Cass. Sez. III n. 33028 del 28 luglio 2015 (Ud 1 lug 2015)
Pres. Squassoni Est. Ramacci Ric. Giulivi
Rifiuti.La demolizione non è processo di produzione ai fini della qualificazione del sottoprodotto

L'attività di demolizione di un  edificio non può essere definita un «processo di produzione» quale quello indicato dall'art. 184-bis, comma 1, lett. a) del d.lgs. 152\06, con la conseguenza che i materiali che ne derivano vanno qualificati come rifiuti e non come sottoprodotti.

 RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Como, con sentenza del 15/7/2014 ha riconosciuto GIULIVI Filippo responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) e lo ha condannato alla pena dell'ammenda per avere effettuato, quale legale rappresentante della "Impresa Costruzioni s.r.l.", in assenza di titolo abilitativo, un'attività di trasporto e smaltimento di rifiuti non pericolosi costituiti da miscugli di sfabbricidi di cemento, calcestruzzo armato, mattoni, laterizi (CER 17 01 07), cemento (CER 17 01 01) mattoni (CER 17 01 02) mattonelle e ceramiche (CER 17 01 03) e tondini di ferro (CER 17 04 05), in Menaggio, fino al 18/10/2010. Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia. .

Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando che il materiale edilizio, proveniente dalla demolizione di un rustico nel comune di Pare, veniva riutilizzato per la formazione di un fondo stradale provvisorio per il transito di mezzi pesanti in vista della costruzione di fabbricati residenziali nel comune di Loveno.

Per tali ragioni, aggiunge, il materiale stesso sarebbe riconducibile nel novero dei sottoprodotti, sussistendone le condizioni e, segnatamente, la produzione dalla società dell'imputato, l'assenza di trasformazioni preliminari, essendosi proceduto soltanto alla frantumazione conseguente alla demolizione e per non avere l'utilizzazione dei residui da demolizione determinato condizioni peggiorative per l'ambiente.

3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge, osservando che, pur volendo qualificare come rifiuto il materiale proveniente da demolizione, sarebbe stata comunque applicabile la disciplina prevista per il deposito temporaneo, in quanto il raggruppamento dei rifiuti sarebbe avvenuto in un luogo comunque nella disponibilità dell'impresa ed in collegamento funzionale ed infrastrutturale con il luogo di produzione del rifiuto ed avrebbe rispettato gli ulteriori requisiti quantitativi e temporali richiesto dalla legge.

Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

Occorre preliminarmente osservare che, sebbene nell'imputazione sia indicato il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 56, che pure il ricorrente menziona ripetutamente in ricorso, risulta evidente, dalla descrizione dei fatti riportata nell'imputazione medesima, che si tratta di un mero refuso e che la contestazione riguarda la illecita gestione di rifiuti, sanzionata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256.

2. Ciò premesso, rileva il Collegio che il giudice del merito, nel dare atto della sostanziale ammissione dell'addebito da parte dell'imputato, non ha posto in dubbio la natura di rifiuto dei materiali da demolizione trasportati ed utilizzati in altro cantiere per la realizzazione di un sottofondo stradale, dando atto della distanza tra il luogo di produzione del rifiuto e quello dell'ultima collocazione, nonchè del fatto che il mezzo utilizzato per il trasporto non era autorizzato allo svolgimento di tale attività, avendo l'imputato effettuato, successivamente al sequestro, la regolarizzazione mediante comunicazione all'Albo dei gestori ambientali.

A fronte di ciò, il ricorrente prospetta in ricorso due soluzioni interpretative, tra loro alternative, che sarebbero state, a suo avviso, tralasciate dal Tribunale e, nel far ciò, non specifica, tuttavia, in quali termini le abbia sottoposte all'attenzione del primo giudice, limitandosi ad osservare che questi non avrebbe provveduto ad una corretta applicazione della legge penale.

Le censure mosse in ricorso, in ogni caso, risultano prive di fondamento per diverse ragioni.

3. Un primo, determinante, elemento ostativo all'applicazione, nella fattispecie, della disciplina dei sottoprodotti o, in alternativa, del deposito temporaneo, è data dal fatto che le due discipline cui fa riferimento il ricorrente comportano l'applicazione di norme aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti, con la conseguenza che, come più volte affermato da questa Corte, l'onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge deve essere assolto da colui che ne richiede l'applicazione (in tema di sottoprodotti v. Sez. 3, n. 17453 del 17/4/2012, Buse, Rv. 252385; Sez. 3, n. 16727 del 13/04/2011, Spinello, non massimata; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504. In tema di deposito temporaneo v. Sez. 3, n. 15680 del 3/3/2010, Abbatino, non massimata; Sez. 3, n. 21587 del 17/3/2004, Marucci, non massimata; Sez. 3, n. 30647del 15/06/2004, Dell'Angelo, non massimata. Il principio è stato affermato anche con riferimento ad altre ipotesi: si vedano, ad esempio, Sez. 3, n. 6107 del 17/1/2014, Minghini Rv. 258860 in tema di impianti mobili adibiti alla sola attività di riduzione volumetrica e separazione delle frazioni estranee; con riferimento alle terre e rocce da scavo, Sez. 3, n. 16078 del 17/4/2015, Fortunato non ancora massimata; Sez. 3, n. 35138 del 18/6/2009, Bastone Rv. 244784; Sez. 3, n. 37280 del 12/6/2008, Picchioni, Rv. 241087; Sez. 3, n. 9794 del 29/11/2006 (dep. 2007), Montigiani, non massimata sul punto; in tema di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate rinvenute in battigia, D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 39, comma 11, Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014 dep. (2015), Aloisio, Rv. 262159).

Più recentemente (Sez. 3, n. 29084 del 14/5/2015, Favazzo, non ancora massimata) questa Corte ha affermato il principio, che qui va ribadito, secondo il quale i materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifiuti in quanto oggettivamente destinati all'abbandono, l'eventuale recupero è condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l'intenzione di disfarsi;

l'eventuale assoggettamento di detti materiali a disposizioni più favorevoli che derogano alla disciplina ordinaria implica la dimostrazione, da parte di chi lo invoca, della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge.

Nel caso di specie non risulta in alcun modo che la prova richiesta sia stata fornita dall'interessato e ciò basterebbe ad escludere la fondatezza dei motivi di ricorso.

4. Nondimeno, la stessa ricostruzione dei fatti in contestazione effettuata dal giudice del merito e dallo stesso ricorrente consentono di escludere comunque la possibilità di ricondurre i residui di demolizione per cui è processo nel novero dei sottoprodotti o di applicare agli stessi la speciale disciplina del deposito temporaneo.

Come si è accennato in precedenza, risulta, dalla sentenza impugnata e dal ricorso, che l'impresa del ricorrente aveva proceduto, in comune di Pare, alla demolizione di un manufatto e che aveva successivamente trasportato i residui della demolizione, meglio descritti nell'imputazione, per la realizzazione di un fondo stradale, definito provvisorio, per il transito di mezzi pesanti utilizzati per la realizzazione di fabbricati residenziali nel comune di Loveno.

Considerati, dunque, tali dati fattuali, deve certamente escludersi la natura di sottoprodotto dei residui da demolizione che viene ad essi attribuita nel primo motivo di ricorso.

5. Giova preliminarmente ricordare, a tale proposito, che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184, comma 3, lett. b), definisce come rifiuti speciali quelli derivanti dalle attività di demolizione e costruzione, nonchè i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando, attualmente (poichè, in precedenza, il riferimento riguardava l'ormai abrogato art. 186), quanto disposto dall'art. 184- bis in materia di sottoprodotti.

Il richiamo all'art. 184-bis, in questo caso, è esclusivamente riferito ai materiali provenienti dalle sole attività di scavo, come emerge dal tenore letterale della disposizione e dal richiamo, prima della modifica ad opera del D.Lgs. n. 205 del 2010, all'art. 186, che riguardava le terre e rocce da scavo.

La collocazione dei materiali derivanti da attività di demolizione nel novero dei sottoprodotti si porrebbe dunque in evidente contrasto con quanto stabilito dall'art. 184, che li qualifica espressamente come rifiuti. In ogni caso, tale collocazione imporrebbe comunque il rispetto di una serie di condizioni.

6. La categoria dei "sottoprodotti", come è noto, non era originariamente contemplata dalla disciplina di settore, lo è ora nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184-bis, introdotto dal D.Lgs. n. 205 del 2010 ed è definita dall'art. 183, lettera qq) del medesimo D.Lgs., il quale si riferisce a "qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa le condizioni di cui all'art. 184-bis, comma 1, o che rispetta i criteri stabiliti in base all'art. 184-bis, comma 2".

L'art. 184-bis, stabilisce che è sottoprodotto e non rifiuto ai sensi dell'art. 183, comma 1, lett. a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfi tutte le seguenti condizioni:

la sostanza o l'oggetto devono trarre origine da un processo di produzione, di cui costituiscono parte integrante, e il cui scopo primario non è la loro produzione;

deve essere certo che la sostanza o l'oggetto saranno utilizzati, nel corso dello stesso e/o di un successivo processo di produzione e/o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

l'ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana.

7. Nel caso sottoposto all'attenzione di questa Corte, considerata la natura dei materiali, appare evidente che difetterebbe, in ogni caso, la prima delle condizioni richieste, quella concernente l'origine del sottoprodotto, non potendosi ritenere che i materiali utilizzati provengano da un "processo di produzione" tale non essendo la demolizione di un edificio.

La dizione dell'art. 184, comma 1, lett. a) lascia chiaramente intendere che il sottoprodotto deve "trarre origine", quindi provenire direttamente, da un "processo di produzione", dunque da un'attività chiaramente finalizzata alla realizzazione di un qualcosa ottenuto attraverso la lavorazione o la trasformazione di altri materiali (sebbene una simile descrizione non possa ritenersi esaustiva, in considerazione delle molteplici possibilità offerte dalla tecnologia), tanto è vero che si è da più parti escluso, in dottrina, che il riferimento alla derivazione del sottoprodotto dall'attività produttiva comprenda le attività di consumo ed in alcuni casi, sebbene con riferimento alla disciplina previgente, si è giunti ad analoghe conclusioni per le attività di servizio, opinione però non condivisa in una pronuncia di questa Corte (Sez. 3, n. 41839 del 30/9/2008, Righi, Rv. 241423).

Dunque la demolizione di un edificio, che può avvenire per motivi diversi, non è finalizzata alla produzione di alcunchè, bensì all'eliminazione dell'edificio medesimo, nè può assumere rilevanza, come già ritenuto da questa Corte, il fatto che la demolizione sia finalizzata alla realizzazione di un nuovo edificio, che non può essere considerato il prodotto finale della demolizione, in quanto tale attività non costituisce il prodromo di una costruzione, che può essere effettuata anche indipendentemente da precedenti demolizioni (Sez. 3, n. 42342 del 9/7/2013 P.G. in proc. Massucco, Rv. 258329. V. anche Sez. 3, n. 3202 del 2/10/2014 (dep. 2015), Giaccari, Rv. 262128; Sez. 3, n. 17823 del 17/1/2012, Celano, Rv.

252617, ove si è esclusa la riconducibilità dei residui da demolizione alla categoria dei sottoprodotti, seppure senza prendere direttamente in considerazione la qualificazione dell'attività di demolizione come "processo produttivo").

8. Va conseguentemente affermato che l'attività di demolizione di un edificio non può essere definita un "processo di produzione" quale quello indicato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184-bis, comma 1, lett. a), con la conseguenza che i materiali che ne derivano vanno qualificati come rifiuti e non come sottoprodotti.

9. Riconosciuta la natura di rifiuto dei materiali indicati nell'imputazione, deve comunque escludersi che, nella fattispecie, possa ritenersi configurata un'ipotesi di deposito temporaneo come sostenuto nel secondo motivo di ricorso.

10. Deve a tale proposito ricordarsi che il deposito temporaneo è descritto nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. nn), come il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, a determinate condizioni dettagliatamente specificate:

il raggruppamento dei rifiuti deve avvenire nel luogo di produzione dei rifiuti medesimi;

il deposito temporaneo non può riguardare rifiuti prodotti da terzi, come si desume chiaramente dalla legge, ma solo rifiuti propri; i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004 e successive modificazioni devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;

sono previsti limiti quantitativi e temporali entro i quali i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento. Tali limiti consentono al produttore di scegliere, in alternativa, di contenere il quantitativo dei rifiuti entro un certo volume (30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi), superato il quale deve recuperarli o smaltirli, oppure di effettuare tali operazioni, indipendentemente dal quantitativo dei rifiuti, con cadenza trimestrale. In ogni caso, pur rispettando il dato quantitativo appena indicato, il deposito non può avere durata superiore ad un anno (per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate specifiche modalità di gestione del deposito temporaneo);

il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonchè, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;

devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura dei rifiuti pericolosi.

L'osservanza di tutte condizioni previste dalla legge per il deposito temporaneo solleva il produttore dagli obblighi previsti dal regime autorizzatorio delle attività di gestione tranne quelli di tenuta dei registri di carico e scarico e per il divieto di miscelazione previsto dall'art. 187.

11. Dalla mera disamina delle condizioni richieste dalla legge per il deposito preliminare appare di tutta evidenza che, nella fattispecie, tale speciale disciplina non avrebbe potuto trovare applicazione.

Il deposito temporaneo dei rifiuti, come chiaramente si desume dalla norma, è prodromico alla loro raccolta per l'avvio al recupero o allo smaltimento mentre, nella fattispecie, i rifiuti erano stati utilizzati come sottofondo stradale per il transito di mezzi pesanti.

Inoltre, come si è detto in precedenza, i rifiuti sono stati prodotti in un comune e collocati in un comune diverso, difettando così il requisito del raggruppamento nel luogo stesso di produzione, a nulla rilevando che l'area in cui i rifiuti sono stati collocati fosse comunque nella disponibilità dell'imputato non prevedendo la legge alcuna eccezione, fatto salvo quanto disposto dallo stesso art. 183, lett. nn) e dall'art. 193, comma 9-bis per gli imprenditori agricoli.

Infine, l'utilizzazione con le modalità descritte evidenzia anche il mancato rispetto delle norme tecniche ed il raggruppamento per categorie omogenee.

La sentenza impugnata risulta, pertanto, del tutto immune da censure.

12. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2015.