Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 313, del 21 gennaio 2013
Ambiente in genere. Legittimità ordinanza rimozione per struttura balneare con utilizzazione temporanea non rimossa

L’ordinanza di demolizione è legittima nel caso cui la concessione rilasciata autorizzava la realizzazione di una struttura balneare con una “utilizzazione temporanea” limitata al periodo estivo e non si provveduto alla rimozione annuale, e pertanto si è creata una struttura con una utilizzazione non più temporanea, ma permanente, dunque abusiva. Infatti, il concetto di “utilizzazione” diversa non presuppone, che vengano realizzate opere edilizie in sé difformi dal titolo abilitativo. E’ invece sufficiente, infatti, che venga posta in essere una attività, anche omissiva dell’adempimento di un dovere di controazione, che per sua propria conseguenza determini un mutamento di fatto nella utilizzazione assentita per un tempo limitato. Per il tempo che non è assentito dal titolo, infatti, l’opera diviene, grazie a questa omissione di rimozione, in tutto e per tutto da equiparare ad un manufatto sine titulo e come va tale va in punto di sanzioni considerata. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

N. 00313/2013REG.PROV.COLL.

N. 04845/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4845 del 2012, proposto da: 
Santomauro Fausta e Frazati Silvia, in proprio e quale amministratrice della Frazati Silvia & c.sas, rappresentate e difese dagli avvocati Elio Cuoco e Orazio Abbamonte, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Terenzio, 7;

contro

Comune di Casal Velino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

per la riforma

della sentenza 21 maggio 2012, n. 963 del Tribunale amministrativo regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Casal Velino;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 novembre 2012 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Napolitano, per delega dell’avvocato Abbamonte, e Lentini.

 

FATTO e DIRITTO

1.– Le Signore Fausta Santomauro e Silvia Frazati hanno ottenuto, in data 22 aprile 1999, n. 25, la concessione a realizzare uno stabilimento balneare avente carattere stagionale.

Con ordinanza del 15 aprile 2011, n. 4480 il Comune di Casal Velino (SA) ha accertato che, in difformità dal suddetto titolo abilitativo, nel corso degli anni non si era provveduto allo «smontaggio dello struttura» che aveva, pertanto, acquisito carattere di stabilità. Con la stessa ordinanza sono stati accertati gli ulteriori interventi abusivi: a)traslazione di circa due metri della struttura principale dal sito di concessione; b) realizzazione di alcune cabine di legno, nonché di un gazebo sui lati nord ed ovest dell’area di insediamento. Infine, è stato contesto un «massiccio movimento di sabbia».

Per queste ragioni l’amministrazione comunale ha ordinato la demolizione delle predette opere e il ripristino dello stato dei luoghi.

Questa ordinanza, unitamente al provvedimento di revoca della concessione e della licenza di somministrazione di alimenti e bevande, è stata impugnata al Tribunale amministrativo regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno, per i motivi poi riproposti in sede di appello e indicati nei successivi punti.

1.1.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 21 maggio 2012, n. 963, ha rigettato il ricorso.

2.– Le ricorrenti in primo grado hanno proposto appello.

2.1.– Si è costituito in giudizio il Comune di Casal Velino rilevando, in via preliminare, che le appellanti hanno presentato, in data 30 dicembre 2011, domande di accertamento di conformità con riferimento sia alla struttura principale che alle opere pertinenziali. Tali domande sono state rigettate con atti del 9 febbraio 2012, n. 1527 e del 3 maggio 2012, n. 4839, con conseguente mancanza di interesse sostanziale alla definizione del presente giudizio. Nel merito si deduce, in ogni caso, l’infondatezza dell’impugnazione proposta.

3.– L’appello è infondato.

3.1.– Con un primo motivo si assume l’erroneità della sentenza e l’illegittimità degli atti impugnati per violazione degli artt. 31 e 34 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), nonché eccesso di potere per erroneità dei presupposti.

In particolare, si ricorda che il citato art. 31 presuppone che «vi sia un’opera di trasformazione del territorio attraverso un’attività edilizia che crei un manufatto oggettivamente difforme da quello autorizzato e che porti quindi ad un’utilizzazione diversa da quanto contemplato nel titolo abilitativo». Nel caso di specie la condotta sanzionata consisterebbe in una mera omissione. Ne consegue che il Comune avrebbe piuttosto dovuto fare applicazione dell’art. 34, il quale stabilisce che, nel caso in cui la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, si deve infliggere solo una sanzione pecuniaria.

Sotto altro aspetto, si contesta che la traslazione cui si fa riferimento nel provvedimento impugnato possa costituire una «variazione sostanziale della localizzazione».

Il motivo non è fondato.

L’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che vanno considerati interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso «per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso».

Il concetto di “utilizzazione” diversa non presuppone, come erroneamente assunto dalle appellanti, che vengano realizzate opere edilizie in sé difformi dal titolo abilitativo. E’ invece sufficiente, infatti, che venga posta in essere una attività, anche omissiva dell0’adempimento di un dovere di controazione, che per sua propria conseguenza determini un mutamento di fatto nella utilizzazione assentita per un tempo limitato. Per il tempo che non è assentito dal titolo, infatti, l’opera diviene, grazie a questa omissione di rimozione, in tutto e per tutto da equiparare ad un manufatto sine titulo e come va tale va in punto di sanzioni considerata.

Nel caso in esame, la concessione rilasciata autorizzava la realizzazione di una struttura balneare con una “utilizzazione temporanea” limitata al periodo estivo.

Costituisce dato non contestato che invece le appellanti, non provvedendo alla rimozione annuale, abbiamo creato una struttura con una utilizzazione non più temporanea, ma permanente: dunque abusiva.

L’ordinanza di demolizione è, pertanto, pienamente legittima, con conseguente non rilevanza della questione subordinata, relativa all’avvenuta traslazione della struttura stessa.

3.2.– Con un secondo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui il primo giudice non ha dichiarato, riguardo alle «opere minori», l’improcedibilità del giudizio in quanto: a) erano state rimosse le cabine e «risistemato il movimento di sabbia»; b) era stata presentata domanda di accertamento di conformità con riferimento al gazebo.

Il motivo non è fondato.

Con riferimento al primo aspetto, si deve rilevare che l’eventuale avvenuta esecuzione spontanea dell’ordinanza di demolizione non incide sul giudizio di validità dell’ordinanza stessa.

Un tale comportamento potrebbe essere solo significativo, se ricorrono altri elementi, della volontà di prestare acquiescenza alla determinazione amministrativa; ovvero potrebbe essere posto a base della dichiarazione di mancanza di interesse alla prosecuzione del giudizio.

Nella specie non risulta che ricorrano tali evenienze.

Ma anche qualora ricorressero, mancando qualunque correlazione tra validità dell’atto e sua spontanea esecuzione, nessun vantaggio le appellanti potrebbero trarre dall’eventuale accoglimento del motivo in esame.

Con riferimento al secondo aspetto, è sufficiente sottolineare che la proposizione della domanda di sanatoria non incide anch’essa sulla validità dell’atto impugnato; ma soltanto impegna il Comune, qualora la ritenga meritevole di accoglimento, a non procedere all’esecuzione mediante demolizione.

4.– Le appellanti sono condannate al pagamento delle spese processuali, in favore dell’amministrazione comunale costituita, che si determinano in euro 3.000,00, oltre iva e cpa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;

b) condanna le appellanti al pagamento delle spese processuali, in favore dell’amministrazione comunale costituita, che si determinano in euro 3.000,00, oltre iva e cpa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)