Consiglio di Stato Sez. VI n. 6941 del 5 agosto 2025
Urbanistica.Realizzazione di un piazzale
La trasformazione di un suolo per crearvi un piazzale rientri nella nozione di costruzione si evince facilmente dall’art. 3, comma 1, lett. e.3), che qualifica come tali “la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato”, dovendosi intendere per “trasformazione in via permanente” non già la “trasformazione irreversibile” ma, semplicemente, quella trasformazione destinata a garantire per un lasso di tempo indeterminato un certo utilizzo. Peraltro anche l’art. 3, comma 1, lett. e.2), qualificando come costruzione gli interventi di urbanizzazione primaria, tra i quali rientrano anche piazzali di sosta e aree asfaltate, conferma che rientrano nella nozione di costruzione anche gli interventi che non si estrinsecano nella realizzazione di edifici.
Pubblicato il 05/08/2025
N. 06941/2025REG.PROV.COLL.
N. 08412/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8412 del 2020, proposto da
Gianluca Tocchini, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Iacomini, Francesco Paoletti, Anna Lipponi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Francesco Paoletti in Roma, via Maresciallo Pilsudski, 118;
contro
Comune di Montecarlo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Davide Ferretti e Sergio Conti, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Lucca, via Pascoli 206;
nei confronti
Ramas s.r.l. in liquidazione giudiziale, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 00386/2020, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Montecarlo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2025 il Cons. Roberta Ravasio;
Dato atto che nessuno è comparso per le parti costituite, che hanno depositato istanza di passaggio della causa in decisione, senza discussione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio il sig. Gianluca Tocchini e la Ramas s.r.l. in liquidazione hanno impugnato l’ordinanza n. 51 dell’8 maggio 2007 del Comune di Montecarlo, a mezzo della quale è stata ordinata la remissione in pristino del fondo censito all’N.C.T. al Foglio 12, mapp. 761, sul quale era stata accertata la realizzazione in assenza di titolo edilizio, delle seguenti opere:
- piazzale per deposito di materiale vario realizzato in parte in asfalto e in parte in ghiaia e terra, utilizzato dalla soc. Ramas;
- stoccaggio di 2 prefabbricati realizzati in ferro e materiale plastico e un prefabbricato realizzato in ferro e lamiera, tutti da destinare a manufatti di cantiere, attualmente vuoti e semplicemente poggiati al suolo;
- stoccaggio di 2 container in metallo semplicemente poggiato al suolo;
- recinzione a delimitazione dei lati sud e ovest, realizzata in pali di legno semplicemente infissi al suolo e rete metallica;
- tre serre in struttura metallica e copertura in nylon utilizzate per il ricovero di materiali e mezzi delle dimensioni ciascuna di circa mt. 9,00x10,20, mt. 30,00x10,20, e mt. 21,00x10,20 ed aventi tutti altezza di circa mt. 4,00 ai lati e circa mt. 5,00 al centro;
- stoccaggio di materiale ed attrezzature per allestimento e la gestione di cantieri edili e materiale da costruzione consistente in materiale ligneo, transenne metalliche, ponteggi e carpenteria metallica, materiale plastico per tubature, laterizio, pietra e materiale da costruzione in generale, attrezzature da cantiere (impastatrici, carriole, montacarichi, pale ecc.), cemento in balle e altri materiali utili allo svolgimento dell’attività della ditta.
1.2. L’ordinanza precisava che l’area interessata, di proprietà del sig. Gianluca Tocchini, era tipizzata nello strumento urbanistico vigente quale “area a prevalente funzione agricola intensiva”, soggetta a vincolo ex L. n. 1497/39 imposto con D.M. del 17 luglio 1985, e poi ex D. L.vo n. 42/2004; l’ordinanza richiamava, inoltre, gli artt. 31 e 37 del D.P.R. n. 380/2001 e gli artt. 132 e 135 della L.R. n. 1/2005.
2. A fondamento del ricorso di primo grado si deduceva:
(i) incompetenza e violazione dell’art. 50 TUEL;
(ii) carenza di legittimazione passiva della Ramas s.r.l., in quanto mera detentrice del terreno;
(iii) violazione dell’art. 7 della L. n. 241/90;
(iv) violazione degli artt. 132 e 133 della L.R. n., 1/2005, in riferimento agli artt. 78 e 79 della stessa legge: le opere realizzate sarebbero soggette a mera denunzia di inizio attività e, in quanto tali, non avrebbero potuto essere sanzionate con ordine di rimozione;
(v) violazione degli artt. 78 e 132 della L.R. Toscana, eccesso di potere per contraddittorietà tra parti dello stesso provvedimento e per falso presupposto di fatto, difetto di motivazione: il Comune avrebbe utilizzato impropriamente la normativa di carattere edilizio per attuare lo sgombero di materiali edili, al qual fine avrebbe dovuto ricorrere a uno degli strumenti previsti dal D. L.vo n. 152/2006; del resto la motivazione del provvedimento non lascia intendere esattamente cosa sia oggetto di rimozione;
(vi) sotto diverso profilo, le norme precedentemente indicate sarebbero violate anche per la ragione che oggetto di rimozione sono semplici masserizie o manufatti di tipo precario, e non certo opere di carattere edilizio.
2. Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana respingeva il ricorso, rilevando che:
- sussiste la legittimazione passiva anche del proprietario, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, potendo il Comune prescindere dai rapporti intercorrenti fra il medesimo e la Ramas s.r.l.;
- l’omessa comunicazione di avvio del procedimento non vizia l’ordinanza di demolizione, in considerazione del carattere vincolato di questa ultima;
- i motivi quarto, quinto e sesto sono infondati in quanto “l’area agricola e paesaggisticamente vincolata, sulla quale insistono le molteplici opere abusive (la pavimentazione, i magazzini, le serre, gli stoccaggi), è stata interamente trasformata, per essere asservita alle esigenze dell’impresa di costruzioni Ramas s.r.l., trattandosi così di abusi tutti funzionalmente idonei a mutare la destinazione da agricola ad artigianale, da valutarsi nel loro complesso e non atomisticamente, per i quali il Comune ha legittimamente ordinato la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 (cfr., su fattispecie pressoché identica, TAR Toscana, sez. III, n. 1194 del 2019)”.
3. Hanno proposto appello il sig. Gianluca Tocchini e la Ramas s.r.l. in liquidazione.
4. Nel corso del giudizio la Ranas s.r.l. è stata posta in liquidazione giudiziale; pertanto, con ordinanza n. 5753 del 28 giugno 2024, il Collegio ha dichiarato l’interruzione del giudizio.
5. Questo è stato riassunto solo dal sig. Gianluca Tocchini, con atto notificato al Comune di Montecarlo e al liquidatore giudiziale della Ramas s.r.l., che invece non si è costituita in giudizio.
6. All’udienza del 12 giugno 2025 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione.
DIRITTO
7. Con il primo motivo d’appello si deduce l’erroneità dell’appellata sentenza “in quanto si fonda
su di un falso presupposto di fatto lasciando intendere che le opere oggetto di contestazione siano annoverabili tra quelle riconosciute dal Testo Unico n.380/2001 come soggette a titolo autorizzativo, in quanto, complessivamente individuate, avrebbero determinato un mutamento nella destinazione dell’area da agricola ad artigianale”.
Secondo l’appellante, se le opere fossero state considerate autonomamente sarebbe emersa la relativa precarietà e inidoneità a determinare una trasformazione del territorio: la realizzazione del piazzale non precluderebbe l’utilizzo ad uso agricolo, a ciò non essendo di ostacolo la modesta superficie asfaltata e il riempimento con materiali inerti; i prefabbricati sono semplicemente appoggiati al terreno, la recinzione è stata realizzata con materiali facilmente amovibili e senza opere murarie, le serre sono prive di pavimentazione e di meccanismi di chiusura; a maggior ragione le masserizie non possono richiedere un titolo autorizzativo.
7.1. La censura è manifestamente infondata.
7.2. Tutto quanto descritto nell’ordinanza impugnata, integra a tutti gli effetti intervento soggetto a permesso di costruire.
7.2.1. Quanto al piazzale occorre rilevare che esso ha determinato una oggettiva trasformazione del suolo, il quale, nello stato attuale, non può certo essere utilizzato per fini agricoli, richiedendosi a tal fine la rimozione dell’asfalto e degli inerti (e ciò a prescindere dalla considerazione che l’utilizzo di inerti anche a fini di riempimento richiede il preventivo espletamento di un procedimento autorizzatorio finalizzato a garantire la non contaminazione dei materiali utilizzati).
7.2.2. In particolare, che la trasformazione di un suolo per crearvi un piazzale rientri nella nozione di costruzione si evince facilmente dall’art. 3, comma 1, lett. e.3), che qualifica come tali “la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato”, dovendosi intendere per “trasformazione in via permanente” non già la “trasformazione irreversibile” ma, semplicemente, quella trasformazione destinata a garantire per un lasso di tempo indeterminato un certo utilizzo. Peraltro anche l’art. 3, comma 1, lett. e.2), qualificando come costruzione gli interventi di urbanizzazione primaria, tra i quali rientrano anche piazzali di sosta e aree asfaltate, conferma che rientrano nella nozione di costruzione anche gli interventi che non si estrinsecano nella realizzazione di edifici.
7.2.3. Quanto ai prefabbricati, alle serre, ed ai containers, risulta irrilevante la circostanza che siano semplicemente appoggiati al suolo: soccorre, anche in questo caso, l’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, il quale alla lett. e.5) specifica chiaramente che debbono considerarsi interventi di nuova costruzione “manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unita' abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti”: tale norma prende in considerazione opere di tipologia del tutto analoga a quelle descritte nella ordinanza impugnata, precisando che non sono da considerarsi nuova costruzione solo quando siano dirette a sopperire ad esigenze transitorie oppure nel caso in cui siano destinati a soddisfare esigenze di ricettività turistica. Nel caso di specie l’utilizzazione temporanea non è stata dedotta, se non in maniera del tutto generica, da parte appellante, e deve peraltro escludersi proprio in ragione di tutto il materiale di lavoro ivi depositato, che testimonia di un asservimento durevole delle strutture ad una attività imprenditoriale, diversa dalla ricezione turistica, proprio come argomentato nella ordinanza impugnata.
7.2.4. La censura, va conclusivamente respinta.
8. Con il secondo motivo d’appello si contesta la statuizione, contenuta nella appellata sentenza, che ha ritenuto sussistere la legittimazione passiva sul piano amministrativo della società Ramas s.r.l.: secondo l’appellante sarebbe del tutto illogico considerare legittimato passivo ad essere destinatario di una ordinanza di demolizione chi dell’immobile ne abbia la mera disponibilità, e che non può essere considerato responsabile dell’illecito.
8.1. Il Collegio ritiene che la censura sia in parte infondata e in parte improcedibile. E’ infondata nella misura in cui, ove pure fosse dimostrata la non ascrivibilità dell’illecito alla Ramas s.r.l., l’ordinanza non potrebbe ritenersi illegittima nei confronti del proprietario del terreno, odierno appellante; l’interesse a coltivare la censura in questione, d’altronde, spetta solo alla Ramas s.r.l., che dopo la messa in liquidazione giudiziale non si è più costituita in giudizio.
8.2. Anche il secondo motivo d’appello va dunque respinto, perché infondato e perché improcedibile.
9. Con il terzo motivo d’appello si denuncia l’omessa pronuncia sui motivi di ricorso con cui si deduceva la violazione degli artt. 78, 79, 132 e 133 della L.R. 1/2005. Rileva l’appellante che secondo quanto previsto dall’art. 132 della L.R. 172005, richiamato nell’ordinanza impugnata, sono soggette a demolizione, e alla conseguente acquisizione gratuita dell’area di sedime al patrimonio del Comune, le opere “eseguite in totale difformità dal permesso di costruire quelle che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso di costruire stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costruire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”: le opere in contestazione non avrebbero determinato la creazione di un organismo edilizio completamente diverso, ragione per cui esse potevano considerarsi soggette, semmai, ai sensi dell’art. 79, a mera denunzia di inizio attività, essendosi le opere compendiate solo nel riempimento di un sito. L’appellante richiama, quindi, l’art. 133 della L.R. 1/2005 secondo cui “L’esecuzione di opere di cui all’articolo 79 comma 1, lettere b), d) e) ed f) e comma 2 lettere a), b), c) in assenza di denuncia di inizio dell’attività o in difformità da essa comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile valutato dall’ufficio tecnico comunale conseguente alla realizzazione delle opere stesse e comunque in misura non inferiore ad Euro 516,00 . In caso di denuncia di inizio attività in corso di esecuzione delle medesime opere, presentate prima delle contestazioni di cui ai sensi dell’articolo 129, commi 3 e 4, la sanzione è applicata nella misura minima”.
9.1. La censura è destituita di fondamento.
9.1.1. L’art. 79, comma 1, lett. b) della L.R. 1/2005, applicabile ratione temporis, prevedeva che sono soggetti a SCIA “le opere di reinterro e scavo non connesse all’attività edilizia o alla conduzione dei fondi agricoli e che non riguardano cave e torbiere”: tuttavia si tratta di previsione non invocabile nel caso di specie in quanto la realizzazione del piazzale, mediante spargimento di inerti e asfaltatura, era preordinata, con tutta evidenza, alla allocazione dei prefabbricati, dei containers e delle serre, i quali – come già precisato – integrano opere di nuova costruzione.
9.1.2. Neppure è invocabile l’art. 79, comma 1, lett. b), secondo cui sono soggetti a SCIA, “i mutamenti di destinazione d’uso degli immobili, edifici ed aree, anche in assenza di opere edilizie, nei casi individuati dalla disciplina della distribuzione e localizzazione delle funzioni di cui all’articolo 58”: infatti non risulta che le opere oggetto della ordinanza impugnata fossero espressamente contemplate e consentite dalle norme vigenti in materia di distribuzione e localizzazione delle funzioni, id est negli strumenti urbanistici.
9.1.3. Le opere contestate con l’ordinanza impugnata non possono altrimenti ricondursi ad alcuna delle altre tipologie di opere che l’art. 79 assoggetta a SCIA; merita sottolineare, peraltro, che l’art. 79, comma 1, lett. e) della L.R. 1/2005, nell’assoggettare a SCIA “le occupazioni di suolo per esposizione o deposito di merci o materiali che non comportino trasformazione permanente del suolo stesso”, implicitamente conferma che anche il deposito dei materiali e strumenti di cantieri, accertato in sito, nel caso di specie doveva ritenersi assoggettato a permesso di costruire, tenuto conto del fatto che tale deposito non aveva natura temporanea ed era stato preceduto dalla realizzazione delle altre opere di trasformazione del suolo.
9.2. Va conclusivamente respinto anche il terzo motivo d’appello.
10. Con il quarto motivo d’appello si censura l’omessa pronuncia sulla dedotta violazione degli artt. 78 e 132 della L.R. 1/2005, nonché contraddittorietà tra atti dello stesso procedimento.
10.2.1. Secondo l’appellante l’ordinanza sarebbe intrinsecamente contraddittoria, posto che allude a materiali “stoccati”, che avrebbero dovuto essere considerati come rifiuti, il cui sgombero avrebbe dovuto essere ordinato ai sensi del D. L.vo n. 152/2006.
10.1. La censura è destituita di fondamento: non sussiste omissione di pronuncia, poiché l’appellata sentenza, seppure sinteticamente, fa rilevare che l’insieme delle opere considerate integra nuova costruzione di cui il Comune ha correttamente disposto la rimozione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001. Tale statuizione è condivisibile, per le ragioni già viste, e va confermata.
11. Con il quinto motivo d’appello si deduce, ancora, omissione di pronuncia relativamente alla dedotta violazione degli artt. 78 e 132 della L.R. n. 1/2005: l’appellante sostiene che la semplice amovibilità dei manufatti sarebbe di per sé sufficiente a dimostrare la natura precaria dei manufatti e quindi la non assoggettabilità degli stessi a permesso di costruire.
11.1. La censura va respinta per quanto già rilevato nei precedenti paragrafi: è proprio la quantità di materiale depositato e il numero dei manufatti collocati sull’area, destinati a darvi ricovero, ad essere sintomatica della natura non precaria di questi ultimi e della destinazione, tendenzialmente a tempo indeterminato, del terreno e delle strutture appunto come ricovero di materiali e attrezzi funzionali ad attività edilizia.
12. In conclusione l’appello va respinto.
13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante Gianluca Tocchini al pagamento, in favore del Comune di Montecarlo, delle spese relative al presente grado di giudizio, che si liquidano in €. 3.000,00 (tremila), oltre accessori di legge.
Compensa le spese tra la Ramas s.r.l. in liquidazione giudiziale e il Comune di Montecarlo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2025 con l'intervento dei magistrati:
Hadrian Simonetti, Presidente
Roberto Caponigro, Consigliere
Giovanni Gallone, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore
Stefano Lorenzo Vitale, Consigliere