Cass. Sez. III  n. 41333 del 6 novembre 2008 (Cc 10 ott. 2008)
Pres.Vitalone Est. Lombardi Ric. Tega
Beni Ambientali. Condono paesaggistico

In tema di tutela penale del paesaggio, l\'accertamento di compatibilità paesaggistica al cui esito favorevole l\'art. 181, comma primo ter, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 condiziona l\'inapplicabilità delle sanzioni penali previste per il reato di esecuzione di lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici in difformità ovvero in assenza dell\'autorizzazione, non ha natura di condono ed è inapplicabile in fase esecutiva, in quanto per la sua operatività è necessario che non sia ancora intervenuta una pronuncia di condanna nei confronti dell\'autore della violazione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 10/10/2008
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - N. 1009
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - N. 7534/2008
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Avv. LEONE Gennaro, difensore di fiducia di TEGA Massimo, n. a Roma il 16.6.1956;
avverso l\'ordinanza in data 31.10.2007 del Tribunale di Viterbo, sezione distaccata di Civita Castellana, con la quale è stata rigettata la richiesta di revoca dell\'ordine di demolizione di opere abusive disposta con sentenza del 19.2.1997, divenuta irrevocabile il 15.3.1997.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Visti gli atti, la ordinanza denunciata ed il ricorso;
Lette le richieste del P.M. in persona del Sost. Procuratore Generale, Dott. STABILE Carmine, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN FATTO E DIRITTO
Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Viterbo, sezione distaccata di Civita Castellana, in funzione di giudice dell\'esecuzione, ha rigettato la richiesta di revoca dell\'ordine di demolizione di opere abusive disposta nei confronti di Tega Massimo con sentenza del 19.2.1997, divenuta irrevocabile il 15.3.1997. L\'ordinanza, premesso in punto di diritto che l\'ordine di demolizione può essere revocato in sede esecutiva solo in ipotesi di incompatibilità assoluta con le successive determinazioni dell\'autorità amministrativa in ordine alla sorte dell\'opera abusiva e che queste ultime non devono essere future ed eventuali, ma già esistenti al momento della decisione, ha rilevato che nella specie il condannato tuttora non ha conseguito alcun provvedimento di sanatoria dell\'opera abusiva e che, in ogni caso, con la sentenza era stato disposto anche l\'obbligo di ripristino dello stato dei luoghi in relazione al reato di cui alla L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies con riferimento ad opere non suscettibili di sanatoria ambientale ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 ter.
Avverso l\'ordinanza ha proposto ricorso il difensore del condannato, che la denuncia per violazione di legge e vizi della motivazione. Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente deduce, in sintesi, che il giudice dell\'esecuzione non ha tenuto conto della produzione documentale afferente alla approvazione di una variante al PRG diretta al recupero edilizio della zona in cui è ubicato il manufatto abusivo; che la valutazione del giudice dell\'esecuzione non poteva essere limitata al mancato ottenimento della concessione in sanatoria, ma doveva essere estesa al quadro generale della situazione urbanistica e delle variazioni intervenute nella stessa, previo eventuale esame del responsabile dell\'Ufficio Tecnico comunale, situazione che non ostava più all\'accoglimento della richiesta di condono edilizio presentata dall\'interessato. Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 ter. Si deduce che l\'affermazione del giudice dell\'esecuzione in ordine alla non suscettibilità di sanatoria delle opere abusive di cui all\'ordine di demolizione non ha tenuto conto della assoluta assenza di carattere offensivo per il paesaggio delle stesse, trattandosi di un basamento e di un portico in legno di ridotte dimensioni. Il ricorso non è fondato.
Il giudice dell\'esecuzione ha puntualmente applicato il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte secondo il quale l\'ordine di demolizione può essere revocato solo se risulti incompatibile in modo assoluto con un provvedimento della pubblica amministrazione già esistente e non futuro ed incerto (sez. 3, 200003682, Puglisi, RV 215456; sez. 3, 199400712, Iannelli, RV 197611 ed altre).
Ha osservato inoltre che, nel caso in esame, oltre all\'ordine di demolizione emesso ai sensi della normativa urbanistica, è stato altresì emesso l\'ordine di ripristino dello stato dei luoghi in relazione all\'imputazione L. n. 431 del 1985, ex art. 1 sexies; che la violazione paesaggistica non è suscettibile di sanatoria ai sensi del D.Lgs n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 ter.
Orbene, tale affermazione è assolutamente corretta in punto di diritto, dovendosi rilevare da un lato che la normativa sul condono edilizio non è applicabile con riferimento alle eventuali violazioni paesaggistiche e, dall\'altro, che la valutazione di compatibilità paesaggistica D.Lgs n. 42 del 2004, ex art. 181, comma 1 ter, che peraltro non risulta essere stata emessa, non ha natura di condono ed è, pertanto, applicabile solo allorché non sia ancora intervenuta una pronuncia di condanna nei confronti dell\'autore della violazione;
che, peraltro, non risulta neppure essere stato attivato dall\'interessato il procedimento di sanatoria L. 15 dicembre 2004, n. 308, ex art. 1, comma 37 e ss..
Nel caso in esame, pertanto, l\'affermazione del ricorrente in ordine alla non offensività per il paesaggio dei manufatti realizzati si palesa del tutto in conferente e, peraltro, dalla stessa descrizione di tali manufatti contenuta nel ricorso si evince la insussistenza dei requisiti richiesti dalla norma invocata, così come affermato dal giudice dell\'esecuzione.
Il ricorso deve essere, perciò, rigettato.
Ai sensi dell\'art. 616 c.p.p. al rigetto dell\'impugnazione segue a carico del ricorrente l\'onere del pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2008. Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2008