Cass. Sez. III n. 26507 del 20 giugno 2023 (CC 15 mar 2023)
Pres. Ramacci Rel. Zunica Ric. PG in proc. De Simone
Urbanistica.Demolizione e destinazione ad alloggi per edilizia residenziale
 
In tema di reati edilizi, in presenza di una delibera comunale che dichiari la sussistenza di prevalenti interessi pubblici all’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio del Comune e alla destinazione ad alloggi per edilizia residenziale, ostativi all’esecuzione dell’ordine giurisdizionale di demolizione, il sindacato del giudice dell’esecuzione sull’atto amministrativo, concernendo il carattere attuale e non meramente eventuale di detto interesse, può avere a oggetto l’esistenza di approfondimenti tecnico-amministrativi inerenti l’immobile che siano indice del fondamento e della specificità della decisione dell’organo comunale, in linea con il necessario coordinamento tra funzioni dell’organo comunale collegiale e valutazioni tecnico amministrative. Ai fini della incompatibilità dell’esecuzione dell’ordinanza di demolizione con la delibera consiliare dichiarativa dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto al ripristino dell’assetto urbanistico violato, il provvedimento amministrativo presuppone che tale evenienza sia attuale e non meramente eventuale, non essendo consentito interrompere l’esecuzione penale per un tempo non definito e non prevedibile. E’ generico il mero riferimento a una destinazione di interesse pubblico, atteso che non può giustificarsi l’interesse concreto al mantenimento dell’opera abusiva nel caso in cui, di fatto, la delibera costituisce, sostanzialmente, un atto di indirizzo politico, in quanto rimanda a successivi atti amministrativi, in tal modo rinviando la valutazione dei presupposti di legge cui l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 condiziona la non operatività della demolizione.


RITENUTO IN FATTO

        1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza dell’8 novembre 2022, con cui la Corte di appello di Napoli, in accoglimento della richiesta del Sindaco del Comune di Vico Equense, ha revocato l’ordine di demolizione impartito con la sentenza emessa nei confronti di Serafina De Simone, deceduta nel 2007, dalla Corte di appello con sentenza del 1° giugno 2000, irrevocabile il 21 marzo 2001.
        2. Il ricorso è affidato a tre motivi.
        Con il primo, è stata dedotta l’inosservanza degli art. 117 comma 3 Cost. e 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001, a seguito dell’applicazione dell’art. 1, comma 65, della legge regionale della Campania n. 5 del 2013, censurandosi la legittimità costituzionale di quest’ultima norma, di cui ha fatto diretta applicazione la Corte di appello, ritenendo in forza di essa l’atto amministrativo impugnato idoneo a paralizzare gli effetti dell’ordine di demolizione.
L’art. 1, comma 65, della legge regionale della Campania n. 5 del 2013 prevede infatti che gli immobili acquisiti al patrimonio comunale possono essere destinati prioritariamente ad alloggi di edilizia residenziale pubblica e sociale e che i Comuni stabiliscono i criteri di assegnazione a coloro che, al tempo della acquisizione, occupavano il cespite, previa verifica che gli stessi non dispongono di altra idonea soluzione abitativa, avendo la Regione Campania legiferato in materia anche con l’art. 2, comma 2, della legge regionale n. 19 del 2017, che riconosce ampi poteri ai Comuni nel dettare parametri e criteri generali di valutazione del prevalente interesse pubblico rispetto alla demolizione degli immobili abusivi; tale disposizione è stata però dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 140 del 5 luglio 2018, con cui la Consulta ha evidenziato che tale norma realizza, nella sostanza, un effetto analogo a quello di un condono edilizio straordinario, in quanto consente che immobili abusivi siano regolarizzati e assegnati agli autori degli abusi medesimi, mentre in realtà l’art. 31 comma 5 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che l’opera abusiva, una volta entrata nel patrimonio del Comune, di regola deve essere demolita, potendo essere conservata solo in via eccezionale e all’esito di una valutazione caso per caso.
Dunque, ove non si ritenga la declaratoria di incostituzionalità riferibile anche all’art. 1, comma 65, della legge regionale n. 5 del 2013, che contiene una espressione molto simile a quella dichiarata incostituzionale, con l’unica differenza che nella disposizione del 2013 l’assegnazione degli immobili agli occupanti è subordinata all’obbligo di verifica che gli stessi non dispongano di altra soluzione abitativa, si chiede di disporre l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del procedimento in esame, stante il contrasto della legge regionale con l’art. 117, comma 2 lett. s), Cost.
         Con il secondo motivo, è stata eccepita la violazione dell’art. 31, commi 5 e 9, del d.P.R. n. 380 del 2001, rilevandosi che, indipendentemente dalla attuale vigenza dell’art. 1, comma 65, della legge regionale n. 5 del 2013, la Corte di appello avrebbe violato la predetta norma del Testo Unico dell’edilizia, secondo cui l’immobile abusivo va demolito, salvo che non intervenga una delibera consiliare che dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici incompatibili con la demolizione, dovendo tale incompatibilità essere effettiva e attuale, e non futura ed eventuale, come avvenuto nel caso di specie, non essendo consentito paralizzare in modo indefinito il ripristino dell’assetto urbanistico violato.
Nella vicenda in esame, è mancata la verifica delle motivazioni che hanno giustificato la scelta, di cui si ribadisce la natura eccezionale, di destinare a fini pubblici proprio l’immobile de quo, non potendosi sottacere che tale bene è stato acquisito definitivamente al patrimonio comunale sin dal 9 luglio 2002 e che solo il 13 maggio 2021 il Comune di Vico Equense, nell’imminenza dell’inizio delle attività di demolizione, è intervenuto, dopo aver consentito agli esecutori dell’abuso, per oltre 20 anni, di conservare e utilizzare il predetto immobile.
         Con il terzo motivo, infine, il Procuratore ricorrente deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui ha escluso la rilevanza della questione di costituzionalità dell’art. 1, comma 65, della legge regionale n. 5 del 2013, in ragione della sopravvenienza della legge n. 25 del 28 marzo 2022.
Il richiamo generico dell’intero articolato normativo non consente infatti di valutare in che modo le disposizioni contenute in tale atto possano incidere sulla norma specifica di matrice regionale, apprezzandosi l’illogicità anche nella parte in cui il giudice, informato della pendenza della medesima questione sollevata in un caso simile (se non perfettamente sovrapponibile, trattandosi anche dello stesso Comune), ha omesso di individuare la norma superveniens incidente sulla legge regionale sospetta di incostituzionalità per farne diretta applicazione nel caso di specie; il giudice, infatti, avrebbe dovuto coerentemente escludere la applicazione della norma regionale richiamata in delibera e applicare la nuova normativa ritenuta idonea a superare le censure di costituzionalità già sollevate.
La motivazione sarebbe inoltre carente nella misura in cui omette, in concreto, di valutare tutti gli elementi da tenere in conto ai fini della valutazione della sussistenza di un interesse pubblico prevalente, impeditivo della demolizione, e della identificazione di quest’interesse in quello della destinazione dell’immobile a edilizia residenziale, essendosi la Corte di appello limitata a recepire in maniera acritica la delibera attestante l’esistenza di un generico interesse di destinare il bene a scopi residenziali, valorizzando esclusivamente il dato formale dell’assunzione della delibera, senza alcuna valutazione in concreto circa il bilanciamento con il contrapposto interesse al ripristino della legalità violata.
In ogni caso, trattandosi di un immobile completamente abusivo, non edificato in base a un regolare progetto per l’utilizzo del conglomerato cementizio armato e in zona sismica, occorreva accertare l’esistenza delle condizioni di un collaudo statico e sismico ai sensi dell’art. 25 comma 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, non risultando pertinente il richiamo alle valutazioni fatte dall’Ufficio tecnico, in quanto nella stessa delibera si dava specifico mandato all’Ufficio tecnico di procedere agli adempimenti concernenti la staticità e la rispondenza alle norme sismiche, imprescindibili per la futura assegnazione ai medesimi occupanti o a terzi, a ciò aggiungendosi che, trattandosi di bene edificata in zona soggetta a vincolo paesaggistico, per la parte relativa alla tutela del paesaggio, l’istruttoria risulta carente del parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.
        3. Con memoria trasmessa il 10 marzo 2023, il difensore del Comune di Vico Equense ha chiesto di dichiarare inammissibile o di rigettare il ricorso, evidenziando che la delibera consiliare in questione esprime chiaramente, nel dispositivo finale, la volontà dell’amministrazione di dichiarare, come in effetti avvenuto, “la prevalenza dell’interesse pubblico, concreto e attuale, ai sensi dell’art. 31, comma 5 D.P.R. 380/2001, dell’immobile sito in questo Comune alla via Piazza Seiano n. 27, loc. Seiano, identificato catastalmente al foglio di mappa n. 16, particella n. 1370, subalterno n. 2, già acquisito al Patrimonio Comunale, con Provvedimento/Dichiarazione prot. n. 15493 del 09/07/2002 al mantenimento dello stesso in luogo della sua demolizione, con destinazione residenziale certa, concreta ed effettiva di housing sociale, secondo quanto disposto dall’art. 1 comma 65 della L.R. n. 5/2013”. Le ragioni poste a base di tale delibera, costituente causa di incompatibilità con l’esecuzione dell’ordine giudiziale di demolizione, confermerebbero, dunque l’esclusiva natura pubblica dell’interesse realmente perseguito che sottende l’esigenza (meritevole di tutela) di favorire l’edilizia residenziale sociale (e non già “il soggetto condannato alla demolizione”, nemmeno menzionato nell’atto). Del resto, secondo la difesa dell’ente comunale, non può sostenersi che la destinazione di un immobile ad edilizia residenziale sociale non sia riconducibile a un’attività di natura pubblicistica, ricompresa nella nozione di “servizio pubblico locale rivolto alla produzione di beni e utilità per obiettive esigenze sociali”, tale intendendosi, secondo gli art. 16 e 86 del Trattato F.U.E., un servizio di interesse economico generale che viene a svolgere una funzione essenziale nell’ambito della costituzione economica di tutti i Paesi membri, rivolto all’utenza e capace di soddisfare interessi collettivi, garantendo una redditività. La finalità del social housing, chiara espressione di discrezionalità amministrativa, è infatti quella di migliorare la condizione delle persone disagiate in quanto impossibilitate a sostenere un affitto di mercato, favorendo la formazione di un contesto abitativo e sociale dignitoso, all’interno del quale sia possibile non solo accedere ad un alloggio adeguato, ma anche a relazioni umane ricche e significative.
È proprio in questo contesto socio-economico che trova collocazione in Campania la legge regionale n. 5 del 2013, che all’articolo 1, comma 65, si propone, appunto, di “favorire il raggiungimento degli obiettivi di cui all’articolo 7 della legge regionale 28/12/2009, n. 19 (...)” mediante il recupero e l’utilizzo “degli immobili acquisiti al patrimonio dei comuni quali alloggi di edilizia residenziale pubblica e di edilizia residenziale sociale, in base alla legge 22/10/1971, n. 865”.
D’altronde, la destinazione degli immobili abusivi alle finalità stabilite dall’articolo 1, comma 65, della legge regionale n. 5 del 2013 è stata ritenuta legittima sia dalla giurisprudenza amministrativa che da quella penale. Tale disposizione, ad oggi, è peraltro pienamente vigente, tanto più se sì considera che, con la recentissima sentenza n. 7 del 27 gennaio 2023, la stessa Corte costituzionale ha definito, con pronuncia di inammissibilità, la questione di legittimità sollevata dalla Corte di Appello di Napoli e anche dal Procuratore generale ricorrente in relazione all’art. 1, comma 65, della citata legge regionale n. 5 del 2013.
In definitiva, sulla base della motivazione adottata dal Comune in osservanza del “principio del giusto procedimento”, il provvedimento dell’organo collegiale presenterebbe tutti i requisiti di regolarità formale e sostanziale, essendo obiettivamente finalizzato a garantire la tutela del pubblico interesse.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso del Procuratore generale è fondato.
1. Prima di soffermarsi sulle censure articolate nel ricorso, peraltro suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, si impone una breve sintesi delle principali tappe della vicenda procedimentale.
Dunque, come emerge dall’ordinanza impugnata, Serafina De Simone, con sentenza divenuta irrevocabile il 21 marzo 2001, veniva condannata in merito al compimento di abusi edilizi commessi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico in relazione all’edificazione di un manufatto di dimensioni di 10,60 mt. x 8,60 mt. x 3 mt. di altezza, sito nel territorio del Comune di Vico Equense, manufatto di cui veniva disposta la demolizione con la sentenza di condanna.
A seguito della notifica dell’ingiunzione a demolire, il Comune di Vico Equense, quale terzo interessato, proponeva dinanzi alla Corte di appello di Napoli incidente di esecuzione volto a ottenere la revoca dell’ordine di demolizione.
A tal fine l’Ente rappresentava che, con delibera del 13 maggio 2021, il Consiglio Comunale di Vico Equense aveva dichiarato il prevalente interesse pubblico all’acquisizione del manufatto al patrimonio comunale ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, anche al fine di poter valutare l’opportunità di mantenimento dell’immobile realizzato in assenza del titolo abilitativo, demandando all’Ufficio Tecnico comunale di procedere alla valutazione dell’inesistenza di un contrario rilevante interesse urbanistico e paesaggistico e di verificare la compatibilità dell’opera con la normativa in tema di sicurezza geologica e idrogeologica, esprimendo la volontà di destinare gli immobili acquisiti al patrimonio comunale ad housing sociale per quelli a destinazione residenziale, o all’assegnazione in locazione, o alla dismissione immobiliare.
La delibera richiamava inoltre espressamente quanto disposto dall’art. 1 comma 65 della legge della Regione Campania n. 5 del 2013, secondo cui gli immobili acquisiti al patrimonio dei Comuni possono essere destinati prioritariamente ad alloggi di edilizia residenziale pubblica e di edilizia residenziale sociale, stabilendo gli stessi Comuni i criteri di assegnazione degli immobili riconoscendo prevalenza a coloro che, al tempo dell’acquisizione, occupavano il cespite, previa verifica che gli stessi non disponessero di altra idonea soluzione abitativa.
Ciò premesso, la Corte di appello ha revocato l’ordine di demolizione, ritenendo la delibera non carente nella motivazione e corretta dal punto di vista procedurale, in quanto preceduta da ampio dibattito prima di essere approvata all’unanimità ed essendo stato constatato, tramite la commissione locale per il paesaggio, che non sussistono particolari interessi ambientali da tutelare, non contrastando l’immobile, sottoposto alla strada, con visuali panoramiche.
A ciò è stato aggiunto che è del tutto indimostrato che l’amministrazione comunale abbia tutelato “interessi privati”, tanto più ove si consideri che in data 21 giugno 2022 è stato eseguito lo sgombero dell’immobile da persone e cose. Né è stato ritenuto indicativo di uno sviamento di potere il fatto che la delibera comunale sia stata adottata in epoca prossima alle attività di demolizione, essendo evidente che il Comune aveva interesse ad acquisire l’immobile prima che venisse demolito, avendo infine la Corte di appello precisato che, alla data della sua decisione, la legge regionale n. 5 del 2013 non è stata dichiarata incostituzionale, non essendovi i presupposti per promuovere la questione di legittimità costituzionale avuto riguardo alla normativa sopravvenuta, ovvero della legge n. 25 del 2022, di conversione del decreto legge n. 4 del 2022, in ordine alla destinazione degli immobili acquisiti al patrimonio del Comune.
       2. Orbene, ritiene il Collegio che l’ordinanza impugnata non si sottrae alle censure sollevate nel ricorso del Procuratore generale.
Al riguardo occorre premettere che, in una vicenda simile a quella per cui si procede, questa Corte (Sez. 3, n. 38749 del 09/07/2018, non mass.) ha già affermato il condiviso principio secondo cui “sottraendo l’opera abusiva al suo normale destino di demolizione previsto per legge, la delibera comunale che dichiara l’esistenza di un interesse pubblico prevalente sul ripristino dell’assetto urbanistico violato non può fondarsi su valutazioni di carattere generale o riguardanti genericamente più edifici, ma deve dare conto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta di conservazione del singolo manufatto, precisamente individuato, dovendosi ulteriormente precisare come non possano sopperire all’esigenza di una specifica determinazione meri richiami a disposizioni normative, ad altri provvedimenti o a valutazioni di ordine economico, inerenti al costo delle spese di demolizione, in quanto la natura eccezionale della deliberazione richiede che il mantenimento dell'opera abusiva sia giustificato dalla sussistenza di esigenze specifiche, individuate sulla base di dati obiettivi riferiti al singolo caso all’esito di adeguata istruttoria”.
Tale impostazione è del resto coerente con l’indirizzo ermeneutico di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 9098 del 15/01/2021, Rv. 281478 e Sez. 3, n. 12529 del 14/01/2022, non mass.), secondo cui, in tema di reati edilizi, in presenza di una delibera comunale che dichiari la sussistenza di prevalenti interessi pubblici all’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio del Comune e alla destinazione ad alloggi per edilizia residenziale, ostativi all’esecuzione dell’ordine giurisdizionale di demolizione, il sindacato del giudice dell’esecuzione sull’atto amministrativo, concernendo il carattere attuale e non meramente eventuale di detto interesse, può avere a oggetto l’esistenza di approfondimenti tecnico-amministrativi inerenti l’immobile che siano indice del fondamento e della specificità della decisione dell’organo comunale, in linea con il necessario coordinamento tra funzioni dell’organo comunale collegiale e valutazioni tecnico amministrative; con la richiamata sentenza n. 9098 del 2021, è stato altresì ribadito che, ai fini della incompatibilità dell’esecuzione dell’ordinanza di demolizione con la delibera consiliare dichiarativa dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto al ripristino dell’assetto urbanistico violato, il provvedimento amministrativo presuppone che tale evenienza sia attuale e non meramente eventuale, non essendo consentito interrompere l’esecuzione penale per un tempo non definito e non prevedibile (cfr. anche Sez. 3 n. 41339, del 06/11/2008, non mass.). È stato così affermato, in continuità con un consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 11419 del 29/01/2013 Rv. 254421) che è generico il mero riferimento a una destinazione di interesse pubblico, atteso che non può giustificarsi l’interesse concreto al mantenimento dell’opera abusiva nel caso in cui, di fatto, la delibera costituisce, sostanzialmente, un atto di indirizzo politico, in quanto rimanda a successivi atti amministrativi, in tal modo rinviando la valutazione dei presupposti di legge cui l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 condiziona la non operatività della demolizione.
        3. Alla stregua di tali premesse interpretative, si impone l’annullamento con rinvio della decisione impugnata, posto che la Corte di appello si è limitata a prendere atto della delibera consiliare, senza esaminarne approfonditamente il contenuto, soprattutto rispetto a due profili: l’indicazione delle esigenze da salvaguardare mediante la sottrazione dell’immobile alla demolizione e la completezza dell’istruttoria rispetto allo status giuridico del manufatto de quo.
Sotto quest’ultimo aspetto, non può sottacersi che, come si evince dalla stessa ordinanza impugnata, la delibera consiliare demanda all’Ufficio Tecnico Comunale di procedere alla valutazione dell’inesistenza di un contrario rilevante interesse urbanistico e paesaggistico e di verificare la compatibilità dell’opera con la normativa in tema di sicurezza geologica e idrogeologica, ma è evidente che tale accertamento, per la sua pregnanza, deve necessariamente precedere e non seguire la valutazione sull’eventuale mantenimento dell’opera abusiva.
Quanto al primo profilo, non risulta ben chiaro in cosa consista il “prevalente interesse pubblico” rispetto alla demolizione del manufatto, risultando del tutto generico il riferimento a iniziative di housing sociale, anche perché prospettate come alternative rispetto alla dismissione immobiliare o all’assegnazione in locazione, risultando cioè la delibera, per come sintetizzata nell’ordinanza gravata, sorretta non da finalità specifiche, ma da mere dichiarazioni di intenti.
In tale contesto, la questione della persistente legittimità costituzionale della legge regionale n. 5 del 2013 è destinata a rimanere sullo sfondo, atteso che, pur nella prospettiva della vigenza di tale legge, la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta oggettivamente carente rispetto alla valutazione dei presupposti di legittimità della delibera consiliare, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 3, n. 30170 del 24/05/2017, Rv. 270253) che la verifica dell’esistenza di criticità in relazione all’attualità e alla concretezza dell’interesse pubblico perseguito non incide di per sé sull’esplicazione del potere discrezionale dell’Amministrazione, ma piuttosto risponde all’obbligo del giudice penale di sindacare l’effettivo rispetto dei requisiti obiettivi della delibera comunale e dunque la sussistenza delle prevalenze esigenze pubbliche, avendo natura eccezionale l’ipotesi in cui intervenga una delibera comunale che dichiari l’esistenza di un interesse pubblico prevalente sul ripristino dell’assetto urbanistico violato.
Del resto, come già chiarito da questa Corte in un’altra vicenda non dissimile da quella per cui si procede ((Sez. 3, n. 15313 del 05.03.2020, non mass., relativo a un caso in cui il Comune di Cardito, con delibere assunte dal Consiglio comunale, aveva dichiarato l'esistenza di prevalenti interessi pubblici alla conservazione del manufatto abusivo perché da destinarsi a housing sociale), la facoltà riconosciuta ai Comuni di non demolire le opere abusive acquisite al patrimonio comunale deve implicare un’analisi puntuale delle caratteristiche di ognuna di esse, rispettosa dei canoni individuati dalla legge statale, che sola può garantire uniformità sull’intero territorio nazionale; al riguardo deve inoltre ricordarsi che, con sentenza n. 140 del 2018, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge della Regione Campania n. 19 del 2017 (Misure di semplificazione e linee guida di supporto ai Comuni in materia di governo del territorio), sottolineando il disallineamento della disciplina regionale rispetto al principio fondamentale della legislazione statale, ovvero quello che individua nella demolizione l’esito “normale” della edificazione di immobili abusivi acquisiti al patrimonio dei comuni, finisce con intaccare e al tempo stesso sminuire l’efficacia anche deterrente del regime sanzionatorio dettato dallo Stato all’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, incentrato, come detto, sulla demolizione dell’opera abusiva, la cui funzione essenzialmente ripristinatoria non ne esclude l’incidenza negativa nella sfera del responsabile; di qui la violazione del principio fondamentale espresso dai commi da 3 a 6 dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Ora, non può negarsi che le conclusioni cui è pervenuta la Consulta rendono quantomeno dubbia la persistente vigenza nell’ordinamento della legge regionale n. 5 del 2013, il cui art. 1 comma 65 individua le finalità cui possono essere destinati gli immobili acquisiti al patrimonio comunale, tra cui appunto l’edilizia residenziale pubblica, e ciò a prescindere dall’impugnativa formale della legge, stante la .valenza sostanziale del principi affermati con la sentenza n. 140 del 2018 riferita alla successiva legge regionale n. 19 del 2017, avente una disciplina per molti versi analoga a quella della legge del 5 del 2013, che invero prevede però la verifica aggiuntiva che i soggetti che occupano il cespite non dispongano di una idonea soluzione abitativa. Ma, come detto, si tratta di un aspetto che nella vicenda in esame assume carattere residuale, non solo perché il tema della eventuale assegnazione del manufatto a singoli soggetti non risulta sia stato proprio affrontato nella delibera in esame, il che incide sulla effettiva rilevanza del provvedimento impugnato, ma anche e soprattutto perché, pur a voler ritenere ancora vigente la legge regionale n. 5 del 2013, resta assorbente il fatto che non state specificate dalla Corte di appello le ragioni per le quali la delibera consiliare abbia inteso conservare piuttosto che demolire l’opera abusiva, trattandosi di una decisione meritevole, per la sua eccezionalità, di adeguata spiegazione, a ciò aggiungendosi l’ulteriore e non secondario rilievo circa l’omessa verifica della completezza dell’istruttoria sulla eventuale presenza di eventuali interessi urbanistici e paesaggistici confliggenti e sulla compatibilità dell’opera con la normativa in tema di sicurezza geologica e idrogeologica.
      4. Pertanto, in accoglimento del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello e in sintonia con le conclusioni del Procuratore generale presso questa Corte, il provvedimento impugnato deve essere annullato, con rinvio alla Corte di appello per nuovo giudizio, da compiere alla stregua delle coordinate interpretative prima richiamate in ordine al tema del rapporto tra esecuzione degli ordini di demolizione e delibere comunali che dichiarino l’esistenza di un interesse pubblico prevalente sul ripristino dell’assetto urbanistico violato.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.
Così deciso il 15/03/2023