negli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 siano riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni, giacché tale inquadramento, a fronte della natura prevalentemente amministrativa delle norme dettate dalle Regioni, finirebbe per svuotare di contenuto l’autonomia legislativa regionale. Più specificamente, poi, il parametro indicato risulterebbe inapplicabile alle autonomie speciali, nei casi in cui da esso derivi la compressione delle prerogative statutarie.

A parere della stessa ricorrente, le disposizioni in esame, e le norme da esse richiamate, costituiscono «un insieme complesso di disposizioni, in larga misura dettagliate», tale da non poter essere in alcun modo riconducibile ai livelli essenziali, come sarebbe confermato dall’art. 5, comma 1, il quale rinvia alle «disposizioni delle Regioni», in tal modo smentendo quell’esigenza di assoluta uniformità ex adverso prospettata.

Del resto, la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 natura di principio fondamentale della materia “energia”, senza mai ricondurlo ai livelli essenziali delle prestazioni.

Quanto poi alla presunta neutralità del procedimento autorizzatorio, tale da escluderne l’attinenza con la materia sostanziale, e dunque anche con il profilo della tutela del paesaggio, la ricorrente si limita ad osservare che ogni materia comprende, necessariamente, non solo le norme sostanziali ma anche le relative norme procedurali, e che pertanto il procedimento non può essere considerato materia autonoma (sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 401 del 2007 e n. 465 del 1991).

5.2.— Con riferimento alle linee guida, la difesa provinciale ribadisce che, in sede di Conferenza unificata, la Provincia autonoma di Trento aveva chiesto di inserire la clausola di salvaguardia ed alcuni emendamenti, in quanto si opponeva all’applicazione delle linee guida nel proprio territorio, sicché non si sarebbe verificata alcuna acquiescenza, e difatti la relativa eccezione, già proposta in sede di conflitto, è stata respinta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 275 del 2011.

Nel merito, la pronuncia citata, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa statale, avrebbe individuato nelle sole esigenze generali di produzione minima di energia da fonti rinnovabili, connesse alla tutela dell’ambiente, i limiti entro i quali le linee guida vincolano anche le Province autonome.

Da questa lettura della sentenza n. 275 del 2011 discenderebbe, come conseguenza necessitata, l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2011, che genericamente fa rinvio alle «modalità procedimentali» e alle «condizioni» previste dal d.m. 10 settembre 2010.

5.3.— Con riguardo alla impugnazione dell’art. 15, commi 3 e 4, primo periodo, del d.lgs. n. 28 del 2011, la difesa provinciale rinvia alle argomentazioni esposte nella propria precedente memoria, in assenza di nuove deduzioni da parte dell’Avvocatura generale dello Stato rispetto a quanto già prospettato nell’atto di intervento.

6.— Nell’udienza pubblica del 7 novembre 2012 la difesa provinciale, oltre a ribadire le conclusioni già rassegnate nel ricorso e nelle memorie, ha riferito dell’intervenuta approvazione della legge della Provincia autonoma di Trento 4 ottobre 2012, n. 20 (Legge provinciale sull’energia e attuazione dell’articolo 13 della direttiva 2009/28/CE del 23 aprile 2009 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione della direttiva 2001/77/CE e della direttiva 2003/30/CE), della quale non era stata fatta menzione nell’ultima memoria depositata.


Considerato in diritto

1.— La Provincia autonoma di Trento ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, 6, commi 9 e 11, nonché degli artt. 5 e 6 nel loro complesso, e dell’art. 15, commi 3 e 4, primo periodo, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), per violazione: a) dell’art. 4, n. 3), dell’art. 8, numeri 1), 3), 4), 5), 6), 13), 16), 17), 19), 21), 22), 24) e 29), dell’art. 9, numeri 9) e 10), dell’art. 16, degli artt. 80, comma 1, e 81, comma 2, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); b) del d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione); c) del d.P.R. 1° novembre 1973, n. 690 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige concernenti tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare); d) del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche); e) del d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di energia); f) del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e di Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616); g) dell’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); h) nonché – limitatamente agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 – dell’art. 117, terzo e quinto comma, della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione).

2.— La ricorrente contesta l’applicabilità, nel proprio territorio, degli artt. 5, comma 1, e 6, commi 9 e 11, del d.lgs. n. 28 del 2011, che disciplinano le procedure autorizzative per la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ritenendo che le materie incise da tali disposizioni appartengano alla competenza primaria statutaria. Sono evocati, in particolare, gli artt. 4 e 8, n. 5) e 6) dello statuto speciale di autonomia, che attribuiscono alle Province autonome la potestà legislativa primaria nelle materie dell’urbanistica e piani regolatori e della tutela del paesaggio.

In via subordinata, previo riconoscimento che l’ambito materiale inciso dalla normativa in esame sia quello della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», la ricorrente ritiene gli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 lesivi dell’art. 117, terzo e quinto comma, Cost., in quanto norme di dettaglio, che a loro volta richiamano norme sub-primarie.

L’impugnativa riguarda, dunque, anche le disposizioni richiamate dagli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011. In particolare, la ricorrente contesta l’applicabilità nei suoi confronti del decreto 10 settembre 2010 del Ministro dello sviluppo economico – di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attività culturali – recante «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili».

Oggetto di ricorso è, inoltre, l’art. 15, commi 3 e 4, primo periodo, del d.lgs. n. 28 del 2011, asseritamente lesivo della competenza primaria statutaria della Provincia autonoma in materia di formazione professionale.

3.— Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità proposte dalla difesa dello Stato.

3.1.— Secondo l’Avvocatura generale dello Stato sarebbe inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione dell’art. 6, commi 9 e 11, del d.lgs. n. 28 del 2011, atteso che entrambe le disposizioni attribuiscono alla ricorrente la facoltà di introdurre deroghe alla disciplina configurata nel medesimo art. 6.

L’eccezione è priva di fondamento perché, come risulta chiaramente dal ricorso, la Provincia autonoma contesta l’applicabilità nel proprio territorio dell’intera disciplina statale autorizzatoria, all’interno della quale le disposizioni impugnate consentono, alle Regioni e alle Province autonome, di «estendere» la procedura abilitativa semplificata, ovvero il regime di comunicazione, oltre le soglie fissate dalle norme statali.

Pertanto, oggetto di censura non è il carattere facoltizzante delle norme in esame ma la loro applicabilità anche alle Province autonome.

3.2.— La difesa dello Stato ha inoltre eccepito l’inammissibilità della impugnazione degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, nella parte in cui richiamano le disposizioni contenute nelle linee guida, approvate con il d.m. 10 settembre 2010, che la ricorrente ritiene non possano vincolarla.

Secondo una prima formulazione dell’eccezione, contenuta nell’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, la Provincia autonoma non avrebbe potuto contestare l’applicazione delle linee guida in ragione della sua partecipazione alla Conferenza unificata, che ha espresso parere favorevole all’approvazione delle stesse linee guida.

Analoga eccezione è stata formulata dalla difesa statale nel conflitto promosso dalla Provincia autonoma di Trento, avente ad oggetto alcuni punti delle citate linee guida, deciso da questa Corte con la sentenza n. 275 del 2011, sopravvenuta agli atti introduttivi dell’odierno giudizio.

Nella richiamata pronuncia l’eccezione è stata ritenuta infondata, a prescindere da ogni altra valutazione, in ragione del documentato dissenso espresso dalla Provincia autonoma di Trento, in sede di Conferenza unificata, sulla formulazione del testo normativo successivamente approvato, sicché la Corte ha ritenuto che non si era verificata acquiescenza da parte della ricorrente.

Le suddette considerazioni valgono, all’evidenza, anche nel presente giudizio, dovendosi peraltro rilevare che la difesa statale, nella memoria depositata in data successiva alla pubblicazione della sentenza n. 275 del 2011, ha riformulato l’eccezione, assumendo che l’impugnazione relativa all’applicabilità delle linee guida risulterebbe inammissibile perché «contraria all’oggetto del precedente conflitto di attribuzioni e al contenuto della suddetta sentenza».

Posta in questi termini, l’eccezione perde il carattere preliminare ed introduce il tema della portata della sentenza n. 275 del 2011 nella definizione del rapporto tra le autonomie speciali e la disciplina contenuta nelle linee guida, che attiene ai profili sostanziali del presente scrutinio.

4.— Nel merito, le questioni aventi ad oggetto gli artt. 5, comma 1, e 6, commi 9 e 11, del d.lgs. n. 28 del 2011, sollevate in riferimento all’art. 117, terzo e quinto comma, Cost., non sono fondate.

4.1.— Le disposizioni impugnate sono state emanate in attuazione della direttiva 2009/28/CE (Direttiva 23 aprile 2009 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), in materia di promozione dell’uso di energia da fonti rinnovabili, che ha sostituito la direttiva 2001/77/CE (Direttiva 27 settembre 2001 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), a sua volta attuata con il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità).

In particolare, le disposizioni oggetto del presente giudizio disciplinano le procedure autorizzatorie per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, in attuazione dell’art. 13 della direttiva 2009/28/CE, che prevede procedure amministrative semplificate ed accelerate, e norme in materia di autorizzazione oggettive, trasparenti, proporzionate, non discriminatorie e che tengano conto della specificità di ogni singola tecnologia per le energie rinnovabili.

Va ricordato che la normativa comunitaria promuove, da oltre un decennio, il maggiore ricorso all’energia da fonti rinnovabili, espressamente collegandolo alla necessità di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, e dunque anche al rispetto del protocollo di Kyoto della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in una prospettiva di modifica radicale della politica energetica dell’Unione.

L’impegno comunitario non è soltanto programmatico: la vigente direttiva 2009/28/CE individua la quota di energia da fonti rinnovabili che ciascuno Stato membro deve utilizzare sul totale del proprio consumo energetico fino al 2020 (art. 5).

Il percorso tracciato, a partire dalla direttiva 2001/77/CE (art. 6), ha avuto come prioritario obiettivo la creazione di un mercato interno dell’energia da fonti rinnovabili, e in questa direzione la normativa comunitaria ha richiesto agli Stati membri di dettare regole certe, trasparenti e non discriminatorie, in grado di orientare le scelte degli operatori economici, favorendo gli investimenti nel settore.

In una diversa, non meno importante, direzione, la normativa comunitaria ha richiesto agli Stati membri di semplificare i procedimenti autorizzatori degli impianti di minore capacità generatrice, destinati di regola all’autoconsumo.

4.2.— Nel contesto nazionale, le disposizioni contenute negli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 integrano, con alcune varianti, la disciplina autorizzatoria già introdotta con l’art. 12 del citato d.lgs. n. 387 del 2003 e con le linee guida, approvate con il d.m. 10 settembre 2010.

Si tratta, all’evidenza, di normativa riconducibile alla materia di potestà legislativa concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», in coerenza con la giurisprudenza ormai cospicua di questa Corte in tema di energie rinnovabili (ex plurimis, sentenze n. 224 e n. 99 del 2012, n. 192 del 2011, n. 194, n. 168 e n. 119 del 2010, n. 282 del 2009, n. 364 del 2006), fondata sul criterio funzionale, della individuazione degli interessi pubblici sottesi alla disciplina.

Nella predetta materia, come pure precisato (ex plurimis, sentenze n. 165 del 2011 e n. 383 del 2005), alla Provincia autonoma si deve estendere, in virtù dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, la stessa disciplina dettata dagli artt. 117 e 118 Cost. per le Regioni a statuto ordinario.

Rimangono di conseguenza escluse le competenze statutarie primarie evocate dalla ricorrente – in assunto violate dalla normativa statale in esame – nessuna delle quali risulta strettamente inerente all’energia, trattandosi piuttosto di campi di incidenza indiretta degli interventi nella predetta materia.

Con riferimento in particolare alla tutela del paesaggio, questa Corte, nella sentenza n. 275 del 2011, sopravvenuta all’introduzione dell’odierno giudizio, ha definito il rapporto tra le prerogative statutarie delle Province autonome di Trento e di Bolzano e la disciplina contenuta nelle linee guida, prevista dall’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, riconoscendo che le Province non sono vincolate alla predetta disciplina relativamente ai criteri e alle modalità di individuazione delle aree e dei siti non idonei alla installazione degli impianti di produzione da fonti rinnovabili.

Il conflitto promosso dalla Provincia autonoma di Trento, che aveva ad oggetto alcuni punti delle linee guida, sulle quali la stessa Provincia aveva espresso dissenso in sede di Conferenza unificata, è stato accolto parzialmente, con l’annullamento delle disposizioni impugnate non rispettose dell’indicato profilo di autonomia speciale, viceversa garantito dalla clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 19 del d.lgs. n. 387 del 2003.

A fronte dell’evocazione di numerosi titoli di competenza statutaria da parte della Provincia autonoma ricorrente, questa Corte ha prima rilevato che «il legislatore statale ha avuto cura altresì di inserire nella norma-base la cosiddetta “clausola di salvezza” delle competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome», per poi precisare che «tali competenze, per quanto riguarda la ricorrente, si concretizzano nell’art. 8, numero 6), dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, che attribuisce alla potestà legislativa primaria delle Province la “tutela del paesaggio”».

Nella più recente sentenza n. 224 del 2012, che ha scrutinato una norma della Regione autonoma Sardegna in assunto espressiva della competenza statutaria in materia di tutela del paesaggio, questa Corte ha avuto modo di ritornare sulla delimitazione delle sfere di competenza, affermando che le autonomie speciali dotate di competenza statutaria in materia di tutela del paesaggio possono individuare aree e siti non idonei alla installazione degli impianti al di fuori delle prescrizioni contenute nelle linee guida, ma sempre all’interno dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale nella materia dell’energia. La norma della Regione Sardegna è stata infatti dichiarata illegittima perché impediva l’installazione di impianti eolici nella quasi totalità del territorio regionale, rovesciando il rapporto regola-eccezione tra aree idonee e aree non idonee, in evidente contrasto con il principio, di diretta derivazione comunitaria, della diffusione degli impianti a fini di aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili.

Va evidenziato, peraltro e conclusivamente, che la tutela del paesaggio, la quale si esprime attraverso la individuazione delle aree e dei siti non idonei alla installazione degli impianti, attiene ad una fase che logicamente precede quella autorizzatoria, essendo all’evidenza finalizzata ad offrire agli operatori un quadro di riferimento ed orientamento per la localizzazione dei progetti.

Ne consegue che l’esercizio, da parte delle Regioni speciali e delle Province autonome, della competenza primaria statutaria in materia di tutela del paesaggio non è messo in discussione in alcun modo dalla previsione di procedure autorizzatorie tendenzialmente uniformi sul territorio nazionale.

4.3.— Una volta ricondotte le previsioni di cui agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 alla materia “energia”, si deve ulteriormente osservare che la disciplina autorizzatoria ivi dettata presenta il carattere di normazione di principio e non di dettaglio.

La complessità delle procedure configurate dal legislatore statale costituisce un dato formale non decisivo ai fini della qualificazione delle norme in esame, se si considera che tali procedure e la loro applicazione sull’intero territorio nazionale rivestono un ruolo centrale ai fini della concreta attuazione della nuova politica energetica.

Come sopra evidenziato, le direttive dell’Unione europea richiedono agli Stati membri di introdurre regole procedurali in grado di garantire, da un lato, la creazione di un mercato dell’energia elettrica da inserire in rete, e, dall’altro, l’utilizzo delle fonti alternative per l’autoconsumo. La tendenziale uniformità delle regole in entrambi gli ambiti di applicazione rappresenta una precondizione per il raggiungimento dell’obiettivo finale, quello della diffusione su larga scala del ricorso alle energie rinnovabili, ed è dunque interna alla materia in oggetto.

Non sembrano pertanto conferenti i richiami alla competenza statale esclusiva sulla fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, tanto più che la normativa in esame consente alle Regioni di intervenire sulle procedure autorizzatorie cosiddette semplificate, di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, per estendere la soglia di applicazione della procedura abilitativa semplificata agli impianti di potenza nominale fino a 1 MW elettrico (comma 9), e il regime della comunicazione relativa alle attività di edilizia libera per gli impianti di potenza nominale fino a 50 kW (comma 11).

5.— Le considerazioni che precedono rendono evidente la non fondatezza delle censure prospettate in riferimento agli artt. 5, comma 1, e 6, commi 9 e 11, del d.lgs. n. 28 del 2011, nella parte in cui menzionano le Province autonome, rendendo ad esse applicabile l’intera disciplina contenuta nei citati articoli.

In questa prospettiva, il regime dell’autorizzazione unica, configurato dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, ulteriormente definito nelle linee guida approvate con il d.m. 10 settembre 2010, e modificato dall’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2011, ha valenza estesa all’intero territorio nazionale, senza eccezioni, in quanto funzionale alla creazione di un sistema di regole certe, trasparenti ed uniformi di ingresso degli operatori economici nel settore di riferimento.

L’esigenza di unitarietà e «non frazionabilità» della funzione regolatoria, ai fini della diffusione delle fonti energetiche rinnovabili, è espressamente richiamata, con riferimento alle procedure amministrative, dal Piano nazionale per le energie rinnovabili del 2010, predisposto dal Ministero dello sviluppo in attuazione dell’art. 4 della direttiva 2009/28/CE.

All’interno di questo sistema deve essere collocato il richiamo alle linee guida, oltre che all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, contenuto nell’art. 5 impugnato, a proposito del procedimento di autorizzazione unica.

L’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, rubricato «Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative», ha previsto, al comma 10, l’approvazione, in Conferenza unificata, delle linee guida «per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3», vale a dire del procedimento di autorizzazione unica, che ha visto la sua prima configurazione appunto nel comma 3 del citato art. 12.

Ulteriore compito affidato dalla norma primaria alla sede concertata è stato quello di definire i criteri per l’inserimento degli impianti nel paesaggio, e qui, secondo la giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 308 e n. 275 del 2011), hanno trovato bilanciamento i valori, potenzialmente confliggenti, della produzione di energia con la tutela dell’ambiente e del paesaggio, con modalità rispettose delle diverse competenze in rilievo.

Come già detto, l’inapplicabilità delle linee guida alla Provincia autonoma di Trento è stata riconosciuta in riferimento proprio ed esclusivamente a quest’ultimo profilo della disciplina; quanto, invece, ai profili procedimentali dell’autorizzazione unica, la normativa introdotta dalle linee guida costituisce la necessaria integrazione delle previsioni contenute nell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, raggiunta secondo il meccanismo dell’intesa con le Regioni e le Province autonome, e dunque vincolante su tutto il territorio nazionale.

5.1.— Discorso in parte analogo deve essere svolto con riguardo al comma 3 dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2011.

La disposizione impugnata demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata, l’individuazione, per ciascuna tipologia di impianto e di fonte, degli interventi di modifica sostanziale degli impianti, da assoggettare ad autorizzazione unica, dettando nel contempo una disciplina transitoria.

La ricorrente assume l’inapplicabilità, nei suoi confronti, della normativa futura sulla base del medesimo ragionamento per cui ritiene inapplicabile l’intero d.m. 10 settembre 2010, recante le linee guida, e dunque a prescindere dal contenuto delle disposizioni.

Si deve anche qui ribadire che il significato della clausola di salvaguardia, contenuta nell’art. 45 del d.lgs. n. 28 del 2011, omologo dell’art. 19 del d.lgs. n. 387 del 2003, non può essere invocato se non in presenza di disposizioni che incidano direttamente su ambiti di competenza primaria statutaria della Provincia autonoma, ciò che, peraltro, non è possibile prefigurare fino a quando tale decreto non sarà approvato.

Quanto alla disciplina transitoria, sembra agevole rilevare che essa provvede a completare la disciplina autorizzatoria nella direzione della semplificazione, e dunque concorre a dare attuazione, con il carattere della temporaneità, alla direttiva 2009/28/CE, tenendo fermo il necessario ricorso all’autorizzazione unica per i casi di modifiche qualificate come sostanziali ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

6.— Le considerazioni svolte con riguardo alla non fondatezza delle censure prospettate nei confronti dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2011 si impongono anche in riferimento alla disciplina delle cosiddette procedure semplificate, introdotte dall’art. 6 del medesimo decreto legislativo.

Quest’ultima previsione risulta, se possibile, ancora più strettamente connessa alla direttiva 2009/28/CE, posto che muove nella direzione di una «liberalizzazione» del regime autorizzatorio, espressione del favor verso la diffusione delle energie alternative.

La norma impugnata configura, ai commi da 2 a 8, il regime della procedura abilitativa semplificata (PAS), da applicarsi in luogo della denuncia di inizio di attività (DIA) agli impianti indicati nei paragrafi 11 e 12 delle linee guida, e al comma 9 prevede che le Regioni e le Province autonome possano estendere tale procedura semplificata agli impianti di potenza nominale fino ad 1 MW elettrico.

Le Regioni e le Province autonome possono inoltre stabilire i casi in cui, essendo previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di amministrazioni diverse dai Comuni, gli stessi impianti debbono invece ritenersi assoggettati all’autorizzazione unica, di cui all’art. 5.

Ancora, al comma 11, il legislatore ha stabilito che la procedura di comunicazione relativa alle attività in edilizia libera, anch’essa prevista nei paragrafi 11 e 12 delle linee guida, per gli impianti di minore capacità, possa essere estesa dalle Regioni e dalle Province autonome agli impianti con potenza nominale fino a 50 kW, nonché agli impianti fotovoltaici di qualsiasi potenza da installare sugli edifici, fatta sempre salva la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche.

6.1.— La normativa in esame è espressione della competenza statale in materia di energia, poiché detta il regime abilitativo per gli impianti non assoggettati all’autorizzazione unica, regime da applicarsi in tutto il territorio nazionale.

Il richiamo ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida, peraltro legittimo alla luce di quanto sopra detto, assume qui chiaro valore ricognitivo, giacché consente di individuare le specifiche tipologie di impianti e di fonti da assoggettare alle procedure semplificate, senza arrivare ad affermare che l’art. 6 ha «ratificato le disposizioni delle linee guida» (sentenza n. 192 del 2011).

Di recente questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma regionale che limitava, sul piano soggettivo, il ricorso alla procedura semplificata prevista dall’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, affermando che «il legislatore statale […] attraverso la disciplina delle procedure per l’autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto principi che, per costante giurisprudenza di questa Corte, non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale, in quanto espressione della competenza concorrente in materia di energia» (sentenza n. 99 del 2012).

La citata pronuncia dà atto della giurisprudenza in tal senso formatasi in riferimento al d.lgs. n. 387 del 2003 (ex plurimis, sentenze n. 310, 308 e 107 del 2011; nn. 194, 168, 124, 120 e 119 del 2010; n. 282 del 2009 e n. 364 del 2006), ed alle linee guida, approvate con d.m. 10 settembre 2010 (sentenze n. 308 del 2011 e n. 344 del 2010), e quindi rileva che il medesimo principio giurisprudenziale va riaffermato con riferimento al d.lgs. n. 28 del 2011 ed alle procedure autorizzatorie ivi previste.

7.— Del pari non fondata è la questione avente ad oggetto l’art. 15, commi 3 e 4, primo periodo, del d.lgs. n. 28 del 2011, sollevata in riferimento all’art. 8, n. 29), dello statuto speciale di autonomia ed alle norme di attuazione contenute negli artt. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e 8 del d.P.R. n. 526 del 1987.

7.1.— La normativa impugnata disciplina la formazione professionale degli installatori, in attuazione dell’art. 14 della direttiva 2009/28/CE.

La disposizione dell’Unione europea stabilisce che gli Stati membri debbano assicurare che «entro il 31 dicembre 2012 sistemi di certificazione o sistemi equivalenti di qualificazione siano messi a disposizione degli installatori su piccola scala di caldaie o di stufe a biomassa, di sistemi solari fotovoltaici o termici, di sistemi geotermici poco profondi e di pompe di calore», prevedendo altresì che tali sistemi siano basati sui criteri enunciati nell’allegato IV alla direttiva, e che «ciascuno Stato membro riconosc[a] le certificazioni rilasciate dagli altri Stati membri conformemente ai predetti criteri».

La direttiva esige che sia predisposto un sistema di qualificazione professionale per gli installatori degli impianti sopra indicati, e che tale qualificazione risponda agli standard fissati nella stessa direttiva, all’allegato IV, ai fini del riconoscimento in ambito comunitario.

Il legislatore nazionale, nell’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2011, ha previsto i requisiti tecnico professionali al cui possesso è subordinato il conseguimento della qualifica per l’attività di installazione e manutenzione straordinaria degli impianti indicati dalla direttiva, richiamando l’art. 4 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37 (Regolamento concernente l’attuazione dell’articolo 11-quaterdecies, comma 13, lettera a), della legge n. 248 del 2 dicembre 2005, recante riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli edifici).

Al comma 2 del medesimo art. 15 è previsto che, a decorrere dal 1° agosto 2013, i requisiti indicati dall’art. 4, comma 1, lettera c), del regolamento sopra citato si intendono rispettati a condizione che: a) il titolo di formazione sia rilasciato nel rispetto delle modalità di cui ai successivi commi 3 e 4, e dei criteri di cui all’allegato 4 (che richiama a sua volta l’allegato IV alla direttiva 2009/28/CE), e attesti la qualificazione degli installatori, b) il previo periodo di formazione sia effettuato secondo le modalità individuate nell’allegato 4.

Il comma 3 dell’art. 15, impugnato dalla ricorrente, stabilisce che entro il 31 dicembre 2012 le Regioni e le Province autonome attivino programmi di formazione degli installatori, nel rispetto dell’allegato 4, ovvero procedano al riconoscimento di fornitori di formazione.

Il comma 4 dell’art. 15, impugnato limitatamente al primo periodo, prevede a sua volta che, in caso di mancata attivazione delle Regioni e delle Province autonome nel termine sopra indicato, l’ENEA mette a disposizione programmi di formazione per il rilascio dell’attestato di formazione.

7.2.— Secondo la ricorrente le previsioni contenute nell’art. 15, commi 3 e 4, primo periodo, sarebbero lesive della competenza primaria statutaria in materia di formazione professionale, in quanto, in contrasto con la clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 45 del d.lgs. n. 28 del 2011, il legislatore statale avrebbe previsto a carico della Provincia autonoma l’obbligo di attivare un programma di formazione professionale o, in alternativa, di riconoscere fornitori di formazione, configurando infine un potere sostitutivo, per il caso di inattività della stessa Provincia, al di fuori dello schema delineato dall’art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987.

Le censure non possono essere accolte.

In primo luogo, va riaffermata la competenza statale a definire il profilo professionale degli installatori di impianti e il relativo titolo abilitante (ex plurimis, sentenze n. 328 e n. 138 del 2009, n. 57 del 2007, n. 424 del 2006), atteso il carattere necessariamente unitario di tale definizione, tanto più evidente nei casi, come l’odierno, in cui gli standard professionali sono indicati dalla normativa comunitaria.

La fissazione del termine del 31 dicembre 2012 per l’attivazione dei programmi di formazione è anch’essa di matrice comunitaria, discendendo direttamente dal richiamato art. 14 della direttiva 2009/28/CE, ed è strumentale all’obiettivo della maggiore diffusione dei piccoli impianti alimentati da fonti rinnovabili. La disposizione statale si limita a riproporre il medesimo termine, e dunque non presenta in sé contenuto lesivo dell’autonomia provinciale.

In particolare, l’art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011 risulta rispettoso delle competenze provinciali in materia di formazione professionale, in quanto il legislatore statale ha previsto, in relazione al profilo in oggetto, individuato dalla stessa normativa statale, che siano le Regioni e le Province autonome ad attivare i programmi di formazione.

Quanto all’art. 15, comma 4, del medesimo decreto, la norma ivi contenuta non dà vita ad un intervento sostitutivo, poiché non pretende di sostituire la propria disciplina a quella delle Regioni e delle Province autonome, ma si limita a prevedere che, in caso di inattività da parte di queste ultime, l’ENEA «mett[a] a disposizione programmi di formazione per il rilascio dell’attestato di formazione», al solo scopo di ovviare all’inattività regionale o provinciale. Ciò non impedisce alle stesse Regioni ed alle Province autonome di attivare, anche successivamente alla scadenza del termine, il programma di formazione di cui al comma 3 del censurato art. 15.

Per le ragioni anzidette non si ravvisa nemmeno sul punto la lamentata lesione dell’autonomia provinciale.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5 e 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), promosse dalla Provincia autonoma di Trento, per violazione degli articoli 4, n. 3), 8, numeri 1), 3), 4), 5), 6), 13), 16), 17), 19), 21), 22), 24) e 29), 9, numeri 9) e 10), 16, 80, comma 1, e 81, comma 2, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e delle norme di attuazione dello statuto speciale di cui al d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione), al d.P.R. 1° novembre 1973, n. 690 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige concernenti tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare), al d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), al d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di energia), al d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e di Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616) e all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); nonché dell’art. 117, terzo e quinto comma, della Costituzione;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, commi 3 e 4, primo periodo, del d.lgs. n. 28 del 2011, promosse dalla Provincia autonoma di Trento, per violazione degli artt. 8, n. 29), del d.P.R. n. 670 del 1972, 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e 8 del d.P.R. n. 526 del 1987, con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2012.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2012.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI

 

 

Piazza del Quirinale, 41 00187 Roma
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