Cass. Sez. III n. 48596 del 17 novembre 2016 (Cc 20 ott 2016)
Pres. Di Nicola Est. Scarcella Ric. Colombo
Rifiuti.Abbandono incontrollato di liquami

In materia di rifiuti, integra il reato previsto dall'art. 256, comma secondo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, l'abbandono incontrollato di liquami, in quanto la diversa disciplina sugli scarichi trova applicazione solo se il collegamento fra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato, senza soluzione di continuità, mediante una condotta o altro sistema stabile di collettamento. Costituisce infatti "ruscellamento" vietato, ogni scorrimento dei liquami sul fondo in modo simile al deflusso di un ruscello o comunque in maniera da non consentire un normale assorbimento da parte del terreno, dando luogo a depositi, acquitrini o pozze di materiale putrescente, che non assolva alla funzione di rendere i campi prosperi o fecondi, ma adempia all'esclusivo scopo di getto o eliminazione dei reflui.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 23/03/2016, depositata in data 25/03/2016, il tribunale del riesame di POTENZA rigettava la richiesta di riesame presentata nell'interesse dell'indagata avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in data 1/03/2016 dal GIP presso il tribunale di Lagonegro; giova premettere per migliore intelligibilità dell'impugnazione, che il sequestro era stato disposto in quanto all'indagata è stato contestato il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a), poichè, n.q. di legale rappresentante della società cooperativa "Il Frantoio Felice" avrebbe effettuato uno smaltimento di rifiuti costituiti da prodotti di scarto della lavorazione delle olive su fondo agricolo di pertinenza del consorzio.

2. Ha proposto ricorso per cassazione la C., a mezzo di difensore fiduciario cassazionista, deducendo un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p., in particolare evocando il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), sotto il profilo dell'inosservanza o erronea applicazione degli artt. 321 c.p.p., e ss. e correlato vizio di motivazione in ordine al sequestro preventivo.

In sintesi la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto, sostiene la ricorrente, il tribunale del riesame avrebbe confermato il decreto di sequestro preventivo nonostante l'azienda di cui l'indagata è legale rappresentante fosse già stata in possesso all'epoca dell'accertamento di tutte le autorizzazioni richieste dalla legge per lo smaltimento delle acque di lavorazione del frantoio tramite spandimento sul terreno circostante e perchè la libera disponibilità del terreno sequestrato non avrebbe potuto aggravare o protrarre le conseguenze del reato di inquinamento ambientale o di agevolare la commissione dl altri.

2.1. La censura, investe, anzitutto, il fumus del reato per cui si procede, in quanto il tribunale avrebbe omesso di esaminare e valutare i documenti relativi all'autorizzazione "non contestata" dell'azienda cooperativa allo smaltimento dei rifiuti della lavorazione della molitura delle olive; secondo i giudici del riesame, l'attività, pur astrattamente autorizzata, sarebbe stata posta in essere in violazione delle prescrizioni imposte; sarebbe evidente, a giudizio della ricorrente, la carenza assoluta di motivazione non avendo chiarito i giudici se l'autorizzazione di cui era in possesso l'azienda fosse priva dei requisiti nè avendo precisato quali prescrizioni autorizzative fossero state violate, non risultando in atti alcun contrasto tra il fatto e le modalità esecutive dello smaltimento per spandimento; il procedimento penale e il relativo provvedimento cautelare era relativo ad un presunto trasporto e raccolta in assenza di autorizzazione di 5 mc. di lavorazione del predetto frantoio oleario - per lo più, si afferma, fogliame e acque di vegetazione - in un fondo agricolo sito in loc. Santa Lucia sui terreni degli descritti nell'imputazione cautelare, in particolare scaricando detto materiale in due fossati; detto addebito viene contestato dall'indagata richiamando il possesso dell'autorizzazione rilasciata dal Comune di Vibonati n. (OMISSIS), autorizzazione che risulterebbe essere stata esaminata dalla p.g. operante, donde tutto sarebbe avvenuto secondo le prescrizioni dell'autorizzazione, che consente lo smaltimento nei terreni autorizzati e che non risulterebbe essere stata violata in alcuna parte; l'omessa valutazione di tale atto autorizzativo avrebbe provocato quindi l'apposizione del vincolo cautelare che, diversamente, non avrebbe potuto essere apposto in presenza dell'autorizzazione, peraltro provocando un ingiusto danno all'attività dell'impresa privata nel periodo della lavorazione delle olive; non sarebbe pertanto configurabile il fumus del reato ipotizzato.

2.2. L'ulteriore profilo di censura investe anche il periculum in mora, avendolo il tribunale del riesame individuato nel danno che lo sversamento di rifiuti della lavorazione industriale aveva prodotto all'ambiente, e che poteva continuare a produrre aggravando le conseguenze del reato; diversamente, sostiene la ricorrente, la prova dell'inesistenza di qualsiasi danno prodotto all'ambiente ed ipoteticamente producibile derivava proprio dal verbale della p.g. operante, la quale aveva escluso che si fosse verificato un danno o un pericolo attuale e concreto per le risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette.

2.3. Infine, si sostiene che il ragionamento dei giudici del riesame sarebbe illogico e contraddittorio laddove, da un lato, il tribunale ha ritenuto legittimo il vincolo apposto dal GIP per evitare la prosecuzione di un danno del tutto inesistente ed impossibile, senza tener conto, dall'altro, che i rifiuti di cui si discute (ossia, si afferma, il fogliame) sono rappresentati da materiale prodotto dagli stessi alberi di olivo, che non potrebbero mai essere fonte di inquinamento senza necessità di alcuna autorizzazione per la loro raccolta in terreni agricoli.

3. Con requisitoria scritta depositata preso la cancelleria di questa Corte in data 8/07/2016, il P.G. presso la S.C. di Cassazione ha chiesto rigettarsi il ricorso; in particolare, deduce il P.G., il ricorso sarebbe stato proposto fuori dai casi consentiti dall'art. 325 c.p.p., che ammette l'impugnazione di legittimità dei provvedimenti in materia cautelare reale solo per violazione di legge e non per vizi motivazionali; più specificamente, osserva il P.G., la mancata considerazione da parte del tribunale del riesame degli elementi forniti dalla difesa può rilevare nel senso di determinare l'annullamento del provvedimenti emesso dal tribunale del riesame solo in quanto si concretizzi in una violazione della legge processuale, ma non nel caso in cui la motivazione sia autosufficiente ai fini del fumus delicti, non potendosi trasformare tale valutazione in un'anticipata decisione sul merito da rimettere alla piena fase del giudizio cognitivo; nemmeno potrebbe sostenersi, afferma il P.G., che il provvedimento sia affetto del vizio di motivazione apparente in quanto non risponderebbe alle considerazioni proposte dalla difesa, poichè in ragione della natura del procedimento, a parte la non decisivi degli argomenti esposti al fine di ritenere non configurabile il fumus, detta pretesa trasformerebbe il giudizio cautelare in un giudizio sul fondamento del merito dell'accusa; ed invero, si puntualizza nella requisitoria, il giudice del riesame è onerato del controllo sulla valutazione degli elementi forniti dalla difesa entro i limiti nei quali tale requisito della motivazione sia richiesto all'A.G. che adotta il provvedimento; nella specie, conclusivamente, il provvedimento genetico era rappresentativo sia del fumus che del periculum, giacchè al di là di di considerazioni di merito opinabili, dava conto degli indizi raccolti nell'atto del sopralluogo e del sequestro del frantoio oleario.


CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.

5. Ed invero, dalla lettura dell'impugnato provvedimento emerge all'evidenza la manifesta infondatezza e la genericità delle censure difensive. I giudici del riesame, nel replicare puntualmente, anche se con motivazione sintetica imposta dalla stessa natura del giudizio impugnatori cautelare, alle singole doglianze difensive, hanno già fornito adeguata risposta alle doglianze difensive di cui al ricorso di legittimità che, in sostanza, replica senza apprezzabili elementi di novità e in maniera puramente contestativa le risultanze della valutazione operata dai giudici del riesame. Si legge, infatti, nell'impugnata ordinanza, che - con riferimento alla questione della rilevanza dell'autorizzazione di cui è in possesso l'azienda amministrata dall'indagata - la stessa è stata considerata non rilevante ai fini di escludere il fumus del reato oggetto di contestazione, avendo precisato i giudici del riesame che la p.g. operante aveva dato atto nel verbale di sequestro che l'utilizzazione del terreno era avvenuta causando sullo stesso un carico idraulico eccessivo tale da non consentire l'assorbimento di acqua con conseguente ruscellamento delle acque di vegetazione nei terreni sottostanti, apparendo dunque che l'attività - secondo i giudici del riesame - fosse stata posta in essere in violazione delle prescrizioni imposte con conseguente danno per l'ambiente; alla luce di quanto sopra, con riferimento al fumus, i giudici del riesame ne ritengono dimostrata la sussistenza, richiamando poi la possibilità per il PM di precisare successivamente i contorni del capo di imputazione.

Analogamente, quanto al periculum, i giudici del riesame precisano che l'area era stata sottoposta a sequestro al fine di impedirne l'utilizzo ulteriore, atto, alla luce delle predette considerazioni, ad aggravare le conseguenze del reato.

6. Orbene, al cospetto di tale apparato argomentativo, le censure della ricorrente appaiono, come detto, generiche e manifestamente infondate.

Generiche, in quanto non si confrontano con le argomentazioni esposte dai giudici del riesame che, lungi dall'omettere qualsiasi valutazione - come denunciato in ricorso - dell'autorizzazione di cui è in possesso l'azienda amministrata dall'indagata, hanno invece ritenuto che la stessa non escludesse l'obbligo da parte della azienda medesima di rispettarne il contenuto, atteso il carico idraulico eccessivo che era tale da non consentire l'assorbimento delle acque di vegetazione del frantoio oleario con il correlato fenomeno del ruscellamento, così ipotizzando il reato di deposito incontrollato, come chiaramente viene detto dall'ordinanza nel passaggio della motivazione in cui confuta la doglianza difensiva circa la presunta depenalizzazione del reato che sarebbe stata operata dalla L. n. 68 del 2015. Sul punto, quindi, i giudici del riesame forniscono una argomentata risposta alle doglianze difensive che, pertanto, non si confrontano criticamente con quanto oggetto di affermazione da parte dei giudici del riesame, se non prospettando un pretesto vizio di carenza assoluta di motivazione, in realtà insussistente. Da qui, dunque, il giudizio di genericità del ricorso per aspeci-ficità, atteso che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 25384901).

Il ricorso si presenta, poi, manifestamente infondato.

Ed invero, è stato più volte affermato da questa Corte che in materia di rifiuti, integra il reato previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 2, l'abbandono incontrollato di liquami, in quanto la diversa disciplina sugli scarichi trova applicazione solo se il collegamento fra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato, senza soluzione di continuità, mediante una condotta o altro sistema stabile di collettamento (Sez. 3, n. 16623 del 08/04/2015 - dep. 21/04/2015, P.M. in proc. D'Aniello, Rv. 26335401). Costituisce infatti "ruscellamento" vietato, ogni scorrimento dei liquami sul fondo in modo simile al deflusso di un ruscello o comunque in maniera da non consentire un normale assorbimento da parte del terreno, dando luogo a depositi, acquitrini o pozze di materiale putrescente, che non assolva alla funzione di rendere i campi prosperi o fecondi, ma adempia all'esclusivo scopo di getto o eliminazione dei reflui (Sez. 3, n. 6546 del 22/04/1992 - dep. 29/05/1992, Sambo, Rv. 19049601). Ciò che, secondo la predetta descrizione, si è verificato nel caso di specie.

Nè del resto, può ravvisarsi alcune illegittimità nell'aver i giudici del riesame attribuito una diversa qualificazione giuridica al fatto oggetto dell'imputazione cautelare, qualificandolo come deposito incontrollato di rifiuti. E' infatti pacifico che al giudice per le indagini preliminari, in sede di applicazione della misura cautelare ai sensi dell'art. 292 c.p.p. e al tribunale in sede di riesame o di appello ai sensi degli artt. 309 e 310 c.p.p. è consentito modificare la qualificazione giuridica data dal pubblico ministero al fatto per cui si procede, giacchè, in forza del principio di legalità, è sempre consentito al giudice attribuire la corretta qualificazione giuridica al fatto descritto nell'imputazione, senza che ciò incida sull'autonomo potere di iniziativa del P.M. e fermo restando che l'eventuale correzione del "nomen juris" non può avere effetto oltre il procedimento incidentale (v., tra le tante: Sez. 1, n. 4864 del 14/07/1997 - dep. 06/11/1997, P.G.in proc.Cavaliere, Rv. 20872401).

7. Analogamente deve ritenersi con riferimento alla sussistenza del periculum.

Ed invero, i giudici del riesame, dopo aver evidenziato che l'accertamento svolto dalla p.g. aveva consentito di appurare che l'utilizzazione del terreno era avvenuta causando sullo stesso un carico idraulico eccessivo tale da non consentire l'assorbimento di acqua con conseguente ruscellamento delle acque di vegetazione nei terreni sottostanti, ha tratto la conseguenza della sussistenza del peri-culum in mora, osservando che l'area era stata sottoposta a sequestro al fine di impedirne l'utilizzo ulteriore, atto, alla luce delle predette considerazioni, ad aggravare le conseguenze del reato.

Trattasi di motivazione che risponde ai requisiti richiesti dalla norma processuale di cui all'art. 321 c.p.p., atteso che, per costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di sequestro preventivo, il pericolo va inteso in senso oggettivo come probabilità di danno futuro in conseguenza dell'effettiva disponibilità materiale o giuridica della cosa che può derivare non solo dalla potenzialità della "res" oggetto del provvedimento cautelare di recare una lesione all'interesse protetto dalla norma penale, ma anche dalla semplice possibilità di contribuire al perfezionamento del reato: spetta al giudice di merito la valutazione della sussistenza di tale pericolo, con motivazione che se immune da vizi non è censurabile in cassazione (Sez. 4, n. 31409 del 23/06/2005 - dep. 19/08/2005, Bonura, Rv. 23175001). Nella specie, i giudici del riesame hanno valutato la sussistenza di tale pericolo proprio alla luce della semplice possibilità che la disponibilità della res in capo all'azienda di cui è legale rappresentante l'indagata potesse determinare un aggravamento delle conseguenze del reato di deposito incontrollato di rifiuti allo stato liquido, atteso che l'utilizzazione del terreno era avvenuta causando sullo stesso un carico idraulico eccessivo tale da non consentire l'assorbimento di acqua con conseguente ruscellamento delle acque di vegetazione nei terreni sottostanti. Il protrarsi di tale illecita condotta di deposito incontrollato, dunque, ove non impedita dal vincolo cautelare avrebbe sicuramente determinato il protrarsi del ruscellamento vietato, con conseguente aggravamento del reato ipotizzato, potendo infatti detta protrazione potenzialmente causare danni all'ambiente.

8. Con riferimento, infine, all'asserito vizio di contraddittorietà o illogicità della motivazione (v. supra, p. 2.3.), il motivo si articola attraverso deduzioni di tipo puramente fattuale che comporterebbero lo svolgimento di apprezzamenti di merito, che esulano dall'ambito cognitivo di questa Corte di legittimità. In ogni caso, si osserva, trattasi anche di censure che propongono vizi non consentiti dalla legge processuale che, per espressa previsione dell'art. 325 c.p.p., consente il ricorso per cassazione in materia cautelare reale solo per violazione di legge e non per vizi motivazionali. Sul punto è sufficiente in questa sede ricordare che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Conf. S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 - dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 23969201). Ciò comporta, secondo le Sezioni Unite di questa Corte, che in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell'art. 606 c.p.p. (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 - dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 22671001).

9. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.


P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2016.