Ancora sul parere vincolante del soprintendente ex art. 146 d.lgs. 42/2004
(Nota a TAR Campania, NA, n° 1815 dep. 13/4/2016)

di Massimo GRISANTI

Il TAR per la Campania, Sez. VI (Pres. Lelli, Est. Palmarini), con sentenza n° 1815 depositata il 13/4/2016 è tornata a ribadire la natura vincolante del parere del Soprintendente anche se espresso oltre il termine di 45 giorni previsto dall’art. 146 del Codice.

“… In punto di diritto, deve rilevarsi che contrariamente a quanto dedotto, il decorso del prescritto termine di quarantacinque giorni per la pronuncia del parere da parte della Soprintendenza ai sensi dell’art. 146, d.lgs. n. 42 del 2004 non preclude affatto alla Soprintendenza stessa di provvedere e neppure sottrae al parere tardivo la sua ordinaria attitudine conformativa: non vi è infatti nell'invocato articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio alcuna espressa comminatoria di decadenza della Soprintendenza dall’esercizio del relativo potere una volta decorso il termine ivi previsto. In tal senso si è espressa autorevole giurisprudenza precisando all’uopo che, nel caso di mancato rispetto del termine fissato dall’art. 146, comma 5, il potere della Soprintendenza continua a sussistere: "la perentorietà del termine riguarda non la sussistenza del potere o la legittimità del parere, ma l’obbligo di concludere la fase del procedimento" (sezione VI, sentenza n. 4914/2013) …”. Così si è espresso il TAR.

Nelle parole dei giudici amministrativi riecheggiano quelle della Corte costituzionale espresse nella sentenza n° 262/1997: “… Peraltro, con riguardo alla specifica argomentazione su cui insistono sia il collegio rimettente che il ricorrente, va precisato che il mancato esercizio delle attribuzioni da parte dell'amministrazione entro il termine per provvedere non comporta ex se, in difetto di espressa previsione, la decadenza del potere, né il venir meno dell’efficacia dell’originario vincolo. In tali ipotesi, sempre che il legislatore non abbia attribuito un particolare significato all’inerzia-silenzio, si verifica un’illegittimità di comportamenti derivante da inadempimento di obblighi …”.

Non solo l’art. 146 del Codice niente dice in ordine alla perdita del potere del Soprintendente in caso di mancato rispetto del termine di 45 giorni, ma addirittura il legislatore ha espressamente previsto il mutamento della natura del parere, da vincolante a meramente obbligatorio, esclusivamente in caso di positivo adeguamento degli strumenti urbanistici comunali al piano paesaggistico regionale. E quando viene previsto che scaduto il termine il Comune provvede sull’istanza, la disposizione deve essere coordinata con l’art. 2, comma 1, e con l’art. 16, commi 2 e 3, della legge n° 241/1990 che impongono l’adozione di un provvedimento d’improcedibilità allorquando il responsabile del procedimento rilevi l’inesistenza di un essenziale presupposto di diritto (quale è un parere vincolante).

Tutte illecitamente creative (stante l’assolutezza della tutela paesaggistica) sono quelle sentenze dei giudici amministrative di prime cure e d’appello che stabiliscono la perdita o la dequotazione del potere, finendo per costituire un’inammissibile interpetratio abrogans della norma di legge che impone a tutti – Giudici compresi – quella pregnante tutela richiesta dalla Costituzione.

Da stigmatizzare il comportamento dei Giudici del Consiglio di Stato che anziché rimettere la questione all’Adunanza Plenaria per la composizione del contrasto continuano a ondeggiare tra le posizioni assunte, incuranti che l’assolutezza del paesaggio impone loro di essere seri.

Un serio Presidente del Consiglio di Stato non può consentire che ciò continui ad avvenire.

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Scritto il 15 aprile 2016