End of Waste e Consiglio di Stato: solo lo Stato può intervenire sulla cessazione della qualifica di rifiuto

di Gianfranco AMENDOLA

Tempi duri per il fronte "liberalizzatore" formatosi tra alcuni consulenti aziendali, l'ordine dei chimici e la direzione generale rifiuti del Ministero dell'ambiente.

Dopo la sconfessione della Cassazione sui rifiuti con voci a specchio, è arrivata, questa volta da parte del Consiglio di Stato, l'ulteriore, pesante batosta sull' EoW, cioè sul fine rifiuto.

Con sentenza n. 1129 pubblicata il 28 febbraio 2018, infatti, la quarta sezione del massimo organo della giustizia amministrativa ha stabilito con ammirevole chiarezza che, in base alla normativa comunitaria ed italiana, in assenza di specifico provvedimento comunitario, spetta solo allo Stato -e non alle Regioni- il potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto.

In estrema sintesi, rinviando alla lettura della sentenza integrale, il Consiglio di Stato si è basato sulle seguenti argomentazioni:

1) NORMATIVA COMUNITARIA

L'art. 6, comma 4 della direttiva 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE, rubricato “cessazione della qualifica di rifiuto”, prevede che, nelle sole ipotesi in cui difettino indicazioni a livello comunitario, è possibile una valutazione “caso per caso” dello Stato membro, con notifica della decisione assunta alla Commissione.

Appare, quindi, evidente, che il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è, per la Direttiva, lo “Stato”, che assume anche obbligo di interlocuzione con la Commissione. La stessa Direttiva UE, quindi, non riconosce il potere di valutazione “caso per caso” ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato medesimo, posto che la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro.

2) NORMATIVA NAZIONALE

A sua volta, l’art. 184-ter d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 prevede - per ciò che concerne la possibile cessazione “caso per caso” della qualifica di rifiuto in assenza di criteri comunitari - sia una disciplina “a regime”, sia una disciplina “transitoria”:

- quanto alla prima, viene riservata allo Stato, e precisamente a regolamenti del Ministero dell’Ambiente, l’individuazione di “specifiche tipologie di rifiuto”, prevedendosi altresì “se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti” e considerando “i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto”;

- quanto alla seconda, viene riaffermata la vigenza di una pluralità di disposizioni (di rango diverso), nelle more dell’adozione dei regolamenti ministeriali.

Appare, quindi, evidente che il legislatore statale ha attribuito competenza esclusiva in questo settore al Ministero dell’Ambiente; fornendo, peraltro, una lettura del “caso per caso”, non già riferito al singolo materiale da esaminare ed (eventualmente) declassificare con specifico provvedimento amministrativo, bensì inteso come “tipologia” di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, a monte dell’esercizio della potestà provvedimentale autorizzatoria.

Occorre comunque osservare che, in ogni caso, la scelta fatta dal legislatore nazionale con l’art. 184-ter cit., in legittimo esercizio di potestà legislativa esclusiva, è stata quella di individuare nel regolamento ministeriale l’atto idoneo ad intervenire ai fini della declassificazione “caso per caso”, il che – ove anche si volesse sostenere una interpretazione diversa della Direttiva n. 98/2008 – rende superflua ogni ulteriore considerazione.

Nè, infine, può giungersi a conclusioni diverse da quelle innanzi esposte argomentando dall’art. 9-bis, d.l. n. 172/2008, conv. in l. n. 210/2008, disposizione che il comma 3 dell’art. 183-ter espressamente indica tra le disposizioni applicabili, nelle more dell’emanazione dei regolamenti

ministeriali, in quanto trattasi, con tutta evidenza di norma che si occupa di autorizzazioni già rilasciate ma non attribuisce un potere di declassificazione ex novo in sede di rilascio di nuove autorizzazioni .

3) LA COSTITUZIONE

D’altra parte, la previsione della competenza statale in materia di declassificazione “caso per caso”

del rifiuto appare del tutto coerente, oltre che con la citata Direttiva UE, anche con l’art. 117, comma secondo, lett. s) della Costituzione che, come è noto, attribuisce alla potestà legislativa

esclusiva (e, dunque, anche alla potestà regolamentare statale), la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

E’ del tutto evidente, infatti, che, laddove si consentisse ad ogni singola Regione, di definire, in assenza di normativa UE, cosa è da intendersi o meno come rifiuto, ne risulterebbe vulnerata la ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni.

4) IL MINISTERO DELL'AMBIENTE

" Tanto precisato, non possono assumere rilevanza eventuali diverse considerazioni desumibili da

circolari emanate dal Ministero dell’Ambiente, cui compete, più propriamente, l’esercizio del potere regolamentare in materia ".

Per chi non lo sapesse, il riferimento è ad una ardita "nota" del 1 luglio 2016, prot. n. 10045", intitolata " Applicazione dell'art. 184-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 ", in cui la Direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento del Ministero dell'ambiente, sulla falsariga delineata da una "denuncia" del 2014 alla Ue dell'Ordine dei chimici e con l'entusiastica approvazione di parte della dottrina 1, ritiene possibile la competenza regionale, aggiungendo, peraltro, del tutto arbitrariamente, nel comma 3 dell'art. 184-ter (che prevede solo i "vecchi" decreti), anche l'art. 214, comma 7.

CONCLUSIONI

Così sommariamente riassunto il pensiero del Consiglio di Stato, ci sia consentito di rinviare, per una analisi più approfondita della delicata problematica, con relativi richiami, ad un nostro lavoro del 2016, di cui riportiamo le conclusioni, a partire dalla nota appena citata del Ministero dell'Ambiente 2:

"Resta da valutare quale valore giuridico abbia la Nota del Ministero dell'Ambiente che abbiamo appena analizzato.

Sorvoliamo, pure, sull'anomalia di una "Nota" che non ci sembra prevista da alcuna legge e andiamo al sodo.

La Nota può essere considerata, al massimo, un contributo del Ministero dell'ambiente che ha voluto esternare una sua personale interpretazione della legge, ma non ha valore vincolante per nessuno: nè per i privati, nè per la P.A. nè per la magistratura 3.

Ci risultano, quindi, veramente incomprensibili gli inni di giubilo, innalzati, in dottrina, al Ministero che " fornendo un importantissimo (e lungamente atteso) contributo alla realizzazione dell’economia circolare, pone così termine ad una discussione che si è protratta per vari anni "; e che, quindi, può " porre la parola “fine” ad una lunga storia, salvo comportamenti di malafede (che si vocifera esistano ancora) ...". e considera, quindi, " ormai risolta la questione della possibilità di rilasciare autorizzazioni ordinarie in tema di EoW "; tanto più che si trattava di " una questione che addirittura difettava di fondamento giuridico".

Ancora più incomprensibili, peraltro, ci risultano le pesanti accuse che, contestualmente, vengono lanciate contro la magistratura, quando si afferma che " purtroppo si assiste ad una sempre maggiore paura nelle P.A., chiamate a rilasciare autorizzazioni, di prendersi le proprie responsabilità. Comprensibile se - anche in presenza (non sempre garantita) di un’autentica vocazione al lavoro pubblico svolto - si prende atto dell’atteggiamento spesso inquisitorio delle Procure, e della circostanza che il singolo funzionario, ove chiamato a difendersi nelle opportune sedi, deve fare affidamento sulle proprie capacità economico-finanziarie che - cosa ormai nota - influiscono in modo determinante sull’effettiva possibilità di esercitare la propria difesa "4.

Peraltro, che la magistratura inquirente abbia un " atteggiamento inquisitorio" ci sembra del tutto ovvio; ma, se a chi scrive queste cose risulta che qualche magistrato di qualche Procura ha terrorizzato qualche povero funzionario per non fargli rilasciare una autorizzazione EoW secondo le audaci indicazioni del Ministero, è bene che lo dica con nome e cognome di modo che -adesso sì- ciascuno possa prendersi le proprie responsabilità.

Comunque, tornando al tema che ci interessa, a noi sembra che le disposizioni dell'art. 184-ter in tema di EoW abbiano una loro logica ed una loro validità. Il legislatore italiano, dovendo trasporre la Direttiva, ben consapevole della delicatezza del tema, ha preferito farlo informandosi al principio di precauzione, così come gli imponevano l'art. 3-ter D. Lgs 152/06 , che, in materia ambientale, qualifica il predetto principio come principio generale attuativo della Costituzione (art. 3-bis D. Lgs 152/06) 5 e la giurisprudenza comunitaria sulla nozione di rifiuto 6 (che, peraltro, viene espressamente richiamata dal legislatore comunitario nell'art. 6, comma 4, della Direttiva 2008/98/CE, proprio a proposito dell'EoW "caso per caso").

Ha, quindi, stabilito espressamente che, in assenza di regolamentazione comunitaria, si debbano approvare ed applicare, in tema di EoW, decreti ministeriali per specifiche tipologie di rifiuto, di modo che vi siano condizioni predeterminate (da far avallare, peraltro, in sede comunitaria, tramite formale notifica), valide per tutti. E che, per evitare pericolose soluzioni di continuità, nel periodo transitorio, in attesa di questi decreti, si continuino ad applicare, in quanto compatibili, quelli precedenti già utilizzati per le MPS; e si continuino a salvare i "vecchi" provvedimenti e accordi già esistenti da prima che si introducesse la normativa MPS.

In tal modo, quindi, il legislatore italiano ha chiaramente escluso (fatto salvo il passato) che, in tema di EoW, in assenza di queste condizioni predeterminate valide per tutti, contenute, comunque, in decreti ministeriali (nuovi, o anche "vecchi" per il periodo transitorio), si possa decidere, caso per caso,.

Ha voluto, cioè, evitare che si verificassero, in una materia così delicata anche a livello economico, assurde disparità di trattamento. Quelle stesse disparità che oggi propone, invece, il Ministero dell'ambiente, ben riassunte, in dottrina, con i seguenti interrogativi: " ci saranno forse Regioni a diverse velocità? Si avvererà un federalismo autorizzativo dove le Regioni, di fronte alle richieste dei privati, diversamente si approcceranno e decideranno?Se, ad esempio, la Provincia autonoma di Bolzano, stabilirà – interpretando specifiche norme tecniche, magari in voga in altro stato UE, es. Austria o Germania – che un certo rifiuto possa diventare EoW, che succederà nella limitrofa Provincia di Trento? Si giungerà forse (contro i princìpi della libera circolazione di merci e del mercato) a stabilire che l’utilizzo dell’EoW possa avvenire confinata nella realtà provinciale? Oppure, si avrà un EoW casistico, cioè valevole per tutti? " 7 .

Con l'aggravante che, dopo questa Nota ministeriale, la situazione di incertezza risulterà ancora maggiore perchè ci sarà chi riterrà di conformarsi alla (inaccettabile) tesi governativa e chi, invece, si conformerà alla legge.

Una ultima osservazione. A nostro sommesso avviso, la vera pietra dello scandalo in questa assurda vicenda è proprio il comportamento del Ministero dell'Ambiente che, a distanza di 6 anni, ancora non ha emanato (con una sola eccezione) quei decreti attuativi sull'EoW cui era ed è obbligato ai sensi dell'art. 184-ter; ed oggi ritiene di uscirsene con una interpretazione francamente risibile che aumenta incertezze e diseguaglianze.

Forse qualcuno dovrebbe dire al Ministro che, se il suo dicastero avesse fatto il suo dovere, ci saremmo evitati tutto questo".

Resta solo da aggiungere che la sentenza del Consiglio di Stato, sopra illustrata, avrà riflessi immediati molto rilevanti in molte situazioni createsi a seguito della confusione indotta negli operatori da una tesi "liberalizzatoria", avallata addirittura dal Ministero dell'Ambiente, che, come abbiamo visto, non ha alcun serio fondamento.

E non saranno solo riflessi nel settore del diritto amministrativo ma anche in quello penale, visto che, a questo punto, le autorizzazioni regionali sul fine rifiuto rilasciate "caso per caso" devono essere considerate, ovviamente, illegittime; e di conseguenza i rifiuti restano rifiuti, soggetti a obblighi, divieti e sanzioni previsti dalla normativa sui rifiuti.

Certo, bisognerà valutare, caso per caso, la buona fede. Anche- speriamo- di tutti quelli che hanno contribuito alla verificazione di un evento vietato dalla legge.

1 ROTTGEN, (da ultimo in) E' arrivata la conferma per l'End of Waste tramite provvedimenti autorizzativi , in Ambiente e sviluppo 2016, n. 10, pag. 635, il quale, tra l'altro, nello stesso contesto non esita a bollare con pesanti espressioni le Regioni e Province italiane -in particolare la Regione Veneto- che, non aderendo a questa lettura, hanno correttamente applicato la legge italiana.

2 AMENDOLA, Fine rifiuto (EoW) caso per caso: questa volta il Ministero dell'Ambiente ha esagerato , in www.industrieambiente. it, dicembre 2016 e in www. lexambiente, it. 13 gennaio 2017

3 Peraltro, già altre volte, in passato, il Ministero dell'Ambiente ha provato a "legiferare" con circolari e direttive amministrative. Cfr. per tutte la vicenda delle terre e rocce da scavo, conclusasi con una sonora bocciatura della Corte di giustizia europea.

4 ROTTGEN, op.loc.cit.

5 Spiace che Rottgen, op.loc.cit. liquidi questo prevedibile riferimento fondamentale, scrivendo che " su tutta la questione vi sarà certamente chi invocherà in modo inopportuno, e in spregio ai principi comunitari e nazionali, il principio di precauzione al fine di porlo alla base di un totale blocco di qualsiasi iniziativa, in applicazione della vecchia saggezza popolare per cui “chi nulla, fa non può sbagliare ”.

6 AMENDOLA, Fine rifiuto dopo recupero..., cit, pag. 11

7 PIEROBON, Fuori dal nichilismo con l'EoW?, in www.lexambiente.it, 4 agosto 2016, che, peraltro, conclude affermando che " la nota direttoriale ben poteva ricordare che, per autolimitare la discrezionalità e per rendere le decisioni più ponderate, servono dei minimi punti fermi nella istruttoria da svolgersi da parte degli organi autorizzativi ."

Il testo della sentenza

Pubblicato il 28/02/2018

N. 01229/2018REG.PROV.COLL.

N. 01976/2017 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1976 del 2017, proposto da:
Regione del Veneto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Manzi, Emanuele Mio, Ezio Zanon, Cristina Zampieri, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via F. Confalonieri, 5;

contro

Contarina S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Lorenzo Lamberti, Francesco Fonderico, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Fari' in Roma, via Vittorio Veneto, 108;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. VENETO – SEZ. III n. 01422/2016, resa tra le parti, concernente INQUINAMENTO: AUTORIZZAZIONE IMPIANTO PER IL TRATTAMENTO ED IL RECUPERO DI RIFIUTI URBANI E ASSIMILABILI


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Contarina S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2017 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati P. Caruso su delega di A. Manzi, F. Fonderico;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Con l’appello in esame, la Regione Veneto impugna la sentenza 28 dicembre 2016 n. 1422, con la quale il TAR per il Veneto, sez. III, in accoglimento del ricorso proposto dalla società Contarina s.p.a., ha annullato la deliberazione della Giunta Regionale del Veneto 16 agosto 2016 n. 1319.

Con tale atto la Giunta Regionale, recependo il parere reso dalla Commissione tecnica regionale, sez. ambiente, aveva respinto la richiesta di qualificare le attività svolte in impianto come attività di recupero “R3”, finalizzate alla produzione di materie prime secondarie (MPS), e le ha invece classificate come “R13: messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12” e “R12: scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R! a R11”.

Tale decisione riguarda l’attività della società Contarina, che era già stata autorizzata ad una attività sperimentale per il trattamento ed il recupero di rifiuti urbani e assimilabili, costituiti da pannolini, pannoloni ed assorbenti igienici, per un periodo di due anni.

In sede di autorizzazione, le due frazioni recuperate dal processo di sanificazione dei pannolini (1.frazione composta di cellulosa in fiocchi; 2.frazione composta di plastica in foglia) sono state in origine classificate come rifiuti con codice CER.

La società ha quindi presentato domanda di modifica dell’autorizzazione al fine di ottenere la classificazione delle frazioni riciclabili, recuperate attraverso il processo di trattamento, come materie prime secondarie.

La Commissione tecnica, in sede di parere – con particolare riferimento alla richiesta di classificare le operazioni di recupero oggetto di sperimentazione “R3” con conseguente cessazione della qualifica di “rifiuto” – ha rilevato che l’art. 184-ter d. lgs. n. 152/2006 “non contempla la discrezionalità per le Autorità competenti al rilascio dell’autorizzazione, riguardo la definizione di criteri specifici per la cessazione della qualifica di rifiuto, ad oggi disciplinati solo da precisi regolamenti comunitari e da decreti del Ministero dell’Ambiente”.

Tale parere è stato recepito dalla impugnata deliberazione della Giunta Regionale, la quale ha autorizzato la società ad effettuare le modifiche all’impianto sperimentale e ad esercitate l’attività nel rispetto delle prescrizioni contenute nel parere, ma senza modificare la classificazione delle operazioni di recupero consentite all’impianto, e cioè da R12 e R13 a R3.

1.1.La sentenza impugnata afferma, in particolare:

- “la mancanza di regolamenti comunitari o di decreti ministeriali relativi alle procedure di recupero di determinati rifiuti, lungi dal precludere sic et simpliciter il potere dell’Autorità competente di valutare comunque, caso per caso, l’eventuale rilascio (nel rispetto delle quattro condizioni previste dall’art. 184-ter, co. 1, d. lgs. n. 152/2006) delle relative autorizzazioni, comporta al contrario il potere e il dovere appunto di procedere ad una analisi, ad una valutazione e ad una decisione casistica, rilasciando l’autorizzazione integrata ambientale qualora la sostanza che si ottiene dal trattamento e dal recupero del rifiuto soddisfi le quattro condizioni”;

- anche alla luce della circolare del Ministero dell’Ambiente 1 luglio 2016, “le Regioni possono definire criteri EoW, in sede di rilascio delle autorizzazioni di cui agli artt. 208, 209 e 211. . . sempre che, per la stessa tipologia di rifiuto, tali criteri non siano stati definiti con regolamento comunitario o con un decreto ministeriale, emanato ai sensi del co. 2 del citato art. 184-ter”;

- nel provvedimento della Giunta Regionale e nel parere “non viene affatto chiarito se, ed eventualmente in che termini, la disciplina contenuta nella suddetta decretazione consenta o meno di qualificare le attività svolte nell’impianto in oggetto come attività di recupero R3 per la produzione di materie prime secondarie”.

1.2.Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) erroneità e ingiustizia della sentenza appellata; violazione ed errata interpretazione art. 184-ter, co. 1 e 2, d. lgs. n. 152/2006; errata interpretazione della normativa di settore con conseguente errata individuazione della competenza in capo alle Regioni di definire criteri EoW, in sede di rilascio delle autorizzazioni; ciò in quanto, in base all’art. 6 della Direttiva n. 98/2008, in mancanza di provvedimenti comunitari, sono gli Stati membri a definire i criteri EoW, limitatamente al “caso per caso”, con la supervisione della Commissione Europea; ed in senso conforme dispone l’art. 184-ter, co. 2, cit., che prevede che quanto innanzi esposto avvenga “attraverso uno o più decreti del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare”;

b) erroneità della sentenza; violazione art. 117 Cost. e 196 del Testo Unico ambiente; poiché “nessuna norma attribuisce alle Regioni potestà legislativa in materia di EoW che, pertanto, rimane attratta nella competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117 Cost.”; peraltro, “in assenza di un provvedimento di armonizzazione di livello statale, deferendo alle Regioni la potestà decisionale sui criteri di EoW non verrebbe garantito in modo uniforme sul territorio nazionale lo stesso livello di tutela per l’ambiente e la salute umana”;

c) erroneità ed ingiustizia della sentenza per mancata valutazione dell’istruttoria espletata; poiché la sentenza non ha tenuto conto dell’attività svolta e della necessità di ulteriori informazioni da parte della ditta.

1.3.Si è costituita in giudizio Contarina s.p.a., che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con riferimento ai primi due motivi proposti (sub lett. a) e b) dell’esposizione in fatto).

2.1. L’art. 6 della direttiva 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE, rubricato “cessazione della qualifica di rifiuto”, con particolare riguardo ai casi di cessazione non previsti dalla normativa UE, prevede (co. 4):

“Se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile. Essi notificano tali decisioni alla Commissione in conformità della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione, ove quest'ultima lo imponga”.

La Direttiva prevede, dunque, che, nelle sole ipotesi in cui difettino indicazioni a livello comunitario, è possibile una valutazione “caso per caso” dello Stato membro, con notifica della decisione assunta alla Commissione.

A sua volta, l’art. 184-ter d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152, per quel che interessa nella presente sede, prevede in particolare:

“1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

a) la sostanza o l'oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;

b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana.

2. L'operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto.

3. Nelle more dell'adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e l'art. 9-bis, lett. a) e b), del decreto legge 6 novembre 2008 n. 172, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210. La circolare del Ministero dell'ambiente 28 giugno 1999, prot. n. 3402/V/MIN si applica fino a sei mesi dall'entrata in vigore della presente disposizione”.

L’art. 184-ter innanzi riportato, nel dare attuazione a quanto previsto dalla direttiva n. 98 cit., prevede dunque - per ciò che concerne la possibile cessazione “caso per caso” della qualifica di rifiuto in assenza di criteri comunitari - sia una disciplina “a regime”, sia una disciplina “transitoria”:

- quanto alla prima, viene riservata allo Stato, e precisamente a regolamenti del Ministero dell’Ambiente, l’individuazione di “specifiche tipologie di rifiuto”, prevedendosi altresì “se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti” e considerando “i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto”;

- quanto alla seconda, viene riaffermata la vigenza di una pluralità di disposizioni (di rango diverso), nelle more dell’adozione dei regolamenti ministeriali.

2.2. Alla luce delle disposizioni innanzi riportate, può, dunque, affermarsi che se, in linea generale, la disciplina della cessazione della qualifica di “rifiuto” è riservata alla normativa comunitaria, nondimeno questa ha consentito che, in assenza di proprie previsioni, gli Stati membri possano valutare caso per caso tale possibile cessazione – si ripete, solo in assenza di indicazioni comunitarie e, dunque, non in contrasto con le stesse – dandone informazione alla Commissione.

Il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è, per la Direttiva, lo “Stato”, che assume anche obbligo di interlocuzione con la Commissione.

La stessa Direttiva UE, quindi, non riconosce il potere di valutazione “caso per caso” ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato medesimo, posto che la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro.

Ciò è quanto ha fatto il legislatore statale, attribuendo tale potere al Ministero dell’Ambiente, ed anzi fornendo una lettura del “caso per caso”, non già riferito al singolo materiale da esaminare ed (eventualmente) declassificare con specifico provvedimento amministrativo, bensì inteso come “tipologia” di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, a monte dell’esercizio della potestà provvedimentale autorizzatoria.

D’altra parte, la previsione della competenza statale in materia di declassificazione “caso per caso” del rifiuto appare del tutto coerente, oltre che con la citata Direttiva UE, anche con l’art. 117, comma secondo, lett. s) della Costituzione che, come è noto, attribuisce alla potestà legislativa esclusiva (e, dunque, anche alla potestà regolamentare statale), la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

E’ del tutto evidente che, laddove si consentisse ad ogni singola Regione, di definire, in assenza di normativa UE, cosa è da intendersi o meno come rifiuto, ne risulterebbe vulnerata la ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni.

2.3. Alla luce di quanto esposto, non può essere condivisa la sentenza impugnata laddove essa afferma che “la mancanza di regolamenti comunitari o di decreti ministeriali relativi alle procedure di recupero di determinati rifiuti, lungi dal precludere sic et simpliciter il potere dell’Autorità competente di valutare comunque, caso per caso, l’eventuale rilascio (nel rispetto delle quattro condizioni previste dall’art. 184-ter, co. 1, d. lgs. n. 152/2006) delle relative autorizzazioni, comporta al contrario il potere e il dovere appunto di procedere ad una analisi, ad una valutazione e ad una decisione casistica, rilasciando l’autorizzazione integrata ambientale qualora la sostanza che si ottiene dal trattamento e dal recupero del rifiuto soddisfi le quattro condizioni”.

Né può essere condiviso quanto sostenuto dalla società appellata, secondo la quale la Direttiva UE n. 98/2008, andrebbe interpretata nel senso di consentire “allo Stato membro, in tutte le sue articolazioni, incluse le Regioni (a ciò delegate dallo stesso Stato membro) e gli enti eventualmente delegati dalle stesse Regioni per le procedure di autorizzazione” di stabilire i criteri EoW (cioè i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto (memoria del 7 aprile 2017, pag. 13).

Ed infatti, la stessa “Guida” all’interpretazione della Direttiva – citata dalla appellata – prevede che “gli Stati membri possono decidere a livello nazionale se certi rifiuti possono cessare di essere rifiuti”, il che, lungi dall’intendersi come la possibilità di individuare qualsiasi Ente (anche non statale) come attributario della competenza, deve essere invece inteso – in modo più coerente e ragionevole – come un riferimento all’ambito di efficacia della declassificazione, la quale deve intervenire, appunto, a livello nazionale, cioè per tutto l’ambito territoriale dello Stato membro.

Fermo quanto ora affermato, occorre comunque osservare che, in ogni caso, la scelta fatta dal legislatore nazionale con l’art. 184-ter cit., in legittimo esercizio di potestà legislativa esclusiva, è stata quella di individuare nel regolamento ministeriale l’atto idoneo ad intervenire ai fini della declassificazione “caso per caso”, il che – ove anche si volesse sostenere una interpretazione diversa della Direttiva n. 98/2008 – rende superflua ogni ulteriore considerazione.

Né assume alcun rilievo la circostanza, sottolineata dalla società appellata, secondo la quale “autorizzazioni ordinarie recanti criteri EoW ex art. 184-ter, comma 3, TUA, risultano rilasciate non soltanto da altre Regioni ma anche da qualche Provincia facente parte della Regione Veneto” (pag. 14 memoria cit.). Infatti, in disparte ogni considerazione in ordine alla apoditticità dell’affermazione, appare evidente come atti difformi dalla corretta applicazione di legge non possono costituire sotto alcun profilo parametro di riferimento.

2.4. Non può giungersi a conclusioni diverse da quelle innanzi esposte nemmeno argomentando dall’art. 9-bis , d.l. n. 172/2008, conv. in l. n. 210/2008, disposizione che il comma 3 dell’art. 183-ter espressamente indica tra le disposizioni applicabili, nelle more dell’emanazione dei regolamenti ministeriali.

In particolare, la lett. a) dell’art. 9-bis prevede che:

“fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 181-bis, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le caratteristiche dei materiali di cui al citato comma 2 si considerano altresì conformi alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 209 e 210 del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59”.

In disparte ogni considerazione in ordine alla intervenuta abrogazione dell’art. 181-bis ed alla introduzione dell’art. 184-ter del d. lgs. n. 152/2006, occorre osservare che la disposizione citata prende in considerazione i materiali (di cui al co. 2 dell’art. 181-bis) per dichiararli “conformi” alle autorizzazioni già rilasciate (in linea con il dichiarato carattere emergenziale e transitorio della disposizione medesima), ma non attribuisce un potere di declassificazione ex novo in sede di rilascio di nuove autorizzazioni; né, d’altra parte, un potere così conformato potrebbe essere ritenuto conforme al quadro normativo di livello comunitario e costituzionale.

Tanto precisato, non possono assumere rilevanza eventuali diverse considerazioni desumibili da circolari emanate dal Ministero dell’Ambiente, cui compete, più propriamente, l’esercizio del potere regolamentare in materia.

3. Per le ragioni esposte, l’appello della Regione Veneto deve essere accolto, in relazione ai primi due motivi di impugnazione proposti (sub lett. a) e b) dell’esposizione in fatto) e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso instaurativo del giudizio di I grado.

Stante la natura, novità e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tea le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),

definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla Regione Veneto (n. 1976/2017 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso instaurativo del giudizio di I grado.

Compensa tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Oberdan Forlenza        Filippo Patroni Griffi