Cass. Sez. III n. 21977 del 26 maggio 2016 (ud 17 mar 2016)
Presidente: Fiale Estensore: Di Nicola Imputato: Palummo
Beni Ambientali.Art. 734 cod. pen. e natura di reato permanente

Il reato di distruzione o alterazione delle bellezze naturali, previsto dall'art. 734 cod. pen., ha natura permanente, ma la permanenza cessa, nell'ipotesi di costruzione o demolizione abusiva in luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità, all'epoca di ultimazione dell'attività edilizia o del sequestro che la inibisce.

RITENUTO IN FATTO

1. P.F.S. ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte d'appello di Napoli ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai reati di cui ai capi a), b), e c) della rubrica per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena inflitta al ricorrente per i capi d), e) ed f) in anni tre, mesi uno e giorni cinque di reclusione ed Euro 850 di multa.

Per quanto qui interessa al ricorrente sono contestati il reato (capo d) previsto dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1-bis, per avere eseguito lavori di completamento degli appartamenti siti al secondo e al terzo livello, lavori al piano seminterrato, di cui al primo livello, adibito in parte a garage ed in parte a cantina ed ampliato la strada con l'apertura di nuovi varchi di accesso, in area dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. 28 marzo 1985 e in assenza dell'autorizzazione prescritta dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146, e segg.; il reato (capo e) previsto dall'art. 734 c.p. per avere, mediante le predette opere, distrutto ed alterato le bellezze naturali dei luoghi, soggetti alla speciale protezione dell'autorità ex D.Lgs. n. 42 del 2004; il reato (capo f) previsto all'art. 349 cpv. c.p. per avere, nella qualità di custode giudiziario del manufatto sito in (OMISSIS), violato i sigilli apposti dall'autorità giudiziaria al fine di assicurare la conservazione e l'identità delle opere. Reati accertati in (OMISSIS) il (OMISSIS) con la recidiva reiterata specifica.

2. Per la cassazione dell'impugnata sentenza, il ricorrente, tramite il difensore, articola quattro motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione di legge per difetto assoluto di motivazione su un punto decisivo per il giudizio (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c)).

Afferma di aver sollecitato una sentenza assolutoria per il reato di violazione dei sigilli sul rilievo che il fabbricato abusivo, cui si fa riferimento nel capo di imputazione, non era sottoposto a sequestro all'atto dell'accertamento del 30 gennaio 2008 in quanto in precedenza già dissequestrato, mentre oggetto del sequestro del 30 gennaio 2008, da cui sarebbe scaturito il reato di violazione dei sigilli, era il solo tracciato stradale e le opere ad esso pertinenziali. Di tanto è apparsa consapevole la stessa Corte di appello laddove ha assunto che il dissequestro sarebbe relativo "(...) non soltanto del tracciato stradale, ma anche di un varco di accesso sulla strada e della costruzione di opere di cemento armato di contenimento del terreno sbancato...", per poi inopinatamente ritenere materializzata la violazione dei sigilli, mentre il manufatto, di cui si contesta il completamento mediante la violazione dei sigilli, risultava già dissequestrato nel 2005 come pure si rileva dal testo della sentenza di secondo grado (pagina 6 rigo 5) con la conseguenza che, quanto meno relativamente ai lavori consistiti nel completamento di appartamenti siti al secondo al terzo livello, alcuna violazione dei sigilli sarebbe stata posta in essere in quanto tale manufatto era stato già dissequestrato, come pacificamente si rileva dalla stessa sentenza impugnata.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione della legge penale per erronea e falsa applicazione degli artt. 157 e 160 c.p. nonchè per illogicità della motivazione su un punto decisivo per il giudizio (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), c.p.p.).

Rileva che, in ogni caso, la Corte di appello avrebbe dovuto ritenere maturato il termine di prescrizione, alla data di trattazione del processo di secondo grado per le restanti imputazioni, sul rilievo che non sarebbe stata correttamente valutata la deposizione del teste che ha retrodatato l'edificazione dell'immobile a diversi anni addietro, nè sarebbe stata correttamente valutata la circostanza che, all'atto dell'accertamento, non erano in corso lavori edili con la conseguenza che, sulla base del principio del favor rei, non essendo possibile enucleare dagli atti in modo certo l'epoca di costruzione del manufatto e non potendo la stessa farsi risalire alla data di accertamento del reato, si sarebbe dovuto tenere conto, nell'incertezza sulla data di commissione dei reati e nel dubbio sulla concessa data di decorrenza del termine di prescrizione, del momento iniziale del termine di prescrizione stesso, che andava fissato in maniera più favorevole all'imputato o, comunque, fissato in maniera diversa ma con logica ed adeguata motivazione, nella specie mancante.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione della legge penale (art. 62-bis c.p.) e il vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e)).

Deduce che entrambi i giudici del merito non hanno concesso le circostanze attenuanti generiche, la cui applicazione riposa sul prudente apprezzamento del giudice, al quale tuttavia spetta di motivarne illogicamente la concessione o il diniego. Nel caso di specie, si censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui il diniego della concessione delle attenuanti generiche è stato fondato sul fatto che il ricorrente ha continuato la realizzazione dell'opera, senza tener conto che l'art. 133 c.p., che disciplina in concreto il potere discrezionale del giudice, non si riferisce alla sola gravità del reato ma anche alla capacità a delinquere in maniera che il giudice possa adeguare la pena al caso concreto, anche con particolare riguardo alla personalità del soggetto, attraverso il ricorso all'art. 62-bis c.p. e quindi attraverso la concessione delle attenuanti generiche.

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione la falsa applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione al D.P.R. n. 380 del 2000, art. 31) sul rilievo che la Corte di appello ha disposto il ripristino dello stato dei luoghi nonostante che nel caso di specie siano state già irrogate le sanzioni amministrative previste dalla legge, contravvenendo al principio del ne bis in idem espresso anche dalla Corte Edu la quale (nella causa Grande Stevens c/Italia) ha sottolineato che quando siano state comminate sanzioni amministrative per un determinato fatto e le stesse siano divenute definitive, l'avvio di un procedimento penale sugli stessi fatti viola il principio giuridico del ne bis in idem previsto dall'art. 4 del Protocollo 7 allegato alla Cedu.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è parzialmente fondato limitatamente al secondo motivo di impugnazione ed in ordine esclusivamente alla contravvenzione di cui al capo e), mentre è infondato nel resto.

2. Quanto al primo motivo, lo stesso, già di per sè di difficile comprensione, è sprovvisto della necessaria specificità, in totale difetto del requisito di autosufficienza, posto che le indicazioni fornite dal ricorrente con il richiamo al foglio 6 rigo, dapprima, 25 e, poi, 5 della sentenza di appello è risultato del tutto inesatto.

In altri termini, non è risultato (e neppure la circostanza sia stata specificamente sottoposta, in questi termini, all'esame del giudice d'appello) che fosse stato eseguito un precedente dissequestro al momento in cui è stata accertata la violazione dei sigilli e, comunque, deve ritenersi, avuto riguardo al contenuto del capo di imputazione e dalle stesse ammissioni del ricorrente, che almeno una parte delle opere medio tempore realizzate fosse estranea al provvedimento di dissequestro asseritamente invocato.

3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

Nel negare la concessione delle attenuanti generiche, la Corte d'appello ha tenuto conto dell'entità della costruzione complessivamente eseguita, della persistente pervicacia del dolo, consistito in una spinta di particolare intensità non essendo risultato di alcun deterrente l'avvenuta adozione di provvedimenti inibitori dell'autorità giudiziaria, quali l'apposizione di sigilli, nonchè ha tenuto conto dei precedenti specifici contestati ed a carico dell'imputato.

Nel pervenire a tale conclusione, la Corte territoriale si è uniformata al pacifico orientamento più volte espresso dalla Corte di cassazione secondo cui. nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).

4. Manifestamente infondato è anche il quarto motivo di impugnazione, posto che la Corte d'appello, nel dichiarare la prescrizione per i reati edilizi, ha revocato l'ordine di demolizione e peraltro questa Sezione ha già affermato che è preclusa la deducibilità della violazione del divieto di "bis in idem" in conseguenza della irrogazione, per un fatto corrispondente sotto il profilo storico-naturalistico a quello oggetto di sanzione penale, di una sanzione formalmente amministrativa, ma della quale venga riconosciuta la natura "sostanzialmente penale" secondo l'interpretazione data dalle decisioni emesse dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo nelle cause "Grande Stevens e altri contro Italia" del 4 marzo 2014, e "Nykanen contro Finlandia" del 20 maggio 2014, quando manchi qualsiasi prova della definitività della irrogazione della sanzione amministrativa Andreatta, Rv. 264809).

Nel caso in esame, tranne che per la demolizione comunque revocata), il ricorrente non ha neppure spiegato quali sanzioni amministrative, in ipotesi definitive, siano state effettivamente irrogate per il medesimo fatto.

5. E' invece fondato nei limiti di seguito indicati il secondo motivo di impugnazione.

Va premesso che, quanto alle ipotesi delittuose (capi d ed f), non è decorso il termine di prescrizione perchè la Corte territoriale, con valutazione di merito che, in quanto logicamente ed adeguatamente motivata, si sottrae al sindacato di legittimità, ha ritenuto la consumazione dei delitti avvenuta in epoca antecedente e prossima alla data dell'accertamento ((OMISSIS)).

Nel pervenire a tale conclusione, la Corte d'appello si è attenuta al principio di diritto reiteratamente espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale il momento consumativo del reato di violazione di sigilli può essere ritenuto coincidente con quello dell'accertamento - sulla base di elementi indiziari, di considerazioni logiche, ovvero di fatti notori e massime di esperienza - salvo che venga rigorosamente provata l'esistenza di situazioni particolari o anomale, idonee a confutare la valutazione presuntiva e a rendere almeno dubbia l'epoca di commissione del fatto (Sez. F, n. 34281 del 30/07/2013, Franzese, Rv. 256644).

Nel caso di specie, detta presunzione non è stata superata in quanto (come risulta dalla pagina 6 della sentenza impugnata) alla data dell'accertamento erano in corso ulteriori lavori, circostanza che consente di ritenere il termine di prescrizione decorrente per entrambe le fattispecie delittuose alla data dell'atto investigativo richiamato.

Invece, erroneamente la Corte d'appello non ha ritenuto maturata la prescrizione per la contravvenzione di cui all'art. 734 c.p. sul presupposto che, trattandosi di reato permanente e non essendo stata eseguita la rimessione in pristino, la prescrizione non fosse decorsa.

Secondo risalenti pronunce che il Collegio condivide, la contravvenzione prevista dall'art. 734 c.p. ha natura di reato permanente ma la distruzione o l'alterazione del paesaggio è definitivamente compiuta, nell'ipotesi di costruzione, all'epoca della ultimazione di detta attività o al momento del sequestro che la inibisce. In quel momento il danno è ormai intervenuto e la successiva protrazione del medesimo non configura una prosecuzione della condotta, ormai esaurita, ma soltanto un effetto duraturo nel tempo. Il reato è quindi permanente, ma detta permanenza termina con la cessazione dei lavori o con il sequestro delle opere in quanto la violazione del precetto contenuto nel modello legale si esaurisce nel momento in cui - mediante costruzioni, demolizioni o in altro modo -

si distrugge o si altera la bellezza naturale dei luoghi soggetti alla particolare protezione dell'autorità (Sez. 3, n. 1695 del 26/07/1993, Imparato, Rv. 194668).

Ne deriva che la contravvenzione di cui all'art. 734 c.p. era prescritta, con la conseguenza che, sul punto, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio essendo il reato di cui al capo e) estinto per prescrizione.

Non è stata indicata in sentenza la pena commisurata dal giudice di merito, in aumento sulla continuazione, per detto reato, e ciò impone anche l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli per la determinazione della pena quanto ai residui reati, non potendo la Corte di cassazione prendere i conseguenti provvedimenti ai sensi dell'art. 620 c.p.p., comma 1, lett. f).

Nel resto, il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alla contravvenzione di cui al capo E) perchè estinta per prescrizione e con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli per la determinazione della pena quanto ai residui reati.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2016