AI COMUNI CONVIENE, ORA, GESTIRE I RIFIUTI  FUORI DAL SISTEMA CONSORTILE?

di Alberto PIEROBON

 

(pubblicato in Gazzetta enti locali on line, Maggioli, 6 e 13 febbraio 2012)

Il decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1 <Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività> al <Capo V – Servizi pubblici locali> presenta due articoli:

  • Art. 25 <promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali>;

  • Art. 26 <Misure in favore della concorrenza nella gestione degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggio e per l’incremento della raccolta e recupero degli imballaggi>.

Per quanto riguarda l’art. 25 non v’è dubbio che riguardi i servizi pubblici locali, mentre le modifiche alla disciplina dei rifiuti di imballaggio introdotte dall’art. 261,che interviene, soprattutto, sull’art.221 del codice ambientale concernente gli <obblighi dei produttori e degli utilizzatori di imballaggi>2, sono sintomaticamente collocate entro il Capo dei servizi pubblici locali.

Vogliamo qui attenzionare il lettore su alcune questioni di “sistema” che rivestono interesse3:

  1. per gli enti locali e per le loro aziende strumentali nell’erogazione del servizio pubblico della gestione dei rifiuti (raccolta, trasporto, trattamento, etc.), nell’applicazione della tarsu/tariffa per la gestione dei rifiuti (fino all’avvento del nuovo tributo di cui all’art.14 del d.l. n.201/2011, convertito in Legge n.214/2011);

  2. per il mercato dei rifiuti di imballaggio e quindi, nell’attuale sistema, per i produttori di imballaggi, per gli utilizzatori e per i soggetti coinvolti, il sistema dei Consorzi CONAI, oltre al sistema pubblico locale;

  3. per un mercato più aperto ed effettivamente concorrente (ovvero meno dominato dai consorzi obbligatori e con concrete alternative, percorribili dai produttori fuori dal sistema consortile) dove, oltre ai produttore e agli utilizzatori, possono intravvedersi novità anche nel coinvolgimento dei distributori di imballaggi, nonché degli altri operatori del settore (gestori fuori privativa) e delle imprese di riciclaggio e di trasformazione.

Ricordiamo – tornando ai servizi pubblici locali - come i Comuni, per effetto del regime di privativa, debbano provvedere alla raccolta dei rifiuti degli imballaggi primari e, laddove dichiarati assimilati, anche di quelli secondari, mentre i rifiuti degli imballaggi terziari sono esclusi dal servizio pubblico4.

In pratica, i Comuni nell’ambito del loro servizio pubblico di raccolta e di trasporto prelevano questi rifiuti sostanzialmente conferendoli, a seconda:

  1. se aderiscono all’Accordo ANCI-CONAI (e relative convenzioni attuative per le diverse tipologie: plastica, carta, vetro, etc.) alle piattaforme indicate dai Consorzi di filiera, ottenendo i Comuni (oppure i suoi delegati, gestori o , addirittura sub-delegati quali impianti o altri soggetti) un corrispettivo che porta in riduzione i costi della raccolta (e quindi della tariffa che contiene anche quei costi);

  2. se non aderiscono al prefato accordo i Comuni possono collocare i rifiuti sul mercato, conferendolo direttamente ad un impianto autorizzato, oppure ad intermediari o commercianti, etc. ottenendone un controvalore economico.

Nella stragrande maggioranza dei casi, la prima scelta (adesione al sistema CONAI) è risultata essere quella preferita dai Comuni considerando sia la soglia del compenso dei corrispettivi consortili, sia la loro fissità nel tempo (che evitava di incorrere nella ciclicità del mercato, creante incertezze nel quantum dei proventi, e quindi nella determinazione di una tariffa, per così dire… costante e predeterminata nel tempo), eccetera.

In questo ultimo lustro, molte contestazioni insorte tra le parti (comuni o loro delegati e incaricati dei consorzi di filiera Conai) in ordine alla bontà merceologica dei rifiuti conferiti, ai ritardi riscontrati nei pagamenti delle somme dovute dai Consorzi, correlata alla maggior remunerazione da parte del mercato, soprattutto estero (invero adulterato da intermediari e commercianti che lucrano sui mercati asiatici e dei cc.dd. paesi in via di sviluppo), ed altri elementi ancora, hanno comportato un vero e proprio cambiamento di rotta, già inaugurato da diversi Comuni che hanno deciso di “valorizzare” i propri rifiuti (e i propri bilanci) fuori dal sistema CONAI, sondaggiando sul mercato le possibilità offerte.

Ma, prima, occorre capire (seppur succintamente) cosa succede “dietro” a questo meccanismo, soprattutto per comprendere come esso funziona nel mercato e per il mercato,nell’interesse (finale) non tanto del Comune, quanto dell’utente/cliente/consumatore e ciò anche sotto il profilo ambientale, visto che la disciplina originaria dell’art.221 del codice ambientale ha per scopo il raggiungimento non tanto di percentuali di raccolta differenziata, quanto di recupero (riciclaggio) dei rifiuti di imballaggio, responsabilizzando (tra altri) i produttori degli imballaggi (cioè dei beni dai quali poi si producono rifiuti di imballaggi).

L’argomento richiederebbe, per sé stesso, almeno un “tomo”, ci limitiamo qui ad evidenziare le questioni d’apice5 sulle quali farebbero bene a riflettere non solo gli amministratori locali (e delle aziende strumentali), ma soprattutto i produttori degli imballaggi, la distribuzione e i consumatori/clienti/utenti (che, come sempre, pagano sempre a piè di lista le inefficienze del sistema).

Com’è noto, nel sistema attuale i produttori devono versare un contributo ambientale Conai (CAC)6 che serve per finanziare il sistema CONAI, ovvero una filiera di Consorzi (secondo le tipologie dei rifiuti di imballaggio) governati dal Consorzio “madre” che è il CONAI. Questo sistema deve perseguire il raggiungimento annuo di certi obiettivi di recupero (si badi: non di raccolta differenziata) il che avviene, appunto, anche grazie alla raccolta pubblica che intercetta grandi quantità di rifiuti di imballaggio. Questo “aiuto” comunale viene remunerato con il cosiddetto “delta costo” di raccolta contemplato e determinato nell’Accordo che l’ANCI (in rappresentanza dei Comuni) concorda con il CONAI. Il fatto è che, a nostro sommesso avviso, questi accordi non sembrano brillare dal punto di vista della conoscenza tecnico-operativa, e non sono proprio vantaggiosi per i Comuni, ma è solo una nostra modesta impressione (speriamo si tratti di un nostro…. errore di lettura). I rifiuti di imballaggio raccolti dai Comuni vengono poi conferiti ad un sistema di piattaforme, che talvolta si limitano ad ottimizzare il volume dei rifiuti per poi trasportali in altri impianti, altre volte svolgono anche la funzione di trattamento preliminare se non di recupero, producendo materia prima secondaria (per esempio, dalle bottiglie di PET7 la scaglia da vendere agli impianti che producono, nuovamente, le bottiglie). Le criticità del sistema sono molte, citasi quale esempio, quanto emerge dalla <Indagine conoscitiva riguardante il settore dei rifiuti da imballaggio (IC 26)> dell’A.G.C.M., provvedimento n. 18585 – IC 26 Mercato dei rifiuti di imballaggio (chiusura indagine conoscitiva) del 3 luglio 2008 (in Boll. n. 26 del 14 agosto 2008), ove si censura, tra altro, il sistema (tramite aste telematiche) di assegnazione dei rifiuti da imballaggi plastici da parte di COREPLA, in quanto, per come organizzato, creerebbe <ingiustificate difficoltà operative per i soggetti interessati, derivanti da condizioni di partecipazione e modalità di svolgimento delle aste>8.



In effetti, pensiamo ad una bottiglia prodotta e imbottigliata in Piemonte, venduta poi in Campania, che diventa rifiuto sempre in Campania,e che viene ritirata dal Comune che conferisce al sistema Corepla, il quale poi la mette all’asta vendendola ad un francese, dove un altro produttore di bottiglie, questa volta, lombardo si rivolge per l’acquisto: al di là dell’anomalia economica (e non stiamo entrando nel merito del sistema di gara, sia chiaro), dal punto di vista ambientale non ci si dica che questo “pellegrinaggio” della bottiglia (e della bottiglia come rifiuto) è logico, ma ancor più sostenibile!



Ma la situazione può ancora complicarsi, con risvolti davvero kafkiani.



Ricordiamo che il sistema del bottle to bottle9 vige in tutta europa, fuorchè in Italia e in Spagna (quest’ultima sembra stia però ora “ravvedendosi”) e che nonostante il decreto ministeriale di maggio 2011 n,113 che prevede la possibilità di utilizzare per i riciclatori le scaglie del PER a diretto contatto con gli alimenti, manca proprio un passaggio applicativo circa la validazione attestante la sicurezza del materiale riciclato (qui alcuni privati, lungimiratamente, hanno richiesto la validazione dall’UNIPLAST,mentre l’Istituto Superiore della Sanità sembra ancora nicchiare….). Qual’è l’ulteriore paradosso (se non scandalo)? Che, nell’esempio appena svolto, potremmo vedere il riciclatore che è un impianto francese, produttore di materia prima secondaria (cioè di scaglie di polimero, riciclabili anche per imballaggi a contatto con gli alimenti) grazie alle bottiglie piemontesi diventate rifiuto in campania e poi movimentate dalle aste Corepla!



Insomma, davvero qui l’ignavia (e la stupidità) italica è davvero autolesionista, poiché non viene consentito ai nostri riciclatori (beninteso in presenza di una omologazione) di avvalersi delle previsioni del decreto maggio 2011, n.113, consentendo, invece, ai produttori nostrani di bottiglie di comprare lo stesso materiale (bottiglia) che è stato importato in Francia (con spreco di energia, inquinamento e costi) per poi, appunto, fabbricare una altra bottiglia (il bottle to bottle all’italiana!).



Così, come dianzi accennato, il nostro ordinamento pone il recupero come primo obiettivo (al di là di queste modalità di gestione e di amministrazione) in tal senso contemplando anche l’autoorganizzazione dei produttori, fuori dal sistema dei consorzi ex art.223 Codice ambientale10, in un sistema cioè dove questi soggetti si sottraggono dal monopolio dei consorzi obbligatori, perché si dica quello che si vuole, ma il mercato sostanzialmente è ora in mano ai prefati Consorzi: in altri termini, non si tratta di un mercato concorrenziale, o liberalizzato, come si usa disinvoltamente dire11.



Inoltre, l’inefficienza nella gestione che dovrebbe invece avere quale obiettivo l’effettivo e crescente riciclaggio, comporta che sia il consumatore a pagarne le spese, per effetto della traslazione in avanti del CAC dal produttore fino, appunto, al consumatore finale (oltre alla internalizzazione nell’imballaggio di maggiori costi dovuti alla materia prima ed altro).



Ecco che allora, al di là della tecnica (a nostro avviso opinabile) introdotta dall’art. 26 cit. d.l. n.1/2012, quello che conta è che si consenta ai produttori di organizzare sistemi alternativi al come dire… “dirigismo” del CONAI, tali per esempio da consentire ai produttori di potersi programmare l’approvvigionamento della materia prima (secondaria) quale flusso (più o meno) costante di materiale rinveniente dalla raccolta dei rifiuti prodotti dagli imballaggi similari, ovvero di analoga tipologia12.



Un esempio chiarirà meglio il nostro ragionamento: se un produttore di bottiglie di PET nel suo budget considera il costo di acquisto del PET una variabile esogena, volatile13, organizzando un sistema che vede coinvolti anche l’imbottigliatore dell’acqua minerale, dei raccoglitori e degli impianti di riciclaggio, si avrà che in questa catena i costi e i ricavi proprio perché non si disperdono in altre logiche, se non in quella già programmata dall’inizio, che vede tornare al produttore di bottiglie (che sovente corrisponde all’imbottigliatore dell’acqua) il materiale, potrà consentirsi di contenere (in un arco temporale adeguato) i costi della materia prima secondaria entro un range di aleatorietà tollerabile, con sicurezza di approvvigionamento di materiale (si ripete, non uguale14, ma) analogo e di buona qualità merceologica (essendo controllato tutto il sistema, dalla culla alla culla: non più dalla culla alla tomba).



E qui nascono le proposte (alcune di sapore lobbistico, talvolta reazionarie) circa il cauzionamento, il vuoto a rendere15.



Vediamole più in dettaglio.



Se viene prevista per il consumatore (acquirente) una cauzione di 10 centesimi per una bottiglia di acqua che si vende al supermercato a 35-40 centesimi,coinvolgendo il distributore (supermercato: che funge, ci si passi il termine… da “sostituto di imposta”) allora si avrà che il produttore rimane il soggetto che deve finanziare il sistema, e che il supermercato nel momento in cui vende al consumatore, riverserà la cauzione al produttore (che gli ha venduto l’acqua), in tempi ovviamente ragionevoli16 (altrimenti il sistema si ingrippa).



Nel frattempo, la bottiglia come rifiuto viene ritirata da un altro soggetto, finanziato all’interno dell’organizzazione produttore-trasformatore, in modo tale da alimentare le industrie del riciclaggio e calmierare i costi della materia prima (e dare certezza alle loro intraprese).



Tra altro, vogliamo attenzionare il lettore, sul fatto che il sistema così ipotizzato, si completa entro il territorio nazionale (evitando quei fenomeni - sempre crescenti, sempre più finanziarizzati e anche, sia detto, criminalizzati – dell’esportazione all’estero), anzi questo diverso sistema potrebbe valorizzarsi proprio su scala localistica (la cosiddetta “filiera corta”17) coinvolgendo i soggetti di cui si è detto18.



Quindi, al di là della grande distribuzione e del sistema cauzionale, puranche il Comune potrebbe trovare più conveniente conferire/cedere a prezzi interessanti19, i rifiuti intercettati dal proprio sistema pubblico, in questo circuito virtuoso che ha risvolti occupazioni e sociali certamente da non trascurare, anzi!



Che poi la restituzione della bottiglia vuota si declini in un conferimento del consumatore a delle specie di bancomat dei rifiuti, dotati di lettura ottica del codice a barre (inventariato dal supermercato anche a’ fini di politica di marketing e commerciale) e con successivo riconoscimento delle restituzioni delle bottiglie, tramite accredito in una card fidelizzata (con bonus e premi vari), oppure che si svolga in modo diverso (non osiamo però pensare ad un sistema puramente manuale di ritiro presso il supermercato, con successiva pressatura in loco, etc.20), l’importante è che comunque questo meccanismo si metta in moto, assumendo il consumatore il ruolo di decisore/beneficiario.



Naturalmente, in una siffatta iniziativa sono intravvedibili i germi di una “rivoluzione” che molte lobbies vorrebbero esorcizzare, in quanto potrebbero vedere franare certe loro posizioni di rendita, a tacer d’altro.



Così, questa timida e pasticciata apertura alla concorrenza dei rifiuti di imballaggio, peraltro non imputabile, come idea, al governo “Monti” (si veda la bozza del decreto sviluppo, nel testo del 18-24 ottobre 201121) rischia, anche in questa limitante formulazione, vedersi annullata da proposte di emendamenti che mascherandosi di virtuosità e/o con tecnicismi di maniera22, in realtà vanificano la potenza delle novità laddove essi prevedono che la gestione del deposito cauzionale avvenga in sede di fatturazione CONAI, oppure, accanto ad esso deposito,aggiungono anche il CAC, ma soprattutto, avendo riguardo alla liberalizzazione del mercato, il quale rimane così ristretto dal dominus consortile obbligatorio, con poche vie di fuga per gli auspicati desideri “autonomistici”.



Insomma, cosa interessa a questo nostro mercato? Al nostro consumatore? Al sistema industriale e di distribuzione dei rifiuti di imballaggio? Quale sarebbe l’interesse collettivo e quello pubblico connesso ad un sistema autonomistico fuori dall’ombrello dei consorzi obbligatori?



Quel che interessa è che si possano ritirare e riciclare il più possibile siffatti rifiuti, trattandoli entro il sistema industriale nazionale (evitando la dipendenza di materia prima dall’estero, oppure da circuiti commerciali che sono, come si è già notato, “doppati” con l’avvio a spedizioni estere od altro), creando occupazione e ricchezza nel territorio, con un impatto finale ambientale ed economico positivo, senza infingimenti che derivano dal guardare la gestione (nel suo riflesso amministrativo, economico e ambientale)“a pezzi”, per fasi, per soggetti “monchi”, etc. Inoltre, non è pensabile costringere gli esercenti degli esercizi commerciali a dotarsi di apparecchi automatici per il ritiro degli imballaggi, secondo certi indici quali-quantitativi di vendita23. Sarà infatti il mercato, secondo le peculiarità dell’ambito socio-territoriale di riferimento che inventerà le forme più acconcie di gestione,avendo a riferimento anche i consumatori ivi presenti, etc24.



Persino i Comuni ne risulterebbero avvantaggiati, in quanto in un siffatto mercato essi potrebbero decidere (a seconda di valutazioni non solo economiche, ma pure sociali e territoriali) di conferire i rifiuti degli imballaggi raccolti nell’ambito del servizio pubblico a diversi soggetti25, fuori cioè dal sistema consortile e dall’accordo ANCI-CONAI.



Insomma, si stanno dischiudendo nuovi scenari, con nuovi soggetti e opportunità, ma rimane ancora tanto da fare per evitare che i rischi di cui si è fatto cenno si concretizzino, con emendamenti “lobbistici” (o,come visto, “reazionari”) in sede di conversione del d.l. n.1/2012, anzi sarebbe da spiegare al “governo dei professori” come veramente funziona questo particolare mercato dei rifiuti di imballaggio che non si impara certo nei libri, né può essere ricompreso in astratte norme o dalle imposizioni di soggetti che, ancor oggi, sembrano non sapere di cosa stiamo parlando26.



1 L’art. 26 così recita <1. Al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche: a) all’articolo 221, 1) al comma 3, la lettera a) e’ sostituita dalla seguente: ‹‹a) organizzare autonomamente, anche in forma collettiva, la gestione dei propri rifiuti di imballaggio››; 2) al comma 5, 2.1) al sesto periodo , le parole ‹‹ sulla base dei››, sono sostituite dalle seguenti ‹‹acquisiti i›› 2.2) sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: ‹‹ Alle domande disciplinate dal presente comma si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative alle attivita’ private sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241. A condizione che siano rispettate le condizioni, le norme tecniche e le prescrizioni specifiche adottate ai sensi del presente articolo, le attivita’ di cui al comma 3 lettere a) e c) possono essere intraprese decorsi novanta giorni dallo scadere del termine per l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare come indicato nella presente norma. ›› 3) al comma 9, nel secondo periodo dopo le parole‹‹ comma 3, lettera h) ››, sono inserite le seguenti: ‹‹ in proporzione alla quota percentuale di imballaggi non recuperati o avviati a riciclo, quota che non puo’ essere inferiore ai 3 punti percentuali rispetto agli obiettivi di cui all’art. 220›› b) all’articolo 265, il comma 5 e’ soppresso c) all’articolo 261 le parole «pari a sei volte le somme dovute al CONAI» sono sostituite dalle seguenti: «da 10.000 a 60.000 euro>.



2 Ecco il testo dell’art. 221 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152 nella versione attuale (aggiornata dopo l’art.26 del decreto legge n.1/2012):1. I produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta ed efficace gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti. 2. Nell'ambito degli obiettivi di cui agli articoli 205 e 220 e del Programma di cui all'art. 225, i produttori e gli utilizzatori, su richiesta del gestore del servizio e secondo quanto previsto dall'accordo di programma di cui all'art. 224, comma 5, adempiono all'obbligo del ritiro dei rifiuti di imballaggio primari o comunque conferiti al servizio pubblico della stessa natura e raccolti in modo differenziato. A tal fine, per garantire il necessario raccordo con l'attività di raccolta differenziata organizzata dalle pubbliche amministrazioni e per le altre finalità indicate nell'art. 224, i produttori e gli utilizzatori partecipano al Consorzio nazionale imballaggi, salvo il caso in cui venga adottato uno dei sistemi di cui al comma 3, lettere a) e c) del presente articolo.3. Per adempiere agli obblighi di riciclaggio e di recupero nonchè agli obblighi della ripresa degli imballaggi usati e della raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari su superfici private, e con riferimento all'obbligo del ritiro, su indicazione del Consorzio nazionale imballaggi di cui all'art. 224, dei rifiuti di imballaggio conferiti dal servizio pubblico, i produttori possono alternativamente: a) organizzare autonomamente la gestione dei propri rifiuti di imballaggio su tutto il territorio nazionale; b) aderire ad uno dei consorzi di cui all'art. 223; c) attestare sotto la propria responsabilità che è stato messo in atto un sistema di restituzione dei propri imballaggi, mediante idonea documentazione che dimostri l'autosufficienza del sistema, nel rispetto dei criteri e delle modalità di cui ai commi 5 e 6. 4. Ai fini di cui al comma 3 gli utilizzatori sono tenuti a consegnare gli imballaggi usati secondari e terziari e i rifiuti di imballaggio secondari e terziari in un luogo di raccolta organizzato dai produttori e con gli stessi concordato. Gli utilizzatori possono tuttavia conferire al servizio pubblico i suddetti imballaggi e rifiuti di imballaggio nei limiti derivanti dai criteri determinati ai sensi dell'art. 195, comma 2, lettera e). 5. I produttori che non intendono aderire al Consorzio nazionale imballaggi e a un consorzio di cui all'art. 223, devono presentare all'Osservatorio nazionale sui rifiuti il progetto del sistema di cui al comma 3, lettere a) o c) richiedendone il riconoscimento sulla base di idonea documentazione. Il progetto va presentato entro novanta giorni dall'assunzione della qualifica di produttore ai sensi dell'art. 218, comma 1, lettera r) o prima del recesso da uno dei suddetti consorzi. Il recesso è, in ogni caso, efficace solo dal momento in cui, intervenuto il riconoscimento, l'Osservatorio accerti il funzionamento del sistema e ne dia comunicazione al Consorzio, permanendo fino a tale momento l'obbligo di corrispondere il contributo ambientale di cui all'art. 224, comma 3, lettera h). Per ottenere il riconoscimento i produttori devono dimostrare di aver organizzato il sistema secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, che il sistema sarà effettivamente ed autonomamente funzionante e che sarà in grado di conseguire, nell'ambito delle attività svolte, gli obiettivi di recupero e di riciclaggio di cui all'art. 220. I produttori devono inoltre garantire che gli utilizzatori e gli utenti finali degli imballaggi siano informati sulle modalità del sistema adottato. L'Osservatorio, dopo aver acquisito i necessari elementi di valutazione da parte del Consorzio nazionale imballaggi, si esprime entro novanta giorni dalla richiesta. In caso di mancata risposta nel termine sopra indicato, l'interessato chiede al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio l'adozione dei relativi provvedimenti sostitutivi da emanarsi nei successivi sessanta giorni. L'Osservatorio è tenuto a presentare una relazione annuale di sintesi relativa a tutte le istruttorie esperite. Sono fatti salvi i riconoscimenti già operati ai sensi della previgente normativa. 6. I produttori di cui al comma 5 elaborano e trasmettono al Consorzio nazionale imballaggi di cui all'art. 224 un proprio Programma specifico di prevenzione che costituisce la base per l'elaborazione del programma generale di cui all'art. 225. 7. Entro il 30 settembre di ogni anno i produttori di cui al comma 5 presentano all'Autorità prevista dall'art. 207 e al Consorzio nazionale imballaggi un piano specifico di prevenzione e gestione relativo all'anno solare successivo, che sarà inserito nel programma generale di prevenzione e gestione di cui all'art. 225. 8. Entro il 31 maggio di ogni anno, i produttori di cui al comma 5 sono inoltre tenuti a presentare all'Autorità prevista dall'art. 207 ed al Consorzio nazionale imballaggi una relazione sulla gestione relativa all'anno solare precedente, comprensiva dell'indicazione nominativa degli utilizzatori che, fino al consumo, partecipano al sistema di cui al comma 3, lettere a) o c), del programma specifico e dei risultati conseguiti nel recupero e nel riciclo dei rifiuti di imballaggio; nella stessa relazione possono essere evidenziati i problemi inerenti il raggiungimento degli scopi istituzionali e le eventuali proposte di adeguamento della normativa. 9. Il mancato riconoscimento del sistema ai sensi del comma 5, o la revoca disposta dall'Autorità, previo avviso all'interessato, qualora i risultati ottenuti siano insufficienti per conseguire gli obiettivi di cui all'art. 220 ovvero siano stati violati gli obblighi previsti dai commi 6 e 7, comportano per i produttori l'obbligo di partecipare ad uno dei consorzi di cui all'art. 223 e, assieme ai propri utilizzatori di ogni livello fino al consumo, al consorzio previsto dall'art. 224. I provvedimenti dell'Autorità sono comunicati ai produttori interessati e al Consorzio nazionale imballaggi. L'adesione obbligatoria ai consorzi disposta in applicazione del presente comma ha effetto retroattivo ai soli fini della corresponsione del contributo ambientale previsto dall'art. 224, comma 3, lettera h), e dei relativi interessi di mora. Ai produttori e agli utilizzatori che, entro novanta giorni dal ricevimento della comunicazione dell'Autorità, non provvedano ad aderire ai consorzi e a versare le somme a essi dovute si applicano inoltre le sanzioni previste dall'art. 261. 10. Sono a carico dei produttori e degli utilizzatori: a) i costi per il ritiro degli imballaggi usati e la raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari;b) il corrispettivo per i maggiori oneri relativi alla raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico per i quali l'Autorità d'ambito richiede al Consorzio nazionale imballaggi o per esso ai soggetti di cui al comma 3 di procedere al ritiro; c) i costi per il riutilizzo degli imballaggi usati; d) i costi per il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio; e) i costi per lo smaltimento dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari. 11. La restituzione di imballaggi usati o di rifiuti di imballaggio, ivi compreso il conferimento di rifiuti in raccolta differenziata, non deve comportare oneri economici per il consumatore.



3 Per l’analisi di dettaglio sia permesso rinviare al <Manuale di diritto e di gestione ambientale>, (a cura di A.PIEROBON), Maggioli editore, 2012.



4 Anche se in talune situazioni emergenziali (per esempio la Campania) non sono mancati accordi (supportati da ordinanze commissariali, se non OPCM) che imponevano la raccolta degli imballaggi terziari (in disparte la questione dell’area privata, pubblica, etc.).



5 Sempre rinviando, per una analisi più sistematica, ai contributi contenuti nel citato Manuale di diritto e di gestione ambientale.



6 il CAC fino al 30 giugno 2011 era pari a €/tonn. 165, dall’1 luglio 2011 è di €/tonn. 140; dall’1 gennaio 2012 è di €/tonn. 120.



7 Il PET negli imballaggi primari rappresenta quasi il 22% (tra i rifiuti plastici, gli imballaggi plastici sono il 50%). Quindi il PET è un materiale assai importante e rappresentativo agli effetti del riciclaggio.



8 In precedenza il materiale era acquistabile dagli operatori direttamente da Corepla, con un contratto anche di durata annuale.



9 Il “bottle to bottle” è il sistema tramite il quale una bottiglia in PET diventata rifiuto (post consumo) viene riciclata per produrre una nuova bottiglia (imballaggio di bevande).Diversamente si ha un impianto di recupero che produce le scaglie (cosiddetto flake), ovvero una materia prima secondaria, utilizzabile non solo per bottiglie, ma anche per altri prodotti.



10 L’art. 221 riguarda i Consorzi: 1. I produttori che non provvedono ai sensi dell'art. 221, comma 3, lettera a )
e c), costituiscono un consorzio per ciascun materiale di imballaggio di cui all'allegato E del parte quarta del presente decreto, operante su tutto il territorio nazionale. Ai consorzi possono partecipare i recuperatori, ed i riciclatori che non corrispondono alla categoria dei produttori, previo accordo con gli altri consorziati ed unitamente agli stessi. 2. I consorzi di cui al comma 1 hanno personalità giuridica di diritto privato senza fine di lucro e sono retti da uno statuto adottato in conformità ad uno schema tipo, redatto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 2008, conformemente ai principi del presente decreto e, in particolare, a quelli di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, nonchè di libera concorrenza nelle attività di settore. Lo statuto adottato da ciascun consorzio e' trasmesso entro quindici giorni al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio che lo approva nei successivi novanta giorni, con suo provvedimento adottato di concerto con il Ministro delle attività produttive. Ove il Ministro ritenga di non approvare lo statuto trasmesso, per motivi di legittimità o di merito, lo ritrasmette al consorzio richiedente con le relative osservazioni. Entro il 31° dicembre 2008 i consorzi già riconosciuti dalla previgente normativa adeguano il proprio statuto in conformità al nuovo schema tipo e ai principi contenuti nel presente decreto ed in particolare a quelli di trasparenza, efficacia, efficienza ed economicità, nonchè di libera concorrenza nelle attività di settore, ai sensi dell'art. 221, comma 2. Nei consigli di amministrazione dei consorzi il numero dei consiglieri di amministrazione in rappresentanza dei riciclatori e dei recuperatori deve essere uguale a quello dei consiglieri di amministrazione in rappresentanza dei produttori di materie prime di imballaggio. Lo statuto adottato da ciascun consorzio e' trasmesso entro quindici giorni al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che lo approva di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'economia e delle finanze, salvo motivate osservazioni cui i consorzi sono tenuti ad adeguarsi nei successivi sessanta giorni. Qualora i consorzi non ottemperino nei termini prescritti, le modifiche allo statuto sono apportate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico. Il decreto ministeriale di approvazione dello statuto dei consorzi e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. 3. I consorzi di cui al comma 1 e 2 sono tenuti a garantire l'equilibrio della propria gestione finanziaria. A tal fine i mezzi finanziari per il funzionamento dei predetti consorzi derivano dai contributi dei consorziati e dai versamenti effettuati dal Consorzio nazionale imballaggi ai sensi dell'art. 224, comma 3, lettera h), secondo le modalità indicate dall'art. 224, comma 8, dai proventi della cessione, nel rispetto dei principi della concorrenza e della corretta gestione ambientale, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio ripresi, raccolti o ritirati, nonchè da altri eventuali proventi e contributi di consorziati o di terzi.
4. Ciascun consorzio mette a punto e trasmette al CONAI e all'Osservatorio nazionale sui rifiuti un proprio programma pluriennale di prevenzione della produzione di rifiuti d'imballaggio entro il 30 settembre di ogni anno. 5. Entro il 30 settembre di ogni anno i consorzi di cui al presente articolo presentano all'Osservatorio nazionale sui rifiuti e al Consorzio nazionale imballaggi un piano specifico di prevenzione e gestione relativo all'anno solare successivo, che sarà inserito nel programma generale di prevenzione e gestione. 6. Entro il 31 maggio di ogni anno, i consorzi di cui al presente art. sono inoltre tenuti a presentare all'Osservatorio nazionale sui rifiuti ed al Consorzio nazionale imballaggi una relazione sulla gestione relativa all'anno precedente, con l'indicazione nominativa dei consorziati, il programma specifico ed i risultati conseguiti nel recupero e nel riciclo dei rifiuti di imballaggio.

 

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 Altro discorso è se il sistema possa funzionare ove i Consorzi svolgano un ruolo di “regia”, piuttosto che di proprietario dei rifiuti, ovvero di dominus nella intera (sic!) loro gestione. La verità è che molto dipende anche dalle persone che governano questi Consorzi, non solo dagli Statuti più o meno addomesticati a certe lobbies o categorie di soggetti. Sarebbe interessante, più che svolgere una analisi giuridica entrare nel vivo dei costi e dei ricavi,nel tempo, di questi Enti e correlarli agli obiettivi, beneficiari, qualità e quantità prestazionale, costi di gestione delle strutture, costi di consulenza e di pubblicità, convegni e marketing, e così via. Ma si tratta, lo sappiamo bene, di scontrarsi con un intero sistema ben embricato nei Palazzi, con l’esito di essere marginalizzati dal medesimo sistema oppure del discredito, oppure ancora di venire considerati degli outsiders. Anche questo è un tema apparentemente lontano dall’argomento, in realtà vivo e pulsante, anzi di grande concretezza, fuori dal grande blaterare…

 

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 Il che costituisce un aspetto,davvero fondamentale, per la tematica in trattazione. In buona sostanza occorre prevedere la possibilità di ritirare, da parte di questo sistema autonomo, anche di altri rifiuti di imballaggi, purchè similari o analoghi ai fini del riciclo. Per cui non occorre che il chinotto A ritiri le bottiglie del chinotto A, bensì che esso soggetto possa ritirare analoghe bottiglie (es. aranciata B, cola C, acqua D, etc.) le quali, trattate nell’impianto, possano consentire di ottenere quella materia prima (scaglie di PET) utile a produrre le bottiglie del chinotto A.

 

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 La plastica, per esempio, segue anche il mercato del petrolio. In tal modo un riciclo di plastica comporta un risparmio di petrolio e quindi di CO2. Al momento in Italia, il rapporto tra imballaggi in plastica immessi e rifiuti di imballaggi in plastica riciclati è del 33%. Ognun vede la rilevanza economica ed ambientale di questa tematica.

 

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 Anche perché sarebbe delirante imporre che siano solo le bottiglie prodotte dal produttore X ad essere gestite dalla sua organizzazione, quasi imponendo una riconoscibilità della fonte, imponendo alle bottiglie, come dire… di fare i “salmoni” della situazione tornando alla fonte di origine. In tal guisa occorrerebbe costituire in seno all’organizzazione autonoma (con certificazione esterna) un sistema di tracciabilità (una sorta di “sistrizzazione” dei flussi dei rifiuti) quantomeno macchinosa e costosa. Occorre, quindi, pensare ad un criterio di equivalenza tra i diversi imballaggi rientranti nella medesima tipologica, tali da evitare - al contempo – l’insorgere del pretesto a gestire (creando una posizione dominante o di forza, con depressione delle altrui iniziative) anche le quantità di imballaggi prodotte da altri. Ma si tratta di una situazione che si può disciplinare e fronteggiare in modo corretto e trasparente, solo che lo si voglia.

 

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 Nelle esperienze che sono in europa un “faro”, per esempio quelle tedesche e svizzere, la cauzione consente un riciclo del materiale immesso al consumo dell’80%, in Italia siamo fermi al 33-38% (a seconda del materiale di riferimento).Vero è che l’allegato “E” alla Parte IV del D.Lgs. n.152/2006 prevede come obiettivo minimo un percentuale di riciclaggio rispetto all’immesso del 26% , però una semplice valutazione economico-ambientale, nel contesto che si intende rivitalizzare col cauzionamento, suggerisce di portare la soglia ad almeno il 40% se non oltre. Inoltre tutti i Consorzi pubblici che non siano in grado di effettivamente, prevalentemente e obiettivamente raggiungere le soglie di percentuale fissate dovrebbero essere commissariati, se non liquidati pensando, appunto, ad incentivare direttamente gli operatori del mercato in un sistema di regole più aderenti alla realtà.

 

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 Diciamo entro 60 giorni che corrisponde,grosso modo, alla rotazione del magazzino, diversamente si rischia di mettere in crisi le finanze aziendali dei vari soggetti.

 

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 Che richiama anche il principio di prossimità.

 

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 Basti soffermarsi sulla situazione paradossale che vede impianti italiani acquistare dall’estero analogo materiale (per esempio, il PET), magari proveniente dall’italia! Ovvero che è stato soggiogato dal sistema CONAI che lo ritiene di proprietà, che poi l’ha ceduto tramite asta ad operatori esteri (che seguono logiche finanziarie, più che industriali), dai quali i nostri impianti si rivolgono per acquistare il loro fabbisogno (o parte di esso). Ma la logica aberrante di molti soggetti vestiti con funzioni pubbliche, è quella che burocraticamente, per continuare ad esistere, è sufficiente scrivere sulla carta che il sistema in questo modo attesta di aver recuperato un tot per cento, disinteressandosi così dalla effettiva sostenibilità ambientale dell’iniziativa e pure del trascinamento di altri aspetti economici e sociali, che diventano strategici per la sopravvivenza di tante nostre realtà industriali, oltre che di contenimento di costi, e quindi di riduzione dei prezzi di vendita ai consumatori. Ma siamo alle solite lamentazioni.

 

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 Ricordiamo che la bottiglia essendo di PET segue il mercato del PET che è una merce, per cui una bottiglia pregiata, trasparente, ecc. potrebbe valere 0,013 centesimi (se una tonnellata vale € 450-500 e se n. 35 bottiglie vuote costituiscono un chilo di PET). Il Conai riconosce ai Comuni, con procedure talvolta oggetto di contestazione tra le parti circa la bontà merceologica dei carichi, corrispettivi inferiori a quelli che attualmente possono essere riconosciuti in un sistema efficiente di organizzazione autonoma. Al contempo il valore della cauzione diventa un driver per i soggetti, infatti se la cauzione è di 10 centesimi per bottiglia questo valore incide per quasi un terzo del valore della bottiglia venduta (se vale 0,35 centesimi), in modo tale che il consumatore è invogliato a restituirla al venditore (supermercato o che) per vedersi (con modalità varie) restituito anche il valore della cauzione.

 

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 Certo è che qui la fantasia può sbizzarrirsi, per esempio si potrebbero ipotizzare dei conferimenti da parte dei nuclei domestici ai centri attrezzati di raccolta differenziata (o isole ecologiche) o altri punti, con accrediti o con monetizzazione immediata, coordinandoli poi nel sistema e ritornando questi materiali (in un qualche modo riconoscibili) al sistema del produttore-trasformatore come autonomamente organizzato. Si veda la nostra proposta, in piena emergenza rifiuti in Campania, tratteggiata entro il volume (a cura di M.MONTALTO), <La guerra dei rifiuti. Da Korogocho a Napoli>, Roma, 2007.

Ma persino nella metropoli di New York, grazie a un’ordinanza sindacale, viene “tollerato” chi raccoglie questo materiale, senza avvalersi di un veicolo a motore (donde il trasporto con carrelli,biciclette, ecc.) materiale che poi viene venduto: in proposito si veda la nostra, più ampia, ricostruzione fattane nell’articolo <New York-Napoli: tendenze e assonanze evolutive dei rifiuti>, Diritto e Giurisprudenza Agraria, Alimentare e dell’Ambiente, settembre,9, 2011.

 

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 Che abbiamo brevemente commentato nell’articolo <brevi novità ambientali (decreto sviluppo, ma non solo), in Gazzetta enti locali on line, del 31 ottobre 2011.

 

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 Per esempio ove si ponga un limite di tonnellaggio o di volume alle attività di raccolta, di vendita, di trasporto e di stoccaggio dei rifiuti di imballaggio. In tal modo, laddove il limite sia escludente si arginerebbe (trattenendola entro il sistema consortile obbligatorio) l’autonoma organizzazione di realtà piccole e medie spingendo (e ammettendo) solo forme integrate e ciclopiche, laddove invece sia includente si tenderebbe a tener fuori dal mercato i soggetti che producono e gestiscono di più, quindi tenendo indenne da perdite p.c.d. “budgetarie” il sistema consortile obbligatorio. E’ chiaro che questo tentativo è contro il mercato ed ha ispirazioni lobbistiche sulle quali non è qui il caso di intrattenersi.

 

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 Più condivisibile è la prospettazione di un sistema di coordinamento quale quello avviato, seppur recentemente, per i rifiuti di apparecchi elettrici ed elettronici (RAEE). Peraltro, la nuova disciplina, come imposta da un recentissima direttiva (non ancora applicabile) comporta per il rivenditore di AEE, l’obbligo (per i punti vendita superiori ai 400 mq) di ritirare gratuitamente i prodotti elettronici usati di piccola dimensione (come per esempio i telefoni cellulari) senza l’obbligo dell’acquisto di un nuovo modello (ora, infatti vige il criterio dell’uno contro uno, cioè acquisto un telefono e ti consegno il vecchio). Inoltre, entro il 2016, la raccolta (misurata come rapporto tra tonnellate immesse sul mercato e tonnellate di rifiuti raccolti) dovrà migliorare, e così progressivamente (entro il 2019, il suddetto rapporto deve raggiungere il 65% oppure, alternativamente, si potrà raccogliere l'85% dei rifiuti di materiale elettronico prodotto). Inoltre, il sistema per come ipotizzato, sembra poter scongiurare il fenomeno delle spedizioni illegali dei RAEE fuori UE.

 

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 Per esperienza possiamo affermare che soluzioni tecnico-organizzative considerate “ideali” in certe zone d’Italia, sono destinate al fallimento in altre. Ecco che, al solito,nelle soluzioni e/o nelle proposte prestazionali devesi tenere conto di elementi antropologici e localistici. La standardizzazione è applicabile su scale di realtà già unificate nella risposta, ma non, automaticamente, per diverse realtà.

 

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 In questo caso essi abbisogneranno di una conoscenza di soggetti che conoscano entrambi i linguaggi (dell’ente locale e del mercato) e la realtà del settore di cui si tratta, insomma sarà necessaria per il Comune di una consulenza a tutto campo che non potrà essere né solo giuridica, né solo commerciale, ma che potrà invece retroagire sulle modalità più fruttuose ed opportune di gestione e contrattualistiche.

 

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 A conclusione della scrittura del presente intervento siamo venuti a conoscenza del deposito in data 2 febbraio 2012, della sentenza del TAR Lazio, Sezione Seconda Bis, n.01136/2012 reg. prov.coll. n.01270/2009 reg. ric.. Riprenderemo quindi l’argomento anche alla luce della sentenza che verrà commentata sotto alcuni aspetti che, a nostro modesto avviso, assumono rilevanza e importanza, al di là dell’esito giudiziale avutosi per le parti.