Cass. Sez. III sent. 20458 del 25 maggio 2007 (Ud. 27 mar. 2007)
Pres. Onorato Est. Marini Ric. Della Torre ed altri
Rifiuti. Materie fecali

La materia fecale può non essere inclusa nella disciplina relativa al trattamento e smaltimento dei rifiuti, e quindi sottratte alla previsione sanzionatoria solo nella ipotesi che essa provenga da attività agricola e venga riutilizzata interamente nelle normali pratiche agricole.

RILEVA

Con sentenza in data del 31 gennaio 2006, il Tribunale di Bergamo, Sezione distaccata di Treviglio, ha condannato i ricorrenti alla pena di Euro 2.600,00 di ammenda ciascuno per il reato previsto dal D.Lgs. 5 febbraio 1977, n. 22, art. 51, comma 14; fatto commesso il (OMISSIS).

In particolare, i ricorrenti sono stati ritenuti responsabili, quali soci amministratori della impresa "Della Torre F.lli", di avere immesso nel corso d'acqua "(OMISSIS)" rifiuti liquidi speciali, e cioè liquami zootecnici, che sarebbero tracimati dalle lettiere delle stalle dell'azienda a causa del loro eccessivo riempimento.

Avverso tale sentenza i ricorrenti muovono due motivi di doglianza.

Il primo motivo ha ad oggetto l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione alle disposizioni del D.Lgs. n. 22 del 1977, per avere la sentenza erroneamente qualificato come "rifiuti" sostanze, e cioè materie fecali destinate all'impiego agricolo, che espressamente il del citato D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8, comma 1, lett. c) esclude dal novero dei rifiuti.

Il secondo motivo concerne l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), lamentando l'evidente carenza o illogicità della motivazione.

In particolare, la sinteticissima motivazione si fonderebbe su circostanze erroneamente ritenute provate (natura dei liquidi immessi; provenienza dei medesimi; cause dell'assunta tracimazione delle vasche); avrebbe del tutto omesso di considerare elementi di prova a discarico e conterrebbe evidenti contraddizioni.

OSSERVA

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Come ribadito più volte da questa Corte (tra tutte, Terza Sezione Penale, sentenza 14 Ottobre 2005, n. 37405, Burigotto; sentenza 10 febbraio 2005, n. 8890, Gios, rv. 230981; sentenza 17 Novembre 2005, n. 4500, Boschetti, rv. 233283), la materia fecale può non essere inclusa nella disciplina relativa al trattamento e smaltimento dei rifiuti, e quindi sottratte alla previsione sanzionatoria contenuta nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, solo nella ipotesi che essa provenga da attività agricola e venga riutilizzata interamente nelle normali pratiche agricole.

E' pacifico, al contrario, che nel caso di specie ai ricorrenti è stato contestato lo sversamento del materiale fecale in un corso d'acqua situato nei pressi delle stalle dell'azienda agricola da loro gestita, con la conseguenza che non può trovare applicazione la disciplina contenuta nel D.Lgs. 5 novembre 1999, n. 152, art. 38.

2. Circa il secondo motivo di ricorso, va rilevato che la difesa ha lamentato vizi riconducibili all'art. 606 c.p.p., lett. e), con riferimento a specifiche acquisizioni probatorie che il Tribunale avrebbe non correttamente valutato, con il risultato di ritenere sussistente la prova di circostanze che, al contrario, non risulterebbero in alcun modo provate e che, in ogni caso, condurrebbero ad una ricostruzione dei fatti diversa da quella contestata.

In effetti, la contestazione opera un espresso riferimento alla circostanza che i rifiuti sarebbero "tracimati dalle lettiere delle stalle a causa del loro eccessivo riempimento", mentre dalla lettura della motivazione si evince che il giudice di prime cure ha conclusivamente ritenuto che i rifiuti tracimarono, a causa delle consistenti piogge, dalle vasche ove lo stallatico veniva stoccato e che dovevano essere periodicamente vuotate, vasche che il giudice ha accertato esistere sulla base delle produzioni difensive e in contrasto con le dichiarazioni testimoniali dei verbalizzanti, che non ne avevano rilevato la presenza.

Tale discrasia, correttamente evidenziata dai ricorrenti, esclude che si sia in presenza di motivo di ricorso inammissibile o manifestamente infondato, ma non comporta, a differenza di quanto esposto dai ricorrenti stessi, un vizio radicale della sentenza.

3. La pur sintetica motivazione della sentenza, infatti, offre sufficienti elementi per comprendere che l'attribuibilità della responsabilità ai Sigg. D.T. non si ravvisa solo nell'origine della materia fecale, quanto nella circostanza, che il giudice motivatamente ritiene provata, che sussiste una continuità fra il deposito dei liquami, le tracce rinvenute sul piazzale dell'azienda e la materia presente nel corso d'acqua. Sul punto la sentenza offre adeguata e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione "a ritroso" del percorso compiuto dalla materia rinvenuta nel corso d'acqua. A fronte di tale continuità, nessun rilievo decisivo può attribuirsi alla discrasia esistente fra l'ipotesi iniziale, che la materia fosse tracimata dalle lettiere, e quella formulata dal giudice in esito al dibattimento, e cioè che fosse tracimata dalle vasche collocate nei pressi e ricadenti sempre sotto la responsabilità dei titolari dell'azienda.

La mancanza di un vizio radicale della motivazione, che solo integrerebbe la violazione di legge articolata dalle diverse ipotesi contenute nell'art. 606 c.p.p., impedisce alla Corte ravvisare i presupposti per il suo annullamento, essendo inibito al giudice di legittimità di sostituire la propria ricostruzione dei fatti a quella operata dal giudice di merito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2007.