Consiglio di Stato Sez. VI n. 5977 del 5 luglio 2024
Urbanistica.Manufatto precario
In base all'articolo 3, comma 1, lettera e.5) del D.P.R. n. 380 del 2001, è qualificabile come nuova costruzione "l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”; il successivo articolo 6, comma 1, lettera e-bis), del medesimo articolato normativo, include, invece, nell'attività edilizia libera “le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all'amministrazione comunale”; da tali previsioni la giurisprudenza ha desunto la nozione di opera precaria, non soggetta a titolo abilitativo; in particolare, si è affermato che: “in ordine ai requisiti che deve avere un'opera edilizia per essere considerata precaria, possono essere ipotizzati in astratto due criteri discretivi: 1) criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo; 2) il criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un'esigenza temporanea. La giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare la natura precaria di un'opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un'opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie”; è pertanto necessario un titolo edilizio per la realizzazione di “tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, […] ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato”; la natura precaria di un manufatto, non può, quindi, essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo; nello stesso senso, è stato chiarito che “la precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera e. 5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante”.
Pubblicato il 05/07/2024
N. 05977/2024REG.PROV.COLL.
N. 08632/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8632 del 2020, proposto da
Angelo Saliola, Mattea Lupano, Angela Saliola, Nicola Saliola e Aldo Saliola in proprio e in qualità di legale rappresentante pro tempore della A.L.D.O. S.r.l., rappresentati e difesi dall’Avvocato Davide Angelucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Roma Capitale, rappresentata e difesa dall’Avvocato Umberto Garofoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
per la riforma:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 00588/2020;
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 09252/2020, rese tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2024 il Cons. Marco Poppi e uditi per le parti gli Avvocati presenti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
In data 30 aprile 2004 il Signor Saliola Angelo, presentava a Roma Capitale un’istanza di sanatoria ai sensi della L. n. 47/1985 riferita ad una pluralità di installazioni metalliche telonate, per una superficie superiore a mq. 145, poste a sevizio dell’officina della quale è contitolare, ubicata all’interno del Parco dell’Appia Antica in area gravata da una pluralità di vincoli.
L’istanza veniva respinta con determinazione dirigenziale notificata il 30 ottobre 2014, impugnata dinanzi al Tar per il Lazio con ricorso iscritto al n. 1225/2015 R.R.
Con successivo ricorso iscritto la n. 11275/2018 R.R. il Signori Saliola Angelo, unitamente ai Signori Lupano Mattea, Saliola Aldo anche in qualità di legale rappresentante della Società A.L.D.O. S.r.l., Saliola Angela e Saliola Nicola (anch’essi qualificatisi come contitolari della medesima officina) impugnavano la determinazione dirigenziale n. 69495 del 21 giugno 2018 con la quale l’amministrazione, a seguito di sopralluoghi, accertava la presenza sulla medesima area delle seguenti opere realizzate in assenza di titolo delle quali disponeva la rimozione:
«1. Manufatto prefabbricato ad uso ufficio con copertura a due falde inclinate in lamiera grecata, dimensioni m 7.35x10.00 – Altezza var. m 3.50/3.70, utile m 2.75. Antistante tettoia in lamiera grecata di m 2.45x1.50x2.50h.
2. Tettoia con struttura tubolare metallica ad arco e copertura in PVC, lateralmente pannelli in policarbonato per una altezza di m 2.10, adibita a ricovero autovetture, dimensioni m 6.60x8.40 – Altezza alla mezzeria m 3.70.
3. Manufatto in lamiera grecata adibito a magazzino, anteriormente tamponato con pannelli coibentati, munito di porta m 0.95x2.20; dimensioni m 3.70х11.80 – Altezza m 3.00 coibentati, munito di porta m 0.95x2.20; dimensioni m 3.70х11.80 – Altezza m 3.00.
4. Tettoia con struttura in profilati metallici adibita a ricovero autovetture, copertura ad una falda inclinata in pannelli coibentati, tamponata sul lato sx e sul retro con pannelli coibentati, dimensioni m 7.10x7.60 – Altezza var. m 2.90/3.25 dimensioni m 7.10x7.60 – Altezza var. m 2.90/3.25 dimensioni m 7.10x7.60 – Altezza var. m 2.90/3.25.
5. Tettoia con struttura in profilati metallici adibita a ricovero autovetture, copertura ad arco ribassato in PVC, retro tamponato con pannelli coibentati, dimensioni m 7.70x13.20 – Altezza var. 2.95/4.20.
6. Tettoia con struttura in profilati metallici adibita a magazzino, copertura ad una falda inclinata in pannelli coibentati, tamponata sul lato dx con lamiera grecata e sul retro con pannelli coibentati, dimensioni m 7.90x9.80 – Altezza var. m 2.80/3.20.
7. Tettoia con struttura in profilati metallici, copertura ad arco ribassato in PVC, tamponata sul retro con bandoni e telo in PVC, separata con pannelli in policarbonato e teli in PVC atti a formare tre ambienti adibiti rispettivamente a magazzino, laboratorio gommista e lavaggio vetture; pavimentazione con plateatico in battuto di cemento esteso per m 1.80 all'esterno; dimensioni complessive m 8.30x18.00 – Altezza var. m 3.50/4.00.
8. Tettoia di ampliamento del locale lavaggio di cui al n. 7, struttura in profilati metallici e copertura in ondulato plastico ad una falda inclinata, dimensioni m 1.65x8.30 – Altezza var. m 2.85/3.45.
9. Manufatto in pannelli coibentati adibito a magazzino, copertura in profilati metallici e telo in PVC, munito di porta di accesso m 0.90x2.00; dimensioni m 3.00x3.00 – Altezza m 3.40.
10. Complesso di 4 tettoie ad arco con originaria struttura in tubolare metallico e coperture in PVC, successivamente tamponate con pannelli coibentati atti a formare tre distinti ambienti adibiti rispettivamente a ricovero autovetture, officina e lavaggio vetture munito di scarico acque; ogni ambiente è separato da doppia pannellatura con interspazio di ca. cm 30, per una dimensione utile interna dei tre locali rispettivamente e da sx a dx di m 7.75x10.00, 13.80х10.00 e utile interna dei tre locali rispettivamente e da sx a dx di m 7.75x10.00, 13.80х10.00 e 3.95х10.00. L'interno è stato ribassato sempre con i medesimi pannelli, ad ottenere altezze utili 3.95х10.00. L'interno è stato ribassato sempre con i medesimi pannelli, ad ottenere altezze utili rispettivamente di m 2.70, m 3.45, m 2.70 e m 2.90, mentre l'altezza in mezzeria delle originarie 4 tettoie è di m 3.80, m 4.80, m 3.70 e m 3.75. Il manufatto misura nel suo complesso m 10.00x27.00; anteriormente sono state realizzate delle pannellature in corrispondenza delle basi della struttura tubolare, a formare 5 colonne rettangolari e sporgenti, ciascuna di dimensioni m 0.50x1.05. Pavimentazione con plateatico in battuto di cemento.
11. Tettoia con struttura in tubolari metallici adibita a magazzino, copertura a 4 falde simmetriche in PVC, tamponata su tre lati con lamiera grecata, pannelli coibentati e policarbonato, mentre anteriormente è posto un cancello in legno per tutta la larghezza. Dimensioni m 5.00x5.00 – Altezza var. m 2.50/3.50.
12. Baracca in lamiera adibita a magazzino, dimensioni m 3.50x6.80 – Altezza var. m 2.70/3.25; antistante tettoia in pannelli coibentati, tamponata su due lati con i medesimi pannelli, dimensioni m 2.90х3.40 – Altezza m 2.60m 2.90х3.40 — Altezza m 2.60.
13. Tettoia con struttura in tubolari metallici adibita a ricovero automezzi, copertura ad arco ribassato in PVC, dimensioni m 5.00x11.00 – Altezza var. m 4.00/4.70.
14. Gruppo di 3 manufatti: baracca in lamiera adibita a magazzino, dimensioni m 1.80x3.50 – Altezza media m 1.80; container munito di porta e finestre adibito ad abitazione, dimensioni m 2.00x3.00 – Altezza utile m 2.30, 6 poggiato su blocchetti in tufo; manufatto prefabbricato munito di porta e finestre adibito ad abitazione guardiano, dimensioni m 2.50x6.50 – Altezza utile m 2.70, 6 poggiato su blocchetti in tufo.
15. Tettoia con struttura in legno e copertura in ondulato plastico, dimensioni m 4.80x5.80 – Altezza media m 2.60; sottostanti vi sono due roulottes accorpate fra loro e adibite a magazzino.
16. Tettoia con struttura in tubolari metallici adibita a officina revisione autovetture, copertura ad arco ribassato in PVC, mentre la parte anteriore, per m 2.40, 6 coperta con pannelli in lamiera coibentata; munita di ponte di sollevamento auto; dimensioni m 8.00x13.40 – Altezza parte in PVC var. m 3.50/4.90, parte in pannelli m 3.90; pavimentazione con plateatico in battuto di cemento dello spessore indicativamente cm 20. Retrostante tettoia con struttura in legno e copertura in ondulato plastico, dimensioni m 0.80x8.00 – Altezza var. m 2.30/3.50.
17. Container ad uso ufficio, dimensioni m 2.80x4.00 – Altezza var. 3.00/3.45.
18. Tettoia con struttura in profilati metallici con copertura in lamiera grecata, tamponata lateralmente coi medesimi pannelli, e adibita a protezione del forno per verniciatura carrozzerie; presenta una forma ad L dimensionalmente costituita da due corpi rettangolari di m 4.10x8.30 e di m 2.90x4.40. Il perimetro è costituito da 6 lati ciascuno di dimensioni m 4.10, 8.30, 7.00, 4.40, 2.90 e 3.90 – Altezza media m 3.50; su due lati la tettoia sporge di ca. 60 cm.
19. Tettoia con struttura in tubolari metallici e copertura ad arco in PVC, tamponata su tre lati con telo in PVC, adibita alla protezione di due container muniti di porta e finestre e adibiti ad ufficio, mentre per la residua parte è adibita a magazzino; dimensioni della tettoia m 8.10x10.00 – Altezza in mezzeria m 3.90; i container misurano rispettivamente m 2.30x3.50x2.60h e m Altezza in mezzeria m 3.90; i container misurano rispettivamente m 2.30х3.50x2.60h e m 2.40х3.10x2.70h.
20. Tettoia con struttura in tubolari metallici e copertura ad arco ribassato in PVC, adibita a officina; dimensioni m 6.20x6.90 – Altezza var. m 3.70/4.20.
21. Tettoia con struttura in profilati metallici e copertura a due falde inclinate in pannelli coibentati, adibita a officina; dimensioni m 7.00x13.40 – Altezza var. m 4.40/5.20.
22. Manufatto in ferro e lamiera a protezione di forno verniciatura; dimensioni m 8,00x6,60 – Altezza var. m 4,30/4,80».
Con sentenza parziale n. 588/2020 del 17 gennaio 2020, resa nel giudizio da ultimo richiamato (n. 11275/2018), il Tar, ritenendo «pregiudiziale l’esame dell’impugnazione del diniego di condono del 2014», respingeva il ricorso limitatamente alla «parte relativa all’ordine di demolizione di tutti i manufatti diversi da quelli oggetto dell’istanza di condono prot. 0/522105 sot 0 del 30.04.2004 e della determina dirigenziale prot. n. QI/150936/2014 del 7.10.2014» disponendo l’ulteriore trattazione della causa congiuntamente al ricorso n. 1225/2015.
Nell’occasione veniva disconosciuta la natura amovibile e temporanea delle strutture contestate in ragione dell’accertata utilizzazione trentennale delle stesse a servizio dell’azienda.
Con sentenza n. 9252 del 18 agosto 2020 i due ricorsi, previa riunione, venivano respinti «nella parte relativa all’ordine di demolizione dei manufatti oggetto dell’istanza di condono prot. 0/522105 sot 0 del 30.04.2004 e della determina dirigenziale prot. n. QI/150936/2014 del 7.10.2014» sul rilievo (in estrema sintesi):
che le opere realizzate fossero estranee all’ambito di applicazione dell’art. 32 comma 26 lett. a) della L. n. 326/2003 che limita la possibilità di sanatoria in area vincolata alla realizzazione di opere cd. minori;
che la legittimità del diniego di condono giustificasse di per sé la successiva misura ripristinatoria, da ritenersi atto vincolato.
Entrambe le sentenze venivano impugnate con appello depositato il 9 novembre 2020 deducendone l’erroneità per:
1. «Error in judicando. Violazione e/o falsa applicazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, buon andamento dell’azione amministrativa, nonché di buona fede e correttezza nei rapporti con gli amministrati. Contraddittorietà, illogicità, difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti in fatto e in diritto, lesione del legittimo affidamento; Difetto di motivazione ex art. 3 Legge 241/1990: le ordinanze non sono assistite da idonea motivazione con riferimento alla sussistenza dell’interesse pubblico alla rimozione delle opere idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato, atteso il notevole lasso di tempo trascorso dalla realizzazione dei manufatti»;
2. «Error in Iudicando. Omessa e/o errata motivazione della sentenza di prime cure sull’eccezione di mancato contemperamento tra l’interesse pubblico e privato rispetto all’enorme lasso di tempo trascorso»;
3. «Error in iudicando: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 commi 26 e 27 del d.l. n. 269/2003, conv. in l.n. 326/2003, eccesso di potere per errore e travisamento dei presupposti, illogicità e irragionevolezza manifesta, disparità di trattamento e malgoverno; violazione e falsa applicazione dell’art.3 l.n. 241/1990, difetto di istruttoria e motivazione; 3) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della l.n. 47/1985; travisamento dei fatti e di istruttoria lacunosa, 28 dal momento che nella specie si tratta della realizzazione di tettoie aperte finalizzate alla più funzionale utilizzazione dell’area e per il ricovero di automezzi e materiali, da un lato configurabili quali pertinenze urbanistiche e, pertanto, sottratte al regime del permesso di costruire, e, dall’altro, rientranti nelle opere pertinenziali non dotate di propria autonomia strutturale e funzionale, ma di meri elementi necessari allo smaltimento delle acque piovane».
Roma Capitale si costituiva in giudizio il 23 novembre 2020 confutando le avverse censure con successiva memoria depositata il 21 maggio 2024.
Con memoria del 27 maggio 2024 gli appellanti richiamavano le censure oggetto dell’atto introduttivo del giudizio.
All’esito della pubblica udienza del 27 giugno 2024 la causa veniva decisa.
Con il primo motivo parte appellante, che evidenzia la tolleranza serbata dall’amministrazione nei confronti degli abusi perpetrati, censura «entrambe le sentenze» laddove si afferma che «i relativi piani elaborati dall’Amministrazione per favorire la delocalizzazione delle imprese il cui esercizio risulta incompatibile con la zona protetta, pur volti a preservare la continuità delle attività economiche, non possono, infatti, determinare, allo stato, il mantenimento tout court degli abusi edilizi accertati, dinanzi anche alla reiterata assunzione da parte dei responsabili dell’impegno all’eliminazione di numerosi abusi, spesso non osservato, come rilevato dalla Polizia Municipale nel corso dei sopralluoghi espletati».
Le illustrate statuizioni si porrebbero in contraddizione con l’ordinanza sindacale n. 4 del 26 gennaio 2006 che prevedeva la «sospensione dei provvedimenti ingiuntivi di demolizione, riduzione in pristino o cessazione di attività relativi ad imprese, come censite nel Piano d’Assetto del parco dell’Appia Antica».
Pur riconoscendo l’insussistenza di un legittimo affidamento al mantenimento di opere eseguite sine titulo, gli appellanti lamentano la mancata considerazione della specificità del caso concreto e la contraddittorietà della condotta dell’amministrazione con gli assunti «impegni per la delocalizzazione e il mantenimento dello stato dei luoghi».
Parte appellante evidenzia ulteriormente che tanto il Piano di riconversione del Parco Appia Antica, quanto il PTP «Valle della Caffarella, Appia Antica ed acquedotti» approvato con delibera n. 70 del 10 febbraio 2010, non prevedrebbero tout court la delocalizzazione delle attività produttive presenti e la demolizione degli abusi realizzati ma l’adozione di specifici strumenti urbanistici (Regolamento e Accordo di Programma) con l’obiettivo di salvaguardare, per quanto possibile, l’esistente tessuto economico produttivo e per «accompagnare» gli operatori nella delocalizzazione delle loro attività.
La mancata adozione di tali strumenti connoterebbe di illegittimità i provvedimenti impugnati palesando la violazione, da parte di Roma Capitale, dei canoni di correttezza e buona fede nonché del divieto del «venire contra factum proprium».
Gli appellanti invocano ulteriormente l’art. 21 nonies della L. n. 241/1990, nel testo novellato con L. n. 164/2014, nella parte in cui al «termine ragionevole» imposto quale limite all’esercizio del potere di autotutela, veniva sostituita la previsione del termine di «diciotto mesi dall’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici».
A parere degli appellanti, lo spirare del termine di 18 mesi «determina la censurabilità del provvedimento caducatorio, in sede giurisdizionale, innanzi al G.A., per violazione di legge» (pag. 21 dell’appello)
Le opere in questione, oggetto di istanza di condono ai sensi della L. n. 326/2003, sarebbero tutte precedenti al 2004 e l’adozione della misura ripristinatoria dopo oltre 15 anni consoliderebbe «un legittimo affidamento del cittadino» alla loro conservazione.
Le suesposte censure sono infondate.
Premesso che le opere abusivamente realizzate, per le ragioni che saranno meglio specificate in sede di scrutinio del terzo motivo di appello, non sono riconducibili alla tipologia delle opere minori o pertinenziali risultando insanabili quando realizzate in area (come nel caso di specie) gravata da vincoli di inedificabilità (profilo non oggetto di contestazione), deve disconoscersi la sussistenza di un affidamento tutelabile al mantenimento degli abusi perpetrati.
Come, infatti, da tempo pacifico in giurisprudenza la repressione degli abusi edilizi non è espressione di un’attività discrezionale, ma del tutto vincolata (cfr., ex multis, Cons. Stato, VI, 6 settembre 2017 n. 4243).
Ciò comporta che l’amministrazione, in presenza dell’accertata realizzazione di manufatti abusivi non possa che procedere alla repressione dell’abuso senza necessità di un’articolata motivazione essendo sufficiente la descrizione delle opere abusive e la contestuale constatazione della loro abusività (Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n.903).
È stata altresì affermata l’irrilevanza della tolleranza dell’amministrazione posto che, come la Sezione ha già avuto modo di rilevare, «la mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere 'legittimo' in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata» (Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2021, n.6613).
Ciò comporta l’irrilevanza, nei sensi invocati in appello, della manifestata intenzione dell’amministrazione di procedere con «misure di accompagnamento» finalizzate a favorire la delocalizzazione delle attività produttive insediate all’interno del Parco che in alcun modo possono attenuare il carattere vincolato della misura ripristinatoria determinando una sorta di sospensione dell’esercizio dei poteri di vigilanza e repressione dell’amministrazione in materia edilizia.
Inconferente è, infine, la dedotta violazione dell’art. 21 nonies della L. n. 241/1990, posto che non sono oggetto di contestazione interventi espressione dei poteri di autotutela.
Con il secondo motivo parte appellante, premesso che la misura ripristinatoria interveniva ad oltre 15 anni dall’accertamento dell’abuso, deduce che si sarebbe resa necessaria, da parte dell’amministrazione, l’esposizione di una puntuale motivazione circa le ragioni interesse pubblico sottese alla demolizione delle opere, ulteriore rispetto all’esigenza del ripristino della legalità.
Allega nuovamente la tolleranza dimostrata dall’amministrazione che negli anni procedeva più volte a sopralluoghi (cita da ultimo quello effettuato dalla Motorizzazione Civile) senza nulla rilevare.
Il motivo è infondato.
Premessa l’irrilevanza ai fini in esame degli esiti di attività ispettive svolte da articolazioni dell’amministrazioni prive di competenza in ordine alla repressione di illeciti edilizi, o comunque eseguite con diversa finalità, deve rilevarsi che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, «l'ordine di demolizione di manufatti abusivi non richiede una specifica motivazione sulla ricorrenza del concreto interesse pubblico alla loro rimozione, essendo la relativa ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato già compiuta, a monte, dal legislatore» (Cons. Stato, Sez. VI, 17 ottobre 2022, n. 8808) e tale principio vige «anche nel caso in cui l'ordine di demolizione venga adottato a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, atteso che a fronte della realizzazione di un immobile abusivo - tanto più in area protetta - non è configurabile alcun affidamento del privato meritevole di tutela", né alcun margine di discrezionalità per l'Amministrazione competente» (Cons. Stato, Sez. II, 11 gennaio 2023, n. 360).
Con il terzo motivo, gli appellanti, affrontando il merito della misura impugnata, sostengono la sanabilità delle opere oggetto di contestazione, consistenti per lo più in tettoie aperte su tre lati, aventi natura pertinenziale, prive di una propria autonomia funzionale e strutturale e, come tali, condonabili anche in zona vincolata.
Il motivo è infondato.
Preliminarmente deve rilevarsi che la questione relativa alla qualificazione di installazioni apparentemente precarie ma funzionalmente destinate a soddisfare esigenze caratterizzate da stabilità, è già stata recentemente affrontata dalla Sezione pervenendo alle seguenti conclusioni:
«i) in base all'articolo 3, comma 1, lettera e.5) del D.P.R. n. 380 del 2001, è qualificabile come nuova costruzione "l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”;
ii) il successivo articolo 6, comma 1, lettera e-bis), del medesimo articolato normativo, include, invece, nell'attività edilizia libera “le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all'amministrazione comunale”;
iii) da tali previsioni la giurisprudenza ha desunto la nozione di opera precaria, non soggetta a titolo abilitativo;
iv) in particolare, si è affermato che: “in ordine ai requisiti che deve avere un'opera edilizia per essere considerata precaria, possono essere ipotizzati in astratto due criteri discretivi: 1) criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo; 2) il criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un'esigenza temporanea. La giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare la natura precaria di un'opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un'opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie” (così Consiglio di Stato, Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1776);
v) è pertanto necessario un titolo edilizio - secondo la sentenza ora richiamata - per la realizzazione di “tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, […] ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato”;
vi) la natura precaria di un manufatto, non può, quindi, essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo;
vii) nello stesso senso, è stato chiarito che “la precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera e. 5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante” (Consiglio di Stato, Sez. VII, 12 dicembre 2022, n. 10847);
viii) declinando tali principi al caso di specie si osserva che l’opera non può ritenersi precaria , trattandosi, infatti, di una serra stabilmente ancorata al suolo (di superficie complessiva di mq. 501,50), con pavimentazione industriale, e destinato all’uso continuato nel corso del tempo» (Cons. Stato, Sez. VI, 4 marzo 2024, n. 2086).
Preso atto della pacifica destinazione dei manufatti in questione a servizio dell’azienda da tempo immemore, non può quindi che aderirsi alla posizione già espressa questo Consiglio di Stato per la quale «sono qualificati come «nuove costruzioni (sentenza Cons. St. 840/2021) “i manufatti leggeri, anche prefabbricati, purché siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, depositi o magazzini, purché siano dotati di una propria autonomia funzionale”»» (Cons. Stato, Sez. VII, 28 agosto 2023, n. 7999).
Le medesime conclusioni valgono anche con riferimento alle tettoie rilevate sul sito che, come già riconosciuto in giurisprudenza, devono essere configurate sotto il profilo urbanistico come interventi di nuova costruzione ogni qual volta integrino un manufatto «non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell'opera» (Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2018, n.1309).
Quanto alla pretesa sanabilità delle opere si rileva che, come ripetutamente chiarito dalla Sezione (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 22 dicembre 2023 n. 11101; 7 agosto 2023 n.7590; 28 ottobre 2019 n. 7341; 17 settembre 2019 n. 6182), ai sensi del combinato disposto dell’art. 32 della L. n. 47/1985 e dell’art. 32, comma 27, lettera d), del D.L. n. 269/2003, gli abusi commessi su beni sottoposti a vincolo di inedificabilità (profilo non controverso), sia esso di natura relativa o assoluta, non possono essere condonati quando ricorrono le seguenti condizioni (tutte riscontrate dall’amministrazione nel caso di specie):
a) l'imposizione del vincolo di inedificabilità è precedente all’esecuzione delle opere;
b) la realizzazione del manufatto avviene in assenza o difformità dal titolo edilizio;
c) l’intervento non è conforme alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (sicché nelle zone sottoposte a vincolo paesistico, sia esso assoluto o relativo, è consentita la sanatoria dei soli abusi formali).
Deve ulteriormente essere evidenziato che, come di recente ribadito dalla Sezione, per quanto concerne gli abusi realizzati in aree vincolate, «il condono previsto dall’art. 32 del D.L. n. 269/2003 trova applicazione esclusivamente in presenza di interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti (in tal senso si è espressa anche la giurisprudenza del giudice penale: cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. III, 20 maggio 2016 n. 40676» (Cons. Stato, Sez. VI, 14 marzo 2024, n. 2559).
La realizzazione del manufatto, in quanto comportante la creazione di nuove superfici e nuovi volumi in area vincolata, non è pertanto sanabile.
Infondata è, altresì, l’affermata preesistenza del manufatto all’apposizione degli illustrati vincoli in quanto la deduzione è priva di qualsivoglia principio di prova in violazione del pacifico principio, più volte affermato dalla Sezione, per il quale «nel caso di domande di condono edilizio, ricada sull'istante l'onere della prova dell'esistenza dei presupposti per il rilascio del provvedimento di sanatoria, tra cui, in primis, la data dell'abuso … (Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 2021, n. 7583; nei medesimi sensi, 17 marzo 2022, n. 1956 e 26 settembre 2022, n. 8290)» (Cons. Stato, Sez.VI, 3 aprile 2024, n. 3050).
Nessun rilievo riveste, infine, il decorso del tempo dalla realizzazione dell’abuso o dalla presentazione dell’istanza di condono posto che, come anche in questo caso ripetutamente affermato «dopo la sentenza dell'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato del 17 ottobre 2017, n. 9, secondo cui il tempo trascorso tra la commissione dell'abuso edilizio e l'adozione del provvedimento di demolizione non è idoneo, da un lato, ad ingenerare alcuna convinzione sulla legittimità delle opere eseguite senza titolo e ad estinguere dall'altro lato il potere repressivo dell'autorità comunale (nello stesso senso, ancora di recente: Cons. Stato, VI, 12 dicembre 2022, n. 10856; 1 dicembre 2022, n. 10579; 2 novembre 2022, n. 9503; 25 ottobre 2022, n. 9066; 17 ottobre 2022, n. 8811; 28 marzo 2022, n. 2273)» (Cons, Stato, Sez. VII, 3 gennaio 2023, 113).
Per quanto precede l’appello deve essere respinto con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna gli appellanti in solido al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in € 6.000,00 oltre oneri di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Giordano Lamberti, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere
Lorenzo Cordi', Consigliere
Marco Poppi, Consigliere, Estensore