Consiglio di Stato Sez. IV n. 6438 del 3 luglio 2023
Urbanistica.Calcolo della distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti
Con riferimento alla disposizione contenuta nell'art. 9, comma 1, n. 2, del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, che impone la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, le distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale, come invece avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare tracciando linee perpendicolari tra gli edifici
Pubblicato il 03/07/2023
N. 06438/2023REG.PROV.COLL.
N. 00738/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 738 del 2018, proposto dal signor Luca Vignolini, rappresentato e difeso dagli avvocati Mauro Cortopassi, Carlo Lenzetti e Andrea Lofrese, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Carlo Lenzetti in Massa, via G. Galilei n. 1;
contro
Signora Gabriella Andrei, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Calugi e Vittorio Donato Gesmundo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Amerigo Cianti in Roma, via Vito Sinisi, 71;
nei confronti
Comune di Pietrasanta, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 00785/2017.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della signora Gabriella Andrei;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2023 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Sig. Vignolini è proprietario di una villetta bifamiliare sita nel Comune di Pietrasanta, distinta al N.C.E.U. al Fg. 36, mapp.le n. 25, adiacente ad altra porzione di villetta bifamiliare, di proprietà della Sig.ra Andrei.
Con licenza edilizia n. 98 rilasciata in data 4 aprile 2003 il Comune autorizzava l’odierno appellante alla realizzazione di un “manufatto uso ripostiglio quale pertinenza di fabbricato ad uso residenziale” sul terreno di sua proprietà, frontistante il suo fabbricato e a confine con il fondo di proprietà Andrei.
Nello specifico, il manufatto assentito dal Comune si trova a distanza inferiore a tre metri dal muro perimetrale della villetta di proprietà Vignolini e a meno di dieci metri rispetto ad altro fabbricato (diverso da quello di proprietà Andrei) confinante su altro lato e di proprietà di un terzo, sig. Loris Jurman.
La Sig.ra Andrei impugnava la citata autorizzazione edilizia n. 98/2003 davanti il T.A.R. per la Toscana, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, lamentando:
- violazione dell’art. 9, comma 2, del D.M. n. 1444/1968;
-violazione dell’art. 873 c.c. e dell’art. 9.6 N.T.A.
Con sentenza n. 785/2017 il T.A.R. per la Toscana accoglieva il ricorso ed annullava l’autorizzazione edilizia impugnata, sostenendo che la stessa sarebbe stata rilasciata in violazione:
- dell’art. 9, comma 2, del D.M. n. 1444/1968, che prevede la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate per gli edifici di nuova realizzazione e che, come tale, non ammetterebbe deroga alcuna;
- dell’art. 873 c.c., secondo cui le costruzioni tra fondi finitimi devono essere tenute ad una distanza non inferiore a 3 (tre) metri.
Avverso la predetta sentenza ha interposto appello il signor Vignolini chiedendone la riforma in quanto errata in diritto tenuto conto dello stato dei luoghi.
Si è costituita la signora Andrei per resistere all’appello chiedendone la reiezione, con integrale conferma della sentenza appellata.
Alla udienza pubblica del 15 giugno 2023 la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie con le quali le parti hanno nuovamente illustrato le rispettive tesi difensive.
L’appello è fondato.
Con il primo motivo l’appellante deduce: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a. - Inammissibilità del ricorso introduttivo per carenza di interesse in relazione alla presunta violazione dell’art. 9, comma 2 del D.M. n. 1444/1968 e s.m.i., nonché dell’art. 34 N.T.A. - Travisamento della realtà di fatto e di diritto sotto svariati profili - Difetto di istruttoria.
Assume che il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere sussistente l’interesse alla domanda di annullamento rispetto alla dedotta violazione delle distanze tra pareti finestrate, nella specie sussistente non rispetto alla abitazione della signora Andrei, ricorrente in primo grado, ma di un terzo estraneo al giudizio.
Il motivo è fondato.
Non è contestato tra le parti che la violazione della distanza minima inderogabile di 10 metri tra pareti finestrate sussista, nel caso di specie, non rispetto alla abitazione della signora Andrei, che ne ha eccepito la violazione, ma rispetto alla abitazione di un soggetto terzo.
Ne discende che la signora Andrei non ha interesse a far valere una violazione che determina un effetto lesivo rispetto non alla propria abitazione ma a quella di un terzo e tanto meno ha titolo per eccepire che il ripostiglio sia posto a distanza di meno di dieci metri rispetto al muro perimetrale dell’abitazione del Vignolini che ha realizzato la struttura di servizio poiché anche in questo caso non ha allegato alcun pregiudizio asseritamente derivante dalla minore distanza osservata.
Difetta pertanto una condizione dell’azione indispensabile ai fini della ammissibilità del ricorso, come ribadito di recente dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 9 dicembre 2021, n. 22.
Come noto tale pronuncia ha chiarito che nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo.
Nel caso di specie tuttavia l’odierna appellata non ha mai dimostrato e neppure prospettato il pregiudizio subìto a causa della realizzazione, da parte del Vignolini, del manufatto a distanza inferiore ai 10 metri sia rispetto al fabbricato di proprietà del terzo che rispetto alla propria abitazione né ha precisato l’effetto di ripristino concretamente utile che le potrebbe derivare dall’annullamento della autorizzazione impugnata.
Non vale a superare l’eccepito profilo di inammissibilità il fatto che alla disposizione di cui all’art. 9, comma 2 del D.M. 1444 del 1968 sia pacificamente riconosciuta una finalità pubblicistica - quella cioè di salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico sanitarie, al fine di evitare malsane intercapedini tra edifici tali da compromettere i profili di salubrità degli stessi, quanto ad areazione, luminosità ed altro - poiché tale finalità ne giustifica la natura inderogabile - al punto che le disposizioni di cui al DM 1444/68, secondo un risalente e non superato insegnamento, prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica - ma non consente di ritenere sussistente un pregiudizio in re ipsa, derogando ai principi generali sull’interesse a ricorrere, come di recente ribaditi e precisati dalla menzionata sentenza della Adunanza Plenaria.
Per completezza deve osservarsi che la violazione della distanza minima tra pareti finestrate non è configurabile neppure rispetto alla abitazione della appellata in quanto non frontistante rispetto al ripostiglio.
E’ stato precisato al riguardo che con riferimento alla disposizione contenuta nell'art. 9, comma 1, n. 2, del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, che impone la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, le distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale, come invece avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare tracciando linee perpendicolari tra gli edifici (Consiglio di Stato sez. II, 10/07/2020, n.4465), criterio, applicando il quale, il fronte della abitazione della appellata non incontra in alcun punto il fronte del ripostiglio;
Ne discende che il motivo di appello è fondato e la sentenza del T.a.r. - cha ha omesso di scrutinare la eccezione tempestivamente dedotta sin dal primo grado di giudizio dalla parte resistente - deve essere sul punto riformata.
Con il secondo motivo l’appellante deduce: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 873 c.c. - Travisamento della realtà di fatto e diritto - Difetto di istruttoria.
Lamenta che il giudice di primo grado avrebbe erroneamente ritenuto integrata anche la violazione dell’art. 873 c.c. in materia di distanze tra costruzioni su fondi finitimi, sul presupposto che tale disposizione sarebbe “suscettibile di essere derogata solo prevedendo una distanza superiore”.
Osserva al riguardo che avendo come scopo quello di evitare intercapedini dannose, la disciplina sulle distanze minime tra edifici previste dall’art. 873 c.c. - così come quelle di cui all’art. 9. D.M. n. 1444/1968 - non vanno misurate in modo radiale, ma in modo lineare e poichè l’abitazione della signora Andrei non fronteggia in alcun punto il manufatto di servizio, dovrebbe escludersi ogni violazione dell’art. 873 c.c. e sarebbe pertanto irrilevante la circostanza per cui la distanza misurata con angolazione obliqua tra il ripostiglio e l’edificio di proprietà Andrei sia pari a ml 2,10.
Il motivo è fondato.
Con la recente sentenza n. 10580 del 2019 la Corte di cassazione ha ribadito che la distanza tra edifici va calcolata in modo lineare e non radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute, e poiché l’abitazione dell’appellata non fronteggia in alcun punto il ripostiglio, deve escludersi la sussistenza di una violazione dell’articolo 873 c.c. (cfr. altresì Cons. Stato, sez VI, 5 dicembre 2019 n. 8319; Cass. civ., sez. II, 11 maggio 2016, n. 9649; Cons. Stato, sez. IV, 5 ottobre 2005, n. 5348).
Inoltre l’art. 873 c.c. non rileva neppure rispetto all’edificio di proprietà dell’odierno appellante, trattandosi di edifici appartenenti al medesimo soggetto, avendo sul punto la Suprema Corte chiarito che “è legittima, dal punto di vista privatistico, la realizzazione di costruzioni ad una distanza inferiore a quella legale o regolamentare sul fondo di un unico proprietario” (cfr. Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2017 n. 6855).
Alla luce delle motivazioni che precedono l’appello deve pertanto essere accolto con conseguente integrale riforma della sentenza appellata e reiezione del ricorso di primo grado.
Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.
Condanna la signora Gabriella Andrei alla rifusione, in favore del signor Luca Vignolini, delle spese del doppio grado che si liquidano complessivamente in euro 4000,00, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati:
Gerardo Mastrandrea, Presidente
Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore
Fabrizio Di Rubbo, Consigliere
Ofelia Fratamico, Consigliere
Paolo Marotta, Consigliere