TAR Sardegna Sez. II n. 11 del 8 gennaio 2019
Beni culturali.Stato di degrado del bene e dichiarazione di interesse

Lo stato di degrado di un bene non impedisce la dichiarazione di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. Ben potendo il manufatto, ancorché in condizioni precarie, essere oggetto di tutela storico-artistica, sia per i valori che ancora presenta, sia per evitarne l’ulteriore degrado, restando rimesso all’apprezzamento discrezionale della competente Amministrazione la valutazione dell’idoneità delle “rimanenze” ad esprimere il valore che si intende tutelare


Pubblicato il 08/01/2019

N. 00011/2019 REG.PROV.COLL.

N. 00047/2018 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 47 del 2018, proposto da
SICOT SOCIETÀ ITALIANA COSTRUZIONI TECNOLOGICHE S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Benedetto Ballero, Stefano Ballero, Nicola Melis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Benedetto Ballero in Cagliari, corso Vittorio Emanuele 76;

contro

MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITA' CULTURALI E DEL TURISMO, COMMISSIONE REGIONALE PER IL PATRIMONIO CULTURALE DELLA SARDEGNA,
SEGRETARIATO REGIONALE DEL MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO PER LA SARDEGNA, SOPRINTENDENZA BELLE ARTI E PAESAGGIO CITTÀ METROPOLITANA DI CAGLIARI E PROVINCE DI ORISTANO E SUD SARDEGNA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale, domiciliata ex lege in Cagliari, via Dante 23/25;

per l'annullamento

- del Decreto n. 133 del 13.11.2017 emesso dal Segretario regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la Sardegna, nonché Presidente della Commissione Regionale per il patrimonio culturale della Sardegna, di seguito notificato, con il quale l' IMMOBILE denominato “Immobile in via Satta civ. 19” È STATO DICHIARATO DI INTERESSE CULTURALE STORICO ARTISTICO ai sensi dell'art. 10, comma 3 lett. a) e 13 del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42;

- del verbale del 10 novembre 2017 della Commissione Regionale per il patrimonio culturale della Sardegna con il quale viene approvata la proposta della Soprintendenza di vincolare l'immobile in via Satta civ .19 ;

-della “RELAZIONE STORICO ARTISTICA” redatta dalla Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Cagliari e le Province di Oristano e Sud Sardegna allegata al Decreto n. 133 del 13.11.2017;

- della nota prot. n. 22933 del 7.11.2017 con la quale la Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Cagliari e le Province di Oristano e Sud Sardegna ha proposto il riconoscimento dell'interesse culturale ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004 dell'Immobile sito in Via Satta n. 19 ;

- ove e per quanto occorrer possa della nota prot. 13172 del 22.6.2017 con la quale è stata ordinata L'INIBIZIONE E/O SOSPENSIONE DEI LAVORI ex art. 28, c.2, del D.lgs n.42/04;

- di tutti gli altri atti, connessi e presupposti, richiamati negli atti suindicati.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dei Beni e delle Attivita' Culturali e del Turismo e di Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale della Sardegna;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2018 la dott.ssa Grazia Flaim e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

In data 26.11.2014, con DUUAP la società SICOT presentò presso il SUAP del Comune di Cagliari istanza di autorizzazione alla “DEMOLIZIONE E RICOSTRUZIONE” di un immobile a destinazione residenziale sito in via Satta 19 a Cagliari. Con un progetto adeguato rispetto a quello precedentemente presentato nel giugno 2014, con DUUAP, che era stato ritenuto difforme per la mancanza di continuità dei prospetti (oltre che per il mancato coinvolgimento, per la demolizione, di tutto il lotto urbanistico, condizione ritenuta illegittima in sede di impugnativa al Tar, con ordinanza n. 294/2014).

Con la Determinazione n. 946/2016 del 3.2.2016 del Dirigente del Servizio SUAP l’istanza è stata accolta , dopo la valutazione positiva da parte della Conferenza di Servizi, alla quale ha partecipato anche la Soprintendenza Archeologica.

In data 22.6.2017 la Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Cagliari e le Province di Oristano e Sud Sardegna ha compiuto un sopraluogo ispettivo e, in considerazione dello stato e delle caratteristiche dell’immobile il Soprintendente ha disposto ed ordinato (nota prot. 13172 del 22.6.2017) l’ inibizione e/o la sospensione dei lavori, ex art. 28, comma 2, del D.lgs n.42/2004.

In data 25.7.2017 la Soprintendenza ABAP ha comunicato alla società (con nota prot. 15367) l’avvio del procedimento di riconoscimento del notevole interesse storico artistico dell’immobile ex art. 10, comma 3 lett. a), artt. 13 e 14 del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42.

Con nota prot. n. 22933 del 7.11.2017 la Soprintendenza ha proposto il riconoscimento dell’ “interesse culturale” ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004 dell’immobile.

Con Decreto n. 133 del 13.11.2017 la Commissione Regionale per il patrimonio culturale della Sardegna ha dichiarato l’ immobile di Via Satta civ. 19 di “interesse culturale storico artistico” ai sensi dell’art. 10, comma 3 lett. a) e 13 del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 4, che ammettono di vincolare “le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante”.

Con ricorso depositato il 24.1.2018, munito di istanza cautelare, la società proprietaria dell’immobile ha impugnato tutti gli atti lesivi, in epigrafe indicati, chiedendo il loro annullamento, formulando le seguenti censure:

1)violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 3 lett. a) e 13 del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 4; eccesso di potere per motivazione perplessa, contraddittoria e insufficiente; sviamento;

sotto un triplice profilo

a) insussistenza di “ibridazione”, quale ragione posta a fondamento del vincolo;

b) edificio non unico, ma simile a molti altri del periodo.

c) condizioni di conservazione dell’immobile non adeguatamente valutate (impossibilità di recupero);

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del DPCM del 29 agosto 2014, n. 171; eccesso di potere per motivazione perplessa, contraddittoria e insufficiente.

Sono state depositate in giudizio due relazioni di parte: architettonica , redatta dall’arch. Lai, e tecnica dell’ing. Mossone del 9.2.2018.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione sostenendo, preliminarmente , che le censure sarebbero inammissibili in quanto dirette, nella sostanza, a sindacare il merito delle valutazioni espresse dall’organo tecnico a ciò deputato.

In ogni caso è stato chiesto il rigetto, nel merito, in quanto la Sovrintendenza e la Commissione hanno agito formulando un giudizio di vincolo , sulla base di un’analisi congrua e motivata della struttura, effettivamente esistente , manifestando l’interesse pubblico alla sua conservazione e recupero, impedendo la sua prospettata demolizione.

Nella Camera di consiglio del 14.2.2018 l’istanza cautelare è stata riunita al merito, con fissazione del ricorso all’ udienza pubblica del 12 dicembre 2018.

In sede di replica parte ricorrente ha contestato le difese svolte dalla difesa pubblica.

All’udienza del 12 dicembre 2018 la causa, dopo discussione, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

RITO.

L’eccezione formulata dell’Avvocatura, che ritiene il ricorso caratterizzato da “rivalutazione nel merito” del provvedimento non può essere condivisa .

Il ricorso è ammissibile in quanto è diretto alla verifica della sussistenza dei presupposti tecnico-giuridici per l’imposizione del vincolo artistico-architettonico.

Con possibilità di analisi e riscontro delle valutazioni compiute dalla Sovrintendenza in riferimento alla corrispondenza (sulla base della Relazione tecnica) degli elementi idonei e meritevoli di tutela.

Non, dunque, un sindacato “interno”, bensì “esterno” , ammissibile, come tale, da parte dell’autorità giudiziaria.

La giurisprudenza si è espressa, in materia, in modo consolidato, esplicando principi che possono essere utilizzati anche nel caso di specie (CS VI 14.10.2015 n. 4747):

“ In linea di diritto, il giudizio, che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale, è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecnico - scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari (della storia, dell’arte e dell’architettura) caratterizzati da ampi margini di opinabilità. Ne consegue che l’apprezzamento compiuto dall’Amministrazione preposta alla tutela – da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 Cost. – è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile. In altri termini, la valutazione in ordine all’esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) particolarmente importante, tale da giustificare l’imposizione del relativo vincolo ai sensi degli artt. 13, comma 1, e 10, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004, è prerogativa esclusiva dell’Amministrazione preposta alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l’inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta(v., in tale senso, la giurisprudenza consolidata di questa Sezione: ex plurimis, le sentenze n. 1000/2015, n. 3360/2014, n. 2019/2014 e n. 1557/2014).

*

MERITO.

La Sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, dopo aver effettuato sopralluogo e analizzato il progetto (autorizzato dal Comune di Cagliari), ed esperito l’iter previsto per legge, ha ritenuto che le “caratteristiche e le condizioni attuali” della palazzina di Via Satta 19 fossero tali da meritare di tutela, con imposizione del vincolo per la “conservazione” della struttura , ammettendo cioè il suo recupero , ma non il suo totale abbattimento (come era stato progettato e già autorizzato).

In particolare ritenendo che l’immobile costituisce una importante testimonianza storico-urbanistica

Il provvedimento finale impugnato trova adeguata motivazione, per relationem, nella relazione storico-artistica della Soprintendenza, che è stata richiamata e allegata al decreto di tutela, quale parte integrante, e che sorregge, dal punto di vista tecnico quali sono state le ragioni che hanno ritenuto necessario l’imposizione del vincolo . E ciò all’esito di una adeguata istruttoria.

La “forza” e ragione dell’imposizione del vincolo si rinviene nella dettagliata ed articolata Relazione redatta dalla Sovrintendenza (che è stata poi richiamata per relationem, con piena condivisione sia in sede di verbale della Commissione regionale 10.11.2017, sia in sede di decreto del Presidente della Commissione).

Relazione importante ed approfondita composta , complessivamente, di 24 pagine, le prime 5 descrittive e valutative , le successive dedicate alla documentazione fotografica e cartografica.

L ’istruttoria che emerge e la disamina tecnico-scientifica-ambientale è stata tutt’altro che superficiale o contraddittoria .

E’ opportuno riportare quelle che sono state le “conclusioni” precisate nella Relazione, in modo da rapportarle poi alle censure sviluppate in ricorso.

“Si ritiene quindi che il villino di Via Satta 19 sia meritevole di motivata proposta di dichiarazione di particolare interesse culturale in quanto, trattasi di un fabbricato residenziale isolato nel lotto, risalente ai primi decenni del 1900, e COSTITUENTE UN ESEMPIO DELL’EDILIZIA PROMOSSA DALLA BORGHESIA COMMERCIALE, EMERGENTE NELLA SOCIETÀ CAGLIARITANA DI INIZIO SECOLO, in analogia ai palazzi storici delle antiche famiglie nobiliari. IL FABBRICATO MOSTRA INFATTI UNA FACCIATA CHE ALLUDE ALLE ARCHITETTURE NEOCLASSICHE DEL CIMA E DEI SUOI EMULI, ampiamente presenti nelle vie di Castello, delle quali ricalca gli elementi stilistici ricercandone la rappresentatività e, indirettamente, il riconoscimento sociale. Analogamente, gli spazi interni e le finiture manifestano la ricerca di decoro e prestigio con l’utilizzo di elementi in ferro battuto e pitture murali a tempera. Rispetto all’edilizia coeva e limitrofa, strutturata prevalentemente sul modello del “palazzo”, l’edificio propone una mediazione con la tipologia del “villino”, producendo un originale ibridazione che testimonia il passaggio ad un diverso modo di intendere l’abitare.

L’edificio in esame, oggi circondato da un tessuto fortemente modificato e sostituito, racconta l’epoca dell’espansione della città fuori dalla cinta muraria e rappresenta un tassello superstite, pressoché unico, di una struttura urbana ormai scomparsa e pertanto meritevole di conservazione e trasmissione al futuro.

Tali prerogative trovano inoltre nel villino in esame un particolare grado di conservazione e nitidezza grazie ai ridottissimi interventi di trasformazione o modifica ed alla pressoché totale leggibilità dell'edificio originario.”

*

Primo motivo.

Innanzitutto non sussiste contraddittorietà con precedenti atti (censura contenuta nel primo motivo), in quanto la Soprintendenza Archeologica di Cagliari (nell’ambito del, diverso, procedimento del SUAP del Comune di Cagliari, conclusosi con la determinazione n. 946/2016), è stata chiamata ad esprimersi ai sensi dell’art. 66 delle NTA del PUC di Cagliari “nei limiti della materia archeologica”, in quanto il lotto in questione è individuato dal medesimo strumento urbanistico quale area a potenziale alto rischio archeologico.

Il parere favorevole sulle opere esplicato in quella sede dalla Soprintendenza archeologica di Cagliari non può essere riferito ai (differenti) profili di “tutela storico-architettonica” , di competenza esclusiva della Soprintendenza per i beni architettonici, artistici e storici di Cagliari .

Parte ricorrente ritiene, nel merito, che le valutazioni compiute sarebbero illegittime in quanto tre elementi valutati non troverebbero riscontro nella realtà e sarebbero il frutto di un’istruttoria superficiale, erronea e contraddittoria. In particolare vengono criticate le seguenti considerazioni effettuate dalla Sovrintendenza:

a) testimonia “una mediazione con la tipologia del villino, producendo un originale <ibridazione> che testimonia il passaggio ad un diverso modo di intendere l’abitare”;

b)“racconta l’epoca di espansione della città fuori dalla cinta muraria e rappresenta un tassello superstite, pressocchè unico, di una struttura urbana ormai scomparsa”,

c) “particolare grado di conservazione e nitidezza”.

Parte ricorrente contesta il giudizio reso sotto un triplice profilo:

A) insussistenza di “ibridazione”, quale ragione fondamento del vincolo;

B) edificio non unico, ma simile a molti altri del periodo;

C) condizioni di conservazione dell’immobile non adeguatamente valutate (impossibilità di recupero).

La “Relazione storico-urbanistica”, nella parte motiva, si suddivide in 4 parti, analizzando approfonditamente:

1) l’ “inquadramento urbanistico”;

2) le “le vicende storiche e caratteri architettonici del villino”;

3) “l’autore”;

4) “lo stato di conservazione”.

A)

La ricorrente lamenta che la Soprintendenza avrebbe qualificato l’immobile di Via Satta un’ <ibridazione> tra le diverse tipologie edilizie del “Villino” e della “Palazzina”.

Ritenendo che sarebbe stato confuso l’intervento immobiliare: inizialmente realizzazione di un villino, in seguito ampliato e trasformato in un palazzina plurifamiliare.

In realtà dalla Relazione storica allegata al decreto di tutela emerge che la Soprintendenza ha avuto esatta cognizione della situazione di fatto, considerando, correttamente, che il primo progetto, di villino, dell’Ing. Piras (presentato nel 1925 al Comune), non era stato, in concreto, mai realizzato . essendo mutata la volontà della proprietà con variazione della tipologia della costruzione (dal progettato villino, alla creazione di un immobile-palazzo).

Dalla Relazione tecnica allegata al decreto impugnato risulta che è stato esplicitamente considerato che l’immobile (fin dalle prime fasi di esecuzione) è stato modificato in corso d’opera. Ciò emerge dal confronto del primo progetto del 1925 con il Certificato di agibilità rilasciato dal Comune nel 1928.

Il fabbricato è stato realizzato con due piani fuori terra e, poi, con il progetto di variante (approvato dalla Commissione edilizia comunale nel 1929) , ampliato a tre livelli fuori terra.

Lo stile architettonico prescelto è stato quello neorinascimentale (caratteristiche che non erano previste nè nel progetto del 1925, né nel Certificato di agibilità del 1928).

La tipologia edilizia dell’immobile è dunque mutata, durante le sue fasi realizzative, da Villino a Palazzina.

Come correttamente posto in luce dalla difesa erariale l’“ibridazione” a cui fa riferimento la Soprintendenza nella Relazione non si riferisce allo stile architettonico dell’immobile (in nessuna parte si sostiene che possano riconoscersi nell’immobile vincolato i caratteri propri dello stile Liberty), ma alla circostanza che la tipologia edilizia del Villino inizialmente prevista (e prevalente in quell’area in quel momento storico), è stata modificata in corso d’opera, fin dalle primissime fasi della realizzazione dell’edificio, in una tipologia a “Palazzina”.

Il progettista Ing. Piras ed il committente/proprietario Floris erano , inizialmente, intenzionati a realizzare un villino, ma hanno poi mutato tale scelta optando, invece, per una tipologia edilizia, a quei tempi, inconsueta nella zona di San Benedetto in quanto composta da tre piani fuori terra, con vari appartamenti indipendenti, e dotata di un ampio giardino, caratteristica quest’ultima propria dei villini realizzati in quegli anni.

La Relazione storico-artistica allegata al decreto, sul punto, esplicita che:

“Dal confronto tra i disegni di progetto del 1925 e l’aspetto attuale dell’edificio, di fatto coincidente con quello della proposta di ampliamento del 1928, appare evidente come la conformazione delle bucature del piano terra non sia mai stata realizzata in rispondenza alla proposta del 1925, ma siano state configurate già dall’origine con la struttura ad arco (Vedi Fig. 16 e fig. 17 dell’Allegata Documentazione Fotografica). Non sarebbe stato possibile, né ragionevole sul piano economico e costruttivo, introdurre una così significativa variazione strutturale per mera velleità estetica su infissi già conformati ad architrave orizzontale. È quindi probabile che GIÀ DALLE PRIME FASI DELL’EDIFICAZIONE DEL VILLINO IL PROPRIETARIO ED IL PROGETTISTA ABBIANO CONCORDATO UN VIRAGGIO DI STILE, DAL MODERNO DECÒ AD UN PIÙ PRESTIGIOSO NEOCLASSICO RINASCIMENTALE.

La variante quindi prende atto di un mutamento linguistico di fatto già avvenuto nell’edificio reale, ne completa lo sviluppo complessivo su tre livelli ed integra l’assetto distributivo con i due nuovi alloggi al piano secondo.

Se inizialmente si trattava di una casa con tre appartamenti, due al piano terreno (con i gabinetti accessibili solo dal giardino) ed uno padronale al piano primo di ampiezza doppia, dall’agibilità del 1928 risulta un’organizzazione del tutto diversa già dal primo impianto, costituita da un livello scantinato, tuttora presente, dal piano terra suddiviso in soli tre vani, probabilmente adibiti a sgombero e quindi non finiti come appartamenti, e dal piano primo con due appartamenti, uno di 7 ed uno di 4 vani complessivi.

Con la variante del 1929 si addiviene alla soluzione con altri due appartamenti al piano superiore, leggermente asimmetrici per effetto dell’ambiente assiale, composti da 4 e 5 vani utili, oltre al disimpegno ed il servizio igienico.” (cfr. pag. 3/24).

E’ stato , cioè, evidenziato con chiarezza che:

*<Il progetto del villino ha una prima e originaria elaborazione nel 1925, a firma dell’ing. Carlo Piras, e consiste in un immobile di soli due livelli, il piano terra ed il piano rialzato (Figg. 9 e 10). Ciò che colpisce maggiormente è il linguaggio architettonico utilizzato per questa prima versione, che si richiama alle correnti stilistiche del primo ‘900, con dettagli architettonici Decò uniti a linearismi Liberty> (pag. 2/24 sub “vicende storiche e caratteri architettonici del villino”);

* <il progetto del 1929 ha abbandonato il linguaggio “modernista” del Liberty, su probabile indicazione del committente, il progettista propone una veste architettonica neoclassica, di ispirazione neorinascimentale> (pag. 2/24).

Dunque la censura riferita ad una (erronea) valutazione dell’ibridazione come valore da tutelare non trova riscontro.

Le valutazioni che sono state esternate dalla Sovrintendenza ripercorrono lo sviluppo progettuale, variato in corso d’opera, cogliendo le caratteristiche fondamentali della costruzione , come è scaturita dal progetto e dalle sue, importanti, varianti, che si sono succedute.

In modo da consentire la tutela e la conservazione di un immobile che rappresenta una testimonianza storica, meritevole di protezione.

La Relazione, di supporto al vincolo, definisce, con chiarezza, quali sono gli elementi architettonici che sono stati ritenuti meritevoli di considerazione e di conservazione.

*

B)

La società ricorrente sostiene, inoltre, che l’immobile vincolato sarebbe una costruzione del tutto simile ad altri palazzetti (menzionati anche nello stesso provvedimento impugnato), che sono stati realizzati nelle vicinanze, con le medesime caratteristiche, e nello stesso periodo. E da una comparazione dell’edificio in esame con altri immobili situati in zona non emergerebbe l’esistenza di peculiarità tali da rendere ragionevole ed appropriata l’imposizione del regime di tutela, che impedisce la demolizione del palazzo.

Sul punto è stato evidenziato dalla difesa dell’Amministrazione che altri fabbricati (di Via Alghero e di Via Sonnino), situati a circa duecento metri di distanza dall’immobile in oggetto, si trovano in una zona urbana in cui “sono completamente sovrastati e occultati da edifici più recenti e di dimensioni molto maggiori”.

Il primo, sito in Via Alghero, non corrisponderebbe alla tipologia in oggetto, in quanto di stile architettonico differente e privo di lotto di pertinenza, ed è stato completamento nascosto da palazzi molto più alti edificati in aderenza sui prospetti laterali e posteriore.

Il secondo, sito in Via Sonnino, anch’esso di stile diverso e di dimensioni più che doppie in termini volumetrici rispetto all’immobile di Via Satta, si trova anch’esso completamente soffocato dai palazzi circostanti.

Evidenziando che nello spazio urbano tra l’immobile in oggetto e i due fabbricati comparati vi sono decine di edifici alti fino a nove piani i quali hanno completamente sostituito la precedente struttura urbana ed eliminato quelle tipologie edilizie risalenti ai primi decenni del ‘900, quale invece è quella vincolata con il decreto impugnato.

Inoltre l’edificio di Via Satta 19 possiede una caratteristica “propria” in quanto è l’unico palazzetto, nell’ampio circondario, che abbia conservato l’originaria ampiezza del lotto, con il giardino pertinenziale.

Nell’insieme la Soprintendenza ha voluto tutelare l’immobile in quanto rappresentativo di una tipologia urbana ormai quasi scomparsa.

Non ravvisando in un’ampia area intorno all’immobile altre tipologie edilizie simili e riferibili a quella in esame.

C)

In punto di “stato attuale” dell’immobile la società ricorrente formula due critiche alla valutazione compiuta dalla Sovrintendenza:

-a un lato si contesta che l’immobile avrebbe effettivamente mantenuto immutata la struttura e le finiture.

-dall’altro che le condizioni dell’immobile, pesantemente degradate, non consentirebbe la possibilità di recupero della struttura, mantenendo le caratteristiche architettoniche, in modo economicamente sostenibile.

In riferimento a tale censura si richiamano le osservazioni formulate nella Relazione tecnica allegata al decreto di vincolo (sezione “Stato di Conservazione”, pag. 4-5) , ove la Soprintendenza, in relazione allo stato attuale dell’immobile sottoposto a tutela, afferma, che grazie ad alcuni decenni di abbandono, “l'edificio ha MANTENUTO PRESSOCHÉ IMMUTATA LA SUA STRUTTURA E LE FINITURE : sono infatti ORIGINALI GLI INFISSI INTERNI ED ESTERNI, LE PAVIMENTAZIONI, I SOFFITTI CON PITTURE A TEMPERA, LA RINGHIERA IN FERRO BATTUTO DEL VANO SCALA. L’edificio ha di fatto conservato tutti i caratteri e le componenti dell’epoca di realizzazione e costituisce quindi unatestimonianza delle vicende storiche, sociali ed urbanistiche descritte nelle premesse della relazione tecnica allegata al vincolo.

“L’edificio ha di fatto conservato tutti i caratteri e componenti dell’epoca di realizzazione, in quanto il prolungato abbandono ne ha impedito la sostituzione o la modifica”.

Si consideri che , come il Consiglio di Stato ritiene, con consolidato orientamento giurisprudenziale, lo <stato di degrado di un bene> non impedisce la dichiarazione di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. Ben potendo il manufatto, ancorchè in condizioni precarie, essere oggetto di tutela storico-artistica, sia per i valori che ancora presenta, sia per evitarne l’ulteriore degrado, restando rimesso all’apprezzamento discrezionale della competente Amministrazione la valutazione dell’idoneità delle “rimanenze” ad esprimere il valore che si intende tutelare (Cons Stato , parere II sez. Ad. 26.9.2018 n. 2575 del 8.11.2018; sez VI, 14.10.2015 n. 4747 ; 16 luglio 2015, n. 3560; 8 aprile 2015, n. 1779).

E nel caso di specie risulta dalla descrizione compiuta nella Relazione e dalla documentazione fotografica ivi allegata emerge che la struttura e molte finiture si sono conservate, nonostante il degrado per abbandono.

E l’esigenza di tutela è maturata, in questo caso (e si è fatta stringente), quando è stato prospettato un intervento di radicale demolizione.

Si rammenta che il Consiglio di Stato ritiene che “né rileva che il manufatto abbia subito, nel tempo, alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione. È infatti il caso di osservare che la tutela storico-artistica protegge non già un'opera dell'ingegno dell'autore, ma un'oggettiva testimonianza materiale di civiltà la quale, nella sua consistenza effettiva e attuale, ben può risultare da interventi successivi e sedimentati nel tempo, tali da dar luogo ad un manufatto storicamente complesso e comunque diverso da quello originario” (CS parere II n. 2575 del 8.11.2018).

Né è condivisibile la tesi della società ricorrente in riferimento alla ritenuta assoluta impossibilità di recupero dell’immobile , ritenendo che gli interventi manutentivi, necessari a causa del degrado, porterebbero alla perdita definitiva del bene oggetto di tutela.

La Soprintendenza nel valutare la situazione in fatto ha ritenuto, in forza delle specifiche competenze e dei dati d’esperienza , che gli interventi di “recupero” sono tecnicamente realizzabili, senza che il bene oggetto dell’intervento perda le proprie connotazioni di rilevanza storico-culturale.

La consulenza tecnica di parte (CTP) prodotta in giudizio il 9.2.2018 , redatta dall’ing. Mossone , non assume rilevanza dirimente, in quanto il professionista afferma, sostanzialmente, essere preferenziale, secondo una propria valutazione soggettiva, la totale demolizione e ricostruzione del fabbricato. Contemplando , peraltro, gli interventi conservativi (che non vengono esclusi, ma che anzi vengono, nelle conclusioni, elencati) che sarebbero necessari per il consolidamento delle strutture, ritenendo che “anche laddove si volesse comunque provvedere ad un massiccio consolidamento dello stesso, l’operazione sarebbe tale da denaturare completamente le caratteristiche architettoniche in quanto sarebbe irrinunciabile la totale demolizione dei fregi di facciata per fare spazio ad un incremento di spessore murario”.

Dunque compiendo una lettura del “valore” inerente il mantenimento dell’immobile e la sua importanza storica dettata dal “personale convincimento dello scrivente”.

E , sul punto, il giudizio delle diverse Autorità pubbliche coinvolte (Sovrintendenza e Commissione) deve considerarsi espresso, a livello storico-architettonico, con appropriata competenza sviluppata con l’apporto di una pluralità di professionalità, convergenti.

Del resto la logica della proprietà e dei suoi consulenti è principalmente correlata agli aspetti economici attinenti l’intervento ed il recupero funzionale dell’immobile.

Con l’effetto che il giudizio espresso dalla società proprietaria, secondo la quale un massiccio ed invasivo intervento di consolidamento murario verrebbe a snaturare le caratteristiche originarie, non può contrapporsi, con analoga forza, a quello espresso dall’Autorità, che mira a conservare un edificio ancora in grado di mantenere il ruolo e la funzione di testimonianza storica e artistica.

In sostanza le caratteristiche “attuali” dell’immobile, come descritte in Relazione e come emerge dall’ampia documentazione fotografica ivi allegata, posta a fondamento dell’interesse e del vincolo, rende palese e giustificata l’importanza della conservazione del palazzo.

Inoltre il confronto fotografico con il palazzo confinante (frutto di demolizione) rende evidente quale sarebbe la “sostituzione” del modello architettonico.

Come evidenziato nella stessa Relazione (pag. 5/24):

“l’edificio è stato acquistato negli anni recenti da una società immobiliare, la medesima che ha già edificato nel lotto adiacente a seguito della demolizione del villino d’angolo con la Via Alghero, e che intende procedere analogamente per realizzare un edificio speculare al primo e sostitutivo dell’edificio storico, che si prevede verrà quindi demolito” (vedasi simulazione fotografica dell’intervento di demolizione integrale e ricostruzione).

*

Secondo motivo.

Il ricorrente ritiene che la Commissione regionale per il patrimonio culturale ha emanato il decreto n. 133/2017 di vincolo recependo le valutazioni della Relazione, senza svolgere una “autonoma” valutazione istruttoria; con violazione dell’art. 39 del DPCM. n.171/2014 .

Anche questa censura è infondata.

Il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale è disciplinato dall’art. 13 e segg. del D. Lgs. n. 42/2004, che affidano alla Soprintendenza la competenza per lo svolgimento della “fase preliminare ed istruttoria”, per l’adozione della “proposta di vincolo” nonché per “l’avvio del procedimento di dichiarazione”.

L’art. 39 del DPCM n. 171/2014 (Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) assegna la competenza per l’emanazione del provvedimento finale alla “Commissione regionale per il patrimonio culturale” (a composizione mista, ex comma 4°).

In particolare la lett. b) dell’art. 39 dispone che la Commissione “dichiara, su proposta delle competenti Soprintendenze di settore, l'interesse culturale delle cose, a chiunque appartenenti, ai sensi dell'articolo 13 del Codice”.

Nel caso in esame la Commissione regionale ha adottato il decreto n. 133/2017 richiamando gli atti istruttori presupposti ed, in particolare, la proposta di dichiarazione dell’interesse culturale e la “Relazione storico-artistica”.

La Commissione ha ritenuto di condividere la proposta compiuta dalla Soprintendenza, emanando il decreto, con motivazione “per relationem”, consentita ai sensi dell’art. 3 della L. n. 241/1990, in adesione alle valutazioni tecniche compiute e ben esternate nella corposa e dettagliata Relazione.

Considerazioni, articolate e approfondite, fatte proprie e ritenute idonee per sostenere l’imposizione del vincolo, che avrebbe impedito la demolizione dell’edificio, che ancora conserva notevoli caratteristiche meritevoli di essere mantenute.

In sostanza le caratteristiche distintive dell’immobile in oggetto (ben evidenziate nella Relazione) sono state valutate meritevoli di tutela, in quanto rappresentano una testimonianza storico-architettonica del palazzetto.

In conclusione risulta legittima sia l’istruttoria della Sovrintendenza che la decisione finale assunta dalla Commissione, finalizzata ad impedire il rischio attuale e concreto di perdita definitiva del bene e dei suoi valori storico-culturali, meritevoli di conservazione, e che verrebbero azzerati con l’integrale demolizione.

In conclusione il ricorso va respinto , essendo state esplicate nella Relazione le ragioni e le motivazioni, espresse puntualmente ed in modo esaustivo, dell’imposizione della tutela.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono quantificate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Ministero convenuto, di euro 3.000, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Marco Lensi, Presidente

Grazia Flaim, Consigliere, Estensore

Tito Aru, Consigliere