QUANDO L’ABUSIVISMO EDILIZIO NON L’HA VINTA:
QUALCHE CONSIDERAZIONE SULL’INAPPLICABILITA’ DELLA SOSPENSIONE DEL
PROCEDIMENTO PENALE IN PRESENZA DI ISTANZA DI CONDONO EDILIZIO IN AREE TUTELATE
CON VINCOLI AMBIENTALI
dott. Stefano Deliperi
Una delle problematiche di maggiore rilievo che si presenta all’operatore del diritto riguardo l’applicabilità del c. d. nuovo condono edilizio in relazione alle connesse normative di tutela ambientale ed alla normativa penale concerne, senza dubbio, l’effetto sospensivo dei procedimenti penali in corso determinato dalla presentazione delle relative istanze di condono, così come previsto dall’art. 44 della legge n. 47/1985 richiamato, insieme alle altre disposizioni di cui al capo IV, dall’art. 32, comma 25°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003. Alla sospensione del procedimento penale consegue sempre anche la sospensione del decorso del termine di prescrizione dei reati. I procedimenti amministrativi, giurisdizionali e la loro esecuzione, nonché quelli penali, sono stati, quindi, sospesi con decorrenza 2 ottobre 2003. La sospensione ha perso efficacia, comunque, qualora l’istanza di condono non sia stata presentata entro il termine del 10 dicembre 2004, mentre è divenuta definitiva con la presentazione della domanda al Comune interessato entro il detto termine perentorio unitamente alla prova dell’avvenuto versamento dell’oblazione, dell’anticipazione degli òneri concessori, della dichiarazione e delle documentazioni prescritte (artt. 32, comma 32°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003 e successiva proroga, 38, comma 1°, della legge n. 47/1985). Altra ipotesi di sospensione del procedimento penale è quella prevista in seguito alla presentazione dell’istanza di sanatoria, con conseguente estinzione del reato per avvenuto pagamento dell’oblazione, ai sensi dell’art. 38, commi 1° e 2°, della legge n. 47/1985 richiamato dall’art. 32, comma 28°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003.
Riguardo
tali ipotesi, in estrema sintesi, la giurisprudenza penale è tuttavia
sostanzialmente concorde nell’affidare al giudice penale la verifica delle
condizioni di applicabilità del condono edilizio nei termini sostanziali della
sussistenza dei requisiti previsti dalla legge perché possa verificarsi la
fattispecie estintiva dei reati urbanistici ed ambientali, così come previsto
già nella normativa del precedente condono (art. 39 della legge n. 724/1994 e
successive modifiche ed integrazioni), che subordinava l’applicabilità degli
interi capo IV e V della legge n. 47/1985 alla presenza dei requisiti di
condonabilità dell’opera abusiva (ex
multis Cass. pen., sez. III, 7 maggio 2004, n. 21679; Cass. pen., sez. III,
24 marzo 2004, n. 14436; Cass. pen., sez. III, 29 gennaio 2004, n. 3350). Inoltre, per quanto
riguarda le opere realizzate abusivamente in aree tutelate con vincoli
ambientali, attualmente la verifica deve essere estesa all’accertamento della
suscettibilità in concreto della possibilità di sanatoria.
Infatti, mentre nel precedente regime del condono era sufficiente
l’accertamento del periodo di realizzazione dell’abuso e della relativa
tipologia, adesso è richiesta la sussistenza del requisito della “doppia
conformità” agli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica ai
sensi dell’art. 32, comma 27°, del decreto-legge n. 269/2003 come convertito
nella legge n. 326/2003[1].
Ciò vale, in primo luogo, per gli immobili abusivi realizzati in aree
tutelate con vincoli ambientali in base a leggi statali e/o regionali a difesa
degli interessi idrogeologici, ambientali, paesaggistici, in parchi ed altre
aree naturali protette, qualora i relativi vincoli siano stati posti prima della
realizzazione delle opere (vds. per tutti Cass. pen., sez. III, 21 dicembre
2004, n. 48594). Naturalmente
la possibilità di sanatoria, oggi come allora, è esclusa nelle ipotesi di
inedificabilità assoluta (artt. 32, comma 27°, del decreto-legge n. 269/2003
come convertito nella legge n. 326/2003 e 33 della legge n. 47/1985) e nei casi
in cui non sia intervenuto il versamento dell’oblazione prevista.
E’ espressamente previsto, poi, dall’art. 32, comma 43°, del
decreto-legge n. 269/2003 come convertito nella legge n. 326/2003 che “per le opere non suscettibili di sanatoria ai sensi del presente
decreto si applicano le sanzioni previste dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380”,
il Testo unico sull’edilizia.
In tali casi, quindi, è impossibile l’ipotesi di estinzione dei reati
urbanistici ed ambientali (che consegue per le opere realizzate in aree tutelate
con vincoli ambientali solo in seguito al rilascio del titolo abilitativo
edilizio in sanatoria) e, conseguentemente, deve escludersi la sospensione
automatica dei procedimenti penali per insussistenza a monte dei presupposti di
applicabilità della normativa sul condono.
In caso contrario, osserva la giurisprudenza, si realizzerebbe un inutile
ed ingiustificato allungamento dei tempi processuali, in palese violazione del
principio costituzionale della ragionevole durata dei processi (art. 111 cost.).
In
proposito, può dirsi ormai presente una linea giurisprudenziale corroborata da
forti argomentazioni: “mentre l’art.
31 della legge 47/1985 … prevedeva una serie di requisiti esclusivamente in
relazione alla possibilità di conseguire la concessione o la autorizzazione in
sanatoria, l’art. 32, comma 25, del D.L. n. 269/2003 convertito dalla legge n.
326/2003 (come già l’art. 39 della legge n. 724/1994 subordina
l’applicazione degli interi capi IV e V della legge n. 47/1985 all’esistenza
dei requisiti attualmente prescritti perché l’opera possa essere condonata.
L’art. 38 della legge n. 47/1985, conseguentemente, può essere
applicato esclusivamente per le opere che oggettivamente abbiano i requisiti di
condonabilità di cui all’art. 32 del D.L. n. 269/2003” (Cass. pen.,
sez. III, 13 ottobre 2004, n. 651, che conferma Corte App. Cagliari, 14 novembre
2003, a sua volta di conferma di Trib. Lanusei, 14 gennaio 2003).
In assenza dei requisiti di condonabilità non può essere
applicato nemmeno l’art. 39 della legge n. 47/1985 relativo all’estinzione
dei reati in conseguenza del mero pagamento dell’oblazione qualora le opere
abusive non possano conseguire la sanatoria, “per
cui risulterebbe incongruo argomentare che la sospensione possa essere comunque
finalizzata a conseguire il beneficio” previsto da tale disposizione. In merito “può
razionalmente dedursi il principio generale secondo il quale il giudice, già
prima di sospendere il processo ex art. 44 della legge 47/1985, deve effettuare
un controllo in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti per la
concedibilità in astratto del condono: diversamente opinandosi si
allungherebbero inevitabilmente e inutilmente i tempi del processo. Nel caso in
cui il giudice sospenda il processo in assenza dei presupposti di legge, la
sospensione è inesistente” (Cass.
pen., sez. III, 13 ottobre 2004, n. 651, ma già Cass. pen., SS. UU., 24
novembre 1999, n. 22).
Le
opere abusive realizzate devono essere considerate dal preventivo esame del
giudice penale comunque non sanabili quando “siano
state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi
statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde
acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree
protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della
esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo
edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici” (art. 32, comma 27°, lettera
d, del decreto-legge n. 269/2003 come convertito nella legge n.
326/2003). Nelle aree con i
predetti vincoli ambientali soltanto in caso di conformità agli strumenti di
pianificazione e urbanistici le opere abusive possono essere sanate, in caso di
rilascio di autorizzazione dell’autorità preposta alla gestione del medesimo
vincolo, così come disposto dal nuovo testo dell’art. 32 della legge n.
47/1985 introdotto con l’art. 32, comma 43°, del decreto-legge n. 269/2003
come convertito nella legge n. 326/2003.
In caso differente, in seguito alla verifica del giudice penale, non può
farsi luogo alla sospensione del procedimento penale (Cass. pen., sez. III, 29
gennaio 2004, n. 1863, che conferma Corte App. Cagliari, 14 febbraio 2003, a sua
volta di conferma di Trib. Cagliari, 2 ottobre 2002). Naturalmente
nella disamina del giudice penale rientrano anche le disposizioni integrative
promananti dal legislatore regionale, come, ad esempio la legge regionale sarda
26 febbraio 2004, n. 4, che opportunamente, ha definito “non
suscettibili di sanatoria le opere abusive realizzate nelle zone di rilevante
interesse paesistico-ambientale di cui all’art. 10 bis L.R. 45 del 22.12.1989
e successive modifiche”, fra le quali rientrano certamente quelle
realizzate entro la fascia dei 300 metri dalla battigia marina (art. 10 bis
della legge regionale n. 45/1989, come introdotto con l’art. 2 della legge
regionale n. 23/1993; vds. Corte
App. Cagliari, 19 marzo 2004, n. 223, confermata da Cass. pen., sez. III, 10
maggio 2005, n. 16884. La Corte d’Appello cagliaritana, a sua volta,
confermava Trib. Lanusei, 14 gennaio 2003, n. 70)[2].
E, inoltre, le normative regionali che pongono disposizioni
di tutela integrale provvisorie e finalizzate all’approvazione degli strumenti
di pianificazione paesaggistica (artt. 135 e ss. del decreto legislativo n.
42/2004), così come la legge regionale sarda 25 novembre 2004, n. 8 (Corte App.
Cagliari, 8 luglio 2005, confermativa di Trib. Lanusei, 28 gennaio 2003; Corte
App. Cagliari, 8 luglio 2005, confermativa di Trib. Cagliari, 16 luglio 2003).
In
conclusione di queste brevi e necessariamente sintetiche considerazioni, sembra
opportuno evidenziare l’importanza della presente elaborazione
giurisprudenziale che, nel solco di quella intervenuta in occasione delle
precedenti normative sul condono edilizio del 1985 e del 1994, tende a
ricondurre entro adeguati principi interpretativi l’applicazione
dell’istituto della sospensione processuale, il quale, nella specifica
materia, può rivelare effetti fortemente deleteri per la legalità nel campo
della salvaguardia ambientale.
[1] Per una particolare casistica relativa all’applicazione del principio della c. d. doppia conformità in area vincolata ed alla sua insussistenza vds. Corte App. Cagliari, 26 settembre 2003, n. 154, confermata da Cass. pen., sez. III, 28 giugno 2005. Il Giudice di secondo grado cagliaritano, a sua volta, confermava Trib. Cagliari, 14 giugno 2002, n. 28. In tal caso la concessione in sanatoria non poteva essere rilasciata ex art. 13 della legge n. 47/1985 (e, quindi, il procedimento penale non poteva essere legittimamente sospeso) perché l’immobile abusivo mai completato era in corso di realizzazione in un’area destinata a “verde pubblico” e soltanto in data ben successiva all’accertamento del fatto illecito (12 febbraio 1999) era stata ricompresa nel piano di risanamento urbanistico (P.R.U.) del Comune di Quartu S. Elena (deliberazione Consiglio comunale n. 285 del 25 maggio 1999).
[2] Vds. anche Cass. pen., sez. III, 16 giugno 2005, n. 14046, che conferma Corte App. Cagliari, 18 febbraio 2005, n. 20, a sua volta confermativa di Trib. Lanusei, 25 settembre 2003, n. 265, e Corte App. Cagliari, 20 maggio 2005, confermativa di Trib. Lanusei, 26 ottobre 2004.