TAR Emilia Romagna (PR), Sez. I, n. 342, del 20 novembre 2013
Elettrosmog.Legittimità provvedimento di delocalizzazione dell’impianto GSM-UMTS installato sulla copertura di stabilimento termale

Il Piano di Coordinamento per il rilascio di concessione d’impianti s.r.b. emittenti campi elettromagnetici, adottato previo confronto ed acquisizione delle indicazioni fornite dagli enti gestori per le esigenze di copertura dei medesimi, prevede la delocalizzazione degli impianti installati su aree destinate ad attrezzature sanitarie. L’articolo 36, comma 2, della L. n. 833/1978 comporta la riconducibilità dello stabilimento termale alla tipologia delle strutture sanitarie e la conseguente operatività dei divieti e delle tutele introdotte dal suddetto Piano di Coordinamento. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00342/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00237/2005 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 237 del 2005, proposto da: 
Vodafone Omnitel N.V., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Riccardo Troiano, Alberto Fantini e Valeria Mascello, con domicilio eletto presso l’Avv. Monica Callai, in Parma, via Farini n. 5;

contro

Comune di Salsomaggiore Terme, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Annalisa Molinari presso il quale elegge domicilio, in Parma, via Mistrali n. 4; 
Regione Emilia Romagna;

per l'annullamento

- del provvedimento di delocalizzazione dell’impianto GSM-UMTS in Parco Mazzini adottato dal Comune di Salsomaggiore Terme con nota 12/04/05 prot.11309/IV-3;

- della nota 17/03/05 prot.n.AMB/05/22943 della Regione Emilia Romagna;

- della nota 01/03/01 prot.n.5245;

- della nota 15/07/04 prot.n.22038;



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Salsomaggiore Terme;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2013 il dott. Marco Poppi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

La Società ricorrente, titolare di un impianto di telefonia mobile installato sulla copertura dello stabilimento termale “Terme Zoja” in parco Mazzini (e non come erroneamente indicato in ricorso sulla copertura di una struttura alberghiera), con istanza protocollata in data 19 gennaio 2001 chiedeva al Comune di Salsomaggiore l’autorizzazione all’esecuzione di lavori di manutenzione della stazione radio.

L’Amministrazione, con provvedimento n. 5245 del 1° marzo 2001, impugnata solo con il presente ricorso, pur riconoscendo che i lavori in questione non necessitavano di autorizzazione edilizia, rappresentava alla ricorrente “che l’impianto dovrà essere delocalizzato entro la data del 18/05/01 ai sensi della Legge Regionale n. 30 del 31/010/2000”.

Con delibera di Giunta n. 253 del 23 ottobre 2001, mai impugnata, l’Amministrazione comunale adottava lo schema di un “piano di coordinamento per il rilascio di concessione di impianti emittenti campi elettromagnetici” procedendo, all’individuazione delle zone all’interno delle quali delocalizzare gli impianti esistenti o di nuova installazione.

Con delibera consiliare n. 6 del 6 febbraio 2002, anch’essa mai impugnata, il citato piano veniva approvato con modifiche sulla base delle indicazioni fornite dagli enti gestori e delle esigenze di copertura dei medesimi.

Con determinazione dirigenziale n. 180 del 1° marzo 2002, l’Amministrazione, “visto che, a seguito di confronto con gli enti gestori di telefonia mobile, è necessario rimodulare i posizionamenti di alcune Stazioni Radio Base e, pertanto, riverificare, sotto il profilo sanitario, le nuove posizioni”, affidava ad un professionista esterno gli incombenti di carattere tecnico del caso e, con successiva delibera consiliare n. 59 del 30 maggio 2002, mai impugnata, approvava il progetto preliminare per la realizzazione di Stazioni Radio Base per telefonia mobile ex art. 1 della L. n. 1/1978.

Con delibera consiliare n. 285 del 10 dicembre 2002, mai impugnata, sulla base del “progetto esecutivo redatto dal responsabile del Servizio ambiente – geom. Giulio Ticchi – dell’Ufficio Tecnico Comunale, con la collaborazione degli enti gestori per quanto riguarda la parte specialistica …” e visti “gli atti di accordo per uso aree e strutture dei siti firmati dagli enti gestori con cui gli stessi si impegnano ad utilizzare le aree tecnicamente attrezzate dall’amministrazione comunale …” il Comune procedeva alla “approvazione accordo per uso aree e strutture con gli enti gestori di telefonia mobile e procedura di affidamento per la realizzazione dei lavori”.

Fra detti atti di accordo rientrava quello sottoscritto dalla ricorrente in data 13 settembre 2002 con il quale dichiarava il proprio interesse ad installare le antenne nell’area n. 3, sito di Tabiano.

Relativamente a detta installazione, la ricorrente, con atto n. 4226/MP/NI del 18 marzo 2003 “a fronte dell’impegno” già assunto “a realizzare a propria cura e spese le opere di urbanizzazione primaria dei siti multi gestori per telefonia mobile approvati con atto della Giunta Comunale n. 285 del 10/12/2002”, dichiarava “la propria disponibilità a versare anticipatamente le annualità del canone di locazione stabilite nell’accordo sottoscritto ed approvato dall’Amministrazione”.

Nonostante le illustrate intese, la ricorrente, con DIA depositata il 5 luglio 2004, relativamente al medesimo impianto, chiedeva l’autorizzazione all’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria.

L’Amministrazione, con atto n. 22038 del 15 luglio 2004, impugnato solo con il presente ricorso, pur rappresentando che aveva provveduto a richiedere i pareri di ARPA e AUSL, comunicava alla ricorrente che “ai sensi della L.R. 30/2000 l’impianto in questione dovrà essere delocalizzato, come già comunicato in data 01/03/2001 prot. 5245, non appena saranno pronti i siti per la telefonia mobile che l’amministrazione comunale sta allestendo”.

Con nota n. 277521 del 14 settembre 2004, mai impugnata, l’Amministrazione comunale comunicava alla ricorrente che l’AUSL si era espressa negativamente in quanto l’impianto “è installato in un’area destinata ad attrezzatura sanitaria” ordinando contestualmente “di non effettuare le previste trasformazioni, in quanto in contrasto con le normative vigenti”.

In data 25 ottobre, la Conferenza dei servizi indetta su richiesta della ricorrente si esprimeva favorevolmente all’esecuzione dei lavori.

L’Amministrazione comunale, con nota del 3 febbraio 2005, richiedeva alla Regione Emilia Romagna di pronunciarsi circa la classificazione quale struttura sanitaria o meno della stazione termale “L. Zoia” e con atto del 10 febbraio 2005, mai impugnato, comunicava alla ricorrente che il parere espresso dalla conferenza dei servizi costituiva nulla osta all’esecuzione dell’intervento unicamente “nelle more di una eventuale contrastante risposta”.

In data 17 marzo 2005 interveniva il parere regionale, impugnato nel presente giudizio, con il quale si precisava che “all’interno degli stabilimenti termali vengono svolte attività di natura sanitaria, in locali che devono essere autorizzati ai sensi della L.R. n. 34/1998” e che, pertanto, “ai sensi dell’art. 10 della L.R. 30/2000 la delocalizzazione degli impianti che non rispettano le disposizioni dell’art. 9 doveva essere effettuata entro i sei mesi successivi dall’entrata in vigore della legge medesima”.

Con provvedimento del 12 aprile 2005, impugnato nel presente giudizio, l’Amministrazione comunale disponeva la definitiva delocalizzazione dell’impianto nel termine di 6 mesi.

La ricorrente impugnava la serie provvedimentale in epigrafe specificata deducendo una pluralità di profili di illegittimità.

L’Amministrazione comunale si costituiva in giudizio eccependo in via pregiudiziale l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse atteso che la delocalizzazione dell’impianto era stata determinata all’esito di un articolato procedimento che aveva visto la partecipazione della ricorrente e che si era sviluppato in una serie di atti adottati dal 2001 al 2005 alcuni dei quali mai impugnati ed altri, impugnati tardivamente unicamente con l’odierno ricorso: provvedimenti nei confronti dei quali, peraltro, la medesima aveva prestato acquiescenza attivandosi collaborativamente per l’individuazione di soluzioni alternative.

Nel merito, confutava le avverse doglianze chiedendo la reiezione del ricorso.

Nella camera di consiglio del 26 luglio 2005 veniva respinta l’istanza di sospensione “considerato che la necessità di un’autorizzazione sanitaria ex l.r. n. 34/98 implica la riconducibilità della struttura alla categoria delle strutture sanitarie, onde se ne desume correttamente l’operatività del divieto di localizzazione degli impianti fissi di telefonia mobile, ai sensi dell’art. 9 della legge reg. n. 30/2000” e ritenuto che “il termine di sei mesi di cui all’art. 10, comma 1, della legge reg. n. 30/2000 si riferisce anche alla delocalizzazione degli impianti”.

All’esito della pubblica udienza del 9 ottobre 2013, la causa veniva trattenuta in decisione.

Preliminarmente si procede all’esame delle questioni pregiudiziali introdotte dalla resistente Amministrazione circa la tempestività e ammissibilità dell’impugnazione proposta relativamente alle determinazioni intervenute negli anni 2001 e 2004.

La ricorrente replica all’eccezione in questione sostenendo che l’interesse all’impugnazione di detti atti sarebbe sorto solo a seguito del provvedimento impugnato da ultimo intervenuto e in questa sede impugnato (12 aprile 2005) atteso che la contestata delocalizzazione era stata, in precedenza, prospettata solo come evento futuro.

L’eccezione è fondata.

Sul punto deve ritenersi priva di pregio l’affermata assenza di lesività dei provvedimenti in questione atteso che con essi, come ampiamente illustrato, è stata comunicata alla ricorrente la necessità di procedere a delocalizzazione dell’impianto in esecuzione di precisi obblighi di legge così determinando una immediata e concreta lesione dell’interesse della medesima al mantenimento dell’impianto nel sito originariamente autorizzato.

Il collegio, pertanto, rileva la tardività dell’impugnazione relativa alle note comunali n. 5245 del 1° marzo 2001 e n. 22038 del 15 luglio 2004 poiché intervenuta oltre lo scadere del termine decadenziale di 60 giorni di cui all’art. 29 c.p.a..

Quanto al merito, in disparte ogni considerazione circa la permeanza in capo alla ricorrente di un interesse all’impugnazione dei soli atti sopravvenuti, il ricorso è infondato.

Con il primo motivo la ricorrente premessa la preesistenza dell’impianto alla L.R. n. 30/2000, (che all’art. 9 introduce il profilo di incompatibilità assunto dall’Amministrazione a presupposto delle censurate determinazioni) afferma che la circostanza priverebbe il Comune del potere di disporre la delocalizzazione dell’impianto.

La necessità di garantire la prosecuzione dell’erogazione del servizio senza pregiudizio alla copertura di rete, infatti, imporrebbe una definizione delle modalità e della tempistica di adeguamento alla normativa sopravvenuta tale da garantire piena tutela degli interessi dei gestori con la conseguenza che non potrebbe essere il Comune a disporre la delocalizzazione dell’impianto ma spetterebbe al gestore proporla nell’ambito del programma annuale 2006.

L’art. 10 della L.R. n. 30/2000, laddove prevede che “gli impianti esistenti di telefonia mobile che non rispettano le disposizioni di cui agli articoli 8 e 9 o sono ricondotti a conformità ovvero sono delocalizzati. Tale adeguamento deve essere effettuato entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge”, a parere della ricorrente, detterebbe un termine da intendersi riferito all’obbligo di adeguamento dei limiti di esposizione e non anche alla delocalizzazione che verrà richiesta dal gestore e autorizzata dal Comune nell’ambito delle ordinarie procedure autorizzatorie da attivarsi con la presentazione del Programma annuale.

A fronte di alcuna iniziativa da parte della ricorrente, che riteneva di essere estranea alle previsioni di cui all’art. 9 della L.R. n. 30, all’Amministrazione non sarebbe residuato altro potere che quello di attivare un procedimento di autotutela avente ad oggetto l’originaria autorizzazione.

La tesi della ricorrente non può essere condivisa in quanto contrastante con il dato normativo.

L’art. 9, comma 1, della L.R. n. 30/2000, prevede che “le localizzazioni di nuovi impianti per la telefonia mobile sono vietate nelle aree destinate ad attrezzature sanitarie, assistenziali e scolastiche, nelle zone di parco classificate A e nelle riserve naturali ai sensi della legge regionale 17 febbraio 2005, n. 6 (Disciplina della formazione e della gestione del sistema regionale delle aree naturali protette e dei siti della Rete natura 2000)”.

Il successivo art. 10, come già evidenziato, prevede che “gli impianti esistenti di telefonia mobile che non rispettano le disposizioni di cui agli articoli 8 e 9 o sono ricondotti a conformità ovvero sono delocalizzati. Tale adeguamento deve essere effettuato entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge”.

Si tratta di un obbligo specifico la cui attuazione non può essere demandata all’iniziativa del gestore ma deve rimessa alla responsabilità dell’Amministrazione come reso evidente dal testo dell’art. 8 della L.R. n. 30/2000.

Ai sensi della citata norma, infatti, “gli impianti fissi di telefonia mobile devono essere autorizzati” (comma 1) e le relative “autorizzazioni sono rilasciate dal Comune, di norma, a seguito della presentazione da parte dei gestori di rete per telefonia mobile del Programma annuale” (comma 2).

L’indiscussa titolarità del potere in questione in capo all’Amministrazione comunale non è condizionata, come si sostiene in ricorso, dalla preventiva presentazione del Programma annuale da parte del gestore in quanto detta presentazione, come precisato dal richiamato comma 2 dell’art. 8, non rappresenta affatto un atto di impulso indispensabile come reso palese dell’utilizzo della locuzione “di norma”.

Ad ulteriore conferma della competenza comunale a provvedere in assenza di atti di impulso del gestore depongono inoltre gli artt. 5 e 6 in materia di pianificazione e funzioni comunali, l’art. 16 in tema di vigilanza e l’art. 17 in materia di poteri sanzionatori, della L.R. n. 30/2000.

Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente, premesso che il Piano di coordinamento GSM del 2001 è inidoneo ad assicurare la copertura della rete UMTS, lamenta che l’Amministrazione non avrebbe adeguatamente valutato le esigenze della nuova rete ed il minor impatto elettromagnetico delle nuove tecnologie e non avrebbe ottemperato al principio dell’accordo circa la localizzazione delle SRB di cui all’art. 86, comma 2, del D. Lgs. n. 259/2003 individuando siti inidonei.

Il motivo è infondato.

Il dedotto mancato coinvolgimento dei gestori è smentito dalla già illustrata sequenza provvedimentale che testimonia una attiva partecipazione della ricorrente nell’individuazione delle aree alternative.

Il piano di coordinamento adottato con delibera di Giunta n. 253/2001, è stato approvato con delibera consiliare n. 6/2002 previo confronto con gli enti gestori ed acquisizione delle loro posizioni nel corso di più incontri di cui è dato atto nella delibera consiliare n. 59/2002.

Sulla base delle soluzioni concordate la ricorrente ha sottoscritto con l’Amministrazione, unitamente ad altri gestori, apposita convenzione (13 settembre 2002) per la delocalizzazione dell’impianto in località Tabiano.

Di detto impegno ad utilizzare le aree tecnicamente attrezzate dall’Amministrazione comunale è dato ulteriormente atto nella delibera consiliare n. 285 del 10 dicembre 2002 e risulta confermato in documenti provenienti dalla stessa ricorrente che con atto n. 4226/MP/NI del 18 marzo 2003 “a fronte dell’impegno” dalla medesima assunto “a realizzare a propria cura e spese le opere di urbanizzazione primaria dei siti multi gestori per telefonia mobile approvati con atto della Giunta Comunale n. 285 del 10/12/2002” dichiarava “la propria disponibilità a versare anticipatamente le annualità del canone di locazione stabilite nell’accordo sottoscritto ed approvato dall’Amministrazione”.

Quanto alla affermata inidoneità dei siti, peraltro mai rappresentata dalla ricorrente all’Amministrazione nel corso della compiuta e prolungata istruttoria, deve considerarsi circostanza affermata anapoditticamente senza alcun elemento probatorio o sostegno.

Si evidenzia, tuttavia, che si tratta di ben otto siti differenti dei quali 4 sono oggi utilizzati.

Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente contesta la qualificazione dello stabilimento termale quale area destinata a struttura sanitaria nei sensi di cui all’art. 9, comma 1 della L.R. n. 30/2000.

In particolare sostiene che l’art. 36, comma 2, della L. n. 833/1978, prevedendo che “la legge regionale promuove la integrazione e la qualificazione sanitaria degli stabilimenti termali pubblici, in particolare nel settore della riabilitazione, e favorisce altresì la valorizzazione sotto il profilo sanitario delle altre aziende termali” avrebbe introdotto un principio in base al quale la qualificazione sanitaria degli stabilimenti termali potrebbe essere operata solo dalle Regioni e per i soli stabilenti termali pubblici.

Nessuna qualificazione nel senso sarebbe stata operata e l’impianto in questione, di pertinenza dell’azienda termale Società Terme di Salsomaggiore Terme S.p.A. non sarebbe in ogni caso uno stabilimento pubblico contemplato dalla norma richiamata.

Il motivo è infondato.

Premessa l’incoerenza al dato normativo della posizione espressa dalla ricorrente, la necessità, ai fini dell’esercizio, dell’autorizzazione ex L.,R. n. 34/1998, come correttamente ed inequivocabilmente già affermato in sede cautelare, comporta la riconducibilità dello stabilimento termale alla tipologia delle strutture sanitarie e la conseguente operatività delle tutele introdotte dall’art. 9 della L.n. 34/2000.

Per quanto precede il ricorso deve essere in parte dichiarato irricevibile e in parte respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara irricevibile ed in parte lo respinge nei sensi di cui in motivazione.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in € 5.000,00 oltre spese generali, IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Angela Radesi, Presidente

Laura Marzano, Primo Referendario

Marco Poppi, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 20/11/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)