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Sez. 3, Sentenza n. 14377 del 17/03/2005 Cc. (dep. 19/04/2005 ) Rv. 231072
Presidente: Onorato P. Estensore: Sarno G. Relatore: Sarno G. Imputato: P.M. in proc. Veneroso. P.M. Fraticelli M. (Diff.)
(Dichiara inammissibile, Trib.Lib. Roma, 12 Novembre 2004)
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO, STORICO O ARTISTICO NAZIONALE (COSE D'ANTICHITÀ E D'ARTE) - IN GENERE - Reato di cui all'art. 170 D.Lgs. n. 41 del 2004 - Uso illecito di bene culturale - Nozione - Individuazione.

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Massima (Fonte CED Cassazione)

In tema di beni culturali, integra il reato di cui all'art. 170 del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 41 (uso illecito dei beni culturali) l'uso del bene culturale che ne determini la distorsione dal godimento che gli è proprio, ovvero di studio, ricerca o piacere estetico complessivo.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 17/03/2005
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 00395
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 00908/2005
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PUBBLICO MINISTERO PRESSO TRIB. LIBERTÀ di ROMA;
nei confronti di:
VENEROSO PRIMO N. IL 15/06/1933;
avverso ORDINANZA del 12/11/2004 TRIB. LIBERTÀ di ROMA;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. SARNO GIULIO;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. Fraticelli Mario che ha chiesto l'annullamento con rinvio;
È presente l'avv. CASELLATO Mario di Roma;
OSSERVA
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha proposto ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza del tribunale del riesame con la quale, in data 5.10.2005, veniva annullato il decreto di sequestro preventivo della collezione di reperti archeologia emesso nei confronti di Primo Veneroso adducendo, con mot vo unico, l'erronea applicazione degli articoli 322 e 324 c.p.p.. Il Tribunale, infatti, secondo Procuratore ricorrente, senza disporre integrazioni di sorta, e disponendo di una documentazione necessariamente incompleta, avrebbe inciso sulla contestazione in concreto operata travalicando i limiti del corretto accertamento del fumus del reato.
Il ricorso è inammissibile.
Si impone anzitutto una precisazione in ordine al deposito della documentazione relativa alle indagini in corso.
Questa Corte, al riguardo ha già avuto modo di precisare che, poiché ai fini della valida emissione di un provvedimento di sequestro, non è richiesta la esistenza di indizi di colpevolezza, ma la semplice, astratta configurabilità di un reato in relazione alla condotta ascritta, il mancato deposito - in sede di riesame - degli atti (in parte o nella loro totalità) non comporta, in mancanza di espressa previsione, nullità alcuna; ne' essa sarebbe ravvisabile sotto il profilo della violazione del diritto di difesa. Si è, tuttavia, anche aggiunto che, ai fini del decidere e del motivare, il giudice potrà prendere in considerazione solo gli atti effettivamente depositati, con la conseguenza che, qualora, in base ad essi, egli non sia in grado di verificare la legittimità del provvedimento ablativo, dovrà annullarlo, esponendosi, in caso contrario, a censura per inesistenza della motivazione, per l'ovvia ragione che non è concepibile operazione di motivazione su dati non esaminati (Sez. 5^, n. 698 del 08/02/1999 Rv. 212863). E, dunque, correttamente il giudice del riesame ha effettuato le proprie valutazioni sulla base della documentazione pervenuta, ne', logicamente, possono essere attribuiti al giudice del riesame autonomi poteri istruttori.
Venendo al merito del ricorso a doglianza non appare condivisibile. Il sequestro risulta operato, infatti, in relazione all'art. 170 D.Lvo n. 42/2004 che punisce con l'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da euro 775 a euro 38.734,50 chiunque destina i beni culturali indicati nell'articolo 10 ad uso incompatibile con il loro carattere storico od artistico o pregiudizievole per la loro conservazione o integrità.
Orbene il Tribunale correttamente si è soffermato, al momento del riesame, sulla valutazione del fumus.
Al riguardo ha anzitutto premesso che l'uso incompatibile deve necessariamente inerire ad una valutazione del bene che sia aliena dalla valutazione storico artistica dello stesso e deve sostanziarsi in una distorsione del godimento proprio del bene culturale che è quello di studio, ricerca, piacere estetico complessivo ed ha, poi, escluso, con valutazione di merito, che tale elemento costitutivo del reato fosse esplicitato o emergente dagli atti trasmessi. Quanto al presunto uso illecito, perché pregiudizievole alla conservazione ed integrità del bene, il tribunale ha valutato l'aspetto della allocazione dei beni medesimi, rilevando che la tenuta della collezione era stata autorizzata presso l'abitazione privata.
Per quanto concerne, infine, lo stato della conservazione della collezione, citando le conclusioni dello stesso consulente del PM, ha osservato che esso doveva ritenersi complessivamente buono, aggiungendo anche che, tenuto conto del naturale fisiologico deperimento dei reperti, non poteva ritenersi significativo il danneggiamento di pochissimi pezzi (sei su tremila, circa) o il restauro di alcuni pezzi (34) temporalmente non collocabile, tanto più che non risultava contestata neanche la mancata autorizzazione per il restauro.
L'analisi del tribunale, in quanto incentrata sulla antigiuridicità e sulla offensività della condotta e, quindi, sulla stessa configurabilità astratta del reato, rientra certamente nella valutazione del fumus.
Diversamente opinando si negherebbe, infatti, la stessa funzione del riesame.
Le censure del ricorrente si sostanziano, in realtà, a ben vedere, nella richiesta in questa sede di una nuova e/o diversa valutazione degli elementi probatori.
Come tale essa è, tuttavia, chiaramente inammissibile posto che, come noto, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per Cassazione a norma dell'art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 Rv. 226710) e che, pertanto, in nessun caso può essere censurata in punto di fatto la congruità degli elementi rappresentati, neanche per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali (Sez. 2^, n. 47402 del 21.10.2003 RV 227580). P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2005.
Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2005