TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 4640 del 17 novembre 2010
Urbanistica. Ristrutturazione e traslazione volumetria
Non è riconducibile alla nozione di ristrutturazione l'intervento consistente nella totale demolizione del manufatto preesistente, con alterazione e variazione della quota di imposta e del piano di campagna rispetto allo stato originario, traslazione della volumetria, modifica della sagoma e aumento dell'altezza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 04640/2010 REG.SEN.
N. 01263/2008 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1263 del 2008, proposto da:
ELIO BERTAZZI, DANIELA TURRINA, rappresentati e difesi dagli avv. Italo Ferrari, Francesco Fontana, Gianfranco Fontana, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gianfranco Fontana in Brescia, via Diaz, 28;
contro
COMUNE DI POLPENAZZE DEL GARDA, rappresentato e difeso dall'avv. Mauro Ballerini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Mauro Ballerini in Brescia, v.le Stazione, 37;
per l'annullamento
- della nota del responsabile n. 3313 del 31.7.2008 di denegato rilascio autorizzazione ambientale e conferma inefficacia della d.i.a. in variante;
- dell' ordinanza del 17.10.2008 n. 60 di demolizione delle opere eseguite senza permesso;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Polpenazze del Garda;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2010 il dott. Carmine Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’odierno ricorrente – che era interessato a provvedere alla demolizione e ricostruzione di un immobile di proprietà lesionato dal terremoto, demolizione e ricostruzione cui aveva provveduto a dare inizio - impugna il provvedimento del 31. 7. 2008 con cui il Comune di Polpenazze comunicava di respingere la domanda di autorizzazione ambientale e confermava la sospensione dell’efficacia della d.i.a. in variante che il ricorrente aveva presentato il 29. 11. 2007.
L’amministrazione comunale aveva motivato la propria decisione rilevando che le norme di piano non consentirebbero lo slittamento dell’edificio verso l’alto che era previsto dal progetto in variante depositato dall’interessato.
Con lo stesso ricorso il ricorrente impugna anche il provvedimento del 17. 10. 2008 con cui il Comune ordinava conseguentemente la demolizione della parte di opera nel frattempo costruita illegittimamente.
I motivi che sostengono il ricorso sono i seguenti:
1. il provvedimento sarebbe illegittimo per mancanza del preavviso di diniego ex art. 10bis l. 241/90 (quanto al diniego di autorizzazione ambientale) e per mancanza della comunicazione d’avvio (quanto all’ordine di demolizione);
2. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione del d.m. 25. 2. 1967 perché il Comune – nel negare l’autorizzazione paesaggistica - avrebbe inserito profili urbanistici in una valutazione che avrebbe dovuto essere di tipo strettamente paesaggistico; nella parte finale del motivo di ricorso si deduce anche che non vi sarebbe la violazione della norma di piano dedotta dal Comune, in quanto s leggerla bene la stessa consentirebbe in realtà slittamenti verso l’alto del piano di campagna;
3. il provvedimento sarebbe, inoltre, illegittimo per violazione dell’art. 31 d.p.r. 380/01 perché sarebbe stata ingiunta la demolizione di un’opera soggetta non a permesso di costruire, ma a mera d.i.a., quale la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, sanzionabile con la sola sanzione pecuniaria ex art. 37 t.u.; si aggiunge che anche quando non fosse considerabile intervento soggetto a d.i.a., esso sarebbe comunque qualificabile come ristrutturazione con ampliamento cui applicare la norma sanzionatoria degli artt. 33 e 34 del t.u. che consente all’amministrazione di scegliere di irrogare una mera sanzione pecuniaria.
Si costituiva in giudizio il Comune di Polpenazze, che deduceva l’infondatezza dei motivi di ricorso ed allegava nota di deposito documenti.
Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 27. 10. 2010, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
I. Il primo motivo di ricorso, in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per mancanza del preavviso di diniego ex art. 10bis l. 241/90 (quanto al diniego di autorizzazione ambientale) e per mancanza della comunicazione d’avvio (quanto all’ordine di demolizione), è infondato.
Premesso che sull’ordine di demolizione è sufficiente richiamare che esso, per giurisprudenza dominante, non deve essere preceduto da comunicazione d’avvio (per tutti Tar Campania, Napoli, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 15871: “l'ordine di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall'avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale sanzione per l’accertamento della inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e conseguente disciplinato rigidamente dalla legge”; nello stesso senso anche Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4659, secondo cui “gli atti sanzionatori in materia edilizia - attesa la loro natura rigidamente vincolata - non risultano viziati ove non siano stati preceduti dalla comunicazione d’avvio del procedimento”), sulla questione della mancanza del preavviso di diniego sull’autorizzazione ambientale occorre precisare brevemente i passaggi principali della procedura edilizia attivata dal ricorrente, che non è di semplice lettura, perché in essa si sono affastellate alcune varianti progettuali che il ricorrente ha direttamente eseguito senza preoccuparsi di farsi previamente autorizzare.
Infatti, i titoli con cui era stata originariamente autorizzata l’opera di demolizione e ricostruzione dell’edificio di proprietà del ricorrente sono:
- la d.i.a. presentata il 4. 9. 2007, con successiva varianti del 29. 11. 2007 e del 9. 1. 2008;
- l’autorizzazione paesaggistica emessa il 15. 2. 2008.
Nel corso di sopralluogo eseguito una settimana dopo il perfezionamento della procedura, il 22. 2. 2008, il Comune si avvedeva che le opere erano iniziate anche se non erano ancora decorsi i 60 gg. entro cui la Soprintendenza può annullare l’autorizzazione rilasciata dal Comune (dal verbale di sopralluogo emerge che i lavori di demolizione erano stati già integralmente eseguiti; era stato, inoltre, ricostruito il primo e secondo piano a livello di rustico, mancavano ancora il secondo piano e la copertura).
Ne seguiva l’ordine di sospensione lavori del 26. 2. 2008, in cui a sostegno della motivazione si specifica proprio che l’autorizzazione paesaggistica non era ancora efficace.
Nel corso di un successivo nuovo sopralluogo del 12. 3. 2008 il Comune si avvedeva che l’ordine di sospensione lavori era stato violato, perché i lavori edilizi erano andati avanti anche nel periodo in cui avrebbero dovuto essere fermi (nel verbale di sopralluogo si legge che erano stati nel frattempo realizzati anche i muri perimetrali del secondo piano ed il cordolo di cemento armato d’imposta della copertura; era inoltre presente l’impresa sul cantiere).
Il 21. 4. 2008 la Soprintendenza, in effetti, annullava l’autorizzazione paesaggistica.
Il 23. 4. 2008 la parte depositava, allora, in Comune una nuova soluzione progettuale senza però fare istanze specifiche di nuovi provvedimenti e chiedendo solo fosse trasmessa alla Soprintendenza.
Il 12. 5. 2008 il Comune effettuava nuovo sopralluogo in cui si constatava anche la esistenza di difformità rispetto al progetto che era stato autorizzato sul piano edilizio (ma non su quello paesaggistico), in quanto piano terra e primo piano erano più alti di 20 cm. e 5 cm. rispetto all’autorizzato, la sagoma del tetto era diversamente conformata, e nel complesso l’edificio era più alto di 70 cm. rispetto a quanto autorizzato (sul piano edilizio).
Ne seguiva il 6. 6. 2008 altra ordinanza di sospensione lavori, che citava il predetto accertamento di difformità.
Il 21. 6. 2008 il ricorrente proponeva, allora, una soluzione progettuale ancora diversa. Il deposito di tale soluzione progettuale veniva accompagnato nell’ultima riga della nota del ricorrente dalla dicitura che egli “chiede l’approvazione di tale progetto”.
Ed era a tale ultima nota che il Comune ha risposto con il provvedimento impugnato.
Ciò precisato, pertanto - per tornare finalmente al primo motivo di ricorso nella parte in cui in esso deduce la mancanza di un preavviso di diniego sulla autorizzazione ambientale – tale motivo deve essere respinto in quanto il ricorrente ha, in realtà, attivato un procedimento non previsto dalla legge, in quanto non è possibile chiedere l’autorizzazione paesaggistica per un manufatto già realizzato (Tar Lazio, sez. I, 4. 9. 2009, n. 8380: Ai sensi dell'art. 146, d.lg. n. 42 del 2004, l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o gli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico - edilizio, e non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi) (e, anche a volerla ritenere una richiesta implicitamente presentata in sanatoria, non muterebbe il giudizio in quanto non è possibile neanche chiedere l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 181, co. 1ter, d.lgs. 42/04, salvo opere di minimo impatto ambientale che qui non ricorrono).
II. Nel contesto della procedura descritta sopra nei suoi vari passaggi non è fondato neanche il secondo motivo di ricorso, in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione del d.m. 25. 2. 1967 perché il Comune – nel negare l’autorizzazione paesaggistica - avrebbe inserito profili urbanistici in una valutazione che avrebbe dovuto essere di tipo strettamente paesaggistico.
In realtà, il Comune non è stato investito dal ricorrente di una mera richiesta di autorizzazione paesaggistica, ma di una richiesta più complessa in quanto - posto che l’opera che intendeva realizzare (e che stava in realtà già realizzando) era difforme da quanto autorizzato sul piano edilizio - egli, depositando il 21. 6. 2008 la nuova soluzione progettuale, e scrivendo nella ultima riga della nota accompagnatoria che “chiede l’approvazione di tale progetto”, ha chiesto di essere munito sia di un titolo edilizio che di un titolo paesaggistico (rectius, indipendentemente da ciò che pensava di chiedere con la irrituale nota di accompagnamento del deposito dei nuovi elaborati, è corretto che il Comune abbia inteso esprimersi sia sul piano edilizio che su quello paesaggistico, perché al ricorrente occorreva sia l’uno che l’altro titolo).
Pertanto, la circostanza che il Comune abbia osservato che la traslazione verso l’alto dell’edificio si pone in contrasto con le norme di piano è motivazione in sé corretta, che non viola la norma attributiva del potere sollecitata dal ricorrente con la nota cui ha risposto il provvedimento impugnato.
III. Nella parte finale del secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce, peraltro, anche che, in fatto, non vi sarebbe la violazione della norma di piano individuata dal Comune, in quanto lo strumento urbanistico (ed in particolare l’art. 9, co. 2, delle n.t.a.) consentirebbe – a suo giudizio - slittamenti verso l’alto del piano di campagna.
Si ritiene, peraltro, che la norma di piano citata non sia applicabile ad interventi di demolizione e ricostruzione che, a prescindere dalle specifiche disposizioni di piano, hanno - per loro natura - un vincolo coessenziale costituito dal rispetto dell’ingombro planivolumetrico dell’edificio precedente che sostituiscono.
La modifica del piano di campagna dell’edificio preesistente, infatti, comporta come conseguenza una traslazione in alto della sagoma. E vicende di traslazioni di sagoma o volumetria sono state ritenute dalla giurisprudenza incompatibili con i limiti della demolizione e ricostruzione (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, n. 5268 del 02/12/2009: in caso di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, lo spostamento di volumetria non può ritenersi ammissibile in quanto incide sul requisito della identità di sagoma, superfici e volumi richiesto dall'art. 3 D.P.R. n. 380/2001; Tar Toscana, sez. III, n. 639 del 17 aprile 2007: non è riconducibile alla nozione di ristrutturazione l'intervento consistente nella totale demolizione del manufatto preesistente, con alterazione e variazione della quota di imposta e del piano di campagna rispetto allo stato originario, traslazione della volumetria, modifica della sagoma e aumento dell'altezza).
Non potendosi ritenere che una norma di piano abbia inciso sui limiti massimi di estensione di una tipologia di intervento edilizio prevista direttamente dalla legge (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, n. 4929 del 27/10/2009 ricorda, in altra fattispecie, che le definizioni legislative degli interventi edilizi, qualificando in via generale la tipologia dei singoli interventi, prevalgono sulle norme locali), deve concludersi nel senso che una norma quale l’art. 9, co. 2, delle n.t.a. di Polpenazze, che consente la modifica del piano di campagna, non possa essere applicata ad interventi di demolizione e ricostruzione quale quello intrapreso dal ricorrente.
III. Nel terzo motivo di ricorso il ricorrente censura l’ordine di demolizione, che ha fatto seguito alla mancata approvazione del progetto di variante (progetto che, come ricordato più volte, il ricorrente aveva già in parte intrapreso anche senza titolo abilitativo).
Nella prima parte di tale motivo si deduce, in particolare, che il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 31 d.p.r. 380/01 perché sarebbe stata ingiunta la demolizione di un’opera soggetta non a permesso di costruire, ma a mera d.i.a. quale la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione.
In realtà, non è corretto il rilievo che l’opera soggetta a d.i.a. possa essere sanzionata soltanto con l’applicazione della sanzione pecuniaria, in quanto l'art. 37, co. 1, del d.p.R. 380/01, che prevede tale sanzione pecuniaria, è applicabile non a tutti gli interventi astrattamente soggetti a d.i.a., ma soltanto agli interventi soggetti a d.i.a. che siano altresì conformi agli strumenti di piano; mentre per gli interventi soggetti a d.i.a., ma non conformi alle norme di piano, si applica la previsione dell’art. 37, ultimo comma, t.u., che rimanda alle norme degli artt. 31 e ss. in cui è previsto, per l'appunto, l'utilizzo della sanzione demolitoria.
L’art. 37, co. 1, t.u. stabilisce infatti che “la realizzazione di interventi edilizi di cui all’articolo 22, co. 1 e 2 in assenza della o in difformità dalla denuncia d'inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari a (…)”. E l’art. 22, co. 1, richiamato dalla norma appena citata, prescrive che: “sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’art. 10 ed all’art. 6 che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente” (il co. 2 integra l’elenco con le varianti).
Pertanto, il testo letterale della norma non consente interpretazioni difformi: l’art. 37, co. 1, del testo unico richiama soltanto gli interventi soggetti a d.i.a. che siano altresì conformi agli strumenti di piano; per tutti gli altri interventi, cioè per quelli astrattamente soggetti a d.i.a. ma non realizzabili in quanto non conformi, “l’art. 37, co. 6, stabilisce che resta comunque salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 31, 33, 34, 35 e 44 e dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36”.
D’altronde, se fosse corretta l’impostazione della difesa del ricorrente, e cioè se l’opera astrattamente suscettibile di essere realizzata in d.i.a., ma non conforme agli strumenti di piano, non potesse essere demolita, ciò significherebbe che qualsiasi costruzione astrattamente suscettibile di essere realizzata in d.i.a., pur se priva di conformità urbanistica, potrebbe essere abusivamente realizzata, e successivamente regolarizzata, semplicemente pagando una sanzione pecuniaria.
Ne deriverebbe a quel punto che tutti gli interventi rientranti nell’ambito della d.i.a. (che ormai sono la generalità e residualità degli interventi edilizi) potrebbero essere realizzati indipendentemente dalle previsioni di piano, con conseguente irrilevanza delle previsioni degli strumenti urbanistici e grave vulnus alla possibilità di regolare, attraverso di essi, lo sviluppo armonico del territorio.
In ogni caso, si aggiunge per scrupolo che nel caso in esame l’intervento di demolizione e ricostruzione con traslazione della sagoma verso l’alto non potrebbe comunque rientrare tra quelli astrattamente suscettibili di esser realizzati in d.i.a. (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, n. 3939 del 09/06/2009: La ristrutturazione edilizia "pesante" ben può comportare, ai sensi dell'art. 10 del testo unico dell'edilizia, la trasformazione dell'organismo preesistente, ma non postula la sua demolizione integrale; laddove invece vi sia demolizione integrale seguita da ricostruzione, l'intervento in tanto è assimilabile ad una ristrutturazione in quanto la ricostruzione sia fedele, si mantenga cioè nei limiti dell'organismo originario, ex art. 3, primo comma, lettera d), testo unico; T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, n. 5731 del 05/12/2008: Gli interventi edilizi di demolizione e ricostruzione di un edificio preesistente affinché possano rientrare nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia è necessario che in sede di ricostruzione venga mantenuta la stessa volumetria e sagoma dell'edificio preesistente mentre, in difetto, l'intervento edilizio deve considerarsi di nuova costruzione).
IV. Nella seconda parte del terzo motivo di ricorso si deduce che, quand’anche il manufatto realizzato non fosse considerabile intervento soggetto a d.i.a., esso dovrebbe essere comunque qualificato come ristrutturazione con ampliamento, cui applicare la norma sanzionatoria degli artt. 33 e 34 del t.u. che consente all’amministrazione di scegliere di limitarsi ad irrogare una mera sanzione pecuniaria.
Non è corretto, in realtà neanche tale argomento subordinato.
Nel caso in esame in cui si versa in ipotesi di immobile soggetto a vincolo paesaggistico, si applica, infatti, la disciplina dell’art. 33, co. 3, t.u., secondo cui “qualora le opere siano state eseguite su immobili vincolati ai sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, l'amministrazione competente a vigilare sull'osservanza del vincolo, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, ordina la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile dell'abuso, indicando criteri e modalità diretti a ricostituire l'originario organismo edilizio, ed irroga una sanzione pecuniaria da 516 a 5.164 euro”.
La sanzione ripristinatoria, pertanto, era obbligata.
V. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
RESPINGE il ricorso.
CONDANNA il ricorrente al pagamento in favore del Comune di Polpenazze del Garda delle spese di lite, che determina in euro 3.500, oltre i.v.a. e c.p.a..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Sergio Conti, Consigliere
Carmine Russo, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/11/2010