Consiglio di Stato Sez. VI n. 7448 del 9 novembre 2021
Urbanistica.Istanza di sanatoria e ordinanza di demolizione

È illegittima l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria, ex art. 36, D.P.R. n. 380/2001 , poiché nelle more della definizione di tali domande tutti i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi.


Pubblicato il 09/11/2021

N. 07448/2021REG.PROV.COLL.

N. 05878/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5878 del 2015, proposto da
La Zagara di Palumbo Silvestro Sas, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Loris Maria Nisi, con domicilio eletto presso lo studio Sebastiano Comerci in Roma, via Parioli n.112;

contro

Comune di Melito di Porto Salvo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giampiero Pietro Ferraro, domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, n. 780/2014, resa tra le parti, concernente rigetto denuncia inizio attività in sanatoria.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Melito di Porto Salvo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2021 il Cons. Thomas Mathà. Nessuno è comparso per le parti costituite;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’appello riguarda il provvedimento del Comune di Melito di Porto Salvo n. 6556 del 2013 che ha respinto la denuncia di inizio attività in sanatoria, proposta dalla società La Zagara di Palumbo Silvestro sas in data 9.11.2012. Con tale istanza la società intendeva sanare alcune opere presso il proprio stabilimento balneare (in concessione dall’autorità demaniale): un muro in cemento armato, delimitante la loro azienda, con tre cancelli in ferro della larghezza di circa 5 metri ciascuno, nonché di un ampio pergolato, composto da una struttura portante in putrelle di ferro, con sovrastante rete in ferro. Precedentemente, l’amministrazione comunale aveva comunicato con provvedimento del 9.12.2011, n. 27 le risultanze di un accertamento del 18.5.2010 e concernente un abuso edilizio, ordinando contemporaneamente alla società la demolizione di queste opere realizzate senza titolo su aree oggetto di concessioni di aree demaniali (n. 36/2005, n. 263/2003) a suo favore. Tale ingiunzione era stata però solo riscontrata in parte e limitatamente ad un manufatto adibito a spogliatoio e a servizi igienici, ma non riguardante le opere di recinzione ed il pergolato, come risulta da un accertamento dell’ente comunale del 29.12.2011. Entrambi i provvedimenti non venivano contestati o impugnati dalla società.

2. Con il ricorso dinanzi al TAR della Calabria, la società impugnava il provvedimento n. 6556/2013, deducendo la presenza di molteplici vizi di violazione di legge e di eccesso di potere.

Il Comune di Melito Porto di Salvo si era costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso.

3. Il TAR di Reggio Calabria (Sezione terza) respingeva il ricorso con sentenza n. 780/2014, giudicando non fondati i motivi proposti dalla società ricorrente.

4. Contro questa pronuncia la società La Zagara di Palumbo Silvestro sas ha proposto appello, ritualmente notificato e depositato il 2.7.2015.

5. Si è costituita in giudizio l’appellata amministrazione comunale di Melito di Porto Salvo, chiedendo il rigetto del ricorso. Con successiva memoria del 14.9.2021 l’amministrazione appellata insisteva per le sue conclusioni di rigetto.

6. Con ordinanza n. 3889/2015 la Sezione ha rigettato l’istanza cautelare, non ritenendo presenti consistenti elementi di fumus boni iuris.

7. La causa è stata introitata in decisione all’udienza pubblica del 21 ottobre 2021.

DIRITTO

8. Con il ricorso d’appello la società appellante ha sollevato tre censure avverso l’impugnata sentenza. Sostiene principalmente che il Comune non poteva rigettare la D.I.A. in sanatoria, in quanto era stata presentata a rimuovere l’illegittimità delle opere in seguito all’ordine di demolizione del 2011. Le opere contestate non sarebbero in più illegittime, in quanto già autorizzate precedentemente (il muro di limitazione) o per le quali non sarebbe necessario un titolo edilizio.

9.1 Con la prima doglianza l’appellante critica la sentenza del TAR Calabria per erroneità, illogicità ed irragionevolezza in riferimento ad una questione rilevante ai fini del decidere, erronea applicazione degli art. 10 e 33 del DPR 380/2001 e travisamento dei fatti per errata valutazione delle caratteristiche delle opere realizzate. Sostiene che la proposizione del ricorso avverso l'ordine di demolizione, qualora l'interessato intenda richiedere il rilascio di autorizzazione in sanatoria, renderebbe il gravarne improcedibile dovendosi muovere le censure contro le ulteriori determinazioni dall'Ente locale in esito all'istanza del privato. La presentazione di una istanza di sanatoria in epoca successiva all'adozione dell'ordinanza di demolizione produrrebbe l'effetto di rendere improcedibile l'impugnazione contro l'atto sanzionatorio per sopravvenuta carenza d’interesse, posto che il riesame dell'abusività dell'opera, provocato dall'istanza al fine di verificarne l'eventuale sanabilità, comporterebbe la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, volto a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa.

In caso di reiezione dell’istanza di sanatoria, l'originario provvedimento sanzionatorio non potrebbe produrre di per sé effetto alcuno, dovendo comunque essere sostituito da una nuova ingiunzione di demolizione, con assegnazione all'interessato di un nuovo termine per la spontanea demolizione. La presentazione di una domanda di concessione in sanatoria per abusi edilizi imporrebbe al Comune competente la sua disamina e l'adozione dei provvedimenti conseguenti, e gli atti repressivi dell'abuso in precedenza adottati perderebbero la loro efficacia (salva la necessità di una loro rinnovata adozione nell'eventualità di un successivo rigetto dell'istanza di sanatoria).

9.1.1 Il motivo è manifestamente infondato. Rileva l’insegnamento costante della giurisprudenza amministrativa secondo il quale (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 21-05-2010, n. 3230) è illegittima l'ordinanza di demolizione di opere abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria, poiché nelle more della definizione di tali domande, tutti i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi. Nella specie questo però non si è verificato, essendo: 1) la presentazione dell’istanza di sanatoria successiva all’adozione del provvedimento demolitorio e quindi certamente non avente effetto viziante; 2) il provvedimento di ingiunzione di ripristino e demolizione mai stato impugnato e quindi diventato definitivo ed inoppugnabile, non lasciando all’amministrazione più nessun margine di discrezionalità. L'ordine di demolizione era rimasto sospeso nella sua mera esecutività durante la pendenza del procedimento di sanatoria; sarebbe stato eliminato da un eventuale accoglimento dell’istanza, in quanto in tal caso sarebbe stato superato da un nuovo provvedimento, emanato dal Comune che, in contrasto col precedente, avrebbe fatto cessare l’abusività delle opere. Nella fattispecie, il rigetto dell'istanza di sanatoria, non ponendosi però in contrasto con l’ingiunzione di demolizione, ha fatto cessare la causa sospensiva dell'esecutività del provvedimento, ripristinandone la piena efficacia. Non giova all’appellante sostenere che la presentazione di un’istanza di sanatoria in presenza di un’ordinanza di demolizione renderebbe improcedibile un ricorso avverso quest’ultima: l’istanza stessa è stata presentata oltre il termine per ricorrere avverso l’ordine di demolizione nonché oltre i termini fissati dall’art. 36 del DPR 380/2001 (“In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 23, comma 1, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31 comma 3 [90 giorni dall’ingiunzione], 33, comma 1 [termine imposto dall’ordinanza di demolizione], 34, comma 1 [termine imposto dall’ordinanza di demolizione], e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.”)

Anche qualora l’istanza fosse stata consegnata in termini, il ricorso avverso il provvedimento sarebbe rimasto in ogni modo proponibile, e pertanto avrebbe continuato a decorrere il termine per la sua impugnazione.

In tal caso la conseguenza sarebbe però stato che ne sarebbe stata disposta la sospensione dell’atto, in attesa della conclusione del procedimento di sanatoria; solo all’esito di tale verifica il ricorso sarebbe potuto diventare improcedibile o no (dipendente dall’esito del procedimento).

Al di là della contraddittorietà dell’affermazione della legittimità delle opere, per le quali comunque la ricorrente non aveva mai impugnato l’atto demolitorio, ma invece poi ha provveduto a presentare una domanda di sanatoria, anche la censura secondo cui il TAR avrebbe sbagliato a non riconoscere le opere legittime in quanto già autorizzate dall’autorità demaniale non coglie nel segno.

La consistenza strutturale dei manufatti oggetto dell’ordine di demolizione è difforme da quella indicata nelle (precedenti) concessioni demaniali, difformità espressamente dichiarata nell’ordinanza di demolizione e valutata correttamente dal TAR (esaminando gli atti prodotti in giudizio).

Ed inoltre il TAR ha correttamente chiarito che anche nell’eventualità di una pregressa autorizzazione, questa non sarebbe stata comunque utile a superare i rilievi urbanistici ricadenti nella sfera di competenza dell’ente comunale.

9.2 Nella seconda e terza censura, che per motivi di connessione logica e sistematica possono essere vagliate congiuntamente, viene criticata la sentenza di prime cure in quanto, ad opinione dell’appellante, il TAR non si sarebbe pronunciato su un punto decisivo della controversia (contrasto al piano spiagge comunali, Piano per l’Assetto Idrogeologico – PAI ed incongrua motivazione in merito ai pareri delle rispettive autorità regionali competenti), violando anche il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ai sensi dell’art. 112 c.p.c.

9.2.1 Anche queste doglianze non convincono il Collegio. Il TAR ai punti 6-9 della sentenza ha esaminato puntualmente il secondo ed il terzo motivo del ricorso in primo grado.

Al punto 7 ha dettagliatamente scrutinato la censura attorea, respingendo detto motivo: “Va innanzitutto rilevato come il contrasto con il piano delle spiagge risulti obiettivo ed agevolmente desumibile dal provvedimento impugnato, per il solo fatto che il piano non ha consentito la realizzazione di opere corrispondenti a quelle oggetto della d.i.a., ovvero il mantenimento di opere pregresse. Ciò posto, del tutto legittimamente il piano delle spiagge comunali è stato posto a base del provvedimento impugnato in questa sede. Il piano – non impugnato e divenuto inoppugnabile – ha comportato non solo la conformazione delle relative posizioni giuridiche coinvolte, ma anche l’obbligo del Comune di emanare i suoi provvedimenti in coerenza con le sue previsioni. Per il principio tempus regit actum, così come lo strumento urbanistico deve essere comunque applicato quando sia divenuto efficace, non distinguendo le istanze antecedenti o successive, così il piano delle spiagge deve essere comunque attuato, anche con riferimento ad abusi commessi in precedenza. Quanto al dedotto profilo di eccesso di potere per insufficiente motivazione, esso non sussiste, poiché l’assetto degli interessi pubblici e privati deriva dal medesimo piano delle spiagge, sicché il provvedimento impugnato non doveva che farvi puntuale e automatica applicazione, senza margini di apprezzamento discrezionale.”

Il Collegio non può riscontrare in ciò un’omessa pronuncia da parte del primo giudice, perché ha valutato e scrutinato il motivo d’impugnazione, come risulta dalla statuizione, anche se non ha espressamente menzionato il collegamento con il PAI, ma ha spiegato l’applicabilità del Piano Spiagge Comunali.

Inoltre, come eccepito dalla difesa comunale (rilevando in ciò la ripetizione dell’originaria eccezione in primo grado), la presenza nell’area interessata di vincoli imposti da norme a tutela di interessi idrogeologici, preesistenti alla domanda di sanatoria, rendeva impossibile ope legis il rilascio di una concessione in sanatoria, rendendo quindi superflua l’indicazione di una motivazione specifica, e pertanto non indispensabile l’acquisizione del parere regionale sul vincolo PAI, in quanto il parere sarebbe stato indispensabile solo nel caso in cui non vi fossero stati a monte impedimenti diversi al rilascio della sanatoria.

Questo discende dall’art. 32 co. 27 del D.L. n. 269/2003 che stabilisce che “fermo restando quanto previsto dagli artt. 32 e 33 della legge 47/1985, le opere abusive non sono suscettibili di sanatoria qualora … (d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti in base a leggi statali e regionali a tutela di interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici …, qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o difformità di titolo abilitativo e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.

9.2.2 Infondata è anche l’ultima censura in merito ad un’asserita omessa pronuncia (non proporzionalità del provvedimento e la violazione dell’art. 10-bis della legge 241/1990) ed alla dichiarazione di assorbimento del TAR in merito alle restanti censure del terzo motivo di impugnazione in primo grado (individuazione delle opere ai sensi dell’art. 22 DPR 380/2001, quindi approvabili con D.I.A., contraddittorietà del provvedimento in quanto l’amministrazione avrebbe rilevato la mancanza del versamento dell’oblazione, confermando quindi indirettamente la sanabilità).

Sulla proporzionalità ed il mancato preavviso di rigetto il TAR si è pronunciato al punto 8 della sentenza, e questo Collegio non vede motivo per discostarsi, anche perché l’appellante rinnova solo le censure di primo grado, ma non rileva particolari criticità della sentenza.

Per quanto riguarda l’approvabilità delle opere con D.I.A. si rinvia su quanto chiarito sub 9.2.1 e l’impossibilità edificabile ope legis.

Infine, in relazione alla asserita la contraddittorietà per il richiamo finale dell’amministrazione al mancante versamento dell’oblazione, ciò non è sufficiente a dimostrare la contraria volontà dell’ente, essendo un aspetto meramente conclusionale e formale.

10. Il Collegio può constatare infine, alla luce dello scrutinio di tutti i motivi proposti ed esaminati, che l’appello non è fondato. La liquidazione delle spese processuali deve seguire la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, n. 780/2014. Condanna la società appellante a rifondere al Comune di Melito di Porto Salvo le spese del grado di appello, che vengono liquidate nella misura complessiva di € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2021 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Alessandro Maggio, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

Thomas Mathà, Consigliere, Estensore