Cass. Sez. III n. 15865 del 30 marzo 2017 (Cc 31 gen 2017)
Presidente: Savani Estensore: Aceto Imputato: Rizzo
Ambiente in genere.Delitto di inquinamento ambientale conseguente a scarichi incorso d’acqua

1. La ridotta utilizzazione del corso d'acqua in conformità alla sua destinazione quale conseguenza della condotta è già sufficiente a integrare il "danno" che la minaccia della sanzione penale intende prevenire.
2. Quando la causa dell’inquinamento è attribuita agli scarichi, non conta la rilevanza penale di ciascuno di essi ma l'evento, purché etiologicamente riconducibile ad una condotta (commissiva o omissiva) a qualsiasi titolo non consentita ovvero posta in essere, per esempio in tema di scarichi, anche solo in violazione di valori non cogenti.

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. Giuseppe Rizzo ricorre per l'annullamento dell'ordinanza del 06/09/2016 del Tribunale di Catania che ha respinto l'istanza di riesame del decreto del 25/07/2016 del Giudice per le indagini preliminari di quello stesso Tribunale che, sulla ritenuta sussistenza indiziaria del reato di cui all'art. 452-bis, cod. pen., ha disposto il sequestro preventivo dell'impianto di depurazione del Comune di Santa Maria di Licodia, gestito dalla società «ACOSET S.r.l.», legalmente rappresentata dal Rizzo.

1.1.Con il primo motivo, lamentando che il Tribunale ha valorizzato condotte tenute in epoca antecedente alla introduzione della nuova fattispecie di reato (segnatamente il 2010, il 2013 ed il 2015), eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 25, Cost. e 2, cod. pen..

1.2.Con il secondo motivo, allegando il mero superamento dei valori-soglia: Azoto ammoniacale, BOD5, COD, Tensioattivi - MBAS, Fosforo totale come P ed Escherichia Coli, e lamentando la mancanza di qualsiasi compromissione e/o deterioramento del corpo idrico ricettore e del suolo circostante, eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l'erronea applicazione dell'art. 425- bis, cod. pen. Deduce, al riguardo, che già prima della entrata in vigore della nuova norma incriminatrice, il mero superamento dei valori relativi al BOD5 e COD, non compresi nella tabella 5 dell'allegato 5 del d.lgs. n. 152 del 2006, escludeva la rilevanza penale del reato di scarico di acque reflue industriali per mancanza del "pericolo astratto". In mancanza di pericolo, afferma, non può esservi danno. Secondo un meccanismo cd. «a tutele crescenti», la nuova fattispecie predispone una "risposta" penale intermedia alle aggressioni del bene giuridico "ambiente", stante la sua collocazione immediatamente precedente alle ipotesi più gravi (art. 452-quater, cod. pen.) ma logicamente successiva ai reati contravvenzionali. Nel caso di specie si tratta di un depuratore che scarica acque reflue urbane; ma se anche si volessero qualificare detti scarichi come "industriali", il superamento dei valori sopra indicati non determinerebbe la penale rilevanza della condotta, in assenza di prova di concentrazioni elevate di sostanze tossiche e di un evento di compromissione ambientale delle acque e del suolo circostante. Il "deterioramento", prosegue, deve essere valutato alla stregua della destinazione d'uso del corpo ricettore; nel caso di specie, trattandosi di acqua destinata ad usi diversi dal consumo umano e dalla irrigazione, la presenza di Escherichia Coli per concentrazioni non ancora fissate dall'autorità competente, non può rilevare ai fini del deterioramento delle acque stesse. La campionatura delle acque, effettuata a 100 metri dalla condotta che recapita i reflui dell'impianto di depurazione, evidenzia una drastica riduzione dei valori registrati in corrispondenza dello scarico (e ciò senza considerare che i valori a monte dello scarico in questione sono, a loro volta, superiori quanto ai parametri BOD5 e COD), il che comporta un interessamento circoscritto, non elevato e non permanente dell'area. Gli esami di laboratorio, prosegue, escludono (e comunque ridimensionano fortemente) quanto rilevato in sede visiva circa l'odore e la colorazione delle acque e la presenza di schiume.

1.3.Con il terzo motivo, lamentando l'insussistenza del "periculum in mora", eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l'erronea applicazione dell'art. 321, comma 1, cod. proc. Pen..

2. Il 24/01/2017 il ricorrente ha depositato una memoria difensiva con cui ha ulteriormente ribadito ed illustrato le proprie tesi difensive.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

3.Secondo la rubrica provvisoria, il depuratore del Comune di Santa Maria di Licodia generava reflui che, dopo la loro lavorazione, venivano immessi nel vallone "Solpa Maneri" determinandone la compromissione. I valori di azoto ammoniacale e di Escherichia Coli erano pari rispettivamente al triplo del consentito e a 800 volte il limite massimo. Il fatto è contestato come commesso nell'aprile 2016.

3.1.Nell'illustrare gli indizi di reato e nel riservare alla fase del giudizio ogni ulteriore approfondimento, il Tribunale spiega che:

3.2.sin dal giugno 2010 il proprietario di un fondo confinante con il corso d'acqua aveva denunciato al Comune lo stato di degradazione delle acque superficiali e dei terreni circostanti, compreso il proprio, la sistematica moria degli alberi di ulivo e delle arance della zona e la presenza di un odore nauseabondo in un'ampia area;

3.3.analisi alla mano, aveva altresì rilevato che le acque presentavano una forte carica batterica;

3.4.nel marzo successivo, il Comune di Santa Maria di Licodia aveva diffidato la dirigenza della ACOSER S.p.a., società che gestiva il depuratore, a intervenire;

3.5.dopo oltre tre anni, nel settembre 2013, il Comune aveva nuovamente diffidato la società a intervenire, senza sortire alcun effetto;

3.6.nell'ottobre successivo, il medesimo proprietario aveva prodotto ulteriori analisi che confermavano la presenza di cariche batteriche fuori norma;

3.7.il 27/05/2015 l'ARPA aveva effettuato due campionamenti delle acque superficiali, uno a monte ed uno a valle dello scarico;

3.8.a valle dell'immissione risultava che, tra gli altri, il valore dell'Escherichia coli era pari a 4.800.000 UFC/100m1;

3.9.il dirigente chimico dell'ARPA aveva dato atto dello stato di degrado dell'alveo del vallone "Solpa Maneri" nella zona di ruscellamento degli scarichi reflui, nonché del peggioramento delle qualità dell'acqua a valle dello scarico, della presenza di colorazioni anomale e schiume non riscontrate nel campione a monte del punto di immissione dello scarico;

3.10. Il 04/04/2016 era stato effettuato un sopralluogo direttamente presso il depuratore, all'esito del quale si accertò il mancato funzionamento del sistema di grigliatura elettronica (al momento sostituito dalla pulizia manuale) e la mancanza dell'autorizzazione allo scarico, essendo scaduta quella precedente;

3.11.i reflui in uscita erano soggetti a disinfezione mediante clorazione automatica con ipoclorito di sodio;

3.12.1e analisi effettuate nell'occasione avevano permesso di rilevare che il livello di BOD5 nel campione in uscita era pari a più di quattro volte il limite consentito, il valore COD, pari quasi al doppio; il valore di azoto ammoniacale (NH4+) contenuto nei reflui maleodoranti prelevati manualmente dal pozzetto in uscita era pari a 45.9 mg./I, superiore al valore limite di 15 mg./I fissato nella tabella 3 dell'allegato 5, alla parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006, il valore dell'Escherichia coli era superiore di 800 volte il limite di emissione consigliato dalla medesima tabella;

3.13.tali valori erano stati riscontrati anche allo sbocco della condotta di recapito dello scarico proveniente dall'impianto di depurazione, distante km 1,5 dall'impianto stesso, con l'aggiunta del "Fosforo Totale come P" (5,16, n.g/1) che, seppur nei limiti, era comunque superiore a quello riscontrato nelle acque a monte dello scarico;

3.14.a 100 metri a valle dello scarico, inoltre, nonostante la diluizione con le altre acque del medesimo corso d'acqua, i valori di BOD5, COD, Azoto ammoniacale come NH4+, Tensioattivi, - MBAS, Fosforo Totale come P, erano sensibilmente più elevati dei valori a monte;

3.15.I'insieme di questi fattori («molteplicitià dei valori elevati di fattori inquinanti, frequente superamento dei limiti prescritti e di quelli consigliati, diffusività e localizzazione in più punti del percorso esterno dei reflui fino al vallone e oltre il punto di immissione, persistenza di concentrazioni elevate di detti valori a dispetto dell'effetto diluizione dovuto alla successiva commistione con le acque fluenti nel corpo superficiale, continuità e risalenza temporale delle immissioni, confluenza finale del vallone nel fiume Sinneto, il più importante corso d'acqua della Sicilia orientale») determina lo stato di grave e stabile deterioramento idrico del corso d'acqua, contaminato da materie fecali, schiume e fonte di odori nauseabondi, misurabile (nei termini sopra indicati) e abusivo (perché privo di autorizzazione).

4.Questa Corte si è recentemente pronunciata in tema di inquinamento ambientale, affermando, con sentenza Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016, Simonelli, principi che è opportuno richiamare (e ribadire) in questa sede:

4.1.in primo luogo la condotta "abusiva" idonea ad integrare il delitto di cui all'art. 452-bis cod. pen. comprende non soltanto quella svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni, o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ma anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali - ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale - ovvero di prescrizioni amministrative (Rv. 268060);

4.2.i concetti di "compromissione" e "deterioramento" consistono in un'alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell'ecosistema, caratterizzata, nel caso della "compromissione", da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell'ecosistema medesimi e, nel caso del "deterioramento", da una condizione di squilibrio "strutturale", connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi. (Rv. 268059).

4.3.al riguardo, escluso, in particolare, ogni accostamento alle corrispondenti definizioni di "inquinamento ambientale" e di "deterioramento significativo e misurabile" fornite dal d.lgs. n. 152 del 2006 ad uso e consumo esclusivo delle norme in detto Testo Unico contenute, la sentenza ha spiegato che «l'indicazione dei due termini con la congiunzione disgiuntiva "o" svolge una funzione di collegamento [tra di essi] - autonomamente considerati dal legislatore, in alternativa tra loro - poiché indicano fenomeni sostanzialmente equivalenti negli effetti, in quanto si risolvono entrambi in una alterazione, ossia in una modifica dell'originaria consistenza della matrice ambientale o dell'ecosistema caratterizzata, nel caso della "compromissione", in una condizione di rischio o pericolo che potrebbe definirsi di "squilibrio funzionale", perché incidente sui normali processi naturali correlati alla specificità della matrice ambientale o dell'ecosistema ed, in quello del deterioramento, come "squilibrio strutturale", caratterizzato da un decadimento di stato o di qualità di questi ultimi. Da ciò consegue che non assume rilievo l'eventuale reversibilità del fenomeno inquinante, se non come uno degli elementi di distinzione tra il delitto in esame e quello, più severamente punito, del disastro ambientale di cui all'art. 452-quater cod. pen.».

4.4.deterioramento e connpromissione sono concetti diversi dalla "distruzione"; non equivalgono, in ultima analisi, a «una condizione di "tendenziale irrimediabilità" che (...) la norma non prevede»;

4.5.quanto alla natura "significativa" e "misurabile" che qualifica il deterioramento ovvero la connpronnissione, la sentenza ha ulteriormente precisato che, ferma la loro funzione selettiva di condotte di maggior rilievo, «il termine "significativo" denota senz'altro incisività e rilevanza, mentre "misurabile" può dirsi ciò che è quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile. L'assenza di espliciti riferimenti a limiti imposti da specifiche disposizioni o a particolari metodiche di analisi consente di escludere l'esistenza di un vincolo assoluto per l'interprete correlato a parametri imposti dalla disciplina di settore, il cui superamento, come è stato da più parti già osservato, non implica necessariamente una situazione di danno o di pericolo per l'ambiente, potendosi peraltro presentare casi in cui, pur in assenza di limiti imposti normativamente, tale situazione sia di macroscopica evidenza o, comunque, concretamente accertabile. Ovviamente, tali parametri rappresentano comunque un utile riferimento nel caso in cui possono fornire, considerando lo scostamento tra gli standard prefissati e la sua ripetitività, un elemento concreto di giudizio circa il fatto che la compromissione o il deterioramento causati siano effettivamente significativi come richiesto dalla legge mentre tale condizione, ovviamente, non può farsi automaticamente derivare dal mero superamento dei limiti».

4.6.Si deve qui precisare che il reato in questione è senza alcun dubbio un reato di danno, causalmente orientato.

4.7.Pur se non irreversibile, il deterioramento o la compronnissione evocano l'idea di un risultato raggiunto, di una condotta che ha prodotto il suo effetto dannoso. Da questo punto di vista il deterioramento e la compromissione (quest'ultima intesa come rendere una cosa, in tutto o in parte, inservibile) costituiscono per il legislatore penale evento tipico del delitto di danneggiamento e, in quanto tale, l'idea del "danno" (ancorché non irreversibile) è a loro connaturale.

4.8. Il deterioramento, in particolare, è configurabile quando la cosa che ne costituisce oggetto sia ridotta in uno stato tale da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole (Sez. 2, n. 20930 del 22/02/2012, Di Leo, Rv. 252823) ovvero quando la condotta produce una modificazione della cosa altrui che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o ne impedisce anche parzialmente l'uso, così dando luogo alla necessità di un intervento ripristinatorio dell'essenza e della funzionalità della cosa stessa (Sez. 2, n. 28793 del 16/06/2005, Cazzulo, Rv. 232006; Sez. 5, n. 38574 del 21/05/2014, Ellero, Rv. 262220).

4.9.Non a caso la giurisprudenza di questa Corte, maturata sin da epoca antecedente alla legge n. 319 del 1976 (cd. legge "Merli", la prima che introdusse una disciplina organica e penalmente sanzionata in materia di scarichi di acque reflue), aveva già ampiamente attinto al reato di cui all'art. 635, cod. pen., per attrarre alla sua fattispecie quei casi in cui un corso d'acqua fosse durevolmente deteriorato in modo da ridurne l'utilizzazione in conformità alla sua destinazione (così Sez. 2, n. 12383 del 28/04/1975, Fratini, Rv. 131583, in un caso di scarichi industriali apportatori di intorbidamento delle acque del fiume Arno, di distruzione di microrganismi, quali microflora e microfauna, plancton animale e vegetale, di alterazione morfologica e termica e di fenomeni analoghi; nello stesso senso Sez. 2, n. 5802 del 15/11/1979, Frigerio, Rv. 145222 in un caso di inquinamento del fiume Lambro; Sez. 6, n. 8465 del 21/06/1985, Puccini, in ipotesi di inquinamento del fiume Arno determinato dalla disattivazione del depuratore; di rilievo il principio affermato da Sez. 2, n. 7201 del 16/01/1984, Corsini, Rv. 165490, secondo cui l'art. 26 della legge 10 maggio 1976 n. 319 aveva abrogato soltanto le norme che puniscono l'inquinamento collegabile direttamente o indirettamente agli scarichi ma detta abrogazione non si estendeva alle norme che puniscono il danneggiamento che, pur tutelando anche le acque dall'inquinamento, hanno una diversa e più ampia oggettività giuridica). Sulla scia di tale indirizzo giurisprudenziale, più recentemente, Sez. 4, n. 9343 del 21/10/2010, Valentini, Rv. 249808, in un caso di illecito smaltimento di rifiuti di una discarica in un fiume, che ne aveva cagionato il deterioramento, rendendolo per lungo tempo inidoneo all'irrigazione dei campi ed all'abbeveraggio degli animali, ha ribadito che si ha «deterioramento», che integra il reato di danneggiamento, tutte le volte in cui una cosa venga resa inservibile, anche solo temporaneamente, all'uso cui è destinata, non rilevando, ai fini dell'integrazione della fattispecie, la possibilità di reversione del danno, anche se tale reversione avvenga non per opera dell'uomo, ma per la capacità della cosa di riacquistare la sua funzionalità nel tempo (cfr. altresì, Sez. 3, n. 15460 del 10/02/2016, Ingegneri, Rv. 267823 che, sul principio per il quale ai fini della configurabilità del reato di danneggiamento mediante deterioramento è necessario che la capacità della cosa di soddisfare i bisogni umani o l'idoneità della stessa di rispettare la sua naturale destinazione risulti ridotta, con compromissione della relativa funzionalità, ha ritenuto integrato il reato a seguito dell'intorbidamento delle acque e dell'alterazione delle correnti marine determinato dallo sversamento di sabbia, quale conseguenza della realizzazione di un'isola artificiale).

4.10.La compromissione, termine, come visto, indifferentemente utilizzato nel linguaggio giuridico per descrivere un modo di essere o di manifestarsi del deterioramento stesso, coglie del danno non la sua maggiore o minore gravità bensì l'aspetto funzionale perché evoca un concetto di relazione tra l'uomo e i bisogni o gli interessi che la cosa deve soddisfare; deterioramento e connpromissione sono le due facce della medesima medaglia, sicché è evidente che l'endiadi utilizzata dal legislatore intende coprire ogni possibile forma di "danneggiamento" - strutturale ovvero funzionale - delle acque, dell'aria, del suolo o del sottosuolo.

4.11.La ridotta utilizzazione del corso d'acqua in conformità alla sua destinazione quale conseguenza della condotta è perciò già sufficiente a integrare il "danno" che la minaccia della sanzione penale intende prevenire.

4.12. Il fatto che, ai fini del reato di "inquinamento ambientale" non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno comporta che fin quando tale irreversibilità non si verifica le condotte poste in essere successivamente all'iniziale deterioramento o connpromissione non costituiscono "post factum" non punibile (nel senso che «le plurime imjnissioni di sostanze inquinanti nei corsi d'acqua, successive alla prima, non iun post factum penalmente irrilevante, ne' singole ed autonome azioni costituenti altrettanti reati di danneggiamento, bensì singoli atti di un'unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione», Sez. 4, n. 9343 del 2010, cit.).

4.13.E' dunque possibile deteriorare e compromettere quel che lo è già, fino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili o comportano una delle conseguenze tipiche previste dal successivo art. 452- quater, cod. pen.; non esistono zone franche intermedie tra i due reati.

4.14.Ne consegue, in primo luogo, che, a prescindere dal fatto che in sede cautelare reale non rileva la colpevolezza dell'autore del fatto, bensì l'oggettiva sussistenza del reato, non ha pregio alcuno l'eccezione oggetto del primo motivo di ricorso posto che indubbiamente l'evento ipotizzato dalla norma incriminatrice si è consumato (o forse è meglio dire è stato misurato nella sua consistenza anche) dopo l'introduzione della nuova figura di reato.

4.15.Allo stesso modo deve darsi atto, in secondo luogo, tenuto conto della valutazione che compete al giudice della cautela reale, della sussistenza del reato ipotizzato e che l'indagine proposta dal ricorrente in questa sede, oltre a nutrirsi di inammissibili deduzioni fattuali circa l'entità del deterioramento e dell'effettiva compromissione delle acque, si spinge ben oltre il livello di sufficienza indiziaria richiesta ai fini dell'adozione del sequestro preventivo.

4.16. Il Tribunale del riesame, nella ricognizione degli indizi di reato, non si è attestato sul solo superamento dei valori tabellari; ha attinto anche alla descrizione dei luoghi così come effettuata dal dirigente chimico dell'ARPA, ha utilizzato i risultati analitici quali unità di misura del grado di compromissione del corso d'acqua ed ha riscontrato l'effettivo deterioramento della matrice ambientale a valle degli scarichi. L'obiezione difensiva che a 100 metri a valle dello scarico tale matrice non è più compromessa o alterata, oltre ad avvalersi di deduzioni fattuali non ammissibili in questa sede, non considera che per il reato in questione solo per il suolo ed il sottosuolo è necessario che ne siano compromesse o deteriorate "porzioni estese o significative"; per le acque e per l'aria tale requisito non è richiesto. Sicché l'argomento difensivo, così proposto, non coglie nel segno.

4.17.La tesi delle cd. «tutele crescenti» e della insussistenza del reato in caso di irrilevanza penale del singolo scarico (per il mancato superamento, nel caso di specie, dei valori limite delle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5 al d.lgs. n. 152 del 2006), tesi utilizzata dal ricorrente quale premessa del ragionamento secondo cui sarebbe assurdo recuperare questa irrilevanza utilizzando la norma incriminatrice in questione, in disparte l'errore di considerare penalmente irrilevante sempre e comunque lo scarico del depuratore (in senso contrario, si veda l'art. 137, comma 6, d.lgs. n. 152 del 2006), non ha fondamento perché restringe, di fatto, la natura "abusiva" della condotta ai soli casi in cui la causa dell'inquinamento costituisca condotta di per sé già penalmente sanzionata, con esclusione pertanto di tutti gli altri casi in cui la condotta sia sanzionata a livello amministrativo o anche solo vietata o comunque posta in essere in contrasto con le norme e le prescrizioni che disciplinano la singola attività "causante".

4.18.Quel che conta, in ultima analisi, è la sussistenza del nesso causale tra tali violazioni (qualunque esse siano), che rendono tipica la "causa", e l'evento (sulla "abusività", quale predicato tipizzante della condotta, oltre la sentenza Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016, sopra citata, utili indicazioni possono trarsi dagli approdi di questa Corte in materia di traffico illecito di rifiuti, allorquando si è affermato che per attività "abusiva" si deve intendere quella effettuata o senza le autorizzazioni necessarie, ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute, o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse, ad esempio, la condotta avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, ed anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità amministrativa; in questo senso, Sez. 3, n. 44449 del 15/10/2013, Ghidoli, Rv. 258326; Sez. 3, n. 40828 del 06/10/2005, Fradella, Rv. 232350).

4.19.Quando - come nel caso di specie - la causa è attribuita agli scarichi, non conta la rilevanza penale di ciascuno di essi ma l'evento, purché etiologicamente riconducibile ad una condotta (commissiva o omissiva) a qualsiasi titolo non consentita ovvero posta in essere, per esempio in tema di scarichi, anche solo in violazione di valori non cogenti. Per l'Escherichia Coli, per attenerci al caso in esame, le tabelle 3 e 4 di cui all'allegato V alla parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006, prevedono che in caso di autorizzazione allo scarico dell'impianto per il trattamento di acque reflue urbane deve essere fissato il limite ritenuto più opportuno, consigliando comunque un limite non superiore a 5.000 UFC/100mL. In mancanza di indicazioni specifiche nell'autorizzazione, il superamento di detto limite, ancorché "consigliato" e penalmente ed amministrativamente irrilevante, qualifica come "abusiva" la condotta che abbia cagionato l'inquinamento delle acque ai sensi dell'art. 452-bis, cod. proc. pen..

4.20.La tesi delle cd. «tutele crescenti» è metodologicamente e dogmaticamente errata sia perché, come detto, limita il reato ai soli casi in cui la condotta "causante" sia autonomamente e penalmente sanzionata sia perché conduce all'assurda conseguenza che se non c'è pericolo (data la assenza di scarichi penalmente rilevanti) non ci può essere danno. Sicché la polarizzazione dell'attenzione sulla sola condotta elimina, sul piano concettuale, l'evento realmente manifestatosi e da essa provocato, trasformando di fatto un reato di evento in un reato di mera condotta.

4.21.Nel caso di specie, il carattere abusivo della condotta è stato più che sufficientemente individuato dal Tribunale nel fatto che il depuratore era privo di autorizzazione allo scarico (e ciò a prescindere dal superamento dei valori sopra indicati, sanzionato per alcuni di essi a livello amministrativo).

4.22.Ne consegue che i primi due motivi di ricorso sono infondati.

5.E' infondato anche il terzo motivo di ricorso.

5.1. I Giudici del riesame giustificano il sequestro con la necessità di sottrarre la gestione dell'impianto alla «ACOSET S.p.a.», onde evitare che la sua libera disponibilità possa protrarre ed aggravare le conseguenze del reato, e spiegano, al riguardo, che la continuità della gestione da parte del medesimo personale non è in contrasto con le finalità del sequestro stesso perché l'operatività dell'impianto è soggetta alla supervisione dell'ARPA catanese, costituita custode e controllore.

5.2.Le ragioni del ricorrente da un lato di fondano su inammissibili deduzioni fattuali (che semmai dimostrano l'efficacia della misura adottata) e sulla infondata deduzione della irrilevanza penale delle procedenti condotte di scarico, dall'altro riguardano la (apparente) natura contraddittoria della motivazione, motivi che esulano completamente dal sindacato di questa Corte in materia di misure cautelari reali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.

Così deciso il 31/01/2017