TAR Campania (NA) Sez. I sent. 566 del 6 febraio 2008
Rifiuti. articolo 210 D.Lv. 152-06
L’applicazione dell’art. 210 D.Lv. 152-06 presuppone in ogni caso il possesso, in conformità all’art. 27 della legge n. 22/97, dell’C. La ratio del procedimento ex art. 210 è la stessa di quello ex art. 28 della legge n. 22/97: sicché, qualora si trattasse, invece, di conseguire, modificare o rinnovare anche la stessa autorizzazione dell’impianto, cioè di intervenire non soltanto sul piano del secondo, ma anche del primo dei titoli abilitativi previsti nel sistema della legge 22/97 di doppia autorizzazione, non vi sarebbe ragione alcuna per non applicare il nuovo procedimento di autorizzazione unica, che assorbe i due momenti prima disciplinati negli artt. 27 e 28 della legge 22/97.
Rifiuti. articolo 210 D.Lv. 152-06
L’applicazione dell’art. 210 D.Lv. 152-06 presuppone in ogni caso il possesso, in conformità all’art. 27 della legge n. 22/97, dell’C. La ratio del procedimento ex art. 210 è la stessa di quello ex art. 28 della legge n. 22/97: sicché, qualora si trattasse, invece, di conseguire, modificare o rinnovare anche la stessa autorizzazione dell’impianto, cioè di intervenire non soltanto sul piano del secondo, ma anche del primo dei titoli abilitativi previsti nel sistema della legge 22/97 di doppia autorizzazione, non vi sarebbe ragione alcuna per non applicare il nuovo procedimento di autorizzazione unica, che assorbe i due momenti prima disciplinati negli artt. 27 e 28 della legge 22/97.
n. 566/08 Reg. Sent.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione I, composto dai signori magistrati:
Antonio Guida Presidente
Fabio Donadono Consigliere
Francesco Guarracino Primo referendario rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 3825/07, proposto dalla Centro Ambiente Life s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore sig.ra Rosaria Longobardi, rappresentata e difesa dagli avvocati Lorenzo Lentini e Ferdinando Scotto, con i quali elettivamente domicilia in Napoli, via Caracciolo n. 15
CONTRO
- la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa dall’avv. Alessandra Miani, con il quale elettivamente domicilia in Napoli, via S. Lucia n. 81
- il Comune di Marigliano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Irene Romano, presso il cui studio elettivamente domicilia in Napoli, Riviera di Chiaia n. 61;
- ASL Napoli 4, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avvocati Rosa Anna Peluso e Chiara Di Biase, domiciliati, ai sensi dell'art. 35, co. 2, della legge 26.6.1924, n. 1054, presso la Segreteria del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania;
- l’Amministrazione Provinciale di Napoli, in persona del presidente pro tempore della Giunta Provinciale dott. Riccardo Di Palma, rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo Di Falco e Paola Cosmai, con domicilio eletto in Napoli, piazza Matteotti n. 1;
- l’A.R.P.A.C., in persona del direttore pro tempore, non costituitosi in giudizio;
- il Comitato per la Tutela del Diritto alla Salute, in persona del presidente Nunzia Lombardi, rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro Biamonte, presso il cui studio elettivamente domicilia in Napoli, via Duomo n. 348;
per l’annullamento
- del decreto dirigenziale n. 152 del 18.4.2007, con il quale il dirigente dell’Area Generale di Coordinamento 5 – Ecologia, Tutela dell’Ambiente, Disinquinamento, Protezione Civile della Regione Campania ha espresso diniego all’approvazione del progetto di “Impianto di stoccaggio e trattamento di rifiuti liquidi pericolosi e non pericolosi”, proposto dal Centro Ambiente Life S.r.l., da ubicarsi nel territorio del Comune di Marigliano alla Via Ponte delle Tavole;
- della nota regionale n. 561193 del 28.6.2006 di convocazione della conferenza di servizi per il giorno 14.7.2006;
- ove occorra, del verbale di conferenza di servizi del 14.7.2006 in uno con le allegate note del dirigente dell’ASL NA/4 e del Sindaco di Marigliano;
- della nota regionale n. 1059836 del 21.12.2006 di convocazione della conferenza di servizi per il giorno 10.1.2007 e della successiva nota n. 1070151 del 28.12.2006 che ha rinviato la seduta al 15.1.2007;
- ove occorra, del verbale della conferenza di servizi del 15.1.2007 in uno alle allegate note del Sindaco di Marigliano e del Presidente del Comitato per la Tutela del Diritto alla Salute;
- di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e conseguente, se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente.
*.*.*
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visti i rispettivi atti di costituzione in giudizio della Regione Campania, del Comune di Marigliano, della ASL Napoli 4, della Amministrazione provinciale di Napoli e del Comitato per la Tutela del Diritto alla Salute;
Viste le memorie depositate dalle parti a sostegno delle rispettive ragioni;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il primo referendario avv. Francesco Guarracino;
Uditi alla pubblica udienza del 5 dicembre 2007 gli avvocati presenti, come da verbale di causa;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Col ricorso in esame, notificato il 15 giugno 2007 e depositato il 28 giugno successivo, la Centro Ambiente Life S.r.l. (d’ora innanzi: Centro Ambiente) ha impugnato, in uno con gli atti indicati in epigrafe, il decreto dirigenziale n. 152 del 18 aprile 2007 della Area Generale di Coordinamento 5 Ecologia, tutela dell’ambiente, disinquinamento, protezione civile della Regione Campania col quale, preso atto delle risultanze della conferenza di servizi tenutasi in data 15 gennaio 2007, non è stato approvato il progetto del Centro Ambiente di un impianto di stoccaggio e trattamento di rifiuti liquidi pericolosi e non pericolosi da ubicarsi nel territorio del Comune di Marigliano alla via Ponte delle Tavole.
Hanno resistito in giudizio la Regione Campania, il Comune di Marigliano, la ASL Napoli 4, l’Amministrazione provinciale di Napoli ed il Comitato per la Tutela del Diritto alla Salute; non si è costituita, ancorché ritualmente intimata, l’A.R.P.A.C.
Alla camera di consiglio del 25 luglio 2007, fissata per l’esame della domanda di sospensione degli atti impugnati formulata col ricorso, la causa è stata cancellata dal ruolo delle istanze cautelari.
Sono state depositate memorie.
Alla pubblica udienza del 5 dicembre 2007 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La società ricorrente contesta la legittimità del diniego, oppostole con il decreto dirigenziale impugnato, di approvazione di un progetto per un impianto di stoccaggio e trattamento dei rifiuti liquidi pericolosi e non pericolosi da realizzarsi in un opificio sito in zona agricola E del Comune di Marigliano, a suo tempo autorizzato all’esercizio dell’attività di stoccaggio e trattamento di rifiuti speciali non classificabili tossici e nocivi.
Il diniego è motivato in relazione al parere negativo al rilascio della autorizzazione, espresso dalla apposita conferenza di servizi del 15 gennaio 2007, ed alla ritenuta inaccoglibilità delle osservazioni prodotte dalla società ricorrente a seguito del preavviso di rigetto ex art. 10 bis l. 241/90.
La conferenza di servizi del 15 gennaio 2007 era stata convocata a seguito di una richiesta di integrazione istruttoria formulata dalla ricorrente all’esito dei pareri negativi già espressi dalle amministrazioni interessate in una precedente conferenza di servizi tenutasi il 14 luglio 2006.
Le ragioni addotte in senso sfavorevole all’approvazione del progetto sono incentrate sui profili di incompatibilità dell’opera con la destinazione urbanistica dell’area, situata al di fuori dell’area PIP, in zona agricola “E”, e non servita da una rete fognaria comunale.
Il provvedimento dirigenziale respinge le deduzioni difensive della ricorrente, che muovono dall’assunto che si tratterebbe di un mero rinnovo della precedente autorizzazione, ritenendo doversi osservare le norme che disciplinano il rilascio dell’autorizzazione per nuovi impianti, trattandosi di impianto fermo dall’anno 1995 e di cui si sarebbe progettata una modifica sostanziale; nel merito, pur affermando insussistente un divieto assoluto di localizzazione di un impianto di smaltimento e di recupero rifiuti in zona agricola, sostiene che tale ubicazione sarebbe possibile solo in presenza di una decisione condivisa da tutti i partecipanti alla conferenza di servizi, al contrario di quanto avvenuto nella specie, avendo il Comune, la Provincia e la ASL espresso invece parere non favorevole.
Avverso tali determinazioni la ricorrente deduce plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere, affidate ad otto distinti motivi di gravame.
2. Con il primo motivo di ricorso il Centro Ambiente afferma che la Regione Campania avrebbe dovuto adottare la procedura autorizzatoria disciplinata dall’art. 210 d.lgs. 152/06, che non contempla il modulo della conferenza di servizi, anziché quella ex art. 208 d.lgs. 152/06.
L’assunto del Centro si basa su tre argomenti di carattere testuale:
- l’art. 210, co. 1 primo periodo, del d.lgs. 152/06, il quale stabilisce che “coloro che alla data in vigore della parte quarta del presente decreto non abbiano ancora ottenuto l’autorizzazione alla gestione dell’impianto […] presentano domanda alla regione competente per territorio, che si pronuncia entro novanta giorni dall’istanza”: secondo parte ricorrente, la norma implicherebbe la sottrazione alla procedura ordinaria delle istanze di autorizzazione presentate anteriormente alla entrata in vigore della parte quarta del d.lgs. 152/06, come sarebbe avvenuto nel caso di specie;
- l’art. 210, co. 1 secondo periodo, del d.lgs. 152/06, in base al quale “la procedura di cui al presente comma si applica anche a chi intende avviare una attività di recupero o di smaltimento rifiuti in un impianto già esistente, precedentemente utilizzato o ad adibito ad altre attività”: il ricorrente sostenendo che nella specie ricorrerebbero tali condizioni;
- l’art. 208, co. 16, del d.lgs. 152/06, secondo cui “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, eccetto quelli per i quali sia completata la procedura di impatto ambientale”: cosicché, secondo il Centro Ambiente, essendosi completata la procedura di VIA prima dell’entrata in vigore della parte quarta del nuovo testo unico, il procedimento di autorizzazione per cui è causa sarebbe sottratto alla disciplina ex art. 208 e perciò ricadrebbe in quella ex art. 210.
Inoltre col terzo motivo di ricorso, che per ragioni di connessione è opportuno esaminare congiuntamente, il Centro ricorrente contesta l’assunto che si tratti di un impianto nuovo, soggetto come tale ad autorizzazione alla realizzazione anziché al (solo) esercizio dell’attività, poiché sarebbe invece un impianto preesistente, oggetto di tre provvedimenti di condono edilizio ed a suo tempo autorizzato all’attività di smaltimento rifiuti.
Le questioni necessitano di un breve inquadramento normativo.
Occorre rammentare che la precedente legge di settore prevedeva un sistema di doppia autorizzazione: una autorizzazione alla realizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti (art. 27 legge 22/97) ed una autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero (art. 28 l. cit.). Le due autorizzazioni erano distinte, sebbene fosse consentita la presentazione contestuale delle relative istanze e, in tal caso, il rilascio dei due titoli col medesimo provvedimento (art. 27, ult. co.).
Il decreto legislativo n. 152 del 2006 ha sostituito a questo sistema una autorizzazione unica valevole sia per la realizzazione che per la gestione degli impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti (art. 208).
Nel fare ciò si è ritenuto di dover dettare talune disposizioni di natura transitoria che, a seconda dello stato della situazione autorizzatoria in corso, individuassero la disciplina applicabile.
In questa prospettiva, dunque, l’art. 210, rubricato “autorizzazioni in casi particolari”, sovviene la specifica esigenza di consentire ai soggetti che già avevano conseguito, sotto la legge precedente, la doppia autorizzazione alla realizzazione dell’impianto ed all’esercizio dell’attività, od almeno già ottenuto la prima delle due, di ottenere il rilascio, la modifica o il rinnovo della seconda autorizzazione (i.e., alla gestione dell’impianto o all’esercizio dell’attività che dir si voglia) senza l’inutile duplicazione della prima “fase” autorizzatoria che sarebbe derivata dal ricorso al procedimento proprio della nuova autorizzazione unica, ma avvalendosi di una procedura (quella ex art. 210) che sostanzialmente corrisponde, e non certo a caso, a quella che la l. n. 22/97 stabiliva per l’autorizzazione (soltanto) all’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero (art. 28 l. n. 22/97).
L’applicazione dell’art. 210, in altre parole, presuppone in ogni caso il possesso, in conformità all’art. 27 della legge n. 22/97, dell’autorizzazione (alla realizzazione) dell’impianto di smaltimento e recupero. Di quest’ultima non deve esservi discussione, perché la ratio del procedimento ex art. 210 è la stessa di quello ex art. 28 della legge n. 22/97: sicché, qualora si trattasse, invece, di conseguire, modificare o rinnovare anche la stessa autorizzazione dell’impianto, cioè di intervenire non soltanto sul piano del secondo, ma anche del primo dei titoli abilitativi previsti nel sistema della legge 22/97 di doppia autorizzazione, non vi sarebbe ragione alcuna per non applicare il nuovo procedimento di autorizzazione unica, che assorbe i due momenti prima disciplinati negli artt. 27 e 28 della legge 22/97.
Questa ricostruzione è avvalorata, sul piano logico-sistematico, dal fatto che espressamente il legislatore ha assoggettato alla nuova procedura di autorizzazione unica, oltre ai procedimenti già in corso per il rilascio della autorizzazione alla realizzazione di un nuovo impianto (art. 208, co. 16, con la sola eccezione che la procedura di VIA sia stata già completata), anche gli stessi impianti già autorizzati, quando interessati da modifiche sostanziali che li rendano difformi dal titolo abilitativo già posseduto (art. 208, co. 20).
Il quadro che se ne ricava è chiaro nel sussumere nell’art. 208 d.lgs. 152/06 tutte le ipotesi in cui si faccia questione della vecchia autorizzazione dell’impianto, conservandosi, in via meramente transitoria, una disciplina abilitativa analoga a quella di cui all’abrogato art. 28 l. 22/97 per il solo caso dell’impianto già autorizzato, per il cui esercizio sia stata presentata, prima dell’avvento della nuova legge, istanza volta ad ottenere, variare o rinnovare (soltanto) la relativa autorizzazione alla gestione.
Va, infine, detto che non depone in senso contrario la circostanza che l’art. 210 preveda, al secondo periodo del comma 1, che “la procedura di cui al presente comma si applica anche a chi intende avviare una attività di recupero o di smaltimento di rifiuti in un impianto già esistente, precedentemente utilizzato o adibito ad altre attività”. Poiché la procedura in questione attiene alla sola autorizzazione alla gestione dell’impianto, infatti, ritenere che in quel caso l’art. 210 trovi applicazione anche se l’utilizzazione per il recupero o lo smaltimento dei rifiuti di un impianto precedentemente adibito ad altre attività non sia stato già autorizzato ex art. 27 legge 22/97 significa, in pratica, concludere nel senso che la realizzazione di un nuovo impianto di recupero o smaltimento rifiuti in un opificio preesistente, quale che ne fosse l’attività (la legge parla infatti genericamente di “altre attività”), non sarebbe sottoposta ad alcuna autorizzazione e così sottratta, ad esempio, alle necessarie valutazioni della compatibilità del progetto con le esigenze territoriali ed ambientali, previste così dall’art. 27 l. 22/97 come dall’art. 208 d.lgs. 152/06.
In realtà, va ribadito che ai sensi dei commi 16 e 20 dell’art. 208 gli impianti sforniti di autorizzazione – perché il relativo procedimento era, al momento della entrata in vigore della nuova normativa, ancora in itinere o perché interessati da modifiche sostanziali che li hanno resi sostanzialmente tali – necessitano di essere autorizzati al pari e con l’osservanza dello stesso procedimento degli impianti nuovi di cui al primo comma; con l’unica eccezione dei procedimenti avviati con istanze presentate ai sensi dell’art. 27 legge 22/97 che abbiano visto già completata la procedura di valutazione di impatto ambientale.
Ciò posto su un piano generale, occorre verificare in quale situazione concreta versasse parte ricorrente.
Dalla documentazione versata in atti, emerge che la società Centro Ambiente aveva acquistato ad un’asta fallimentare un opificio industriale, con annessi macchinari ed impianti, per lo smaltimento di rifiuti inquinanti civili ed industriali di proprietà della società Centro Ecologico, alla quale con D.P.G.R. Campania n. 13692 del 19 dicembre 1991 era stata a suo tempo concessa l’autorizzazione alla gestione, con validità sino al 9 febbraio 1995, ai sensi dell’art. 6, lett. d), D.P.R. n. 915/82 (che fondava all’epoca la competenza in materia delle regioni).
Dal preambolo del predetto provvedimento, risultava che il progetto di adeguamento dell’impianto in questione era stato già approvato con DGR n. 6425 del 5 dicembre 1989 ai sensi della normativa allora vigente e che le opere previste erano state ultimate, come da attestazione della Provincia di Napoli del 18 ottobre 1991.
Il Centro Ambiente ha chiesto alla Regione Campania, con istanza prot. 013/04 del 22 giugno 2004, il rinnovo della precedente autorizzazione ed una variante al progetto già autorizzato.
Tale istanza non è stata prodotta in giudizio né dalla parte ricorrente, né dall’Amministrazione regionale. Risulta, tuttavia, in più luoghi (doc. 7 della produzione del Centro: istanza di riapertura del procedimento, p. 3 s.; premesse del decreto n. 152/07 impugnato), che la richiesta variante al progetto autorizzato nel 1989 riguardava modifiche nel processo tecnologico di trattamento dei rifiuti.
Dopo un primo arresto del procedimento – archiviato dalla Regione con provvedimento del 23 novembre 2004 prot. 2004.0928119, impugnato in autonomo giudizio dal Centro odierno ricorrente – l’istruttoria era stata riaperta con nota del 13 aprile 2005, prot. 2005.0316699, subordinatamente alla acquisizione in via preliminare del giudizio di compatibilità ambientale, nel dichiarato presupposto che il progetto di variante all’impianto costituisse variante sostanziale.
A ciò prestava acquiescenza il Centro, che sottoponeva il progetto alla Commissione V.I.A. con istanza del 5 ottobre 2005 ed otteneva parere favorevole di compatibilità ambientale con decreto assessorile del 3 marzo 2006, n. 223.
Alla luce di queste ultime circostanze, ritiene il Collegio che possano trarsi due prime conclusioni: da un lato, non potersi più in questa sede discutere del fatto che le varianti al progetto fossero di natura sostanziale, tali da richiedere dunque (art. 27, co. 8, legge 22/97; art. 208, co. 20, d.lgs. 152/06) una nuova approvazione del progetto e autorizzazione dell’impianto previa valutazione di compatibilità ambientale, secondo l’iter disciplinato dall’art. 27 della legge 22/97 all’epoca vigente; dall’altro, che, alla data di entrata in vigore della Parte quarta del d.lgs. 152/06 (il 29 aprile 2006), la procedura di impatto ambientale era ormai stata completata, con la conseguenza che l’art. 208 del d.lgs. 152/06 non poteva trovare applicazione al procedimento di causa in virtù del chiaro disposto del comma 16 di tale norma, senza che possa invocarsi in senso contrario (con interpretazione in sostanza abrogante) il successivo comma 20, che non è volto a regolare le situazioni transitorie ma opera a regime.
Non per questo, tuttavia, può accedersi alle conclusioni propugnate dal Centro ricorrente.
L’aver escluso l’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 208, infatti, non implica affatto in modo necessario ed automatico l’applicazione dell’art. 210. Quest’ultima disposizione riguarda, come si è visto, la ben diversa situazione di impianti già muniti di autorizzazione e conformi alla stessa, senza apportare alcuna deroga ai principi ora sanciti dai commi 1 e 20 dell’art. 208.
In realtà, il comma 16 dell’art. 208 (in base al quale “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai procedimenti in corso alla data in vigore della parte quarta del presente decreto, eccetto quelli per i quali sia completata la procedura di valutazione di impatto ambientale”) non fa altro che regolare l’applicabilità dello ius superveniens ai procedimenti in essere, assoggettandovi alcuni e sottraendovi altri: questi ultimi, giunti a uno stadio ormai avanzato di definizione, vengono sottratti, per espressa volontà del legislatore, al principio tempus regit actum, sollevando l’interprete dalla necessità di verificare la eventuale configurabilità di subprocedimenti già perfezionatisi; cosicché quei procedimenti, in definitiva, sono mantenuti per intero alla vecchia disciplina.
Ciò vuol dire, in conclusione, che i procedimenti di autorizzazione avviati ai sensi dell’art. 27 legge 22/97 per i quali, alla data del 29 aprile 2006, era già stata completata la procedura di valutazione di impatto ambientale restano soggetti a quella disciplina e vanno conseguentemente conclusi nella sua osservanza.
Ciò è quanto in definitiva accaduto nel caso in esame (non rilevando il richiamo formale negli atti impugnati alla disciplina sopravvenuta, quanto piuttosto la effettiva osservanza delle regole poste dalla legge applicabile), in cui correttamente si è dunque fatto luogo alla conferenza di servizi.
Ne consegue l’infondatezza del primo e del terzo motivo di ricorso.
3. Con il secondo motivo di gravame, parte ricorrente sostiene che i soggetti partecipanti alla conferenza di servizi non sarebbero stati titolati a rappresentare validamente le rispettive amministrazioni, siccome sprovvisti della necessaria delega o mandato.
Il motivo non è fondato.
Per quanto riguarda la seduta del 14 luglio 2006, il Centro ricorrente riporta un estratto parziale del verbale, che invece prosegue facendo espressa menzione, e dunque attestazione, dell’esistenza delle deleghe (“il Presidente prima dell’inizio dei lavori indica al Segretario di ritirare le deleghe”), una delle quali è stata anche prodotta in giudizio dall’ASL.
Per quanto riguarda la seduta del 15 gennaio 2007, vero è che il relativo verbale nulla afferma in merito alle deleghe, tuttavia l’assunto che gli intervenuti non ne fossero muniti trova smentita nelle produzioni agli atti del giudizio: infatti ognuna delle amministrazioni che avevano preso parte a tale riunione ha depositato copia della delega al suo rappresentante (la ASL al dott. Parrella; la Provincia al dott. Chiariello; il Comune di Marigliano all’ing. Ciccarelli).
4. Il quarto motivo di ricorso investe le valutazioni di segno negativo espresse dal Comune di Marigliano sotto il profilo urbanistico-edilizio.
Le ragioni ostative rappresentate nel corso della conferenza di servizi dal Comune di Marigliano riguardavano la incompatibilità dell’impianto con la destinazione urbanistica dell’area, la circostanza che l’area non era servita da una rete fognaria del Comune medesimo ed infine (verbale del 15.1.2007 e allegata nota del sindaco) l’indisponibilita dell’amministrazione comunale a concedere autorizzazioni per attività produttive in zone localizzate fuori dal piano degli insediamenti produttivi in corso di realizzazione, per un milione di mq, in altra zona del territorio comunale.
Sostiene al riguardo il ricorrente che i provvedimenti di concessione in sanatoria rilasciati nel 1992 e 1996 avrebbero definitivamente impresso all’immobile la destinazione d’uso di opificio industriale per stoccaggio e trattamento rifiuti in zona agricola (irrilevante sarebbe il fatto che l’opificio non è allocato nel perimetro del realizzando P.I.P., la cui adozione non potrebbe azzerare la destinazione impressa al bene con i condoni edilizi), precludendo alla p.a. di negare il diritto di utilizzarlo conformemente alla sua destinazione edilizia; che la destinazione dell’area in questione a zona agricola non sarebbe incompatibile con l’intervento, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; nonché che l’area, confinante con la zona industriale del Comune di San Vitaliano, avrebbe da tempo assunto analoga vocazione e sarebbe di fatto configurabile come parte integrante del nucleo industriale limitrofo, dalle cui infrastrutture (impianto fognario, strade, parcheggi) sarebbe idoneamente servita. Infine, l’impianto sarebbe assistito da adeguata rete fognaria, posto che la società ricorrente sarebbe autorizzata dal Comune di San Vitaliano all’immissione degli scarichi nel collettore comprensoriale che serve l’intera area industriale limitrofa.
La censura non può essere condivisa.
Compito della conferenza di servizi è, tra l’altro, l’acquisizione e la valutazione di tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le esigenze territoriali.
Il parere negativo del Comune sulla localizzazione dell’impianto è, come si è visto, motivato essenzialmente su ragioni di ordinato assetto del territorio. La destinazione urbanistica dell’area in questione a verde agricolo e l’esistenza nel medesimo territorio comunale di altra zona finalizzata alla allocazione degli impianti produttivi concorrono ad un quadro pianificatorio coerente con l’opposizione del Comune al progetto di parte ricorrente, non conciliandosi con le previsioni di piano vigenti la collocazione dell’impianto nell’area de qua.
Il rilascio delle concessioni edilizie in sanatoria non vale a mutare la destinazione urbanistica dell’area, ma soltanto a rendere legittimo l’edificio (C.d.S., V, 1 ottobre 2002, n. 5117) e dunque nessun jus utendi può invocare l’odierno ricorrente, senza considerare inoltre che l’opificio in questione ha cessato la sua attività oltre un decennio addietro, il che vale a smentire anche l’ulteriore assunto secondo cui, trattandosi di un impianto preesistente, il suo esercizio non sarebbe suscettibile di localizzazione alternativa.
Del tutto irrilevante è, infine, la circostanza che l’impianto sarebbe confinante con la zona industriale del Comune di San Vitaliano, poiché ciò che viene in rilievo è la compatibilità dello stesso con la programmazione urbanistica del Comune di Marigliano.
5. Il quinto motivo investe il parere igienico-sanitario dell’ASL.
Il Centro deduce il contrasto delle conclusioni dell’ASL con l’esito favorevole della procedura di VIA e col parere dell’ARPAC ed afferma che l’attività nello stesso impianto era stata già in passato assentita per il profilo igienico sanitario da parte della stessa ASL (all’epoca USL 27), irrilevante essendo la circostanza che l’impianto sia o meno qualificabile come nuovo, trattandosi di giudizio sull’attività. La valutazione dell’ASL, inoltre, sarebbe carente d’istruttoria, mancando di accertamenti sull’attività e basandosi solo su profili formali e valutazioni sottratte alla sua competenza (quali quella di compatibilità urbanistica), e comunque infondati sarebbero i rilievi mossi.
Il richiamo all’esito positivo della procedura di VIA ed al favorevole parere dell’ARPAC non soccorre, tuttavia, la tesi del ricorrente.
Sia nel sistema del d.lgs. 22/97 che del d.lgs. 152/06 l’acquisizione e la valutazione di tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le esigenze ambientali concorre con la eventuale necessità di acquisizione della valutazione di compatibilità ambientale e non esclude, per la diversità del relativo giudizio, che possa giungersi ad esiti diversi.
La necessità di acquisire e valutare “tutti” gli elementi relativi alla compatibilità ambientale esclude, inoltre, che del parere igienico-sanitario dell’ASL non debba tenersi conto quando per l’istruttoria tecnica la Regione si è avvalsa, come consente la legge, dell’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (le cui funzioni in materia di prevenzione, di vigilanza e di controllo ambientali non assorbono le competenze dell’ASL in materia di prevenzione sanitaria e igiene pubblica), posto che un esaustivo giudizio di compatibilità ambientale non può prescindere dall’attenta considerazione anche di profili di tutela della salute.
Ed ancora, nessun rilievo assume il nulla osta che la USL 27 aveva rilasciato ad altra società nel lontano 1990 per l’ “esercizio degli impianti per il trattamento delle acque biologiche e tecnologiche industriali anche di tipo tossico nocivo, rispettando le norme vigenti”, tenuto conto del fatto che si trattava di valutare un diverso progetto rispetto all’impianto ormai cessato nell’anno 1995 e caratterizzato da un notevole aumento della potenzialità di trattamento dei rifiuti (v. p. 16 della relazione tecnica illustrativa del giugno 2006 consegnata alla Regione Campania).
Il parere negativo dell’ASL sulla compatibilità del progetto dal punto di vista igienico-sanitario, allegato al verbale della seduta del 14 luglio 2007 della conferenza di servizi, pone proprio in risalto la capacità dell’impianto di stoccare e trattare notevoli quantità di rifiuti come un punto critico; il giudizio negativo espresso sotto il profilo di competenza è compendiato nell’affermazione secondo cui si tratterebbe di “attività insalubre e per la sua tipologia […] fortemente inquinante e pericolosa per le colture circostanti che potrebbero risultare gravemente compromesse da eventuali fenomeni di inquinamento che si potrebbero determinare con danno alla salute pubblica”, che trova sviluppo e completamento nelle successive considerazioni critiche sulla localizzazione dell’impianto in zona a destinazione agricola.
I rilievi sull’aspetto dello smaltimento dei reflui in fognatura e la loro depurazione, sull’insufficiente indicazione delle modalità di convogliamento delle acque, sull’assenza di un sistema per l’abbattimento delle esalazioni da essiccazione dei fanghi, cui il Centro ricorrente oppone le risultanze del proprio studio di impatto ambientale presentato in sede di procedimento di V.I.A., nonché sui pericoli connessi all’aumento del traffico veicolare sono, in definitiva, affermazioni di contorno intese a rafforzare, non a determinare, un giudizio negativo espresso in termini d’incompatibilità dell’insediamento per la pericolosità intrinseca della sua collocazione.
L’obiezione di fondo dell’ASL sulla localizzazione dell’impianto in zona agricola non riguarda, come opina parte ricorrente, considerazioni di natura urbanistica estranee alla competenza dell’Azienda, ma valutazioni funzionali ad un giudizio di prevenzione sanitaria: l’ASL ponendo in luce come la collocazione dell’impianto in una zona agricola con coltivazioni ortofrutticole destinate al consumo umano determinerebbe (ad esempio, per il rischio di incidenti) un pericolo di inquinamenti della falda acquifera che, tramite le coltivazioni, finirebbero per nuocere alla salute pubblica; pericolo che, in definitiva, non è escluso neppure dalla stessa relazione geologica al progetto, la quale si conclude, come ben evidenziato dalla difesa dell’ASL, raccomandando un monitoraggio del sito e dell’integrità delle strutture al fine di evitare rischi di inquinamento delle falde superficiali dovuti a perdite di inquinanti.
Ne consegue il rigetto del motivo.
6. Con il sesto motivo parte ricorrente lamenta che il parere negativo della Provincia sarebbe frutto di un’adesione acritica ed immotivata ai pareri negativi del Comune e dell’ASL e perciò illegittimo per difetto di istruttoria e vizio di motivazione.
In punto di fatto deve rilevarsi che nella seduta del 14 luglio 2007 il rappresentante della Provincia aveva dichiarato che non era stato possibile dare una “giusta valutazione” del carteggio del Centro ricorrente, perché non prodotto in tempi utili; e sull’imputabilità allo stesso Centro dell’omesso approfondimento istruttorio insiste l’amministrazione nelle proprie difese, producendo le note con cui, da ultimo nel febbraio 2006, aveva richiesto integrazioni documentali.
Nulla di nuovo risulta, in proposito, dal verbale del 15 gennaio 2007, essendosi la Provincia, in quella sede, limitata a ribadire semplicemente il proprio parere negativo.
Parte ricorrente non ha dimostrato di aver dato positivo e tempestivo riscontro alle richieste istruttorie della Provincia e, dunque, non può dolersi ora di una supposta carenza di istruttoria, né di un difetto motivazionale che non sussiste, essendo state adeguatamente rappresentate le ragioni per cui la amministrazione provinciale si è limitata a ritenere vincolanti i pareri del Comune e dell’ASL.
A ciò va aggiunto che la natura istruttoria della conferenza di servizi di cui trattasi fa sì che l’assenza di un compiuto parere della Provincia non sarebbe comunque idonea ad inficiare la decisione conclusiva della Regione Campania, che è articolatamente motivata in relazione all’incompatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici vigenti evidenziata dal Comune e dall’ASL ed espressamente richiama la delibera di Giunta provinciale n. 173/2006 contenente direttive in materia di varianti per l’insediamento di attività produttive in contrasto con gli strumenti urbanistici, la quale ritiene ostativa ad un ordinato assetto del territorio l’allocazione di impianti in zone a destinazione agricola ed esclude, sino all’adozione del piano territoriale di coordinamento provinciale, l’applicazione della procedura semplificata di variante a tali progetti.
Per tali ragioni, anche il motivo in esame non può essere accolto.
7. La fondatezza del settimo motivo, col quale il Centro di lamenta che la Regione, pur essendo tenuta ad adottare la determinazione finale in base ad una propria autonoma valutazione, avrebbe aderito acriticamente ai pareri negativi resi dagli enti interessati, è smentita dalla semplice lettura del provvedimento conclusivo impugnato, che svolge autonome considerazioni in replica alle controdeduzioni della società odierna ricorrente, evidenziando anche la non decisività del parere favorevole di V.I.A., perché non esaustivo delle condizioni di legge.
Quanto ora osservato vale, altresì, a respingere l’ottava ed ultima censura, con cui viene dedotta la violazione dell’art. 10 bis, co. 3, l. 241/90, sostenendosi infondatamente che la Regione avrebbe omesso di esplicitare le ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni presentate dalla ricorrente a seguito del preavviso di rigetto.
8. Per le ragioni innanzi esposte, il ricorso deve essere respinto.
La novità di alcune delle questioni prospettate giustifica la integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione I, respinge il ricorso in epigrafe.-----------------------------------------------------------------
Spese compensate.--------------------------------------------------------------
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli, nelle camere di consiglio del 5 e 19 dicembre 2007.
Presidente__________________
Estensore___________________
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione I, composto dai signori magistrati:
Antonio Guida Presidente
Fabio Donadono Consigliere
Francesco Guarracino Primo referendario rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 3825/07, proposto dalla Centro Ambiente Life s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore sig.ra Rosaria Longobardi, rappresentata e difesa dagli avvocati Lorenzo Lentini e Ferdinando Scotto, con i quali elettivamente domicilia in Napoli, via Caracciolo n. 15
CONTRO
- la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa dall’avv. Alessandra Miani, con il quale elettivamente domicilia in Napoli, via S. Lucia n. 81
- il Comune di Marigliano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Irene Romano, presso il cui studio elettivamente domicilia in Napoli, Riviera di Chiaia n. 61;
- ASL Napoli 4, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avvocati Rosa Anna Peluso e Chiara Di Biase, domiciliati, ai sensi dell'art. 35, co. 2, della legge 26.6.1924, n. 1054, presso la Segreteria del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania;
- l’Amministrazione Provinciale di Napoli, in persona del presidente pro tempore della Giunta Provinciale dott. Riccardo Di Palma, rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo Di Falco e Paola Cosmai, con domicilio eletto in Napoli, piazza Matteotti n. 1;
- l’A.R.P.A.C., in persona del direttore pro tempore, non costituitosi in giudizio;
- il Comitato per la Tutela del Diritto alla Salute, in persona del presidente Nunzia Lombardi, rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro Biamonte, presso il cui studio elettivamente domicilia in Napoli, via Duomo n. 348;
per l’annullamento
- del decreto dirigenziale n. 152 del 18.4.2007, con il quale il dirigente dell’Area Generale di Coordinamento 5 – Ecologia, Tutela dell’Ambiente, Disinquinamento, Protezione Civile della Regione Campania ha espresso diniego all’approvazione del progetto di “Impianto di stoccaggio e trattamento di rifiuti liquidi pericolosi e non pericolosi”, proposto dal Centro Ambiente Life S.r.l., da ubicarsi nel territorio del Comune di Marigliano alla Via Ponte delle Tavole;
- della nota regionale n. 561193 del 28.6.2006 di convocazione della conferenza di servizi per il giorno 14.7.2006;
- ove occorra, del verbale di conferenza di servizi del 14.7.2006 in uno con le allegate note del dirigente dell’ASL NA/4 e del Sindaco di Marigliano;
- della nota regionale n. 1059836 del 21.12.2006 di convocazione della conferenza di servizi per il giorno 10.1.2007 e della successiva nota n. 1070151 del 28.12.2006 che ha rinviato la seduta al 15.1.2007;
- ove occorra, del verbale della conferenza di servizi del 15.1.2007 in uno alle allegate note del Sindaco di Marigliano e del Presidente del Comitato per la Tutela del Diritto alla Salute;
- di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e conseguente, se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente.
*.*.*
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visti i rispettivi atti di costituzione in giudizio della Regione Campania, del Comune di Marigliano, della ASL Napoli 4, della Amministrazione provinciale di Napoli e del Comitato per la Tutela del Diritto alla Salute;
Viste le memorie depositate dalle parti a sostegno delle rispettive ragioni;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il primo referendario avv. Francesco Guarracino;
Uditi alla pubblica udienza del 5 dicembre 2007 gli avvocati presenti, come da verbale di causa;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Col ricorso in esame, notificato il 15 giugno 2007 e depositato il 28 giugno successivo, la Centro Ambiente Life S.r.l. (d’ora innanzi: Centro Ambiente) ha impugnato, in uno con gli atti indicati in epigrafe, il decreto dirigenziale n. 152 del 18 aprile 2007 della Area Generale di Coordinamento 5 Ecologia, tutela dell’ambiente, disinquinamento, protezione civile della Regione Campania col quale, preso atto delle risultanze della conferenza di servizi tenutasi in data 15 gennaio 2007, non è stato approvato il progetto del Centro Ambiente di un impianto di stoccaggio e trattamento di rifiuti liquidi pericolosi e non pericolosi da ubicarsi nel territorio del Comune di Marigliano alla via Ponte delle Tavole.
Hanno resistito in giudizio la Regione Campania, il Comune di Marigliano, la ASL Napoli 4, l’Amministrazione provinciale di Napoli ed il Comitato per la Tutela del Diritto alla Salute; non si è costituita, ancorché ritualmente intimata, l’A.R.P.A.C.
Alla camera di consiglio del 25 luglio 2007, fissata per l’esame della domanda di sospensione degli atti impugnati formulata col ricorso, la causa è stata cancellata dal ruolo delle istanze cautelari.
Sono state depositate memorie.
Alla pubblica udienza del 5 dicembre 2007 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La società ricorrente contesta la legittimità del diniego, oppostole con il decreto dirigenziale impugnato, di approvazione di un progetto per un impianto di stoccaggio e trattamento dei rifiuti liquidi pericolosi e non pericolosi da realizzarsi in un opificio sito in zona agricola E del Comune di Marigliano, a suo tempo autorizzato all’esercizio dell’attività di stoccaggio e trattamento di rifiuti speciali non classificabili tossici e nocivi.
Il diniego è motivato in relazione al parere negativo al rilascio della autorizzazione, espresso dalla apposita conferenza di servizi del 15 gennaio 2007, ed alla ritenuta inaccoglibilità delle osservazioni prodotte dalla società ricorrente a seguito del preavviso di rigetto ex art. 10 bis l. 241/90.
La conferenza di servizi del 15 gennaio 2007 era stata convocata a seguito di una richiesta di integrazione istruttoria formulata dalla ricorrente all’esito dei pareri negativi già espressi dalle amministrazioni interessate in una precedente conferenza di servizi tenutasi il 14 luglio 2006.
Le ragioni addotte in senso sfavorevole all’approvazione del progetto sono incentrate sui profili di incompatibilità dell’opera con la destinazione urbanistica dell’area, situata al di fuori dell’area PIP, in zona agricola “E”, e non servita da una rete fognaria comunale.
Il provvedimento dirigenziale respinge le deduzioni difensive della ricorrente, che muovono dall’assunto che si tratterebbe di un mero rinnovo della precedente autorizzazione, ritenendo doversi osservare le norme che disciplinano il rilascio dell’autorizzazione per nuovi impianti, trattandosi di impianto fermo dall’anno 1995 e di cui si sarebbe progettata una modifica sostanziale; nel merito, pur affermando insussistente un divieto assoluto di localizzazione di un impianto di smaltimento e di recupero rifiuti in zona agricola, sostiene che tale ubicazione sarebbe possibile solo in presenza di una decisione condivisa da tutti i partecipanti alla conferenza di servizi, al contrario di quanto avvenuto nella specie, avendo il Comune, la Provincia e la ASL espresso invece parere non favorevole.
Avverso tali determinazioni la ricorrente deduce plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere, affidate ad otto distinti motivi di gravame.
2. Con il primo motivo di ricorso il Centro Ambiente afferma che la Regione Campania avrebbe dovuto adottare la procedura autorizzatoria disciplinata dall’art. 210 d.lgs. 152/06, che non contempla il modulo della conferenza di servizi, anziché quella ex art. 208 d.lgs. 152/06.
L’assunto del Centro si basa su tre argomenti di carattere testuale:
- l’art. 210, co. 1 primo periodo, del d.lgs. 152/06, il quale stabilisce che “coloro che alla data in vigore della parte quarta del presente decreto non abbiano ancora ottenuto l’autorizzazione alla gestione dell’impianto […] presentano domanda alla regione competente per territorio, che si pronuncia entro novanta giorni dall’istanza”: secondo parte ricorrente, la norma implicherebbe la sottrazione alla procedura ordinaria delle istanze di autorizzazione presentate anteriormente alla entrata in vigore della parte quarta del d.lgs. 152/06, come sarebbe avvenuto nel caso di specie;
- l’art. 210, co. 1 secondo periodo, del d.lgs. 152/06, in base al quale “la procedura di cui al presente comma si applica anche a chi intende avviare una attività di recupero o di smaltimento rifiuti in un impianto già esistente, precedentemente utilizzato o ad adibito ad altre attività”: il ricorrente sostenendo che nella specie ricorrerebbero tali condizioni;
- l’art. 208, co. 16, del d.lgs. 152/06, secondo cui “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, eccetto quelli per i quali sia completata la procedura di impatto ambientale”: cosicché, secondo il Centro Ambiente, essendosi completata la procedura di VIA prima dell’entrata in vigore della parte quarta del nuovo testo unico, il procedimento di autorizzazione per cui è causa sarebbe sottratto alla disciplina ex art. 208 e perciò ricadrebbe in quella ex art. 210.
Inoltre col terzo motivo di ricorso, che per ragioni di connessione è opportuno esaminare congiuntamente, il Centro ricorrente contesta l’assunto che si tratti di un impianto nuovo, soggetto come tale ad autorizzazione alla realizzazione anziché al (solo) esercizio dell’attività, poiché sarebbe invece un impianto preesistente, oggetto di tre provvedimenti di condono edilizio ed a suo tempo autorizzato all’attività di smaltimento rifiuti.
Le questioni necessitano di un breve inquadramento normativo.
Occorre rammentare che la precedente legge di settore prevedeva un sistema di doppia autorizzazione: una autorizzazione alla realizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti (art. 27 legge 22/97) ed una autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero (art. 28 l. cit.). Le due autorizzazioni erano distinte, sebbene fosse consentita la presentazione contestuale delle relative istanze e, in tal caso, il rilascio dei due titoli col medesimo provvedimento (art. 27, ult. co.).
Il decreto legislativo n. 152 del 2006 ha sostituito a questo sistema una autorizzazione unica valevole sia per la realizzazione che per la gestione degli impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti (art. 208).
Nel fare ciò si è ritenuto di dover dettare talune disposizioni di natura transitoria che, a seconda dello stato della situazione autorizzatoria in corso, individuassero la disciplina applicabile.
In questa prospettiva, dunque, l’art. 210, rubricato “autorizzazioni in casi particolari”, sovviene la specifica esigenza di consentire ai soggetti che già avevano conseguito, sotto la legge precedente, la doppia autorizzazione alla realizzazione dell’impianto ed all’esercizio dell’attività, od almeno già ottenuto la prima delle due, di ottenere il rilascio, la modifica o il rinnovo della seconda autorizzazione (i.e., alla gestione dell’impianto o all’esercizio dell’attività che dir si voglia) senza l’inutile duplicazione della prima “fase” autorizzatoria che sarebbe derivata dal ricorso al procedimento proprio della nuova autorizzazione unica, ma avvalendosi di una procedura (quella ex art. 210) che sostanzialmente corrisponde, e non certo a caso, a quella che la l. n. 22/97 stabiliva per l’autorizzazione (soltanto) all’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero (art. 28 l. n. 22/97).
L’applicazione dell’art. 210, in altre parole, presuppone in ogni caso il possesso, in conformità all’art. 27 della legge n. 22/97, dell’autorizzazione (alla realizzazione) dell’impianto di smaltimento e recupero. Di quest’ultima non deve esservi discussione, perché la ratio del procedimento ex art. 210 è la stessa di quello ex art. 28 della legge n. 22/97: sicché, qualora si trattasse, invece, di conseguire, modificare o rinnovare anche la stessa autorizzazione dell’impianto, cioè di intervenire non soltanto sul piano del secondo, ma anche del primo dei titoli abilitativi previsti nel sistema della legge 22/97 di doppia autorizzazione, non vi sarebbe ragione alcuna per non applicare il nuovo procedimento di autorizzazione unica, che assorbe i due momenti prima disciplinati negli artt. 27 e 28 della legge 22/97.
Questa ricostruzione è avvalorata, sul piano logico-sistematico, dal fatto che espressamente il legislatore ha assoggettato alla nuova procedura di autorizzazione unica, oltre ai procedimenti già in corso per il rilascio della autorizzazione alla realizzazione di un nuovo impianto (art. 208, co. 16, con la sola eccezione che la procedura di VIA sia stata già completata), anche gli stessi impianti già autorizzati, quando interessati da modifiche sostanziali che li rendano difformi dal titolo abilitativo già posseduto (art. 208, co. 20).
Il quadro che se ne ricava è chiaro nel sussumere nell’art. 208 d.lgs. 152/06 tutte le ipotesi in cui si faccia questione della vecchia autorizzazione dell’impianto, conservandosi, in via meramente transitoria, una disciplina abilitativa analoga a quella di cui all’abrogato art. 28 l. 22/97 per il solo caso dell’impianto già autorizzato, per il cui esercizio sia stata presentata, prima dell’avvento della nuova legge, istanza volta ad ottenere, variare o rinnovare (soltanto) la relativa autorizzazione alla gestione.
Va, infine, detto che non depone in senso contrario la circostanza che l’art. 210 preveda, al secondo periodo del comma 1, che “la procedura di cui al presente comma si applica anche a chi intende avviare una attività di recupero o di smaltimento di rifiuti in un impianto già esistente, precedentemente utilizzato o adibito ad altre attività”. Poiché la procedura in questione attiene alla sola autorizzazione alla gestione dell’impianto, infatti, ritenere che in quel caso l’art. 210 trovi applicazione anche se l’utilizzazione per il recupero o lo smaltimento dei rifiuti di un impianto precedentemente adibito ad altre attività non sia stato già autorizzato ex art. 27 legge 22/97 significa, in pratica, concludere nel senso che la realizzazione di un nuovo impianto di recupero o smaltimento rifiuti in un opificio preesistente, quale che ne fosse l’attività (la legge parla infatti genericamente di “altre attività”), non sarebbe sottoposta ad alcuna autorizzazione e così sottratta, ad esempio, alle necessarie valutazioni della compatibilità del progetto con le esigenze territoriali ed ambientali, previste così dall’art. 27 l. 22/97 come dall’art. 208 d.lgs. 152/06.
In realtà, va ribadito che ai sensi dei commi 16 e 20 dell’art. 208 gli impianti sforniti di autorizzazione – perché il relativo procedimento era, al momento della entrata in vigore della nuova normativa, ancora in itinere o perché interessati da modifiche sostanziali che li hanno resi sostanzialmente tali – necessitano di essere autorizzati al pari e con l’osservanza dello stesso procedimento degli impianti nuovi di cui al primo comma; con l’unica eccezione dei procedimenti avviati con istanze presentate ai sensi dell’art. 27 legge 22/97 che abbiano visto già completata la procedura di valutazione di impatto ambientale.
Ciò posto su un piano generale, occorre verificare in quale situazione concreta versasse parte ricorrente.
Dalla documentazione versata in atti, emerge che la società Centro Ambiente aveva acquistato ad un’asta fallimentare un opificio industriale, con annessi macchinari ed impianti, per lo smaltimento di rifiuti inquinanti civili ed industriali di proprietà della società Centro Ecologico, alla quale con D.P.G.R. Campania n. 13692 del 19 dicembre 1991 era stata a suo tempo concessa l’autorizzazione alla gestione, con validità sino al 9 febbraio 1995, ai sensi dell’art. 6, lett. d), D.P.R. n. 915/82 (che fondava all’epoca la competenza in materia delle regioni).
Dal preambolo del predetto provvedimento, risultava che il progetto di adeguamento dell’impianto in questione era stato già approvato con DGR n. 6425 del 5 dicembre 1989 ai sensi della normativa allora vigente e che le opere previste erano state ultimate, come da attestazione della Provincia di Napoli del 18 ottobre 1991.
Il Centro Ambiente ha chiesto alla Regione Campania, con istanza prot. 013/04 del 22 giugno 2004, il rinnovo della precedente autorizzazione ed una variante al progetto già autorizzato.
Tale istanza non è stata prodotta in giudizio né dalla parte ricorrente, né dall’Amministrazione regionale. Risulta, tuttavia, in più luoghi (doc. 7 della produzione del Centro: istanza di riapertura del procedimento, p. 3 s.; premesse del decreto n. 152/07 impugnato), che la richiesta variante al progetto autorizzato nel 1989 riguardava modifiche nel processo tecnologico di trattamento dei rifiuti.
Dopo un primo arresto del procedimento – archiviato dalla Regione con provvedimento del 23 novembre 2004 prot. 2004.0928119, impugnato in autonomo giudizio dal Centro odierno ricorrente – l’istruttoria era stata riaperta con nota del 13 aprile 2005, prot. 2005.0316699, subordinatamente alla acquisizione in via preliminare del giudizio di compatibilità ambientale, nel dichiarato presupposto che il progetto di variante all’impianto costituisse variante sostanziale.
A ciò prestava acquiescenza il Centro, che sottoponeva il progetto alla Commissione V.I.A. con istanza del 5 ottobre 2005 ed otteneva parere favorevole di compatibilità ambientale con decreto assessorile del 3 marzo 2006, n. 223.
Alla luce di queste ultime circostanze, ritiene il Collegio che possano trarsi due prime conclusioni: da un lato, non potersi più in questa sede discutere del fatto che le varianti al progetto fossero di natura sostanziale, tali da richiedere dunque (art. 27, co. 8, legge 22/97; art. 208, co. 20, d.lgs. 152/06) una nuova approvazione del progetto e autorizzazione dell’impianto previa valutazione di compatibilità ambientale, secondo l’iter disciplinato dall’art. 27 della legge 22/97 all’epoca vigente; dall’altro, che, alla data di entrata in vigore della Parte quarta del d.lgs. 152/06 (il 29 aprile 2006), la procedura di impatto ambientale era ormai stata completata, con la conseguenza che l’art. 208 del d.lgs. 152/06 non poteva trovare applicazione al procedimento di causa in virtù del chiaro disposto del comma 16 di tale norma, senza che possa invocarsi in senso contrario (con interpretazione in sostanza abrogante) il successivo comma 20, che non è volto a regolare le situazioni transitorie ma opera a regime.
Non per questo, tuttavia, può accedersi alle conclusioni propugnate dal Centro ricorrente.
L’aver escluso l’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 208, infatti, non implica affatto in modo necessario ed automatico l’applicazione dell’art. 210. Quest’ultima disposizione riguarda, come si è visto, la ben diversa situazione di impianti già muniti di autorizzazione e conformi alla stessa, senza apportare alcuna deroga ai principi ora sanciti dai commi 1 e 20 dell’art. 208.
In realtà, il comma 16 dell’art. 208 (in base al quale “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai procedimenti in corso alla data in vigore della parte quarta del presente decreto, eccetto quelli per i quali sia completata la procedura di valutazione di impatto ambientale”) non fa altro che regolare l’applicabilità dello ius superveniens ai procedimenti in essere, assoggettandovi alcuni e sottraendovi altri: questi ultimi, giunti a uno stadio ormai avanzato di definizione, vengono sottratti, per espressa volontà del legislatore, al principio tempus regit actum, sollevando l’interprete dalla necessità di verificare la eventuale configurabilità di subprocedimenti già perfezionatisi; cosicché quei procedimenti, in definitiva, sono mantenuti per intero alla vecchia disciplina.
Ciò vuol dire, in conclusione, che i procedimenti di autorizzazione avviati ai sensi dell’art. 27 legge 22/97 per i quali, alla data del 29 aprile 2006, era già stata completata la procedura di valutazione di impatto ambientale restano soggetti a quella disciplina e vanno conseguentemente conclusi nella sua osservanza.
Ciò è quanto in definitiva accaduto nel caso in esame (non rilevando il richiamo formale negli atti impugnati alla disciplina sopravvenuta, quanto piuttosto la effettiva osservanza delle regole poste dalla legge applicabile), in cui correttamente si è dunque fatto luogo alla conferenza di servizi.
Ne consegue l’infondatezza del primo e del terzo motivo di ricorso.
3. Con il secondo motivo di gravame, parte ricorrente sostiene che i soggetti partecipanti alla conferenza di servizi non sarebbero stati titolati a rappresentare validamente le rispettive amministrazioni, siccome sprovvisti della necessaria delega o mandato.
Il motivo non è fondato.
Per quanto riguarda la seduta del 14 luglio 2006, il Centro ricorrente riporta un estratto parziale del verbale, che invece prosegue facendo espressa menzione, e dunque attestazione, dell’esistenza delle deleghe (“il Presidente prima dell’inizio dei lavori indica al Segretario di ritirare le deleghe”), una delle quali è stata anche prodotta in giudizio dall’ASL.
Per quanto riguarda la seduta del 15 gennaio 2007, vero è che il relativo verbale nulla afferma in merito alle deleghe, tuttavia l’assunto che gli intervenuti non ne fossero muniti trova smentita nelle produzioni agli atti del giudizio: infatti ognuna delle amministrazioni che avevano preso parte a tale riunione ha depositato copia della delega al suo rappresentante (la ASL al dott. Parrella; la Provincia al dott. Chiariello; il Comune di Marigliano all’ing. Ciccarelli).
4. Il quarto motivo di ricorso investe le valutazioni di segno negativo espresse dal Comune di Marigliano sotto il profilo urbanistico-edilizio.
Le ragioni ostative rappresentate nel corso della conferenza di servizi dal Comune di Marigliano riguardavano la incompatibilità dell’impianto con la destinazione urbanistica dell’area, la circostanza che l’area non era servita da una rete fognaria del Comune medesimo ed infine (verbale del 15.1.2007 e allegata nota del sindaco) l’indisponibilita dell’amministrazione comunale a concedere autorizzazioni per attività produttive in zone localizzate fuori dal piano degli insediamenti produttivi in corso di realizzazione, per un milione di mq, in altra zona del territorio comunale.
Sostiene al riguardo il ricorrente che i provvedimenti di concessione in sanatoria rilasciati nel 1992 e 1996 avrebbero definitivamente impresso all’immobile la destinazione d’uso di opificio industriale per stoccaggio e trattamento rifiuti in zona agricola (irrilevante sarebbe il fatto che l’opificio non è allocato nel perimetro del realizzando P.I.P., la cui adozione non potrebbe azzerare la destinazione impressa al bene con i condoni edilizi), precludendo alla p.a. di negare il diritto di utilizzarlo conformemente alla sua destinazione edilizia; che la destinazione dell’area in questione a zona agricola non sarebbe incompatibile con l’intervento, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; nonché che l’area, confinante con la zona industriale del Comune di San Vitaliano, avrebbe da tempo assunto analoga vocazione e sarebbe di fatto configurabile come parte integrante del nucleo industriale limitrofo, dalle cui infrastrutture (impianto fognario, strade, parcheggi) sarebbe idoneamente servita. Infine, l’impianto sarebbe assistito da adeguata rete fognaria, posto che la società ricorrente sarebbe autorizzata dal Comune di San Vitaliano all’immissione degli scarichi nel collettore comprensoriale che serve l’intera area industriale limitrofa.
La censura non può essere condivisa.
Compito della conferenza di servizi è, tra l’altro, l’acquisizione e la valutazione di tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le esigenze territoriali.
Il parere negativo del Comune sulla localizzazione dell’impianto è, come si è visto, motivato essenzialmente su ragioni di ordinato assetto del territorio. La destinazione urbanistica dell’area in questione a verde agricolo e l’esistenza nel medesimo territorio comunale di altra zona finalizzata alla allocazione degli impianti produttivi concorrono ad un quadro pianificatorio coerente con l’opposizione del Comune al progetto di parte ricorrente, non conciliandosi con le previsioni di piano vigenti la collocazione dell’impianto nell’area de qua.
Il rilascio delle concessioni edilizie in sanatoria non vale a mutare la destinazione urbanistica dell’area, ma soltanto a rendere legittimo l’edificio (C.d.S., V, 1 ottobre 2002, n. 5117) e dunque nessun jus utendi può invocare l’odierno ricorrente, senza considerare inoltre che l’opificio in questione ha cessato la sua attività oltre un decennio addietro, il che vale a smentire anche l’ulteriore assunto secondo cui, trattandosi di un impianto preesistente, il suo esercizio non sarebbe suscettibile di localizzazione alternativa.
Del tutto irrilevante è, infine, la circostanza che l’impianto sarebbe confinante con la zona industriale del Comune di San Vitaliano, poiché ciò che viene in rilievo è la compatibilità dello stesso con la programmazione urbanistica del Comune di Marigliano.
5. Il quinto motivo investe il parere igienico-sanitario dell’ASL.
Il Centro deduce il contrasto delle conclusioni dell’ASL con l’esito favorevole della procedura di VIA e col parere dell’ARPAC ed afferma che l’attività nello stesso impianto era stata già in passato assentita per il profilo igienico sanitario da parte della stessa ASL (all’epoca USL 27), irrilevante essendo la circostanza che l’impianto sia o meno qualificabile come nuovo, trattandosi di giudizio sull’attività. La valutazione dell’ASL, inoltre, sarebbe carente d’istruttoria, mancando di accertamenti sull’attività e basandosi solo su profili formali e valutazioni sottratte alla sua competenza (quali quella di compatibilità urbanistica), e comunque infondati sarebbero i rilievi mossi.
Il richiamo all’esito positivo della procedura di VIA ed al favorevole parere dell’ARPAC non soccorre, tuttavia, la tesi del ricorrente.
Sia nel sistema del d.lgs. 22/97 che del d.lgs. 152/06 l’acquisizione e la valutazione di tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le esigenze ambientali concorre con la eventuale necessità di acquisizione della valutazione di compatibilità ambientale e non esclude, per la diversità del relativo giudizio, che possa giungersi ad esiti diversi.
La necessità di acquisire e valutare “tutti” gli elementi relativi alla compatibilità ambientale esclude, inoltre, che del parere igienico-sanitario dell’ASL non debba tenersi conto quando per l’istruttoria tecnica la Regione si è avvalsa, come consente la legge, dell’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (le cui funzioni in materia di prevenzione, di vigilanza e di controllo ambientali non assorbono le competenze dell’ASL in materia di prevenzione sanitaria e igiene pubblica), posto che un esaustivo giudizio di compatibilità ambientale non può prescindere dall’attenta considerazione anche di profili di tutela della salute.
Ed ancora, nessun rilievo assume il nulla osta che la USL 27 aveva rilasciato ad altra società nel lontano 1990 per l’ “esercizio degli impianti per il trattamento delle acque biologiche e tecnologiche industriali anche di tipo tossico nocivo, rispettando le norme vigenti”, tenuto conto del fatto che si trattava di valutare un diverso progetto rispetto all’impianto ormai cessato nell’anno 1995 e caratterizzato da un notevole aumento della potenzialità di trattamento dei rifiuti (v. p. 16 della relazione tecnica illustrativa del giugno 2006 consegnata alla Regione Campania).
Il parere negativo dell’ASL sulla compatibilità del progetto dal punto di vista igienico-sanitario, allegato al verbale della seduta del 14 luglio 2007 della conferenza di servizi, pone proprio in risalto la capacità dell’impianto di stoccare e trattare notevoli quantità di rifiuti come un punto critico; il giudizio negativo espresso sotto il profilo di competenza è compendiato nell’affermazione secondo cui si tratterebbe di “attività insalubre e per la sua tipologia […] fortemente inquinante e pericolosa per le colture circostanti che potrebbero risultare gravemente compromesse da eventuali fenomeni di inquinamento che si potrebbero determinare con danno alla salute pubblica”, che trova sviluppo e completamento nelle successive considerazioni critiche sulla localizzazione dell’impianto in zona a destinazione agricola.
I rilievi sull’aspetto dello smaltimento dei reflui in fognatura e la loro depurazione, sull’insufficiente indicazione delle modalità di convogliamento delle acque, sull’assenza di un sistema per l’abbattimento delle esalazioni da essiccazione dei fanghi, cui il Centro ricorrente oppone le risultanze del proprio studio di impatto ambientale presentato in sede di procedimento di V.I.A., nonché sui pericoli connessi all’aumento del traffico veicolare sono, in definitiva, affermazioni di contorno intese a rafforzare, non a determinare, un giudizio negativo espresso in termini d’incompatibilità dell’insediamento per la pericolosità intrinseca della sua collocazione.
L’obiezione di fondo dell’ASL sulla localizzazione dell’impianto in zona agricola non riguarda, come opina parte ricorrente, considerazioni di natura urbanistica estranee alla competenza dell’Azienda, ma valutazioni funzionali ad un giudizio di prevenzione sanitaria: l’ASL ponendo in luce come la collocazione dell’impianto in una zona agricola con coltivazioni ortofrutticole destinate al consumo umano determinerebbe (ad esempio, per il rischio di incidenti) un pericolo di inquinamenti della falda acquifera che, tramite le coltivazioni, finirebbero per nuocere alla salute pubblica; pericolo che, in definitiva, non è escluso neppure dalla stessa relazione geologica al progetto, la quale si conclude, come ben evidenziato dalla difesa dell’ASL, raccomandando un monitoraggio del sito e dell’integrità delle strutture al fine di evitare rischi di inquinamento delle falde superficiali dovuti a perdite di inquinanti.
Ne consegue il rigetto del motivo.
6. Con il sesto motivo parte ricorrente lamenta che il parere negativo della Provincia sarebbe frutto di un’adesione acritica ed immotivata ai pareri negativi del Comune e dell’ASL e perciò illegittimo per difetto di istruttoria e vizio di motivazione.
In punto di fatto deve rilevarsi che nella seduta del 14 luglio 2007 il rappresentante della Provincia aveva dichiarato che non era stato possibile dare una “giusta valutazione” del carteggio del Centro ricorrente, perché non prodotto in tempi utili; e sull’imputabilità allo stesso Centro dell’omesso approfondimento istruttorio insiste l’amministrazione nelle proprie difese, producendo le note con cui, da ultimo nel febbraio 2006, aveva richiesto integrazioni documentali.
Nulla di nuovo risulta, in proposito, dal verbale del 15 gennaio 2007, essendosi la Provincia, in quella sede, limitata a ribadire semplicemente il proprio parere negativo.
Parte ricorrente non ha dimostrato di aver dato positivo e tempestivo riscontro alle richieste istruttorie della Provincia e, dunque, non può dolersi ora di una supposta carenza di istruttoria, né di un difetto motivazionale che non sussiste, essendo state adeguatamente rappresentate le ragioni per cui la amministrazione provinciale si è limitata a ritenere vincolanti i pareri del Comune e dell’ASL.
A ciò va aggiunto che la natura istruttoria della conferenza di servizi di cui trattasi fa sì che l’assenza di un compiuto parere della Provincia non sarebbe comunque idonea ad inficiare la decisione conclusiva della Regione Campania, che è articolatamente motivata in relazione all’incompatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici vigenti evidenziata dal Comune e dall’ASL ed espressamente richiama la delibera di Giunta provinciale n. 173/2006 contenente direttive in materia di varianti per l’insediamento di attività produttive in contrasto con gli strumenti urbanistici, la quale ritiene ostativa ad un ordinato assetto del territorio l’allocazione di impianti in zone a destinazione agricola ed esclude, sino all’adozione del piano territoriale di coordinamento provinciale, l’applicazione della procedura semplificata di variante a tali progetti.
Per tali ragioni, anche il motivo in esame non può essere accolto.
7. La fondatezza del settimo motivo, col quale il Centro di lamenta che la Regione, pur essendo tenuta ad adottare la determinazione finale in base ad una propria autonoma valutazione, avrebbe aderito acriticamente ai pareri negativi resi dagli enti interessati, è smentita dalla semplice lettura del provvedimento conclusivo impugnato, che svolge autonome considerazioni in replica alle controdeduzioni della società odierna ricorrente, evidenziando anche la non decisività del parere favorevole di V.I.A., perché non esaustivo delle condizioni di legge.
Quanto ora osservato vale, altresì, a respingere l’ottava ed ultima censura, con cui viene dedotta la violazione dell’art. 10 bis, co. 3, l. 241/90, sostenendosi infondatamente che la Regione avrebbe omesso di esplicitare le ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni presentate dalla ricorrente a seguito del preavviso di rigetto.
8. Per le ragioni innanzi esposte, il ricorso deve essere respinto.
La novità di alcune delle questioni prospettate giustifica la integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione I, respinge il ricorso in epigrafe.-----------------------------------------------------------------
Spese compensate.--------------------------------------------------------------
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli, nelle camere di consiglio del 5 e 19 dicembre 2007.
Presidente__________________
Estensore___________________