di Giuseppe STRACUZZA
Una volta pubblicato il d.lgs.4/08, dai più chiamato il Secondo correttivo del Testo unico ambientale, si è da più parti sottolineato come una delle modifiche più importanti fosse quella relativa alla definizione di scarico[per tutti cfr. MAGLIA-BALOSSI, Il nuovo concetto di scarico, con particolare riferimento alla nozione di acque reflue industriali, Ambiente&Sviluppo, 4,2008,322 ss.] .
A noi sembra, invece, che il legislatore si sia limitato a dare veste formale a quanto attenta giurisprudenza, confortata da prudente e maggioritaria dottrina, aveva già stabilito mediante una interpretazione del disposto normativo originario della lett. ff) dell’art.74 che, meglio e più, corrispondeva a quanto imposto, appunto, dalle regole generali dell’ermeneutica.
In parallelo con quanto avvenuto solo pochi mesi dopo con il d.lgs.81/08 in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ove il legislatore, con inaccettabile ritardo, ha finalmente codificato quanto da decenni la giurisprudenza andava sostenendo e pretendendo, nel silenzio della legge, in punto “delega di funzioni” [cfr. art.16, d.lgs.81/08].
La sentenza che ha dato spunto a queste riflessioni lo dimostra.
La decisione della Cass. sez. III del 7 novembre 2007 (dep. 11 febbraio 2008), est. Fiale, [v.la con motivazione in www.lexambiente.it ], infatti, dà conto di come “nonostante i difetti di chiarezza e di coordinamento delle nuove disposizioni normative, deve continuare a ritenersi che i c.d. "scarichi indiretti", cioè quelli che non raggiungono immediatamente un corpo ricettore o un impianto di depurazione, continuino ad essere disciplinati dalla normativa sui rifiuti ed invero, qualora il collegamento tra fonte di riversamento e corpo recettore è interrotto, viene meno lo scarico per fare posto allo smaltimento del rifiuto liquido”.
E i difetti cui allude l’estensore stavano tutti nelle modifiche, ben poco apprezzate da unanime dottrina, e come si vede, anche dal Supremo Collegio, che erano state apportate dal legislatore del 2006 alla definizione di scarico di cui al d.lgs.152/99 che aveva avuto ottima accoglienza tanto da parte dei pratici che dei teorici del diritto [ sulla genesi della definizione in parola, cfr. VERGINE, sub d.lgs. 152/99, in (a cura di PALAZZO e PALIERO) Commentario breve alla legislazione complementare, Padova, 2003, 17].
La definizione di cui all’art. 74 lett.ff), infatti riproduceva la previgente definizione dell’art. 2 lett. bb) d.lgs.152/99, inopinatamente “amputata” proprio delle locuzioni che l’avevano fatta apprezzare [per immediate critiche alla nuova formulazione, cfr. VERGINE, Rifiuti e scarichi: profili sanzionatori, in Ambiente&Sviluppo, 2006, 5, 475].
Per comprendere la necessità (irrinunciabilità) delle suddette locuzioni all’interno della definizione, è necessario ripercorrere la “storia” della definizione di scarico, in specie di quello che è stato definito “uno dei noti interpretativi più complessi da risolvere” di tutta la disciplina ambientale [in questi termini VERGINE, sub d.lgs.152/99, in (a cura di PALAZZO e PALIERO) Commentario breve alla legislazione complementare,Padova, 2003,17] e cioè il rapporto tra scarichi idrici e rifiuti liquidi.
La prima legge a tutela delle acque, la famosa c.d. Legge Merli, indicava come oggetto della sua disciplina “degli scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti e indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che private, nonché in fognature sul suolo e nel sottosuolo”.
Tuttavia si asteneva dal definire gli scarichi e, al proposito, la dottrina ha parlato di “incomprensibile” lacuna [così CERVETTI SPRIANO PARODI,La nuova tutela delle acque, Milano, 2001, 469].
Comprensibili, condivisibili o meno le ragioni del silenzio legislativo, fatto sta che è toccato alla giurisprudenza elaborare una serie di criteri che consentissero di definire scarico ai sensi della normativa in questione solo determinate immissioni di acque reflue nei corpi ricettori. Tra questi la permanenza, la volontarietà , la natura della sostanza liquida, la non occasionalità della immissione, differenziavano la disciplina degli scarichi da quella dei rifiuti.
E’ stato sottolineato, ad esempio, come permanenza non significasse attualità dello scarico, potendosi ravvisare la responsabilità penale anche nell’ipotesi in cui lo stesso non fosse attivo al momento dell’accertamento ma da questo risultasse che lo scarico era stato in funzione -in modo illecito- in precedenza [Cass. Sez. III sent. N°7180 del 5.07 19991, Lombardi]
Come volontarietà stesse a significare che la immissione doveva essere stata voluta dall’autore della condotta illecita, il quale doveva aver accettato il rischio del superamento dei limiti tabellari, ovvero aver provocato colposamente lo sversamento [Cass. Sez. III sent.n° 5734 del 17.06.1997, Manfredi].
Ancora si era evidenziato come allo “scarico” sottoposto alla legge Merli dovessero comunque considerarsi estranei “gli scopi perseguiti , dalla frequenza e dalle modalità con le quali fosse effettuato” [VERGINE, sub d.lgs.152/99, ina cura di PALAZZO PALIERO) Commentario breve, cit.,15 ].
In altri termini, praticamente unanimi la dottrina e la giurisprudenza consideravano sia che lo “scarico occasionale” non dovesse essere disciplinato dalla legge Merli in quanto “tutta la struttura della legge (dai meccanismi di controllo al contenuto della autorizzazione , dalla gradualità delle tabelle alla normativa finanziaria è con ogni evidenza studiata per immissioni continue, periodiche o anche saltuarie , ma mai singole o uniche o occasionali” [in questi termini AMENDOLA, Inquinamenti, Roma , 1995 , p.346 , ma già prima , nello stesso senso , F. GIAMPIETRO , I requisiti oggettivi e soggettivi dello scarico nella legge Merli e lo smaltimento dei rifiuti solidi nel d.P.R. 915/82 , in C. pen.1982 , p. 2082 ; più di recente FONDERICO, L’ambiente nella giurisprudenza, Milano , 1995 , 180 ; BUTTI , Le nove norme sull’inquinamento idrico. Normativa italiana e comunitaria., Milano , 1997 , p.25 ; VERGINE , nota a C. 18.4.1997 , in R. trim.d.pen.ec., 1997,p.1003], sia che lo scarico c.d. indiretto, al contrario, fosse anch’esso disciplinato dalla legge Merli [C. 23.9.1993 , in F.it., 1994,II,c.596 con nota di PAONE , nello stesso senso, C. s.u. 13.7.1998, in R. trim.d.pen.ec. , 1998 , p.1082 ; C. 10.11.1998 , in R. trim.d.pen.ec. 1999, p. 814 ; C. 23.5.1997, in R. giur. amb.1998, p.289 con nota di PRATI ; C. 7.5.1997 , in R. trim.d.pen.ec., 1997,p. 1352 ; C.6.6.1996 , ivi , p. 1004 ; C.4.12.1995 , ivi ,1996 , p. 647 ; C. 14.9.1995, ivi ,1996 , p. 649 ; 14.4.1995 , ivi, 1995 , p. 1390 con nota di VERGINE ; C. 20.1.1992, in R. pen. 1992, p.646 ; C. 24.1.1994, R. trim.d.pen.ec., 1994, 651con nota MORANDI ; per un’isolata pronuncia in senso contrario , v. C. 7.12.1994 , in R. trim.d.pen.ec., , 1995, p. 1393].
Proprio per questo, la giurisprudenza fu costretta a interventi plurimi, e non sempre coerenti gli uni con gli atri [per un’analisi degli orientamenti giurisprudenziali del periodo, v. VERGINE, Inquinamento delle acque, Dig./pen.App.Agg., 2000, 431], di interpretazione della sottile linea di confine tra scarichi e rifiuti liquidi. Se infatti, lo scarico indiretto era disciplinato dalla legge Merli, quali erano i rifiuti liquidi che ricadevano nel d.lgs.22/97?
Il problema, a detta dei più, fu risolto, come si è anticipato, con la definizione di cui all’art. 2 , lett.bb) d.lgs. 152/06 che definiva scarico sottoposto alla sua disciplina “qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all\'art. 40”.
Qualche minima dissonanza di interpretazioni s’è avuta sia con riferimento alla annosa questione degli scarichi occasionali, nuovamente riproposta a causa di incaute decisioni, seppur isolate, che li riconducevano nell’alveo del d.lgs. 152/99 [v. cass. Sez. III 21.1.12004, n.14425, che ha dato origine al documento della S.C. 83/2004 del 26 luglio ove veniva segnalata l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza della cassazione proprio in punto riconducibilità o meno dello scarico occasionale nella disciplina del d.lgs.152/99, v. il documento in www.lexambiente.it ], sia con riferimento alla “tipologia” di conduttura/condotta che doveva essere presente, ma la terza sez. della cassazione, a più riprese, ha confermato che la legge non prescriveva particolari modalità di esecuzione, né prevedeva la presenza della condotta in senso stretto, cioè della tubazione come mezzo essenziale per l’esecuzione di esso ma si limitava ad indicare, attraverso l’espressione “comunque convogliabili”, qualunque attività finalizzata alla conduzione di acque , asserendo testualmente che “lo scarico di acque reflue deve avvenire a mezzo di qualsiasi sistema stabile, anche se non ripetitivo e non necessariamente costituito da una tubazione” [cfr. Cass. Sez. III sent. n° 10583 del 11.10.200, Banelli; Sez . III sent. n° 2774 del 14.09/1999, Rivoli] e, ancora, che“ la normativa di cui alla legge 11.05.199 n° 152 non impone la presenza di un tubazione che recapiti lo scarico, in quanto è sufficiente una condotta, cioè qualsiasi sistema con il quale si consente il passaggio o il deflusso di acque reflue”[ Cass. Sez. III n° 1774 del 16.02.2000, Scaramozza].
Concludendo, e non senza rammentare come minoritaria giurisprudenza abbia tentato di confermare che, anche vigente il nuovo testo normativo, era stato mantenuto all’interno della disciplina degli scarichi idrici anche il c.d. scarico indiretto [C. 6.7.1999 , in R. trim.d.pen.ec., 2000, p. 213 e in Ambiente , 1999 , 11 , p. 1071 con nota critica di P. GIAMPIETRO , nonché in Ambiente , 1999 , 12 , p.1167 con nota critica di PAONE ; C. 28.9.1999 , ivi, p. 460 ; C. 28.9.1999 (stessa data , ma diverso ricorrente) , in R. trim.d.pen.ec., 2000 , p. 458 con nota critica di VERGINE ; C. 29.2.2000, ivi , 2000, p.1069 con nota critica di VERGINE], ma l’indirizzo, anche a seguito delle modifiche subite dal d.lgs.152/99 nel 2000, è poi stato abbandonato, il c.d. scarico indiretto veniva ritenuto disciplinato dalla normativa sui rifiuti in quanto la mancanza di “soluzione di continuità” tra produzione del refluo e immissione nel corpo ricettore spezzava quella “continuità” caratteristica fondante dello scarico ai sensi del d.lgs.152/99.
Per tutte, ricordiamo la decisone del supremo Collegio in cui con estrema chiarezza si stabilisce che “stante la nozione di scarico introdotta dal D.lgs 152/99, deve ritenersi che i rifiuti allo stato liquido, costituiti da acque reflue di cui il detentore di disfaccia senza versamento diretto nei corpi recettori, avviandole cioè allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque non canalizzato, rientrano nella disciplina dei rifiuti dettata dal D.Lgs 22/97 e il loro smaltimento deve essere autorizzati;mentre all’opposto lo scarico diretto di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili, indirizzato a corpi idrici recettori, specificatamente indicati rientra nell’ambito del citato D.Lgs 152/99 sull’inquinamento idrico “[Cass. Sez. III sent. n° 181218 del 17.05.2005, Fiotto; conformi Cass. Sez. III sent. n° 2358 del 3.8.1999, Belcari; Cass. Sez. III sent. n°38120 del 24.10.2001; Cass. Sez III sent .n° 5000 del 4.5.2000, Ciampoli; Cass. Sez. III sent. N°8337 del 28.02.2001, Moscato; Cass. Sez. III sent. n°1071 del 5.2.2003 Schiavi; Cass. Sez. III sent. n°20679 del 4.5.2004, Sangelli]
Ma questa “pax interpretativa” è stata posta in grave pericolo dall’improvvida iniziativa del legislatore del 2006 che, come si è anticipato, inopinatamente ha proposto all’art. 74, comma 1, lett. ff) del d.lgs.152/06 la definizione di scarico nei termini : qualsiasi immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione.”
A prescindere dal giustificato stupore per la “amputazione”, certo è che a nessuno faceva piacere un testo che sembrava evocare risalenti e rifiutati indirizzi interpretativi e che riconducesse nuovamente gli scarichi indiretti nel novero degli scarichi idrici e non dei rifiuti liquidi, tant’è che qualcuno si è anche avventurato in invero audaci affermazioni per le quali, nonostante i termini della definizione fossero indubbiamente stati cambiati, tuttavia “nulla era cambiato” [FIMIANI, in “Rifiuti.Bollettino di informazione normativa, 2006 n°128,4; SANTOLOCI,” Confine tra acque di scarico e rifiuti allo stato liquido: il D.Lgs 152/2006 conferma la distinzione con qualche certezza in più”.. Nessun ritorno allo «indiretto»”; VATTANI, Nessun ritorno allo «scarico indiretto» con il D.Lgs n. 152/2006, www.dirittoambiente.com].
Altri, con maggior senso critico, avevano invece evidenziato come la nozione di scarico introdotta nel testo unico avesse, “indubbiamente, creato qualche scompiglio negli operatori, oltre che parecchi grattacapi al Giudice di legittimità, costretto ad arrabattarsi in qualche modo per sostenere che - nonostante l’eliminazione del riferimento a qualunque immissione «diretta» nell’ambiente«tramite condotta» (od opere destinate allo scopo) - la paziente opera certosina di ricostruzione interpretativa giurisprudenziale non era perduta, e che, dunque, non era stato minimamente rimesso in discussione il difficile rapporto di coordinamento con la normativa sui rifiuti” [ QUARANTA“Secondo decreto correttivo del TUA:i ritocchi sulla tutela delle acque” in Ambiente &Sviluppo, 5, 2008,pag.318]; e in molti chiedevano l’intervento modificatore dello stesso legislatore [tra questi, oltre alla citata dottrina, anche la XIII Commissione del Senato e la VII Commissione della Camera che, alludendo ai problemi interpretativi che sarebbero potuti derivare dall’incongrua definizione, ne auspicavano vigorosamente la modifica, come rammentato da MAGLIA BALOSSI, Il testo unico ambientale, Milano 2007, 75]
Ed è a questo punto che la giurisprudenza, in specie di legittimità, si è per così dire “auto-incaricata” di risolvere, in attesa delle imprescindibile modifica al testo normativo [sui diversi orientamenti circa la opportunità di una modifica espressa della definizione, v. MAGLIA BALOSSI, Il nuovo concetto di scarico, cit., 324], la delicata questione interpretativa proponendo una serie di decisioni che…tracciassero al strada al disattento legislatore della riforma del c.d. testo Unico ambientale [disattento, in quanto gli sono “sfuggiti” i termini, che lui stesso si era posto, entro i quali le “correzioni” dovevano essere apportate al testo ed è stato costretto, nell’agosto 2007 a ricominciare tutto da principio, tant’è che le riforme che erano state annunciate per il dicembre 2006 sono arrivate nel febbraio 2008, sul punto cfr. VERGINE, Caro (nuovo) legislatore ambientale ti scrivo… in www.giuristiambientali.it,giugno 2008]. Ed infatti, più volte viene confermato che il c.d scarico indiretto rimane all’interno della disciplina sui rifiuti. [Cass. Sez III sent. n° 35888 del 26.10.2006,De Marco; Cass. Sez. III sent .n° 40191 del 30.10.2007, Schembri].
Finalmente, con il d.lgs.4/08, la strana definizione del 2006 viene sostituita, ma non da quella del 1999; infatti, oggi, per scarico si intende “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore”.
Come si evince dal testo della norma, potremmo considerare la nuova formula una sorta di omaggio alla giurisprudenza della terza sezione, considerato che le espressioni utilizzate dal legislatore sono proprio quelle più volte impiegate dalla Corte per individuare il criterio discretivo tra rifiuti liquidi e scarichi di acque reflue e risolvere i problemi interpretativi che, nonostante tutto, anche vigente la definizione del 1999, talvolta si palesavano.
Di ciò si è resa conto la stessa terza sezione che, assai di recente, decidendo su una questione nata sotto la vigenza del d.lgs.152/99, ha dato atto, dovendo applicare la legge più favorevole al reo tra quella del 199, 1uella del 2006 e quella riformata del 2008, che con la “nuova” definizione “sono state eliminate definitivamente alcune incertezze interpretative che erano derivate dalla definizione riportata nel d.lgs.152/99” [così Cass. Sez. III 27.3.2008-dep.13.5.2008), est. Lombardi in www.lexambiente.it ].
Nell’apprezzare il lavoro della cassazione, comunque, non possiamo non fare nostre le parole di illustre dottrina[DONINI,Discontinuità del tipo di illecito e amnistia. Profili costituzionali, Cass./pen. 2003, 2891] che, in tutt’altro ma per certi versi consimile contesto, ricorda come non spetti “ai giudici di accollarsi la responsabilità politica di cancellare pezzi di norme e reati in parte tuttora puniti, solo per gestire meglio una fase transitoria mal pensata e regolata da una novella legislativa”. Noi potremmo generalizzare il concetto e affermare che non spetta ai giudici neppure di rimediare, con intelligenti opere ermeneutiche, agli errori di redazione delle norme commessi da un legislatore spesso approssimativo e inadeguato[VERGINE, La delusione del penalista ambientale, in Impresa-Ambiente, 1996, 70] e aduso, per usare l’icastica espressione di altra, altrettanto illustre, dottrina, a “raccapricciante tecnica legislativa” [così, testualmente, FLORA, La formazione dell’avvocato penalista oggi in Italia, in ( a cura di BERTOLINO FORTI), Studi per Federico Stella, vol. II, Napoli, 2007, 1416].
Giuseppe Stracuzza, avvocato in Reggio Calabria, cultore di diritto penale dell’ambiente nella facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pavia