Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3220, del 11 giugno 2013
Urbanistica.La sanatoria giurisprudenziale non esiste
In sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, contenente l'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, l'Autorità amministrativa, che non è chiamata a compiere scelte discrezionali, deve esclusivamente accertare la c.d. doppia conformità dell'intervento realizzato alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti (generali e di attuazione), oltre che la sua non contrarietà rispetto a previsioni rivenienti da strumenti urbanistici solo adottati. L’art. 36 del d.P.R. 380/2001 norma vigente, e non innovativa rispetto all’art. 13 1. n. 47/1985, e che disciplina l’accertamento di conformità è la stessa norma, che, come si ribadisce, non ha carattere innovativo, trattandosi di norma raccolta nel predetto T.U. ai fini del coordinamento normativo ex art. 7 Legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici), che attualmente conferma l’insussistenza dell’istituto, denominato “sanatoria giurisprudenziale”. Conclusivamente, dall’art. 13 della l. 47/1985, non è ricavabile alcun diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l'autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 03220/2013REG.PROV.COLL.
N. 03574/2002 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3574 del 2002, proposto da:
IVAS Industria Vernici Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Leonardo Bernardini e Simona Priolo, con domicilio eletto presso Enrico Perrella in Roma, piazza della Libertà, 10;
contro
Comune di S. Mauro Pascoli;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE I n. 00194/2002, resa tra le parti, concernente demolizione e ripristino opere edilizie abusive.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 maggio 2013 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e udito per la parte appellante l’avvocato Perrella, per delega dell'avv. Priolo;
FATTO
1. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, Bologna, sez. II, con la sentenza n. 194 del 22 marzo 2002:
a) ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto dall’attuale appellante per l’annullamento del provvedimento n. 19645 del 23.12.1999 avente ad oggetto la demolizione ed il ripristino di opere edilizie realizzate in assenza di concessione;
b) ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento n. 8923 del 24.5.2001 di diniego della concessione in sanatoria di cui all’art. 13 della L. n. 47/1985.
Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che la dichiarazione di improcedibilità del primo ricorso per sopravvenuta carenza di interesse si giustifica in quanto la presentazione dell’istanza di concessione in sanatoria comporta la necessità che l’amministrazione si pronunci sulla stessa e, successivamente, in caso di diniego, adotti un nuovo provvedimento sanzionatorio.
Secondo il TAR, quanto alla sanatoria, dalla relazione depositata dal comune intimato risulta che le opere in assenza di concessione (sopraelevazione di porzione di edificio fino a mt. 9.50) sono state realizzate nell’agosto 1999 mentre era vigente l’art. 33.3.4. delle N.T.A del P.R.G. che consentiva un’altezza massima di mt. 8.50.
Invece, osserva il TAR, al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria il suddetto articolo, nel frattempo modificato, consentiva un’altezza massima di mt. 10.50; successivamente, l’art. 23 della variante generale al P.R.G., adottata al momento del diniego, prevede un’altezza massima di mt. 12.
Il provvedimento di diniego, osserva ancora il TAR, richiama l’art. 13 1. n. 47 del 1985 assumendo che lo stesso consente la sanatoria degli abusi edilizi ivi indicati solamente quando gli stessi siano conformi agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non siano in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda.
Per il TAR, la formulazione dell’art. 13 della L. n. 47-1985 non dà adito a dubbi in ordine alla necessità, ai fini della sanatoria, della cosiddetta “doppia conformità”, come sopra indicata.
2. L’appellante società ha contestato la sentenza del TAR, sostenendo l’illegittimità del diniego di sanatoria per violazione dell’art. 97 della Costituzione e della ratio dell’art. 13 l. 28.02.1985, n. 47, nonché per omessa acquisizione del parere della commissione edilizia (vizio su cui il TAR non si era pronunciato).
Ha concluso , pertanto, chiedendo l’accoglimento del ricorso di primo grado.
3. All’udienza pubblica del 14 maggio 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Ritiene il Collegio che l’appello sia infondato.
1.1. Infatti, è pur vero che il principio della cd. “doppia conformità” ex art. 13 1. n. 47 del 1985 può manifestarsi nelle forme, secondo un certo orientamento giurisprudenziale, definite “sanatoria giurisprudenziale”, e può essere riferibile all'ipotesi di specie, in modo da risultare conforme al principio di proporzionalità e ragionevolezza nel contemperamento dell'interesse pubblico e privato, poiché imporre per un unico intervento costruttivo, comunque attualmente conforme, una duplice attività edilizia, demolitoria e poi identicamente riedificatoria, lederebbe lo stesso interesse pubblico tutelato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 7 maggio 2009, n. 2835; sez. V, 29 maggio 2006, n. 3267).
Infatti, sulla base della succitata considerazione, è stato ammesso che la sanatoria edilizia possa intervenire anche a seguito di conformità sopraggiunta dell'intervento in un primo tempo illegittimamente assentito, divenuto cioè permissibile al momento della proposizione della nuova istanza dell'interessato, posto che questa si profila come del tutto autonoma rispetto all'originaria istanza che aveva condotto al permesso annullato in sede giurisdizionale, in quanto basata su nuovi presupposti normativi in materia edilizia; all’opposto, si è ritenuto irragionevole negare una sanatoria di interventi che sarebbero legittimamente concedibili al momento della nuova istanza.
Tale principio, tuttavia, è stato disatteso da un diverso e più consolidato orientamento, secondo cui la “sanatoria giurisprudenziale”, in quanto introduce un atipico atto con effetti provvedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione normativa, non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento, caratterizzato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, secondo il principio di nominatività, poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e pena l’invasione nelle sfere di attribuzioni riservate all’Amministrazione.
Alla luce di tali argomenti, è altresì evidente che l’eccezione di incostituzionalità della norma di cui all'art. 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, così come dedotta dall’appellante, è manifestamente infondata, poiché sarebbe, semmai, l’eventuale istituto della sanatoria giurisprudenziale ad essere sospetto di compatibilità con il nostro sistema costituzionale.
Peraltro, la norma in esame, richiedente per la sanatoria delle opere realizzate senza concessione e delle varianti non autorizzate, che l'opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell'opera, quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, è una disposizione la cui ratio è legata al contrasto all'inerzia dell'Amministrazione; ciò significa che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda; tale ratio della norma è del tutto comprensibile, quindi, e compatibile con i precetti costituzionali di cui all’art. 97 Cost.
Pertanto, in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, contenente l'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, l'Autorità amministrativa, che non è chiamata a compiere scelte discrezionali, deve esclusivamente accertare la c.d. doppia conformità dell'intervento realizzato alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti (generali e di attuazione), oltre che la sua non contrarietà rispetto a previsioni rivenienti da strumenti urbanistici solo adottati (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 17 settembre 2007, n. 4838; sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126).
Peraltro, giova osservare che l’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 20012, n. 380 - Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, norma attualmente vigente sul medesimo tema, e non innovativa rispetto alla norma anteriormente vigente (l’art. 13 1. n. 47 del 1985), e che disciplina l’accertamento di conformità richiesto dalla ricorrente, recita: “In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire…il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda” (cfr. Consiglio di Stato, sez. I, parere 24 giugno 2011, n. 4162/09; sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126; sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2306).
Pertanto, è la stessa norma, che come si ribadisce non ha carattere innovativo, trattandosi di norma raccolta nel predetto T.U. ai fini del coordinamento normativo ex art. 7 Legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998 – Bassanini Quater), che attualmente conferma l’insussistenza dell’istituto sopra sunteggiato, denominato “sanatoria giurisprudenziale”.
Conclusivamente, dall’art. 13 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 non è ricavabile alcun diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l'autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria.
Nel caso di specie (come si evince dalla relazione depositata dal comune intimato in primo grado) risulta che le opere in assenza di concessione, ovvero la sopraelevazione di porzione di edificio fino a mt. 9.50, sono state realizzate nell’agosto 1999 mentre era vigente l’art. 33.3.4. delle N.T.A del P.R.G. che permetteva un’altezza massima di mt. 8.50; solo al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria il suddetto articolo, nel frattempo modificato, autorizzava un’altezza massima di mt. 10.50, così consentendo tale intervento, non però anche l’eventuale sanatoria, che richiedeva la doppia conformità e che è stata dunque legittimamente negata, mancando la conformità originaria dell’opera.
1.2. Anche la censura d’appello relativa all’illegittimità del diniego di sanatoria per omessa acquisizione del parere della commissione edilizia è infondata, atteso che, come detto, nell'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, l'Autorità amministrativa non è chiamata a compiere scelte discrezionali, bensì deve esclusivamente accertare la c.d. doppia conformità dell'intervento realizzato alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti (generali e di attuazione), oltre che la sua non contrarietà rispetto a previsioni rivenienti da strumenti urbanistici solo adottati (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 17 settembre 2007, n. 4838; sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126; sez. IV, 12 febbraio 2010, n. 772), rendendo pertanto irrilevante e superflua una fase istruttoria specificamente destinata all’esame di questioni che necessitano di valutazioni tecnico-discrezionali, quali caratterizzano l’attività delle commissioni edilizie.
2. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.
3. Nulla spese, mancando la costituzione del Comune intimato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente FF
Manfredo Atzeni, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)