Cass. Sez. III n. 25036 del 16 giugno 2016 (Ud 3 mar 2016)
Pres. Amoresano Est. Liberati Ric. Botticelli
Urbanistica.Abusivismo edilizio e stato di necessità
Lo stato di necessità può essere invocato solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere in via definitiva le esigenze abitative del proprio nucleo familiare, in quanto le esigenze abitative delle famiglie sono salvaguardate dall'ordinamento mediante il sistema dell'edilizia popolare o convenzionata e quelle di tutela della salute, ed in particolare della gravidanza, attraverso l'assistenza sanitaria, e non consentono dunque di ravvisare un pericolo attuale di danno grave alla persona tale da legittimare la realizzazione di un immobile abusivo da destinare ad abitazione familiare.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18 settembre 2014 la Corte d'appello di Roma ha respinto l'impugnazione proposta da B.G. nei confronti della sentenza del Tribunale di Latina del 3 giugno 2011 che, in esito a giudizio abbreviato, lo aveva condannato alla pena di giorni 80 di reclusione ed Euro 100,00 di multa per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), artt. 71 e 95 (per avere realizzato in zona considerata a rischio sismico un basamento di cemento armato di 120 metri quadrati, fuoriuscente per circa 50 centimetri dal piano di campagna, su cui insisteva un manufatto in muratura e cemento armato della superficie residenziale di circa 120 metri quadrati) e 349 c.p., ordinando anche la demolizione del manufatto realizzato illecitamente.
La Corte territoriale, nel disattendere l'impugnazione dell'imputato, ha ritenuto sussistente la violazione di sigilli limitatamente all'accertamento eseguito dalla polizia giudiziaria il 21 gennaio 2009, stante la successiva dichiarazione di inefficacia del decreto di sequestro (da parte del Tribunale di Roma con ordinanza del 31 marzo 2009), ed ha respinto la richiesta di revoca o sospensione dell'ordine di demolizione, reputando insufficiente la mera presentazione dell'istanza di sanatoria ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 in assenza di notizie circa il suo esito.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato mediante il suo difensore di fiducia, che lo ha affidato a tre motivi, così riassunti entro i limiti previsti dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo ha eccepito la nullità della sentenza di secondo grado e di tutti gli atti del relativo giudizio per violazione dell'art. 161 c.p.p., comma 4, per non essere stata tentata la notificazione della sentenza di primo grado e del decreto di citazione a giudizio in appello presso il domicilio eletto dall'imputato, in (OMISSIS), essendo stati notificati tali atti al difensore ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4.
2.2. Con un secondo motivo ha denunciato violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di cui all'art. 349 c.p., evidenziando che il provvedimento di sequestro era stato dichiarato inefficace e che quindi al momento dell'accertamento della polizia giudiziaria esso non poteva ritenersi produttivo di effetti. Ha inoltre prospettato di aver agito in stato di necessità, dovendo completare la costruzione della casa da destinare ad abitazione della propria famiglia, essendo tra l'altro la propria consorte in stato di gravidanza.
2.3. Con il terzo motivo ha denunciato violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla richiesta di revoca o sospensione dell'ordine di demolizione, esponendo di aver presentato in data 8 giugno 2009 richiesta di permesso in sanatoria, a fronte della quale il Comune il 19 novembre 2009 aveva disposto la demolizione dell'immobile, senza pronunciarsi sulla precedente richiesta di concessione, con la conseguente illegittimità dell'ordine di demolizione e del diniego della sua revoca da parte della Corte d'appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Per quanto riguarda il primo motivo, mediante il quale è stata denunciata la nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio in appello, a causa della sua esecuzione nelle forme dell'art. 161 c.p.p., comma 4, e cioè mediante consegna al difensore, nonostante l'imputato avesse eletto domicilio in (OMISSIS), con la conseguente nullità della sentenza di secondo grado, la Corte d'appello ha evidenziato la corretta esecuzione di tale notificazione mediante consegna al difensore, a causa della impossibilità di eseguirla presso il domicilio da ultimo dichiarato dall'imputato, in (OMISSIS), ed il ricorrente non ha in alcun modo censurato tale affermazione, ribadendo solamente l'esistenza della precedente elezione di domicilio.
Tale affermazione risulta, tuttavia, manifestamente infondata, in quanto dagli atti del giudizio di secondo grado, cui questa Corte ha accesso in relazione all'error in procedendo denunziato dal ricorrente, giacchè con riguardo a tale censura la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all'esame diretto degli atti processuali (Sez. U, Sentenza n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092;
Sez. 1, Sentenza n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304; Sez. 4, Sentenza n. 47891 del 28/09/2004, Mauro, Rv. 230568), risulta che il 7 luglio 2014 venne tentata la notificazione del decreto di citazione a giudizio presso l'ultimo domicilio dichiarato dall'imputato, in (OMISSIS), con esito negativo, con la conseguente validità della successiva notificazione del medesimo atto mediante consegna al difensore, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4.
Poichè l'imputato aveva comunicato, mediante deposito nella cancelleria della Corte d'appello di Roma, tale mutamento del domicilio dichiarato, ai sensi dell'art. 162 c.p., correttamente la notificazione del decreto di citazione a giudizio in appello è stata tentata presso tale nuovo domicilio, laddove non ha avuto esito positivo per l'irreperibilità dell'imputato, con la conseguente legittima successiva esecuzione della notificazione mediante consegna al difensore, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4.
Ne consegue la manifesta infondatezza della censura in esame, emergente palesemente dall'esame degli atti.
2. Mediante il secondo motivo è stata prospettata violazione dell'art. 349 c.p. e art. 324 c.p.p. e vizio di motivazione, con riferimento alla affermazione di responsabilità dell'imputato in relazione al reato di cui all'art. 349 c.p. nonostante l'intervenuta dichiarazione di inefficacia del decreto di sequestro preventivo, nonchè lo stato di necessità in cui era venuto a trovarsi l'imputato, a cagione dello stato di gravidanza della consorte.
Tali censure sono entrambe manifestamente infondate.
2.1. Per quanto riguarda la inefficacia del decreto di sequestro preventivo del 17 dicembre 2008, in forza del quale erano stati apposti i sigilli al manufatto realizzato dall'imputato, di cui era stata accertata la violazione il 29 gennaio 2009 ed il 26 settembre 2009, tale inefficacia è stata dichiarata dal Tribunale del riesame con ordinanza del 31 marzo 2009, successivamente al primo accertamento della violazione dei sigilli apposti in esecuzione di tale sequestro.
Ciò comporta la sussistenza delle violazioni commesse anteriormente alla dichiarazione di inefficacia del sequestro, posto che fino a tale data il vincolo doveva ritenersi validamente apposto e con esso i sigilli che ne costituivano estrinsecazione, che quindi furono indebitamente violati dall'imputato, con la prosecuzione dell'attività edilizia.
La dichiarazione di inefficacia resa dal Tribunale del riesame, a causa della tardiva trasmissione degli atti, attiene solamente agli effetti del provvedimento e non riguarda gli elementi che ne costituiscono il fondamento di validità, e produce, perciò, i sui effetti ex nunc e non ex tunc (cfr. Sez. 5, n. 930 del 25/02/1997, Di Stefano, Rv. 208098), con la conseguenza che il provvedimento di sequestro era stato validamente emesso e, con esso, anche i sigilli che ne costituivano estrinsecazione, con la conseguente irrilevanza, rispetto alle condotte anteriori, della dichiarazione di inefficacia resa dal Tribunale, per ragioni di carattere processuale e non incidenti sulla genesi del provvedimento e sulla sua originaria validità.
2.2. Il dedotto stato di necessità della famiglia dell'imputato, che lo avrebbe costretto a realizzare il manufatto abusivo onde dare un ricovero alla propria consorte, in stato di gravidanza, attiene a circostanze di fatto mai in precedenza dedotte, neppure con i motivi d'appello, e ne risulta dunque inammissibile la deduzione per la prima volta nel giudizio di legittimità, presupponendo l'accertamento di una situazione di fatto e la valutazione della derivazione dalla stessa di un pericolo di danno grave alla persona, che richiede accertamenti in fatto preclusi nel giudizio di legittimità.
Va comunque ricordato che lo stato di necessità può essere invocato solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere in via definitiva le esigenze abitative del proprio nucleo familiare (Sez. 2, n. 9655 del 16/01/2015, Cannalire, Rv. 263296; Sez. 6, n. 28115 del 05/07/2012, Sottoferro, Rv. 253035), con la conseguenza che anche sulla base della stessa prospettazione del ricorrente deve essere esclusa la sussistenza della scriminante da egli invocata, in quanto le esigenze abitative delle famiglie sono salvaguardate dall'ordinamento mediante il sistema dell'edilizia popolare o convenzionata e quelle di tutela della salute, ed in particolare della gravidanza, attraverso l'assistenza sanitaria, e non consentono dunque di ravvisare un pericolo attuale di danno grave alla persona tale da legittimare la realizzazione di un immobile abusivo da destinare ad abitazione familiare.
3. Per quanto riguarda, infine, il terzo motivo, mediante il quale sono state denunciate violazione di legge e vizio di motivazione, per l'omessa considerazione delle richieste di sanatoria avanzate dall'imputato ed il conseguente erroneo rigetto delle richieste di revoca e sospensione dell'ordine di demolizione delle opere abusive, va rilevato che la Corte d'appello, nel disattendere tali richieste, ha evidenziato il dato della mera presentazione di istanze di sanatoria D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 36 senza alcuna allegazione da parte dell'interessato dei loro esiti.
Il ricorrente ha al riguardo precisato di aver presentato, in data 8 giugno 2009, richiesta di permesso in sanatoria e che il Comune, con ordinanza n. 361 del 19 novembre 2009, aveva disposto la demolizione dell'immobile senza dare conto in alcun modo della domanda avanzata.
Ciò, tuttavia, comporta, la correttezza della valutazione compiuta dalla Corte, che ha ritenuto irrilevante la presentazione della suddetta richiesta di permesso in sanatoria da parte dell'imputato, da ritenersi implicitamente respinta da parte del Comune per effetto della successiva emissione della ordinanza di demolizione, trattandosi di provvedimento logicamente incompatibile con la pendenza della richiesta di permesso di costruire in sanatoria, da considerarsi, dunque, implicitamente rigettata dal Comune.
Ne consegue l'evidente insussistenza della violazione di legge e del vizio di motivazione lamentati dal ricorrente, essendo stata respinta la richiesta di sospensione e revoca dell'ordine di demolizione all'esito della necessaria valutazione in ordine alla sussistenza di tutte le condizioni per ottenere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria (cfr., in tal senso, Sez. 3, n. 20482 del 03/04/2014, Terracciano, Rv. 259189), nella specie escluse sulla base dell'implicito rigetto dell'istanza da parte del Comune e della mancanza di allegazioni ulteriori al riguardo da parte del ricorrente.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta infondatezza di tutti e tre i motivi ai quali è stato affidato.
L'inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacchè essa impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale innanzi al giudice di legittimità e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 - 13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 3 marzo 2016.
Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2016