La corretta lente per determinare quando la ricostruzione è un intervento di ristrutturazione edilizia
(Riferimento a Corte costituzionale, n. 300/2013)
di Massimo GRISANTI
Sono trascorsi dieci anni da quando la Corte costituzionale con la sentenza n. 300/2013 offrì agli operatori del diritto e ai tecnici delle pubbliche amministrazioni o liberi professionisti la corretta lente per l’interpretazione delle categorie d’intervento di cui all’art. 3 del Testo unico dell’edilizia.
Nel riportare qui sotto il passo d’interesse, invito il lettore mettere attenzione al passaggio della sentenza ove viene richiamato il decreto del Ministro delle infrastrutture 14 gennaio 2008 (Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni):
4.– È impugnato altresì l’art. 171 della medesima legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012, che introduce una nuova lettera c-bis) all’art. 3, comma 3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 11 agosto 2009, n. 16 (Norme per la costruzione in zona sismica e per la tutela fisica del territorio), in base alla quale, in riferimento agli interventi edilizi in zona sismica, spetta ad un regolamento regionale individuare «gli interventi che per la loro limitata importanza statica sono esentati dagli adempimenti di cui agli articoli 65 e 93 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001».
Tale disposizione violerebbe l’art. 5 dello statuto della Regione e l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto l’esenzione da ogni adempimento degli interventi edilizi «di limitata portata statica» determinerebbe la violazione del principio fondamentale dell’ordinamento in materia di «protezione civile», relativo alla vigilanza sugli interventi edilizi in zona sismica.
4.1.– La questione è fondata.
Occorre anzitutto premettere che questa Corte ha già chiarito, anche di recente (sentenze n. 101 del 2013 e n. 201 del 2012), che la disciplina degli interventi edilizi in zona sismica attiene alla materia della «protezione civile», di competenza concorrente, e non, come afferma la difesa regionale, a quella dell’«urbanistica» (di potestà primaria secondo lo statuto regionale), per la sua attinenza anche a profili di incolumità pubblica. Tale inquadramento – ha aggiunto la Corte nella citata pronunzia n. 101 del 2013 – «recentemente ribadito nella sentenza n. 64 del 2013, era peraltro già stato affermato nelle sentenze n. 254 del 2010 e n. 248 del 2009, in riferimento alla illegittimità di deroghe regionali alla normativa statale per l’edilizia in zone sismiche, ed in relazione al titolo competenziale di tale normativa: la Corte ha ritenuto che essa rientri nell’ambito del governo del territorio, nonché nella materia della protezione civile, per i profili concernenti “la tutela dell’incolumità pubblica” (sentenza n. 254 del 2010)».
Così chiarito l’ambito competenziale entro il quale deve essere esaminata la questione sottoposta all’esame della Corte, occorre ancora rilevare che la categoria degli “interventi di limitata importanza statica” , a cui fa riferimento la disposizione regionale impugnata, non è conosciuta dalla normativa statale: non se ne fa menzione nel citato d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), che pure, all’art. 3, è attento a classificare i diversi interventi edilizi all’interno di una specifica tassonomia; né la categoria utilizzata dal legislatore regionale è reperibile nella normativa tecnica, contenuta nel decreto del Ministro delle infrastrutture 14 gennaio 2008 (Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni) . Dunque, già sotto questo profilo la legislazione regionale si discosta illegittimamente dalla normativa statale rilevante, perché introduce una categoria di interventi edilizi ignota alla legislazione statale.
In ogni caso, il vizio di illegittimità costituzionale si palesa alla luce della risolutiva considerazione che la disposizione impugnata si pone in contrasto con il principio fondamentale che orienta tutta la legislazione statale, che esige una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico. Infatti, con specifico riferimento al d.P.R. n. 380 del 2001, invocato quale parametro interposto nel presente giudizio, la Corte, nella sentenza n. 182 del 2006, ha affermato che l’«intento unificatore della legislazione statale è palesemente orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che trascende anche l’ambito della disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui ugualmente compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali». Analogo principio è ribadito nella recente sentenza n. 101 del 2013.
Pertanto, benché apparentemente l’impugnato art. 171 introduca una deroga soltanto in relazione a due specifiche previsioni della normativa statale [gli artt. 65 (R) e 93 (R) del d.P.R. n. 380 del 2001], in realtà la sua portata è più radicale e finisce per incidere, compromettendolo, sul principio fondamentale della necessaria vigilanza sugli interventi edilizi in zone sismiche. In ragione di ciò è irrilevante che l’impugnato art. 171 disponga che gli interventi edilizi «di limitata importanza statica» siano esenti soltanto dagli adempimenti di cui agli artt. 65 e 93 del d.P.R. n. 380 del 2001. Il suo effetto sostanziale, infatti, va oltre la deroga ai suddetti artt. 65 e 93 e consiste, piuttosto, nel sottrarre tali interventi edilizi «di limitata importanza statica» ad ogni forma di vigilanza pubblica. Infatti, i citati artt. 65 e 93 prescrivono gli obblighi minimi di segnalazione allo sportello unico, cosicché il legislatore regionale, esentando alcuni tipi di interventi edilizi dall’assolvimento di tali obblighi minimi, in realtà li esenta da qualsivoglia obbligo. La disposizione regionale impugnata consente, dunque, che determinati interventi edilizi in zona sismica siano effettuati senza che la pubblica autorità ne sia portata a conoscenza, precludendo a quest’ultima, a fortiori, qualunque forma di vigilanza su di essi.
Vale la pena ricordare che recentemente l’art. 3, comma 6, del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2012, n. 122, ha consentito – in relazione alle ricostruzioni e riparazioni delle abitazioni private – una deroga esplicita ad una serie di disposizioni, fra le quali gli artt. 93 e 94 del d.P.R. n. 380 del 2001. Tale deroga però, come ha rimarcato questa Corte nella sentenza n. 64 del 2013, è attuata, «non senza significato, proprio con disposizione statale, a conferma della necessità di quell’intervento unificatore più volte richiamato dalla giurisprudenza di questa Corte».
Nell’andare a verificare se la categoria degli “ interventi di limitata importanza statica” di cui parlava la legge regionale impugnata fosse contenuta nel testo unico dell’edilizia, i giudici hanno scandagliato anche il decreto del Ministro delle infrastrutture 14 gennaio 2008 (Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni) emanato ai sensi e per gli effetti delle disposizioni contenute negli articoli 52 e 83 d.P.R. 380/2001, così affermando che il decreto autorizzato potesse contenere disposizioni costituenti o integranti i principi fondamentali del Testo unico dell’edilizia.
Tanto per fare un esempio della considerazione in cui sono tenuti i decreti autorizzati nel sistema delle fonti, si consideri che nella successiva sentenza n. 124/2021 il decreto 5 luglio 1975 del Ministro della sanità (Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d’abitazione) è stato assunto come parametro interposto per la verifica di legittimità di una legge regionale perché la Corte ha ritenuto “ … che gli atti statali di normazione secondaria possono vincolare la normativa regionale di dettaglio nelle materie di competenza legislativa concorrente, quando definiscano e specifichino, in un ambito contraddistinto da un rilevante coefficiente tecnico, il precetto posto dalla normativa primaria e formino così una unità inscindibile con le previsioni di tale normativa ”.
Quindi, dallo scrutinio di legittimità costituzionale operato nella sentenza in commento l’operatore del diritto ne ricava, stante l’assoluta autorevolezza dell’agente, che le norme tecniche delle costruzioni abbiano l’attitudine di definire e specificare i precetti posti dall’art. 3 d.P.R. 380/2001, formando con essi un unicum inscindibile.
Ebbene, tanto nel decreto ministeriale 14 gennaio 2008 quanto nel successivo decreto 17 gennaio 2018 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti viene stabilito al Capitolo 8 – Costruzioni esistenti che “ … Si definisce costruzione esistente quella che abbia , alla data della redazione della valutazione di sicurezza e/o del progetto d’intervento, la struttura completamente realizzata ”.
Al contrario non rientra nel genere del patrimonio edilizio esistente una costruzione priva anche di una sola delle parti che strutturalmente la compongono.
Nell’art. 3 d.P.R. 380/2001 il legislatore ha elaborato le categorie d’intervento fissate dall’art. 31 L. 457/1978, aggiungendovi quella della nuova costruzione, prima inesistente a livello definitorio nella disciplina urbanistico-edilizia, e via via modificato quella della ristrutturazione edilizia fino a ricomprendervi gli interventi di demolizione e ricostruzione.
Per giuridicamente definire gli esatti contorni dell’intervento di ristrutturazione edilizia non è possibile evitare di utilizzare la lente utilizzata dalla Corte costituzionale, cioè necessariamente facendo uso della definizione di costruzione esistente ex Capitolo 8, punto 8.1, delle norme tecniche per le costruzioni approvate con il d.m. 17.1.2018. E finanche del contenuto dell’Intesa del 20 ottobre 2016 ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni concernente l’adozione del regolamento edilizio-tipo, segnatamente la definizione uniforme n. 32 di “edificio” ivi contenuta nell’Allegato A, atteso che anche tale atto è idoneo, per il suo contenuto integralmente tecnico, a definire e specificare i precetti dell’art. 3 del Testo unico dell’edilizia: “Costruzione stabile, dotata di copertura e comunque appoggiata o infissa al suolo, isolata da strade o da aree libere, oppure separata da altre costruzioni mediante strutture verticali che si elevano senza soluzione di continuità dalle fondamenta al tetto, funzionalmente indipendente, accessibile alle persone e destinata alla soddisfazione di esigenze perduranti nel tempo ”. In parole semplici un edificio è tale quando è dotato di copertura ed è agibile.
Utilizzando tali coordinate normative ecco che è agevole comprendere come della seguente parte definitoria dell’intervento di ristrutturazione edilizia ex art. 3 TUE ne sia stata data – sinora, anche da parte dei giudici ordinari e amministrativi – un’interpretazione generosa perché non è stato tenuto in debito conto il fatto che l’intervento in questione pertiene al genere di quelli sul patrimonio edilizio esistente (e non è tale la costruzione che al momento dell’inizio dell’intervento non esiste nella forma di un edificio completo di strutture ed agibile):
Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio , di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 , ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria .
In parole semplici, l’evento del crollo o della demolizione che viene preso in considerazione dal legislatore nella descrizione definitoria non è antecedente all’intervento, bensì è quello che avviene nel corso dei lavori, sia esso per fatto colposo o meno purché non volontario.
Non ricorrendo tali condizioni di edificio completo nelle strutture ed agibile l’intervento ricade automaticamente nel novero delle nuove costruzioni, visto che con formulazione residuale il legislatore ha stabilito che sono tali “ … quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti ”.