Cass. Sez. III n. 8865 del 23 febbraio 2017 (Cc 8 nov 2016)
Presidente: Fiale Estensore: Renoldi Imputato: Visone
Urbanistica.Lavori eseguiti su manufatti originariamente abusivi

Nel caso di manufatti originariamente abusivi, i quali non siano stati oggetto di condono edilizio o di sanatoria, i lavori da eseguirsi su di essi ripetono le caratteristiche di illegittimità dall'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché il regime di denuncia di inizio attività (DIA), anche in relazione a tipologia di interventi sottoposti a tale disciplina dal D.L. n. 133 del 2014, non è agli stessi applicabile. E ciò anche quando, per le condotte relative alla iniziale edificazione fosse eventualmente maturato il termine di prescrizione, atteso che, come detto, l'originaria illegittimità del manufatto originale non consente di qualificare come legittimi i successivi interventi, ancorché volti alla mera manutenzione del fabbricato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 9/10/2015 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli respinse l'istanza di revoca proposta da Giulia Visone in relazione al sequestro preventivo disposto, con ordinanza del 29/07/2015, su un'opera edilizia abusiva di proprietà della stessa richiedente, costituita da un manufatto in muratura realizzato sul terrazzo di copertura di un fabbricato.

2. Con atto depositato in data 22/10/2015, la difesa della stessa Visone, propose appello avverso la predetta ordinanza di rigetto della richiesta di revoca del provvedimento, deducendo che il manufatto sarebbe stato preesistente all'acquisto dell'immobile da parte dell'indagato, essendo stato realizzato negli anni '80 ed essendo stato anche oggetto di richiesta di condono edilizio da parte del precedente proprietario, oltre che di pagamento dell'oblazione, venendo lo stesso menzionato nell'atto notarile di acquisto della proprietà da parte della stessa appellante stipulato il 9/02/2015; nonché la nullità del provvedimento impugnato per motivazione inesistente o, comunque, logicamente carente, in quanto sostenuta da affermazioni apodittiche.

3. Con ordinanza del 27/11/2015, il Tribunale di Napoli rigettò la richiesta, osservando, in primo luogo, quanto al dedotto vizio di motivazione che l'eventuale carenza, al riguardo, del provvedimento genetico potesse essere in ogni caso sanata attraverso l'integrazione della sua motivazione ad opera dell'ordinanza pronunciata in sede di appello.
Nel merito, i giudici del riesame ritennero sussistente il fumus del reato di cui all'art. 44 del d.p.r. n. 380 del 2001, atteso che il manufatto costruito sul terrazzo in epoca risalente non era mai stato condonato e che i lavori di manutenzione ordinaria realizzati sull'opera abusiva ne avrebbero "ripetuto" la illiceità, "riattualizzando" l'abuso; e, in secondo luogo, come il manufatto illegittimo avesse comportato un aggravamento del carico urbanistico.

4. Avverso l'ordinanza del Tribunale di Napoli propone personalmente ricorso per cassazione la stessa Visone attraverso due distinti motivi di impugnazione.
Con il primo viene dedotta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l'erronea applicazione della legge processuale penale stabilita a pena di nullità. Ciò sul presupposto che il Tribunale del riesame abbia illegittimamente ritenuto di procedere alla integrazione della motivazione, nonostante che il vizio dedotto fosse proprio quello di omessa motivazione da parte del provvedimento genetico.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per inosservanza della legge penale ovvero per carenza o contraddittorietà della motivazione, essendosi il giudice limitato a rilevare che, nonostante la presentazione della richiesta di condono, non fosse intervenuto alcun provvedimento concessorio in sanatoria, sicché il manufatto originario, edificato circa 35 anni prima, sarebbe rimasto illegittimo.
Tuttavia, il giudice si sarebbe dovuto pronunciare sulla possibile accoglibilità del condono e, soprattutto, sulla possibilità di eseguire gli interventi di manutenzione, i quali sono consentiti, per gli immobili oggetto di condono, ove non comportino aumenti di volumetria o di superficie, né modifiche di sagoma o delle destinazioni d'uso.

4. Con requisitoria scritta, depositata in data 12/07/2016, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto la pronuncia di una declaratoria di inammissibilità del ricorso, sul presupposto che l'originario carattere abusivo del manufatto si estenderebbe anche agli interventi di manutenzione ordinaria ad esso relativi, i quali, conseguentemente, non potrebbero essere autorizzati secondo il regime proprio della dichiarazione di inizio di attività.

5. In data 7/11/2016 è stata depositata una nota a firma dell'avv. Donato Laino, nell'interesse di Giulia Visone, con la quale, nell'insistere per l'annullamento dell'ordinanza impugnata, si sottolinea come tale provvedimento, pronunciato in sede di appello, abbia illegittimamente proceduto a integrare la motivazione, integralmente omessa, sulla richiesta di revoca del sequestro, benché lo stesso fosse stato impugnato proprio per la denunciata nullità ex art. 125, comma 3, cod. proc. pen..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Muovendo dalla prima censura, relativa all'illegittima integrazione della motivazione, da parte del Tribunale della libertà, del provvedimento impugnato, giova preliminarmente rilevare che la materia delle impugnazioni cautelari è disciplinata da un corpo di disposizioni - contenute nel libro quarto del codice di rito, al capo sesto del titolo primo (relativo alle "misure cautelari personali") ovvero al capo terzo del titolo secondo (in materia di "misure cautelari reali") - che presentano profili di specialità rispetto alle norme, collocate nel libro nono del codice, che invece disciplinano le impugnazioni in generale; fermo restando che nei casi non espressamente regolati da tali disposizioni speciali è comunque necessario fare applicazione analogica delle norme, ove compatibili, sulle impugnazioni.

2.1. Con specifico riferimento ai vizi della motivazione, l'art. 125, comma 3, cod. proc. pen. richiede "a pena di nullità" la motivazione delle sentenze, delle ordinanze e, nei casi in cui la motivazione sia espressamente prescritta dalla legge, dei decreti; ed è pacifico che tale disciplina sia applicabile anche alla materia cautelare.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, anche nel caso della procedura di riesame dei provvedimenti cautelari (artt. 309 e 324 cod. proc. pen.) il Tribunale può (e anzi deve) integrare la motivazione insufficiente in quanto, attesa la portata totalmente devolutiva del mezzo di gravame, il provvedimento impugnato può essere confermato o annullato anche per motivi diversi da quelli addotti dalle parti. Il principio della integrazione della motivazione è, infatti, un principio generale valido per ogni tipo gravame, che sia connotato dalla convergenza nella medesima fase di un effetto rescindente e contemporaneamente rescissorio, ove al giudice della impugnazione, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, è imposto di colmare, nel merito, il deficit argomentativo del provvedimento sottoposto al suo controllo senza restituire gli atti al Giudice che lo ha emesso.

2.2. Dunque, laddove si faccia unicamente questione della sufficienza, congruità ed esattezza delle indicazioni presenti nel provvedimento, il potere integrativo del giudice dell'impugnazione cautelare viene esercitato legittimamente, atteso che l'ordinanza applicativa della misura cautelare e quella che decide sulla richiesta di riesame sono tra loro collegate e complementari, sicché la motivazione del tribunale integra e completa le eventuali carenze del provvedimento del primo giudice (ex multis, Sez. 5, n. 16587 del 24/03/2010, dep. 29/04/2010, Di Lorenzo e altro, Rv. 246875).

2.3. Tuttavia, laddove il provvedimento sia mancante di motivazione in senso grafico oppure in presenza di apparato motivazionale inesistente perché del tutto inadeguato o basato su affermazioni apodittiche ovvero nei casi in cui la motivazione stessa si risolva in una clausola di stile, si registra una diversità di regime a seconda che si verta nel processo ordinario di cognizione ovvero nel procedimento cautelare, secondo quanto puntualmente posto in luce da questa Sezione della Corte nel precedente richiamato dalla stessa difesa della Visone (Sez. 3, n. 45234 del 3/07/2014, dep. 3/11/2014, Tomeucci, Rv. 260995).

2.3.1. Infatti, nel primo caso, la giurisprudenza di legittimità, anche nella sua massima espressione, ha chiarito che, in caso di mancanza assoluta della motivazione della sentenza di primo grado, il giudice di appello deve provvedere, in forza dei richiamati poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008, dep. 23/01/2009, R., Rv. 244118). Ciò in quanto il difetto assoluto della motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall'art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado (v. Sez. 6, n. 24059 del 14/05/2014, dep. 9/06/2014, P.M. in proc. Spigarelli, Rv. 259979; Sez. 6, n. 26075 in data 8/06/2011, dep. 4/07/2011, B., Rv. 250513; Sez. 5, n. 19051 del 19/02/2010, dep. 19/05/2010, Dicandia, Rv. 247252).

2.3.2. Nella materia cautelare, invece, il regime si atteggia in maniera affatto differente.
Nel caso del riesame, infatti, il chiaro tenore letterale della disposizione che attribuisce il potere integrativo al Tribunale del riesame, costituita dall'art. 309, comma 9, ultima parte, cod. proc. pen., prevede, nella formulazione attualmente vigente, che lo stesso tribunale possa annullare il provvedimento impugnato; riformarlo in senso favorevole all'indagato/imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati; "confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso". Ne consegue, dunque, che il tribunale non possa, dunque, confermare il provvedimento per ragioni del tutto nuove; ciò che si verificherebbe nel caso in cui il provvedimento fosse radicalmente privo di motivazione (v. tra le tante Sez. 2, n. 12537 del 4/12/2013, dep. 17/03/2014, Susassi, Rv. 259554).
Quanto poi al caso, qui di interesse, dell'appello cautelare, essendo tale procedimento retto, a differenza del riesame, dal principio tantum devolutum quantum appellatum, nel caso di carenza grafica o di omessa pronuncia - e comunque di apparato motivazionale insistente - il provvedimento impugnato - qualora al giudice dell'appello cautelare non siano stati comunque devoluti, nonostante l'omessa pronuncia sul punto, temi di merito - non è integrabile neppure sulla base dei poteri di piena cognizione e di valutazione del fatto che sono propri del giudice del gravame.
Ciò in quanto, in assenza di una qualsiasi devoluzione quanto ai temi di merito, l'integrazione sarebbe esercitata oltre i limiti del devoluto e, dunque, il provvedimento mancante di motivazione dovrebbe essere semplicemente dichiarato nullo per violazione dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen.. E non essendo lo stesso integrabile, dovranno necessariamente trasmettersi gli atti al primo giudice non potendosi, da un lato, privare la parte, che abbia legittimante ritenuto di eccepire esclusivamente il vizio di omessa pronuncia, di un grado del giudizio cautelare e non potendosi, dall'altro, privare la parte stessa di una pronuncia di merito sulla primitiva istanza.
Tuttavia, qualora invece accanto alle censure sulla mancanza della motivazione l'appellante deduca specifici temi di merito, allora, proprio in virtù del principio devolutivo, il Tribunale potrà pronunciarsi anche sulle relative questioni.
Assolutamente non pertinente, dunque, è il richiamo, compiuto dalla difesa dell'odierna ricorrente, ai principi affermati dal richiamato precedente (Sez. 3, n. 45234 del 3/07/2014, dep. 3/11/2014, Tomeucci, Rv. 260995), atteso che in tale frangente questa Corte si era pronunciata sulla fattispecie, affatto diversa, in cui al giudice dell'impugnazione era stata devoluta esclusivamente la cognizione della nullità del provvedimento.

2.4. Alla luce delle considerazioni che precedono, quindi, deve ritenersi che il Tribunale del riesame di Napoli si sia correttamente pronunciato sulle questioni di merito devolute alla sua cognizione, procedendo in ogni caso ad integrare la motivazione del provvedimento impugnato e, dunque, sanando ogni profilo di eventuale vizio per mancanza di motivazione che lo avesse in ipotesi afflitto.

3. Venendo, quindi, ai profili di merito, osserva il Collegio come costituisca principio ormai consolidato nella elaborazione di questa Sezione, che nel caso di manufatti originariamente abusivi, i quali non siano stati oggetto di condono edilizio o di sanatoria, i lavori da eseguirsi su di essi ripetono le caratteristiche di illegittimità dall'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché il regime di denuncia di inizio attività (DIA), anche in relazione a tipologia di interventi sottoposti a tale disciplina dal D.L. n. 133 del 2014, non è agli stessi applicabile (così Sez. 3, n. 51427 del 16/10/2014, dep. 11/12/2014, Rossignoli e altri, Rv. 261330; Sez. 3, n. 1810 del 2/12/2008, dep. 19/01/2009, P.M. in proc. Cardito, Rv. 242269; Sez. 3, n. 21490 del 19/04/2006, dep. 21/06/2006, Pagano, Rv. 234472). E ciò anche quando, come nella specie, per le condotte relative alla iniziale edificazione fosse eventualmente maturato il termine di prescrizione, atteso che, come detto, l'originaria illegittimità del manufatto originale non consente di qualificare come legittimi i successivi interventi, ancorché volti alla mera manutenzione del fabbricato; principio affermato anche nel caso in cui detta illegittimità fosse stata successivamente condonata (così Sez. 3, n. 26367 del 25/03/2014, dep. 18/06/2014, Stewart e altro, Rv. 259665).
Ciò che conseguentemente rende irrilevante, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente, il fatto della presentazione dell'istanza di condono, ancorché accompagnata dal versamento della somma dovuta a titolo di oblazione, tanto più che ad essa non ha mai fatto seguito alcun provvedimento sanante da parte della competente amministrazione.

3. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarate inammissibile.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 euro.

PER QUESTI MOTIVI

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000 (duemila) in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, in data 8/11/2016