TAR Campania (NA) Sez. I n. 1824 dell'8 aprile 2010
Rifiuti. Obblighi di bonifica

L’obbligo di bonifica prescinde dalla disponibilità dell’area compromessa e si collega semplicemente alla condotta determinativa dell’inquinamento o del pericolo di inquinamento: in altre parole, il responsabile del degrado è sempre tenuto a ripristinare la precedente situazione ambientale, indipendentemente dal rapporto giuridico sussistente in relazione al bene contaminato.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N. 01824/2010 REG.SEN.
N. 02775/2005 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Prima)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 2775 del 2005, proposto da:
PIETRO COLUCCI, FRANCESCO COLUCCI, ISABELLA COLUCCI, NICOLA COLUCCI ed OLGA FIASCHI, in qualità di eredi del Sig. Gaetano Colucci, tutti rappresentati e difesi dagli Avv.ti Monica Mazziotti e Maria Giuseppina Marzano, ed elettivamente domiciliati presso il primo difensore in Napoli alla Via Melisurgo n. 4;


contro


- COMUNE DI SAN GIORGIO A CREMANO, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Lucia Cicatiello ed Adele Carlino, con le quali è domiciliato per legge presso la Segreteria di questo Tribunale in mancanza di domicilio eletto in Napoli;
- SINDACO DI SAN GIORGIO A CREMANO, nella qualità di Ufficiale di Governo, non costituito in giudizio;

nei confronti di

M.I.T.A. S.p.A., non costituita in giudizio;

per l'annullamento

a) dell’ordinanza sindacale n. 8 del 17 gennaio 2005, con la quale il Comune di San Giorgio a Cremano ha disposto la derequisizione dell’immobile sito in Via Marchitti n. 2 “limitatamente alla parte non soggetta a sequestro giudiziario”;

b) di ogni atto presupposto, connesso, conseguente e/o consequenziale, comunque lesivo degli interessi dei ricorrenti, ivi inclusi i verbali delle conferenze di servizi del 3 dicembre 2004 e del 28 dicembre 2004, citati nell’ordinanza di cui sopra;

e per la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento dei danni conseguenti al dedotto comportamento illegittimo della pubblica autorità.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2009 il dott. Carlo Dell'Olio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


I ricorrenti espongono di essere proprietari al 50% di un complesso immobiliare, composto da edifici e da una vasta area scoperta, ubicato nel territorio comunale di San Giorgio a Cremano alla Via Marchitti n. 2.

Tale complesso, nell’arco temporale compreso tra il 23 gennaio 2001 ed il 17 gennaio 2005, è stato interessato da svariate ordinanze sindacali di requisizione in uso, tra loro consecutive, al fine di provvedere allo stoccaggio temporaneo dei rifiuti solidi urbani del Comune di San Giorgio a Cremano.

Nel maggio 2002, con provvedimento del GIP, veniva posta sotto sequestro un’area di circa 400 mq. all’interno dell’immobile in parola, a causa della riscontrata presenza, in alcuni punti, di liquido presumibilmente assimilabile a percolato.

Infine, con ordinanza sindacale n. 8 del 17 gennaio 2005, sulla scorta di relazione tecnica nella quale si attestava la non contaminazione del sito e dell’assunto che la M.I.T.A. S.p.A., società affidataria dei servizi di igiene ambientale, aveva portato a compimento “le operazioni di prelievo ed avvio allo smaltimento dei rifiuti contenuti nei cassoni nel sito”, il Comune di San Giorgio a Cremano disponeva la derequisizione del complesso immobiliare limitatamente alla parte non sottoposta a sequestro giudiziario.

I ricorrenti insorgono avverso tale ordinanza e le risultanze delle conferenze di servizi in essa confluite (meglio indicate in epigrafe), chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 20 marzo 1865 n. 2248; violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 29 e 67 del r.d. 18 agosto 1940 n. 1941, contenente “norme per la disciplina delle requisizioni”, in combinato disposto con l’art. 13 del d.lgs. n. 22/1997 e con il d.m. 25 ottobre 1999 n. 471; violazione dell’art. 97 della Costituzione; violazione degli impegni assunti dalla p.a. requisente con l’ordinanza n. 11 del 23 gennaio 2001 e successive proroghe; violazione del principio del “neminem laedere” di cui all’art. 2043 c.c.; violazione dell’obbligo di custodia; “culpa in vigilando” della pubblica amministrazione;

2. violazione dell’art. 97 della Costituzione; violazione degli impegni assunti dalla p.a. requirente con l’ordinanza n. 11 del 23 gennaio 2001 e successive proroghe; violazione e falsa applicazione dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997; violazione del principio del “neminem laedere” di cui all’art. 2043 c.c.; violazione dell’obbligo di custodia; “culpa in vigilando” della pubblica amministrazione; carenza di istruttoria.

All’impugnativa viene aggiunta domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’asserito comportamento illegittimo dell’amministrazione comunale, consistente nell’aver adottato la gravata ordinanza senza aver previamente ripristinato l’originario stato dei luoghi, in termini sia strutturali che ambientali.

Si è costituito con controricorso il Comune di San Giorgio a Cremano, eccependo l’inammissibilità del ricorso per tardività e per difetto di giurisdizione, il difetto di legittimazione passiva (con contestuale richiesta di integrazione del contradditorio nei confronti di altri soggetti) e, nel merito, l’infondatezza delle domande ex adverso spiegate.

Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie difensive, nelle quali controdeducono e ribadiscono le proprie rispettive ragioni.

Gli altri soggetti intimati non si sono costituiti.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 7 ottobre 2009.


DIRITTO


1. In via preliminare, il Collegio deve pronunciarsi sull’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dalla difesa comunale.

Quest’ultima sostiene che l’odierna materia del contendere non si incentrerebbe sulla asserita illegittimità dell’ordinanza di derequisizione, bensì su un’azione di risarcimento di danni non connessi al predetto provvedimento, che “al più deriverebbero dal fatto che durante il periodo della requisizione la P.A. non avrebbe custodito diligentemente l’area requisita di proprietà dei ricorrenti”, con conseguente devoluzione dell’intera controversia al giudice ordinario.

L’eccezione deve essere disattesa.

1.1 Il Collegio rileva che l’odierno giudizio rientra a pieno titolo nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, non solo perché sono impugnati, mediante prospettazione di specifiche censure, atti amministrativi, ma anche perché la domanda di risarcimento danni trae linfa dalla dedotta illegittimità di tali atti, i quali, ad avviso di parte ricorrente, non potevano essere emanati senza il previo espletamento della fase di ripristino dell’originario stato dei luoghi.

1.2 La controversia risarcitoria è altresì attratta nella cognizione esclusiva del giudice amministrativo siccome originata nell’ambito della complessiva azione di gestione dei rifiuti, posta in essere con atti esplicativi dell’esercizio di poteri pubblicistici.

1.3 Una volta acclarata la giurisdizione di questo Tribunale, il Collegio ritiene di poter prescindere dallo scrutinio delle ulteriori eccezioni di rito in quanto il ricorso si presenta infondato nel merito.

2. Il gravame poggia essenzialmente su due articolate censure, con cui parte ricorrente tenta di infirmare l’ordinanza di derequisizione n. 8/2005 e le connesse risultanze procedimentali.

2.1 Con la prima doglianza, viene dedotto che l’amministrazione comunale poteva emettere l’ordinanza in parola solo dopo aver provveduto al ripristino dello stato originario dei luoghi, alterato dal potenziale inquinamento del sito, come confermato dal sequestro giudiziario intervenuto medio tempore, nonché dai danni arrecati alle strutture ed impianti in esso ubicati; d’altronde, anche alla luce dell’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 22/1997, “il Comune non poteva derequisire l’area “tout court”, ma avrebbe dovuto prima provvedere alla bonifica del suolo”.

Viene richiamata, al riguardo, una perizia di parte, nella quale sono descritte in maniera analitica le singole anomalie riscontrate nella gestione e manutenzione del sito.

Gli argomenti non hanno pregio.

Il Collegio osserva, in adesione alla specifica eccezione della difesa comunale, che in base alla normativa vigente la derequisizione trova il suo unico presupposto di legittimità nella cessazione dello stato necessitante valorizzato dalla precedente requisizione, non essendo condizionata dall’assolvimento dell’obbligo di ripristino dello stato originario dei luoghi.

Invero, tale obbligo discende direttamente dalla legge in virtù della posizione di custode assunta dall’autorità beneficiaria della requisizione e può dar luogo, in caso di inosservanza, a distinta responsabilità contrattuale, ma giammai può influire sulla legittimità del provvedimento di derequisizione, che deve essere emanato senza indugio al cessare degli eventi necessitanti, per consentire al privato inciso il riacquisto delle facoltà inerenti al diritto di proprietà. Altrimenti, si assisterebbe al paradosso che l’amministrazione potrebbe giovarsi del mancato assolvimento dell’obbligo di custodia dei beni requisiti al fine di poter perpetuare sine die l’efficacia del provvedimento di requisizione in uso, per sua natura connotato dai caratteri dell’eccezionalità e della temporaneità.

In altri termini, la legge reputa sufficiente per la derequisizione il solo venir meno della situazione di necessità, rilevando l’eventuale cattiva manutenzione del bene requisito esclusivamente ai fini della concorrente responsabilità dell’amministrazione per violazione dell’obbligo di custodia.

Infine, a termini dell’art. 17 cit., l’obbligo di bonifica accompagna il responsabile dell’inquinamento anche quando questi non gode o si è spogliato della disponibilità del sito, con la conseguenza che non si comprende perché, in base a tale disposizione, la fase di bonifica avrebbe dovuto necessariamente precedere, nel caso specifico, quella della derequisizione.

2.2 Con la seconda doglianza, i ricorrenti intendono ribadire l’illegittimità della gravata ordinanza “per la parte in cui il Comune tende a trasferire ad altri il possesso di un’area che egli stesso ha inquinato”, accollando a costoro la responsabilità per l’effettuazione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale imposti dall’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997.

La censura non merita condivisione.

Si ripete che l’obbligo di bonifica prescinde dalla disponibilità dell’area compromessa e si collega semplicemente alla condotta determinativa dell’inquinamento o del pericolo di inquinamento: in altre parole, il responsabile del degrado è sempre tenuto a ripristinare la precedente situazione ambientale, indipendentemente dal rapporto giuridico sussistente in relazione al bene contaminato.

Ne deriva che il Comune di San Giorgio a Cremano, laddove eventualmente individuato come soggetto responsabile di attività inquinanti a danno dell’immobile in questione, giammai potrebbe perdere tale qualità con il semplice trasferimento della detenzione dell’immobile stesso in altre mani, che nel caso specifico coincidono con quelle dei proprietari.

Né questi ultimi, una volta entrati nella disponibilità del bene, potrebbero acquistare la posizione di coobbligati del responsabile dell’inquinamento.

Infatti, condivisibile giurisprudenza ha puntualizzato che l’obbligo di bonifica grava sull’effettivo responsabile dell’inquinamento, mentre la mera qualifica di proprietario o detentore del terreno inquinato non implica l’obbligo di effettuazione della bonifica, e le autorità amministrative hanno il dovere di ricercare ed individuare il responsabile dell’inquinamento, non potendo costringere il titolare dell’area a porre in essere gli interventi necessari (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 settembre 2005 n. 4525; TAR Lombardia Milano, Sez. IV, 2 aprile 2008 n. 791; TAR Campania Napoli, Sez. I, 12 dicembre 2005 n. 20141).

Tutt’al più il proprietario dell’area avrebbe l’onere di eseguire gli interventi ambientali al fine di evitare l’espropriazione del terreno, gravato ex lege da onere reale e privilegio speciale (cfr. TAR Piemonte, Sez. I, 21 novembre 2008 n. 2928; TAR Toscana, Sez. II, 30 maggio 2008 n. 1541).

Sotto altro angolo visuale, si osserva che l’eventuale coinvolgimento nelle attività di recupero ambientale del proprietario del sito contaminato è contemplato direttamente dalla legge e prescinde dal trasferimento della disponibilità del bene, potendo verificarsi anche prima ed indipendentemente dalla formale derequisizione di quest’ultimo.

3. In definitiva, resistendo gli atti impugnati al corredo delle censure prospettate in gravame, la domanda di annullamento degli stessi deve essere rigettata per infondatezza.

4. Analoga sorte subisce la connessa domanda risarcitoria, non essendosi profilata l’ingiustizia dei danni asseritamente subiti.

Il Collegio rileva, inoltre, che si presenta comunque carente la prova sia dell’an dei danni: se imputabili o meno a pregressa attività di soggetti diversi dal Comune intimato per la parte strutturale del complesso immobiliare (cfr. relazione tecnica in atti dell’ing. Umberto Perillo dell’ottobre 1999 con allegata documentazione fotografica), e se effettivamente sussistenti per quanto riguarda il lamentato inquinamento ambientale, dedotto nella perizia di parte ricorrente solo in via presuntiva; sia del quantum: è stata omessa la quantificazione complessiva dei danni, nemmeno accennata in via di massima.

Né tanto meno il Tribunale, per sopperire all’evidenziato difetto di prova, potrebbe disporre la consulenza tecnica d’ufficio richiesta dai ricorrenti, giacché quest’ultima non configura un autonomo mezzo di prova, bensì uno strumento di valutazione di prove già ritualmente acquisite agli atti del giudizio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 aprile 2006 n. 1802; Consiglio di Stato, Sez. V, 18 gennaio 2006 n. 11; Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 febbraio 2005 n. 478).

5. In conclusione, ribadite le suesposte considerazioni, l’odierno ricorso deve essere in toto respinto.

Sussistono nondimeno giusti motivi, in virtù della peculiarità della vicenda contenziosa, per compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari di giudizio.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione Prima, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nelle camere di consiglio dei giorni 7 ottobre e 18 novembre 2009 con l'intervento dei Magistrati:

Antonio Guida, Presidente
Fabio Donadono, Consigliere
Carlo Dell'Olio, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/04/2010