di C. Carrubba e E. Quadraccia
Di rilevante importanza per un corretto inquadramento del concetto di “ambiente” come bene giuridico meritevole di tutela è la decisione del 13 gennaio – 11 aprile 2006, n. 2001 con la quale la VI sezione del Consiglio di Stato, sulla scorta di una precedente sentenza della medesima sezione (n. 2085/2003), ha riconosciuto la fondamentale importanza dell’acqua, da intendersi sia come risorsa primaria, sia come elemento primordiale, costituente il c.d. “patrimonio ambientale” nel suo complesso. La legislazione vigente, infatti, impone un’adeguata valutazione in concreto ed un attento bilanciamento in ordine alla necessità ed alla rilevanza del sacrificio delle risorse naturali a fronte della cogenza degli interessi, pubblici e privati, afferenti la produzione e lo sviluppo economico.
Già in passato la Corte Costituzionale (cfr., ex multis, sentenze nn. 151, 152, 153 e 210/1987; 259/1996) ebbe modo di chiarire il valore del bene “ambiente” per la vita dell’uomo, delineandone le modalità di preservazione in una prospettiva perlomeno di mantenimento del patrimonio ambientale comune. La Consulta non ha poi rinunciato a delineare le specificità di tale concetto di ambiente, le quali, a ben vedere, si sostanzierebbero nella conservazione, nella gestione razionale e nel miglioramento delle condizioni naturali (acque, aria, suolo e territorio), nella salvaguardia dei patrimoni genetici, terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in essi vivono allo stato naturale e dunque, in definitiva, nella tutela della persona umana in tutte le sue estrinsecazioni.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza in epigrafe, ha ampliato la richiamata idea di ambiente ed ha ribadito come, tanto le acque utilizzate per il consumo umano, quanto l’acquifero da cui scaturiscono, concorrono a dar vita a quello che in dottrina viene definito come patrimonio ambientale. L’acqua, quindi, in quanto componente essenziale dell’ecosistema, trova accoglimento a pieno titolo nel sistema-ambiente, assurgendo alla funzione di risorsa, di realtà biotica complessa costituente uno dei presupposti esistenziali vitali della specie umana. Il nesso che lega indissolubilmente ambiente e vita umana, nella prospettiva delineata dalla sentenza in esame, porta a configurare una sorta di “diritto fondamentale all’ambiente”, da collocare sullo stesso piano di altri diritti di rango cosiddetto superprimario, quali quello alla vita o alla salute[1]. In un certo qual modo, quindi, il diritto all’ambiente viene a correlarsi con i diritti della personalità[2].
L’inedita importanza della sentenza dei Giudici di Palazzo Spada risiede in particolar maniera nel giudizio di prevalenza che viene attribuito all’uso dell’acqua per il consumo umano rispetto ad ogni altra sua funzione, anche di tipo economico-imprenditoriale. Secondo l’orientamento espresso dal Supremo Consesso, infatti, già con la legge n. 36/1994 il legislatore ha manifestato il suo orientamento in ordine alle misure di tutela delle acque da adottare. Successivamente, prima con i d.lgs. n. 152/1999 e n. 31/2001, poi con il Testo Unico Ambientale dell’aprile 2006, è stata rafforzata la protezione delle risorse idriche, nella consapevolezza della loro limitata disponibilità.
L’assunto probabilmente più interessante della decisione del Consiglio di Stato, ad avviso di chi scrive, risiede nella visione prospettica del bilanciamento tra gli interessi contrapposti dell’utilizzo potabile delle falde acquifere e quello di tipo industriale privato. Non importa, viene detto, che l’estrazione della marna da cemento da parte della Cementir vada sostanzialmente ad incidere sul soddisfacimento dei bisogni idrici di due piccoli comuni (rispettivamente 500 abitanti Carrosio e 5.000 Gavi), in quanto <tale esigenza di salvaguardia delle risorse [.…] travalica il dato della popolazione servita da tali risorse e va valutata all’interno di un complessivo quadro, che vede aumentare i rischi che in futuro tale risorsa si riveli scarsa> (v., pag. 27 sentenza in esame). In buona sostanza, gli abitanti di due piccoli comuni non possono certamente essere privati dell’acqua necessaria al loro sostentamento in conseguenza ed a cagione dell’interesse di una società privata allo sfruttamento economico di una miniera. L’esigenza di salvaguardia del patrimonio idrico costituisce un valore inderogabile, delimitato da norme di carattere precettivo, vincolato alla scarsità della risorsa ed alla primaria necessità di tutela, in una visione di lungo periodo delle esigenze della popolazione e delle generazioni future, a fronte del serio rischio di ulteriore rarefazione del bene essenziale.
Secondo l’indirizzo scientifico che reputiamo preferibile, il rapporto intercorrente tra il bene giuridico “ambiente salubre” e gli altri beni non deve porsi in senso di drastica alternatività o di esclusione: nel corso degli ultimi anni, invero, si è verificato un profondo mutamento nel modo di concepire il rapporto tra l’Uomo ed il suo habitat. Dalla ricostruzione in chiave costituzionalmente orientata del bene ambiente, infatti, non debbono essere tratte considerazioni ultroneee. Viceversa, quello che preme in questa sede sottolineare, per usare le parole di un attento autore, è che <[…] la lettura costituzionale dell’ambiente come diritto dell’uomo rafforza l’idea che le varie dimensioni della nozione di ambiente siano tra loro reciprocamente correlate e che l’elemento di unificazione funzionale risieda nella loro finalizzazione al miglioramento della “qualità della vita”>[3].
In conclusione, nella prospettiva del menzionato, primario obiettivo del miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo ed alla luce della sentenza in commento, riteniamo sia da considerare oramai ius receptum la prevalenza dell’interesse giuridico alla tutela dell’ambiente su quello, complementare ma non contrapposto, del suo razionale sfruttamento economico[4].
Avv. Corrado Carrubba Avv. Emanuele Quadraccia
[1] Sul punto, si confronti, L. Mezzetti, Manuale di diritto ambientale, Padova, 2001, 99 s; P. Maddalena, L’ambiente: riflessioni introduttive per una sua tutela giuridica, in Ambiente & Sviluppo, 2007, 477 ss., reperibile anche su www.lexambiente.it; L. Ramacci, Manuale di diritto penale dell’ambiente, Padova, 2003, 9 ss..
[2] Nella dottrina spagnola, interessanti spunti su questo delicato aspetto si rinvengono in Silva Sánchez, La expansión del Derecho penal. Aspectos de la política criminal de las sociedades postindustriales, prima ediz., Madrid, 1999, passim.
[3] La citazione è tratta da Giunta, Il diritto penale dell’ambiente in Italia: tutela di beni o tutela di funzioni?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 1108. Con diversità di argomenti, ritiene che il bene dell’ambiente abbia una rilevanza costituzionale implicita, Angioni, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano, 1983, 196 s.. Sul fondamento costituzionale dell’ambiente come bene giuridico, v. anche: Patti, Ambiente (tutela dell’) nel diritto civile, in Dig. disc. priv. (sez. civilistica), vol. I, 1987, 288 s.; Spagna Musso, Diritto costituzionale, Padova, 1992, 271 s.; Gustapane, La tutela globale dell’ambiente, Milano, 1991, 15 s.. In senso difforme, Marinucci, Relazione di sintesi al Seminario su “Bene giuridico e riforma della parte speciale” (Siracusa, 14-18 ottobre 1981), in Bene giuridico e riforma della parte speciale, a cura di A. M. Stile, Napoli, 1985, 350.
3 In questo senso, v. Longo, Alcune considerazioni sul difficile equilibrio tra interesse alla tutela dell’ambiente ed interesse economico nella difesa dall’inquinamento di rifiuti, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1993, 801. In giurisprudenza, per una prima analisi, si cfr. anche Corte Cost. sent. nn. 94/1985; 359/1985, in Foro it., vol. I, 1986, 1197; Corte Cost. sent. n. 151/1986, ivi, 2680. In senso parzialmente difforme, v. le osservazioni di Fiorella, Diritto all’ambiente e diritto allo sviluppo. Atti di un convegno interdisciplinare di studio, Teramo 7-9 novembre 1991, a cura di F. Ciapparoni, Milano, 1995, 197 s.