TAR Lombardia (MI), Sez. II, n. 880, del 3 aprile 2014
Elettrosmog.Legittimità non accoglimento SCIA per adeguamento tecnologico di un impianto UMTS collocato su un'infrastruttura di telecomunicazioni preesistente

E’ corretto l’operato del Comune, il quale, rilevando che, per effetto dell’intervento oggetto di SCIA, la potenza di emissione dell’impianto avrebbe subito un significativo incremento, ha dato applicazione all’articolo 7, comma 9, della legge regionale 11 maggio 2001, n. 11, in base al quale nel caso che, a causa delle modifiche da apportarsi, sia prevedibile un significativo aumento delle esposizioni o qualora si preveda l'aumento della potenza di emissione dell'impianto, rispetto a quanto previsto nel provvedimento di autorizzazione, l'impianto deve essere assoggettato ad un nuovo procedimento autorizzativo. Non rileva che l’articolo 87-bis del D.lgs 259/2003 ha introdotto una semplificazione procedimentale, stabilendo che, per gli interventi su infrastrutture di comunicazioni esistenti, non sia necessaria la procedura autorizzatoria di cui all’articolo 87 del citato decreto legislativo, potendo la stessa essere surrogata da una semplice segnalazione da parte del soggetto interessato. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

N. 00880/2014 REG.PROV.COLL.

N. 01288/2013 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1288 del 2013, proposto da: 
Vodafone Omnitel N.V., rappresentata e difesa dall'avv. Laura Ghezzo, con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Milano, via Comelico n. 7;

contro

Comune di Magenta, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Bertacco, con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Milano, via Visconti di Modrone n. 12;

per l'annullamento

della nota comunale del 13.03.2013, con cui il Dirigente del Settore Territorio – Ufficio Sportello Unico per l'Edilizia ha comunicato di non accogliere la Segnalazione certificata di inizio attività presentata dalla società ricorrente in data 19 dicembre 2012, prot. 38999, per l'adeguamento tecnologico di un impianto con tecnologia UMTS collocato su un'infrastruttura di telecomunicazioni preesistente, sita in Magenta, via Brenno Cavallari 19, ai sensi degli artt. 86, 87, 87-bis e 88 del d.lvo. n. 259 del 2003;

- del Regolamento comunale per l'installazione di impianti per telecomunicazione e radiotelevisione, approvato con delibera di C.C. n. 29 del 29 giugno 2006, e relativo Piano delle Aree, in quanto richiamati nel diniego impugnato;

- del preavviso di diniego del 16 gennaio 2013, anch'esso richiamato nel diniego;

- di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, consequenziale e/o comunque connesso, con espressa riserva di proporre motivi aggiunti.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Magenta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 marzo 2014 la dott.ssa Floriana Venera Di Mauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

1. Vodafone Omnitel N.V. impugna innanzi a questo Tribunale la nota in data 13 marzo 2013 con la quale il Dirigente del Settore territorio – Servizio territorio e servizi alla Città – Ufficio Sportello unico per l’edilizia del Comune di Magenta, “nega (...) l’accoglimento dell’istanza in data 19/12/2012 Prot. 38999 per lavori di modifica delle caratteristiche trasmissive della stazione radiobase in Via Cavallari 19”. Impugna altresì la ricorrente, in quanto richiamati nel suddetto provvedimento, il Regolamento comunale per l’installazione di impianti per telecomunicazioni e radiotelevisione, approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 29 del 29 giugno 2006 e il relativo Piano delle aree, nonché il preavviso di diniego del 16 gennaio 2013.

2. La ricorrente ha presentato segnalazione certificata di inizio di attività, assunta al protocollo del Comune di Magenta n. 38999 del 19 dicembre 2012, per la modifica di un impianto con tecnologia UMTS su infrastruttura di telecomunicazioni preesistente, ai sensi degli articoli 86, 87, 87-bis e 88 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 e successive modificazioni.

3. La segnalazione è stata seguita dalla nota comunale del 16 gennaio 2013, comunicata alla Società il 17 gennaio mediante posta elettronica certificata, con la quale, ai sensi dell’articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990, “nelle more del parere di competenza di ARPA in merito al rispetto dei limiti previsti dalla vigente normativa ai sensi della L.R. 11/2001”, si preannunciava l’adozione di un provvedimento negativo, in quanto:

- le modifiche all’impianto avrebbero determinato un “aumento di potenza totale sul sito di 328.85 W per un totale di 626.96 W, non conforme ai limiti previsti per l’area dal Piano, essendo classificata come area in cui è consentita l’installazione di impianti di comunicazione e radiotelevisione ad eccezione di quelli con potenza totale ai connettori di antenna superiore a 300 W”;

- non risultava essere stata presentata la documentazione di cui comma 2 dell’articolo 7 della Legge regionale n. 11 del 2001 e, in particolare, quanto richiesto dalle lettere g) e h), poiché, ai sensi del comma 9 del medesimo articolo 7, qualora sia previsto l’aumento di potenza di emissione di un impianto, rispetto a quanto previsto nel provvedimento di autorizzazione, l’impianto deve essere assoggettato ad un nuovo procedimento autorizzativo.

In conseguenza dei motivi ostativi evidenziati, la nota comunale recava l’invito alla Società a presentare le proprie osservazioni entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, con espresso avviso che il termine per l’efficacia della SCIA dovesse intendersi a tutti gli effetti interrotto e che lo stesso avrebbe ripreso a decorrere “dalla data di presentazione della suddetta documentazione, o in mancanza di essa, dalla scadenza del sopraindicato termine di gg 30”.

4. A seguito del preavviso di provvedimento negativo, la Società ha trasmesso in data 12 febbraio 2013, mediante posta elettronica certificata, le proprie osservazioni, assunte al protocollo del Comune n. 6103 del 13 febbraio 2013, con le quali contestava sia la necessità di produrre ulteriore documentazione a supporto della segnalazione certificata di inizio attività, sia la legittimità della nota comunale e del richiamato “Piano delle aree”, nella parte relativa all’imposizione del limite di potenza di 300 W per le infrastrutture di telecomunicazione collocate nell’area ove sorge l’impianto oggetto dell’intervento.

5. Il Comune ha quindi adottato il provvedimento impugnato, in considerazione del mancato superamento delle ragioni ostative già comunicate, evidenziando che “non è stata contestata la mancata presentazione di una nuova autorizzazione ai sensi dell’art. 7 comma 2 della L.R. 11/2001 bensì la mancata presentazione della documentazione prevista al comma 2 dell’art. 7 della L.R. 11/2001, in particolare della documentazione prevista alle lettere g) e h) (...)”.

6. Vodafone Omnitel N.V. censura la determinazione comunale e gli atti ad essa presupposti, ritenendoli viziati per: violazione di legge sotto plurimi profili; eccesso di potere per insufficiente ed erronea motivazione; carenza di istruttoria; difetto dei presupposti di fatto e diritto; aggravamento del procedimento; violazione dei principi costituzionali e comunitari a tutela della libertà di comunicazione, della libertà di iniziativa economica e suo esercizio in regime di concorrenza; violazione dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella propria giurisprudenza in materia di disciplina degli impianti di telecomunicazione; sviamento; violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa; illegittimità derivata.

Sostiene, in particolare, la ricorrente che:

1) la SCIA sarebbe divenuta pienamente efficace, in quanto entro i trenta giorni dall’acquisizione al protocollo del Comune della segnalazione non sarebbe intervenuto un “provvedimento di diniego da parte dell’ente locale” o un parere negativo dell’ARPA, secondo quanto richiesto dall’art. 87-bis del d.lvo n. 259 del 2003; inoltre, anche a voler ritenere che il preavviso di diniego potesse determinare l’effetto di interrompere il predetto termine, questo avrebbe ripreso nuovamente a decorrere dal 12 febbraio 2013 (data di trasmissione mediante posta certificata delle osservazioni della Società) e sarebbe spirato il 14 marzo 2013, mentre il diniego da parte del Comune è stato comunicato il 15 marzo 2013;

2) l’efficacia della SCIA non sarebbe da ritenere subordinata all’espressione di un parere favorevole dell’ARPA, essendo, invece, soltanto preclusa da un parere negativo;

3) sarebbe illegittima la previsione del regolamento comunale che pone limiti alla localizzazione degli impianti di telecomunicazioni di potenza superiore a 300 W, in quanto le competenze urbanistiche comunali non potrebbero essere esercitate in modo da introdurre surrettiziamente una regolamentazione delle emissioni degli impianti di telecomunicazioni, stante l’esclusiva competenza statale in materia di tutela della salute mediante la fissazione di valori-soglia; l’illegittimità del regolamento emergerebbe anche dall’incongruità della previsione di limitazioni alla localizzazione degli impianti basate sulla potenza totale ai connettori di antenna, trascurando di considerare la diversa incidenza sulle persone che una pari potenza può comportare in ragione di altri parametri pretermessi (tipologia di impianto, livelli di esposizione, angolo di puntamento, inclinazione delle antenne, numero massimo di canali e portanti attivabili, e via dicendo);

4) sarebbe illegittimo il richiamo all’articolo 7, comma 9, della legge regionale n. 11 del 2001, in quanto la disciplina cui fare riferimento è contenuta all’articolo 87-bis del d.vo n. 259 del 2003, il quale prevede il ricorso alla segnalazione certificata di inizio di attività; conseguentemente, non sarebbe applicabile il procedimento autorizzatorio previsto dalla richiamata norma regionale; quest’ultima, anzi, sarebbe illegittima nella parte in cui prevede, per l’ipotesi di aumento della potenza dell’impianto, la produzione di ulteriori documenti, così determinando un aggravamento procedimentale non consentito rispetto all’iter semplificato prefigurato dalla norma statale.

7. In esito alla camera di consiglio del 13 giugno 2013, questa Sezione, chiamata a pronunciarsi sull’istanza di sospensione del provvedimento impugnato avanzata dalla Società ricorrente, ha pronunciato l’ordinanza n. 660 del 2013, con la quale sono stati richiesti documentati chiarimenti al Comune, che si è successivamente costituito in giudizio.

8. Con ordinanza n. 818 del 12 luglio 2013, la Sezione ha ritenuto che le ragioni rappresentate da parte ricorrente fossero tutelabili con la sollecita definizione del giudizio nel merito, ai sensi dell’articolo 55, comma 10, cod. proc. amm., fissando per la discussione del ricorso l’udienza pubblica del 6 marzo 2014.

9. Entrambe le parti hanno prodotto memorie.

10. All’udienza del 6 marzo 2014 la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso ha ad oggetto il provvedimento di diniego del Comune di Magenta, emesso a fronte della segnalazione certificata di inizio di attività di Vodafone Omnitel N.V. concernente la modifica delle caratteristiche trasmissive di un impianto radiobase esistente.

Le censure dedotte attengono da un lato alla ritenuta tardività del provvedimento inibitorio e, dall’altro, all’illegittimità dello stesso anche per ragioni sostanziali, dovute sia alla ritenuta assenza di un potere comunale di determinazione di limiti alla localizzazione degli impianti di telecomunicazione in relazione alla potenza di emissione, sia alla violazione del divieto di aggravamento procedimentale a causa della richiesta di documenti non dovuti.

2. Il ricorso è infondato.

3. Deve anzitutto esaminarsi il quarto motivo di ricorso, concernente le censure avverso le integrazioni documentali ritenute necessarie dal Comune.

3.1. In proposito, rileva preliminarmente il Collegio che la disciplina applicabile alle installazioni di apparati con tecnologia UMTS, sue evoluzioni o altre tecnologie su infrastrutture per impianti radioelettrici preesistenti o di modifica delle caratteristiche trasmissive è contenuta all’articolo 87-bis del decreto legislativo n. 259 del 2003, recante il Codice delle comunicazioni elettroniche, il quale stabilisce che: “fermo restando il rispetto dei limiti, dei valori e degli obiettivi di cui all’articolo 87 nonché di quanto disposto al comma 3-bis del medesimo articolo, è sufficiente la segnalazione certificata di inizio attività, conforme ai modelli predisposti dagli enti locali e, ove non predisposti, al modello B di cui all’allegato n. 13. Qualora entro trenta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda sia stato comunicato un provvedimento di diniego da parte dell’ente locale o un parere negativo da parte dell’organismo competente di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, la denuncia è priva di effetti.”.

Tale disposizione, introdotta dall’articolo 5-bis, comma 1, del decreto legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, è stata poi modificata dall’articolo 80, comma 1, lett. e), del decreto legislativo 28 maggio 2012, n. 70; prescrizione normativa, quest’ultima, che ha sostituito l’istituto della SCIA in luogo della DIA, precedentemente prevista.

La disposizione dell’articolo 87-bis ha quindi inteso introdurre una semplificazione procedimentale, stabilendo che, per gli interventi su infrastrutture di comunicazioni esistenti rientranti nelle ipotesi sopra richiamate, non sia necessaria la procedura autorizzatoria di cui all’articolo 87, potendo la stessa essere surrogata da una semplice segnalazione da parte del soggetto interessato.

3.2 Al riguardo, occorre peraltro evidenziare come la semplificazione prefigurata dalla nuova disciplina attenga solo ed esclusivamente al titolo di legittimazione dell’intervento. Quest’ultimo, infatti, nelle ipotesi previste, non richiede più un provvedimento espresso dell’amministrazione, ma può essere effettuato sulla base di una semplice segnalazione da parte del soggetto interessato.

Nessuna semplificazione ha, invece, inteso introdurre il legislatore quanto ai requisiti che l’intervento previsto deve rispettare in base alla normativa ad esso applicabile.

E invero, la differenza fra la soggezione al regime autorizzatorio e la liberalizzazione dell’attività attraverso la previsione della mera necessità di una segnalazione certificata del suo inizio attiene esclusivamente all’aspetto formale e procedimentale, ossia al modo attraverso il quale deve essere comprovato il rispetto dei requisiti cui l’intervento è soggetto.

Nel caso dell’autorizzazione di cui all’articolo 87 del Codice, le condizioni per lo svolgimento dell’attività sono verificate dall’amministrazione, che ne dà atto attraverso un provvedimento espresso, il quale costituisce titolo per la realizzazione e l’esercizio dell’impianto. In mancanza del provvedimento, gli stessi requisiti si intendono accertati positivamente decorso il termine di cui al comma 9, che determina la formazione del medesimo titolo per silenzio-assenso.

Nelle ipotesi “liberalizzate” di cui all’articolo 87-bis è, invece, l’interessato a dover certificare il rispetto di tutte le condizioni di legge, assumendosene la responsabilità.

Ne discende che la previsione normativa dell’assoggettamento di una attività a SCIA è “neutra” dal punto di vista della determinazione dei requisiti richiesti dall’ordinamento per lo svolgimento di quanto segnalato, poiché a tal fine rileva esclusivamente la disciplina sostanziale relativa all’attività oggetto di liberalizzazione.

3.3 Nel caso in esame, è quindi da ritenere corretto l’operato del Comune, il quale, rilevando che, per effetto dell’intervento oggetto di segnalazione, la potenza di emissione dell’impianto avrebbe subito un significativo incremento, ha dato applicazione all’articolo 7, comma 9, della legge regionale 11 maggio 2001, n. 11, in base al quale: “ (...) Nel caso che, a causa delle modifiche da apportarsi, sia prevedibile un significativo aumento delle esposizioni o qualora si preveda l'aumento della potenza di emissione dell'impianto, rispetto a quanto previsto nel provvedimento di autorizzazione, l'impianto deve essere assoggettato ad un nuovo procedimento autorizzativo.”.

Correttamente, peraltro, il Comune non ha preso in considerazione la suddetta disposizione per la sua valenza procedimentale – certamente non operante per effetto della richiamata norma statale, che liberalizza gli interventi in esame assoggettandoli a mera segnalazione certificata di inizio di attività – bensì unicamente quanto al profilo, di rilievo sostanziale, attinente alla documentazione necessaria a supporto della SCIA.

E invero, la disposizione regionale determina una soglia di rilevanza delle modifiche tecniche degli impianti, stabilendo che soltanto quelle che comportino un aumento di esposizione o di potenza di emissione debbano essere assoggettate a nuova autorizzazione; il che equivale a dire che tali interventi vanno considerati, sotto il profilo sostanziale dei requisiti richiesti per l’esercizio dell’attività, come di nuova realizzazione.

La circostanza che il procedimento autorizzatorio sia stato sostituito, per effetto della legge statale, dalla segnalazione certificata di inizio di attività non fa venir meno la rilevanza della fattispecie sul piano sostanziale e la necessità di trattarla, solo sotto questo profilo, al pari dell’ipotesi di installazione ed esercizio di un nuovo impianto.

Legittimamente, pertanto, il Comune ha richiesto, in sede di preavviso di diniego, l’integrazione dei documenti, non allegati alla SCIA, necessari per l’autorizzazione all’installazione e all’esercizio di nuove infrastrutture e, in particolare, la produzione – ai sensi del comma 2, lettere g) e h) del richiamato articolo 7 della legge regionale n. 11 del 2001 – di un “atto di impegno, sottoscritto dal titolare dell'impianto o da suo legale rappresentante, ad una corretta manutenzione dell'impianto ove, ai fini della protezione della popolazione, devono essere rispettate le indicazioni specificamente fornite dall'esperto di cui al comma 4 dell'articolo 3”; atto con il quale “Il titolare dell'impianto o il suo legale rappresentante si impegnano altresì ad eseguire, nel caso di disattivazione, i relativi interventi sull'impianto fino alla completa demolizione, ripristinando il sito in armonia con il contesto territoriale” (lettera g), nonché del “certificato fideiussorio relativo agli oneri di smantellamento e ripristino ambientale” (lettera h).

3.4 Né, per converso, possono trovare positiva valutazione le affermazioni di parte ricorrente secondo le quali la disposizione regionale dovrebbe essere disapplicata, in quanto introdurrebbe ingiustificatamente un aggravio procedimentale non previsto dalla disciplina statale di riferimento.

Al riguardo, occorre considerare che la giurisprudenza ha ritenuto di ravvisare un siffatto aggravamento nel caso in cui, ad esempio, la normativa regionale imponga l’assoggettamento dell’impianto a valutazione d’impatto ambientale (Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2014, n. 723), ossia a una fase procedimentale ulteriore e non richiesta dalla legge statale.

Affatto diverso è il caso di specie, nel quale il privato è chiamato unicamente a produrre atti che rientrano nella sua esclusiva disponibilità e che – senza che sia previsto il coinvolgimento di alcuna amministrazione, né l’introduzione di fasi o segmenti procedimentali aggiuntivi – sono volti allo scopo precipuo (e certamente non irragionevole) di dare garanzia alla collettività sia in ordine alla regolare manutenzione dell’impianto a tutela della salute pubblica, sia in relazione al corretto smantellamento e ripristino ambientale in caso di dismissione dell’infrastruttura.

Non può quindi ritenersi che la disposizione regionale determini un ingiustificato aggravamento procedimentale; nulla osta, pertanto, alla sua integrale applicazione.

3.5 In conseguenza di quanto precede, il quarto motivo di ricorso deve essere respinto.

4. Quanto affermato in merito alla necessità delle integrazioni documentali richieste dal Comune appare dirimente al fine di respingere il primo motivo di impugnazione, volto a contestare la legittimità del diniego comunale a causa della tardività della relativa comunicazione.

4.1 Al riguardo, ritiene il Collegio che il “preavviso di diniego” inviato dal Comune abbia effettivamente interrotto il termine di trenta giorni normativamente previsto al fine del consolidarsi della SCIA.

Non può, infatti, condividersi la prospettazione di parte ricorrente, secondo la quale il Comune non avrebbe avuto il potere di interrompere il predetto termine, essendogli consentita esclusivamente l’adozione di un provvedimento di diniego. Una siffatta soluzione appare contraria all’interesse stesso del soggetto privato che intenda procedere all’intervento, perché imporrebbe al Comune di emettere un provvedimento di segno negativo anche in presenza di carenze o irregolarità suscettibili di integrazione.

D’altra parte, benché l’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 sia testualmente riferito ai procedimenti a istanza di parte, si tratta di disposizione avente una più ampia portata di principio, in quanto costituente diretta applicazione dei canoni di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione e finalizzata ad assicurare la piena tutela dell’interesse alla partecipazione procedimentale del destinatario del provvedimento.

Deve quindi ritenersi che sia consentito al Comune interrompere il termine di trenta giorni per il consolidamento della SCIA attraverso la sollecitazione del contributo istruttorio del privato, come, del resto, già riconosciuto dalla giurisprudenza con riferimento alla diversa ipotesi di semplificazione procedimentale costituita da silenzio-assenso di cui al già richiamato articolo 87, comma 9, del d.lvo n. 259 del 2003 (Cons. Stato, Sez. III, 28 gennaio 2014, n. 418).

4.2 D’altra parte, qualora, come nel caso di specie, la comunicazione del Comune, emessa nei termini, sia volta, tra l’altro, a contestare correttamente una carenza documentale della SCIA, deve escludersi che il termine di trenta giorni possa riprendere a decorrere fino a quando i documenti dovuti non siano stati effettivamente prodotti.

E invero, il ricorso all’istituto della segnalazione certificata dell’inizio dell’attività presuppone l’assunzione di responsabilità da parte del privato in ordine alla legittimità dell’attività che questi dichiara di voler svolgere e trova la sua ragion d’essere nella circostanza che il potere di verifica dell’amministrazione abbia modo di esercitarsi agevolmente e rapidamente nei confronti di documentazione corretta e completa. Sono proprio l’assunzione di responsabilità del privato e la completezza della documentazione prodotta a corredo della segnalazione a giustificare tanto la liberalizzazione dell’attività, quanto la limitazione entro termini estremamente contenuti del tempo a disposizione dell’amministrazione per la verifica della sussistenza delle condizioni per lo svolgimento di quanto segnalato.

Pertanto, anche a voler ammettere che la SCIA possa produrre effetti a fronte di documentazione incompleta – ciò di cui è invero lecito dubitare – è in ogni caso da escludere che tali effetti possano permanere o addirittura consolidarsi per mero decorso del tempo, qualora la carenza documentale sia stata tempestivamente contestata dall’amministrazione e non seguita dalla produzione di quanto debitamente richiesto.

4.3 Le considerazioni sopra esposte consentono di prescindere dalle argomentazioni di parte ricorrente, volte a dimostrare che il provvedimento finale sarebbe intervenuto il giorno successivo al trentesimo dalla produzione della memoria della ricorrente.

Come detto, infatti, indipendentemente dalle modalità di computo del dies a quo e del dies ad quem per il decorso dei trenta giorni, è da ritenere che, in mancanza dell’integrazione documentale necessaria e correttamente richiesta dal Comune, il termine stesso non potesse in ogni caso riprendere a decorrere.

5. Neppure può trovare accoglimento il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura il provvedimento impugnato rilevando che illegittimamente si sarebbe ritenuto necessario il parere positivo dell’ARPA per il consolidarsi della SCIA.

Contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, la mancanza del parere dell’ARPA non figura tra le ragioni giustificatrici del diniego, che appaiono chiaramente indicate nell’ultimo punto della premessa al provvedimento impugnato e che risultano specificamente dettagliate alle lettere a, b, c, d ed e (pagg. 2 e 3). Il Comune, piuttosto, si limita correttamente a dare atto della mancanza di tale parere (secondo punto della premessa, pag. 1), nel quadro delle verifiche procedimentali dovute da parte dell’Ente ai fini dell’assunzione delle proprie determinazioni.

6. Va, infine, disatteso anche il terzo motivo di ricorso, con il quale si censura il diniego comunale e il presupposto regolamento, sulla base della ritenuta assenza di un potere dell’ente locale di stabilire limiti alle localizzazioni degli impianti in ragione della potenza di emissione.

6.1 Mette conto di ricordare, al riguardo, che l’articolo 8, comma 6 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, stabilisce che “I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.”.

In proposito, la giurisprudenza ha chiarito che “il favor assicurato, soprattutto dagli artt. 86 ss. del d. lgs. 259/2003, alla diffusione delle infrastrutture a rete della comunicazione elettronica, se comporta una forte compressione dei poteri urbanistici conformativi ordinariamente spettanti ai Comuni, non arriva a derogare alle discipline poste a tutela degli interessi differenziati (in quanto espressione di principi fondamentali della Costituzione), (...)” e che “la potestà assegnata ai Comuni dall’art. 8, comma 6, della legge quadro 36/2001, deve tradursi nell’introduzione, sotto il profilo urbanistico, di regole a tutela di zone e beni di particolare pregio ambientale, paesaggistico o storico-artistico (ovvero, per ciò che riguarda la minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, nell’individuazione di siti che per destinazione d’uso e qualità degli utenti possano essere considerati sensibili alle immissioni radioelettriche), ma non può trasformarsi in limitazioni alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile per intere ed estese porzioni delterritorio comunale, in assenza di una plausibile ragione giustificativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, 4.4.2013, n. 1873)” (così Cons. Stato, Sez. III, n. 723 del 2014, cit.).

In tale prospettiva, la medesima giurisprudenza afferma la necessità di distinguere tra “limiti o divieti di localizzazione, illegittimi, e criteri di localizzazione, legittimi (in quanto non impediscano di reperire soluzioni alternative che consentano la funzionalità del servizio)” (Cons. Stato, Sez. III, n. 723 del 2014, cit.; Id., 10 luglio 2013, n. 3690).

Nel solco del consolidato orientamento richiamato, la disciplina introdotta dai comuni è, pertanto, da ritenere illegittima soltanto allorché determini “ (...) una generale limitazione alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile per intere ed estese porzioni del territorio comunale, con la esclusione (...) di pressoché tutte le zone a destinazione residenziale e, comunque, con la esclusione di intere zone di P.R.G. e, soprattutto, senza la previsione di siti davvero idonei alla realizzazione di una rete UMTS efficientemente funzionante sull’intero territorio comunale.” (ancora Cons. Stato, Sez. III, n. 723 del 2014, cit.).

6.2 E’ quindi da respingere l’affermazione di parte ricorrente secondo la quale sarebbe precluso al Comune di regolamentare la localizzazione delle infrastrutture di comunicazione in ragione della potenza di emissione. Tale attività è, al contrario, legittimamente esercitabile, purché attraverso l’adozione di criteri di localizzazione, che – senza introdurre divieti generalizzati o relativi a porzioni territoriali eccessivamente estese e senza impedire l’individuazione di soluzioni alternative tali da assicurare la piena efficienza della rete – siano volti tuttavia a preservare interessi di rilievo costituzionale primario, quale, tra gli altri, la tutela della salute, mediante la minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.

6.3 Orbene, il regolamento del Comune di Magenta (doc. 2 prodotto dalla difesa comunale) appare effettivamente non censurabile sotto il profilo in esame.

L’atto prevede invero un divieto di installazione degli impianti solo ed esclusivamente “nel perimetro di pertinenza di asili, scuole, ospedali, case di cura e residenze per anziani, oratori, aree a verde attrezzato con parco giochi” (articolo 3, secondo comma, lettera a).

Il territorio comunale è poi regolamentato secondo una articolata suddivisione in: “aree di particolare tutela”, comprese entro il limite di 100 metri dal perimetro di pertinenza dei luoghi sopra indicati (articolo 2, primo comma, n. 3), ove è prevista l’installazione di impianti di potenza fino a 300 W (articolo 3, secondo comma, lett. b); “aree 1”, ove è prevista la localizzazione di impianti fino a 1000 W (articolo 3, secondo comma, lett. c); “aree 2”, ove è consentita la localizzazione di ogni tipologia di impianti (articolo 3, secondo comma, lett. d).

Come argomentato dalla difesa comunale e comprovato dall’estratto del Piano delle aree depositato in prossimità dell’udienza, le aree di particolare tutela – nell’ambito delle quali è localizzata l’infrastruttura di comunicazione di cui Vodafone Omnitel N.V. intende incrementare la potenza – non appaiono di estensione manifestamente eccessiva o tale da compromettere la possibilità di individuare localizzazioni alternative al fine di assicurare la piena funzionalità delle infrastrutture di comunicazione. In queste aree, inoltre, non è preclusa la localizzazione di infrastrutture di telecomunicazione, ma sono stabiliti unicamente limiti alla potenza di emissione.

In definitiva, le determinazioni comunali, assunte nell’esercizio della discrezionalità amministrativa spettante all’Ente locale in materia, stabiliscono criteri di localizzazione degli impianti che non appaiono eccessivi né irragionevoli e non sono quindi censurabili sotto i profili dedotti dalla ricorrente.

Il ricorso va quindi respinto.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna Vodafone Omnitel N.V. alle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Giovanni Zucchini, Consigliere

Floriana Venera Di Mauro, Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/04/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)