Disciplina degli scarichi di acque di falda e limiti di accettabilità.

di Pasquale GIAMPIETRO

la sentenza commentata è leggibile qui

La presente nota intende limitarsi a segnalare una recente e significativa pronuncia del Consiglio di Stato, dell’8 settembre 2009, n. 5256, che ha avuto il merito di formulare le seguenti statuizioni di principio, sottese alla “massima” che segue:

“Vanno annullate le prescrizioni adottate in sede di bonifica dei siti di interesse nazionale con le quali la Conferenza di servizi ministeriale ha imposto alla società appellante di rispettare il limite di 10 mg/l per il MTBE (Metil-t-Butil Etere) sugli scarichi delle acque di falda depurate nei corpi idrici superficiali e in fognatura (comprese le acque di un canale che finiscono in mare), da ritenere, invece, sottoposte, ex art. 243, D.Lgs. n. 152/2006 (analogamente a quanto previsto dal D.Lgs. n. 152/1999), ai limiti di emissioni delle acque reflue industriali, immesse negli stessi corpi idrici, come previsti dall’art. 107, comma 1, dello stesso T.U.
E’ illegittima l’integrazione dei parametri del DM n. 471/1999, sugli obiettivi di qualità da rispettare, introdotti dalla Conferenza di servizi cit., in base ad un parere dell’Istituto Superiore di sanità, anche nel caso di reimmissione delle acque di falda depurate nella falda sotterranea”.

Si può sicuramente affermare che la sentenza era molto attesa dagli operatori del vasto settore professionale e delle imprese che si occupano della bonifica dei siti contaminati, privati o di interesse nazionale, considerata la non omogeneità degli indirizzi registratisi in materia, nell’applicazione della normativa pertinente le acque di falda.

Più in dettaglio, è stata definitivamente… chiarita la disciplina a cui devono sottostare le acque emunte dalle falde sotterranee, con il conseguente superamento di due interpretazioni contrapposte:

- la prima, del Ministero dell’ambiente, che ritiene applicabili i limiti di accettabilità, più restrittivi, previsti dalla normativa sulle bonifiche (all’epoca il D.M. 471/1999) la quale rinvia, nei suoi allegati, alla legislazione sulla qualità delle acque superficiali (l. n. 36/1994) al fine di garantirne tutti gli usi legittimi (come la potabilità, la balneazione, la pesca, ecc.);

- la seconda, prospettata dalla difesa della società appellante (e già fatta propria da alcuni giudici di primo grado: v. TAR Puglia, Lecce 11.6.2007, n. 2247; TAR Sicilia, Catania 29.1.2008, n. 207; ma, in senso opposto, lo stesso TAR Sicilia, Palermo 20 marzo 2009, n. 540), secondo cui la specifica questione è stata direttamente affrontata e risolta dall’art. 243, del d. lgs. n. 152/2006, per il quale le acque emunte, nel corso delle operazioni di bonifica, devono essere scaricate nel rispetto dei limiti di emissione delle acque reflue industriali in acque superficiali (già introdotti dal d.lgs n. 152/1999) e non dalla normativa sulle bonifiche.

L’occasione di tale chiarimento è stata offerta dal ricorso di una Società di raffinazione che, convenendo in giudizio il Dicastero dell’ambiente e la Conferenza dei servizi campana, contestava gli orientamenti seguiti dal primo e le prescrizioni imposte dalla seconda con cui si pretendeva di imporre alle acque emunte (convogliate in un canale che le scaricava in mare) i limiti di emissione più severi delle tabelle allegate al D.M. 471/1999 cit. anziché quelli, più miti, dell’allegato 5, dalla normativa a tutela delle acque (all’epoca, il d. lgs. 152/1999), con riferimento agli “idrocarburi totali”, al “piombo tetraetile” e al MBTE.

Il TAR della Campania, accoglieva parzialmente il ricorso, con riferimento ai primi due parametri, rigettandolo, invece, per il terzo. Il giudice d’appello, ha annullato, dunque, in parte qua, la sentenza impugnata, estendendo i principi giuridici, sopra evidenziati, anche al parametro MTE., ravvisando la ricorrenza di una comune ratio legislativa, oggi codificata dall’art. 243 cit. sulla applicabilità dei limiti di emissione delle acque reflue industriali (nel caso, immesse in fognatura, ex art. 107, comma 1).

Ma la decisione merita attenzione non solo perché “delegittima” una prassi ministeriale insistita e risalente - benché contestata, invano, dalle imprese - dichiarandola contra legem. Ma anche in quanto fa giustizia di una motivazione “tecnica” addotta dal Ministero cit. come da numerose “Conferenze di servizio” che invocano, a loro sostegno, l’avallo dell’Istituto Superiore di Sanità (il quale indicava, nel caso del parametro MBTE, il limite di 10 mg/l).

Il giudice d’appello (come il TAR campano) stigmatizzano, con enfasi e autorevolezza, tale apparente giustificazione, statuendo, a chiare lettere, che:

“ .. né l’ISS né la Conferenza di Servi hanno alcun potere di integrare, ove taluni parametri non siano specificamente previsti, ivi compreso l’MBTE, quanto già disposto da un regolamento previsto dalla legge”.

Il messaggio, a valenza generale, è lineare ed univoco: gli organi tecnico-scientifici, nel fornire pareri o suggerimenti alle pubbliche amministrazioni, benché ispirati a fini precauzionali e/o conservativi, non sono abilitati a introdurre obblighi o prescrizioni non previsti dalla norma primaria o da quella regolamentare, con effetti rilevanti – in caso d inosservanza - in sede amministrativa e/o penale.

Tanto più che, nella specie decisa, come osserva il Collegio, l’ISS, con un successivo parere del 2006, ha smentito sotto il profilo tecnico il proprio assunto del 2001 - sull’assimilabilità del MTBE agli idrocarburi - e, nello stesso tempo, ha riferito il nuovo valore di concentrazione, di tipo olfattivo, in un range tra 20 e 40 mg/l, esclusivamente alla reimmissione delle acque profonde, sulla base della nuova normativa, di cui al D.Lgs. n. 152/2006 (e, dunque, senza alcun riferimento agli scarichi delle acque di falda depurate in corpi idrici superficiali o in fognatura).

Prof. avv. Pasquale GIAMPIETRO
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