Consiglio di Stato Sez. II n. 8007 del 1 dicembre 2021
Urbanistica.Fiscalizzazione dell’abuso edilizio

Il presupposto per l’applicazione del meccanismo previsto dall’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 (fiscalizzazione dell’abuso edilizio), è dato dalla sussistenza di vizi formali del procedimento, che risultino in concreto non rimuovibili. Deve constatarsi l’inesistenza del presupposto dei procedimenti conclusi con i titoli annullati, in quanto avviati in base a falsa rappresentazione della realtà. Il mendacio non è equiparabile a vizio formale e l’invocata fiscalizzazione contrasterebbe con il principio di carattere generale che esclude la possibile di conformazione degli effetti di quanto dichiarato falsamente.

Pubblicato il 01/12/2021

N. 08007/2021REG.PROV.COLL.

N. 06821/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6821 del 2014, proposto dalla signora
Raimonda Rolli, rappresentata e difesa dall’avvocato Giovanni Lauricella, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Renato Caruso in Roma, via Cristoforo Colombo, n. 436,

contro

il Comune di Forlì, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Zavatta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. 55/2014, resa tra le parti, concernente annullamento di titoli edilizi


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Forlì;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2021 il Cons. Carla Ciuffetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’odierna appellante avversa la sentenza in epigrafe, che ha respinto il ricorso diretto all’annullamento dell’ordinanza del Comune di Forlì - Servizio Urbanistica ed Edilizia prot. gen. n. 49329/2001, recante l’annullamento delle concessioni edilizie n. 469/1/ in data 29 ottobre 1992, e n.n. 70 e 71, in data 8 febbraio 1996, concernenti un fabbricato agricolo sito in zona urbanistica E1 (agricola generica), acquistato dalla stessa appellante dal soggetto al quale le concessioni edilizie erano intestate, in base ai seguenti motivi di gravame:

a) erroneamente il Tar avrebbe respinto il primo motivo del ricorso di primo grado, rubricato “violazione di legge per errata e falsa applicazione dell’art. 19 l.r. n. 23 del 21.10.2004”con cui si censurava l’operato dell’Amministrazione per difetto di valutazione della possibilità di applicare una sanzione pecuniaria invece della riduzione in pristino; gli effetti negativi di una tale omissione sarebbero ricaduti sull’appellante, soggetto diverso da quello che aveva rilasciato le false dichiarazioni in base alle quali le concessioni edilizie erano state rilasciate; il primo giudice non avrebbe valutato che l’art. A-21 della legge della Regione Emilia - Romagna n. 20/2000, nel limitare la possibilità di costruire nuovi fabbricati ai soli casi in cui sia necessario per la conduzione del fondo, non avrebbe richiesto il possesso in capo al richiedente della qualità di imprenditore agricolo, necessaria solo ai fini dell’esenzione dal pagamento del contributo di costruzione per gli interventi edilizi, anche residenziali, funzionali alle esigenze dell’imprenditore agricolo e alla conduzione del fondo; la mancanza della qualifica in questione non avrebbe potuto precludere il rilascio del titolo “ove non sussistano o comunque non vengano addotte altre ragioni oggettivamente rilevanti”;

b) con riferimento al secondo motivo del ricorso del ricorso di primo grado, rubricato “violazione di legge per inosservanza dell'art. 3 l. n. 241/90 e s.m.i.” e al terzo motivo dello stesso ricorso, rubricato “eccesso di potere per mancato contemperamento degli interessi contrapposti e per difetto di istruttoria”, si deduce che l’Amministrazione avrebbe potuto esercitare il potere di autotutela solo previo avvio di un procedimento in contraddittorio, nel rispetto di un termine ragionevole, sulla base di una valutazione comparativa di interessi “idonea a giustificare la violazione dell'affidamento incolpevole maturato in capo al privato a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio”;

c) in merito al rigetto del quarto motivo del ricorso di primo grado, rubricato “nullità parziale ex art. 21- septies, l. n. 241/90 e s.m.i. per inesistenza parziale dell’oggetto”, si deduce che “la concessione in variante n. 469/1 del 29/10/1992 sia titolo abilitativo inesistente, mai rilasciato a parte richiedente”; inoltre, l’operato dell’Amministrazione non sarebbe giustificato da alcun pubblico interesse, anzi, “nel contemperamento dei contrapposti interessi, prevale quello privato in virtù della perfetta compatibilità dell'intervento edilizio de quo sotto il profilo edilizio-urbanistico”.

2. Il Comune di Forlì si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

3. La causa, chiamata all’udienza del 26 ottobre 2021, è stata trattenuta in decisione.

4. Il Collegio osserva che, nelle premesse del provvedimento impugnato sono esposte le seguenti circostanze accertate dal Comune di Forlì: il dante causa dell’appellante, imprenditore agricolo a titolo principale, aveva ceduto alla medesima, priva di tale qualità, il fabbricato agricolo in questione in data 21 dicembre 1991; lo stesso dante causa aveva chiesto all’Amministrazione comunale una concessione edilizia in variante, senza comunicare di aver alienato il fabbricato, ma dichiarandosene invece proprietario, che veniva rilasciata in data 29 ottobre 1992 (n. 469/2); il medesimo dante causa, dichiarandosi ancora proprietario dell’immobile, aveva chiesto e ottenuto ulteriori concessioni in sanatoria in data 8 febbraio 1996 (nn. 70 e 71). L’atto impugnato, considerato che le richiamate concessioni edilizie erano state rilasciate in base a dichiarazioni mendaci, ne ha disposto l’annullamento.

4.1. Considerato l’esposto tenore di tale atto - la cui ricostruzione dei fatti contenuta nelle premesse non è contestata - deve condividersi il rigetto da parte del Tar del primo motivo del ricorso di primo grado. Infatti, il dispositivo dell’atto impugnato è circoscritto all’annullamento delle concessioni edilizie. Poiché nessuna ingiunzione di demolizione e di rimessione in pristino è stata disposta, devono ritenersi non conferenti le censure dell’interessata in ordine all’asserito difetto della valutazione da parte dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 19 della l.r. n. 32/2004, alla supposta irragionevolezza di un’ipotetica scelta dell’Amministrazione di non portare ad esecuzione il proprio operato e alla conseguente rappresentazione di effetti negativi conseguenti al comportamento del dante causa in capo alla stessa appellante. Inoltre, va evidenziato che il presupposto per l’applicazione del meccanismo previsto dall’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 (invocato dall’appellante con l’erroneo riferimento all’art. 39 dello stesso d.P.R.), è dato dalla sussistenza di vizi formali del procedimento, che risultino in concreto non rimuovibili. Tali vizi nella fattispecie non ricorrono. Piuttosto, deve constatarsi l’inesistenza del presupposto dei procedimenti conclusi con i titoli annullati, in quanto avviati in base a falsa rappresentazione della realtà. Il mendacio non è equiparabile a vizio formale e l’invocata fiscalizzazione “contrasterebbe con il principio di carattere generale che esclude la possibile di conformazione degli effetti di quanto dichiarato falsamente” (Cons. Stato Sez. VI, 8 aprile 2021, n. 2854).

L’Amministrazione eccepisce l’inammissibilità della tesi dell’appellante non proposta in primo grado secondo la quale non sarebbe stata prescritta la qualità di imprenditore agricolo per ottenere i titoli edilizi annullati, in quanto la mancanza di tale qualità avrebbe determinato solo l’onerosità della concessione edilizia.

Tale tesi, oltre che inammissibile in quanto non proposta in primo grado, è anche infondata. Con successiva memoria l’appellante fonda tale assunto anche sull’art. A-21 della legge della Regione Emilia-Romagna n. 20/2000, che non menzionerebbe la qualità di imprenditore agricolo. In proposito va notato che l’art. A-21, co. 1, secondo periodo, vigente alla data di emanazione del provvedimento impugnato, ammetteva la realizzazione di una nuova costruzione solo se “necessaria alla conduzione del fondo, all’esercizio delle attività agricole e di quelle connesse, nei limiti di quanto disposto dagli artt. A-17, A-18, A-19 e A-20 dell’allegato”. Tale formulazione della disposizione porta ad escludere che possa attribuirsi alcun rilievo sostanziale alla circostanza che essa non richiami a presupposto della facoltà di costruire il requisito soggettivo della qualità di imprenditore agricolo, poiché l’obiettivo di salvaguardare il valore naturale, ambientale e paesaggistico del territorio rurale, espressamente indicato dall’art. A-16, se non è testualmente riferito a requisiti soggettivi, è comunque declinato dall’art. A-21, nonché dagli artt. A-17, A-18, A-19 e A-20, in relazione alle caratteristiche oggettive del territorio e alle attività che vi si svolgono (a.e. le attività aziendali agricole di cui all’art. 19-A). Inoltre, dall’art. 30, co. 1, della l.r. n.31/2002, vigente all’epoca dei fatti, che stabiliva l’esenzione dal pagamento del costo di costruzione “per gli interventi anche residenziali, da realizzare nel territorio rurale in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'art. 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153, ancorché in quiescenza” non può estrarsi altro significato normativo se non quello fatto palese dalla formulazione della disposizione, che certamente non consente di dedurne una disciplina derogatoria di quella stabilita per la costruzione di nuovi fabbricati in zona agricola.

Perciò il primo motivo d’appello deve essere considerato infondato.

4.2. Venendo al secondo motivo d’appello, si ritiene insussistente la dedotta violazione del principio del contraddittorio, posto che il provvedimento impugnato attesta l’intervenuta comunicazione di avvio del procedimento.

Parimenti insussistente si considera la censura relativa al difetto di motivazione del medesimo provvedimento. Pur se l’atto di annullamento è stato adottato prima della vigenza dell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990, come introdotto dalla l. 15/2005, occorre rilevare l’indirizzo di questo Consiglio per cui l’onere motivazionale comunque gravante sull’amministrazione nel caso di annullamento in autotutela del titolo edilizio in precedenza adottato può essere, in qualche misura, attenuato in ragione della rilevanza degli interessi pubblici tutelati, in particolare di quelli “sottesi alla disciplina in materia edilizia e alla prevalenza che deve essere riconosciuta ai valori che essa mira a tutelare” (Cons. Stato, A.P., 17 ottobre 2017 n. 8). Bisogna aggiungere che, se nelle premesse dell’atto impugnato si afferma che “l’annullamento d’ufficio delle concessioni edilizie citate non richiede un’adeguata motivazione con riferimento all’interesse pubblico prevalente”, tuttavia le stesse premesse evidenziano che le concessioni edilizie erano state rilasciate in base a dichiarazioni mendaci, senza le quali - va sottolineato - l’appellante, in quanto priva della qualifica di imprenditore agricolo principale, non avrebbe potuto ottenerle: un tale richiamo alla situazione di fatto evidenzia in modo oggettivo il vulnus concreto all’interesse pubblico costituito dalla tutela del territorio agricolo, assicurata dalla normativa regionale e dagli strumenti urbanistici comunali. Perciò, non può darsi seguito nemmeno alle ulteriori censure relative alla violazione di un termine ragionevole, oltre il quale si sarebbe consolidato un incolpevole affidamento dell’appellante. Seppure le dichiarazioni mendaci erano da addebitare al dante causa dell’interessata, quest’ultima si è giovata dell’effetto di tali dichiarazioni, ben percepibile alla luce della normativa vigente, costituito dal rilascio delle concessioni edilizie. Comunque, “in caso di titoli abilitativi rilasciati sulla base di dichiarazioni oggettivamente non veritiere (e a prescindere dagli eventuali risvolti di ordine penale), laddove la fallace prospettazione abbia sortito un effetto rilevante ai fini del rilascio del titolo, è parimenti congruo che il termine ‘ragionevole’ decorra solo dal momento in cui l’amministrazione ha appreso della richiamata non veridicità” (Cons. Stato, A.P. n.8/2017, cit.).

4.3. Devono ritenersi infondate anche le censure introdotte con il quarto motivo di ricorso, a partire dall’asserita inesistenza della concessione in variante n. 469/1 in data 29 ottobre 1992. L’erronea indicazione di uno dei numeri di identificazione del primo titolo edilizio annullato, in particolare del numero progressivo, è stata correttamente considerata dal primo giudice come mero refuso inidoneo “a determinare incertezze sulla corretta individuazione dell’atto annullato il quale è comunque perfettamente individuabile sia in relazione all’oggetto, ossia al fabbricato, sia in relazione al contenuto, ossia la variante al titolo edilizio rilasciato, nonché con riferimento alle data di emanazione”. La nullità rappresenta una forma di invalidità dell’atto amministrativo considerata del tutto eccezionale dalla giurisprudenza amministrativa anche prima della tipizzazione disposta dall’art. 21-septies della l. n. 241/1990, così che “in omaggio ai principi di certezza dei rapporti giuridici e di stabilità degli assetti plasmati dagli atti amministrativi a tutela di interessi superindividuali, non opera in maniera ‘virtuale’, cioè in assenza di una norma che la preveda testualmente” (Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2020, n. 6769). Nella fattispecie, nell’erronea indicazione del numero progressivo del titolo edilizio non è ravvisabile il difetto di un elemento essenziale dell’atto e tale refuso non impedisce l’agevole riconduzione dell’atto in concreto alla fattispecie astratta.

Deve essere considerata infondata anche la tesi dell’appellante circa “la perfetta compatibilità dell’intervento edilizio de quo sotto il profilo edilizio-urbanistico”, poiché la difesa comunale ha ben evidenziato che, ai sensi del disposto degli artt. 59 e ss. delle NTA del PRG vigenti nel 1992 e nel 1996, solo i fabbricati funzionali allo svolgimento dell’attività agricola da parte di imprenditore agricolo potevano avere destinazione residenziale.

In conclusione, per quanto sopra esposto, l’appello deve essere respinto.

Il regolamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate nel dispositivo, consegue alla soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna l’appellante alla rifusione, in favore dell’Amministrazione, delle spese processuali del secondo grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre s.g. e accessori di legge con rifusione del c.u. se versato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2021, con l’intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Francesco Frigida, Consigliere

Carla Ciuffetti, Consigliere, Estensore

Carmelina Addesso, Consigliere