Consiglio di Stato, Sez. VI, n.539, del 29 gennaio 2013
Urbanistica. Procedura per parcheggio pertinenziale

Ai fini della legittimità della procedura di realizzazione di un parcheggio pertinenziale da realizzarsi ai sensi dell'articolo 9 della l. 122 del 1989, non è indispensabile che il numero dei proprietari di immobili siti nelle vicinanze del realizzando parcheggio sia individuato prima della costruzione di questo e che, quindi, il vincolo pertinenziale debba preesistere, richiedendosi solo che detto vincolo venga previsto e, poi, effettivamente costituito e trascritto nelle forme prescritte. Il comma 1 dell’articolo 9 della l. 122 del 1989 non limita in modo esclusivo ai proprietari degli immobili interessati la legittimazione a realizzare parcheggi di tipo pertinenziale. Ed infatti, il tenore stesso della disposizione in parola (la quale declina con formula impersonale il riferimento ai “parcheggi da destinare a pertinenza”) implica che i parcheggi collocati in aree esterne rispetto ai fabbricati interessati non debbano necessariamente essere realizzati dai proprietari dell’immobile, ma possano essere realizzati anche da parte di terzi soggetti. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00539/2013REG.PROV.COLL.

N. 01472/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1472 del 2012, proposto dai signori Giuseppe Ferrari e Alessandro Mainardi, rappresentati e difesi dagli avvocati Pasquale Cerbo, Pietro Rocco Sicari e Carlo Guglielmo Izzo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Carlo Guglielmo Izzo in Roma, via Bruno Buozzi, 47;

contro

Il Comune di Brescia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pasquale Scrivo e con lui domiciliato in Roma, viale Mazzini 6; 
il Ministero per i Beni e le attività Culturali e Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
i signori Carlo Cervi, Maria Teresa Santus e Giuseppe Cervi, rappresentati e difesi dagli avvocati Bruno Santamaria e Innocenzo Gorlani, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Diego Vaiano in Roma, Lungotevere Marzio, n. 3

nei confronti di

I signori Roberto Allegri e Giovanna Comboni, non costituitisi nel secondo grado del giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della Lombardia – Sezione staccata di Brescia, Sez. I, n. 61/2012



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Brescia e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nonché del Ministero dell'Interno e dei signori Carlo Cervi, Maria Teresa Santus e Giuseppe Cervi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 novembre 2012 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Izzo, Scrivo e Santamaria, nonché l’avvocato dello Stato D’Ascia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

I signori Ferrari e Minardi riferiscono di aver proposto ricorso dinanzi al T.A.R. per la Lombardia – Sezione staccata di Brescia (recante il n. 310/2011) al fine di ottenere l’annullamento degli atti con cui il Comune di Brescia aveva rilasciato il permesso di costruire per la realizzazione di dodici rimesse interrate – in seguito ridotte ad undici - nel sottosuolo del giardino della ‘casa Cervi’, nel centro storico di Brescia (si tratta di un edificio assoggettato a vincolo storico-monumentale ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera a) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e nei cui dintorni sono stati rinvenuti reperti antichi di apprezzabile interesse).

Con il medesimo ricorso – e con i successivi motivi aggiunti – gli odierni appellanti avevano impugnato gli ulteriori atti della serie che aveva reso possibile l’avvio dei lavori per la realizzazione delle rimesse interrate per cui è causa (si tratta, in particolare: dell’autorizzazione in variante rilasciata dalla competente Soprintendenza in data 24 maggio 2011, della nota della medesima Soprintendenza in data 20 aprile 2011, nonché della variante al permesso di costruire rilasciata in data 11 luglio 2011).

Con la sentenza oggetto del presente appello, il T.A.R. di Brescia:

- ha accolto il ricorso principale (ritenendo, in particolare, fondato il motivo con cui si era lamentata l’incompletezza dell’istruttoria posta in essere dalla competente Soprintendenza archeologica in sede di rilascio dei pareri prodromici al rilascio dell’iniziale titolo edilizio) e, per l’effetto, ha annullato gli atti della medesima Soprintendenza e gli ulteriori atti impugnati con il ricorso principale che si fondavano su quanto espresso dalla Soprintendenza (e, segnatamente, il titolo edilizio in data 17 gennaio 2011);

- ha respinto il primo dei motivi aggiunti per la parte in cui si era lamentato che la realizzazione del progetto avrebbe compromesso l’integrità del giardino della villa (anch’esso interessato dal vincolo storico-artistico ivi operante);

- ha respinto gli ulteriori motivi aggiunti per la parte in cui si era lamentata la violazione delle disposizioni relative alla procedura in deroga agli strumenti di piano di cui alla l. 24 marzo 1989, n. 122;

- ha respinto tutti gli ulteriori motivi di ricorso, disponendo la compensazione delle spese di lite fra le parti.

La sentenza in questione è stata impugnata in sede di appello dai signori Ferrari e Mainardi, i quali ne hanno chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:

1) Violazione di legge per errata applicazione dell’articolo 9 della l. 122 del 989 sotto un primo profilo – Eccesso di potere per sviamento.

Il T.A.R. avrebbe erroneamente respinto il motivo di ricorso con il quale si era lamentato che, per le sue caratteristiche tipologiche e dimensionali, il parcheggio della cui realizzazione si discute non poteva in alcun modo essere qualificato come opera legata da un vincolo di pertinenzialità alla ‘casa Cervi’. Pertanto, l’opera in questione non poteva in alcun modo fruire delle previsioni di vantaggio previste per i parcheggi pertinenziali dalla l. 122 del 1989.

Sotto tale aspetto, il T.A.R. avrebbe erroneamente ritenuto di poter fare applicazione delle disposizioni di legge regionale (articoli 66 e 67 della legge della regione Lombardia 1° marzo 2005, n. 12 – ‘legge per il governo del territorio’ -) secondo cui il nesso di pertinenzialità di cui alla l. 122, cit. è ammesso “senza limiti di distanza dalle unità immobiliari cui sono legati da rapporto di pertinenza, purché nell’ambito del territorio comunale o in comuni contermini”.

La sentenza sarebbe sotto tale aspetto erronea, dal momento ciò che i ricorrenti avevano lamentato non era la distanza fra il realizzando parcheggio e gli immobili in relazione ai quali era previsto il vincolo pertinenziale, bensì il fatto che l’entità dei parcheggi oggetto del titolo edilizio rendeva chiaro che l’asserito nesso di pertinenzialità con la ‘casa Cervi’ rappresentasse solo una fictio.

2) Violazione di legge per errata applicazione dell’articolo 9 della l. 122 del 1989 sotto un ulteriore profilo, nonché dell’articolo 67 della L.R. 12 del 2005.

La sentenza in epigrafe risulterebbe erronea per avere omesso di rilevare il contrasto fra il progetto assentito e la previsione di cui all’articolo 67 della legge regionale n. 12 del 2005 in relazione al contenuto del decreto impositivo del vincolo storico-monumentale imposto sull’immobile.

Ai sensi della disposizione da ultimo richiamata, infatti, “la realizzazione dei parcheggi non può contrastare (…) con l’uso delle superfici sovrastanti”, laddove il decreto impositivo del vincolo includeva anche l’area destinata a giardino, stabilendo che essa dovesse essere preservata da “improprie trasformazioni”.

Del resto, anche le pertinenti disposizioni urbanistiche deporrebbero nel medesimo senso. In particolare:

- l’art. 63 delle NTA al PRG comunale (relativo alla zona A2 R1 per cui è causa) stabilisce che in tali aree “è ammesso esclusivamente l’intervento di restauro e risanamento conservativo”;

- l’art. 67, relativo ai giardini della zona, ne prescrive “la conservazione integrale” e “il mantenimento delle piantumazioni esistenti e delle pavimentazioni tradizionali”.

Al riguardo, la sentenza sarebbe meritevole di riforma per aver ritenuto che tutti i motivi di censura dedotti sarebbero superabili grazie alla previsione di cui all’articolo 9 della l. 122 del 1989, il quale consente la deroga a condizione che non vi sia contrasto con l’uso delle superfici soprastanti. Ma il punto è che, nel caso in esame, il contrasto sarebbe pacifico dal momento che la realizzazione del parcheggio interrato comporterebbe di sicuro la distruzione delle piantumazioni esistenti.

3) Eccesso di potere per incompletezza e carenza del’istruttoria.

Erroneamente il T.A.R. avrebbe dichiarato infondati i molteplici motivi con cui si era affermato che il procedimento con cui era stato rilasciato il titolo edilizio (e la successiva variante) fossero affetti da numerosi errores in procedendo i quali avrebbero dovuto determinare l’annullamento degli atti conclusivi della serie.

In particolare: a) nel corso del procedimento il Comune avrebbe del tutto omesso di valutare il vincolo monumentale (al punto di non acquisire neppure la relazione storico-artistica); b) il Comune avrebbe acquisito numerosi atti rilevanti per la serie procedimentale addirittura dopo aver rilasciato il permesso di costruire; c) il Comune non avrebbe provveduto ad acquisire l’autorizzazione allo scarico in fognatura e ad inserire nel permesso di costruire una puntuale prescrizione sul punto.

Al riguardo il Tribunale avrebbe erroneamente respinto i motivi di censure affermando che i ricorrenti in primo grado non avessero indicato in quale modo i lamentati errores in procedendo si fossero riverberati con effetto viziante sugli atti conclusivi della serie.

Sotto tale aspetto, la decisione sarebbe meritevole di riforma per non aver considerato che il vizio procedimentale costituisce di per sé un profilo di illegittimità dell’atto conclusivo della serie, senza che si possa far carico il ricorrente di fornire una prova al riguardo.

Ed ancora, la sentenza sarebbe meritevole di riforma per non aver considerato che, ai sensi del D.M. 37 del 2008 il richiedente il titolo edilizio è obbligato a depositare fin dall’inizio il progetto degli impianti da realizzare presso lo sportello unico dell’edilizia (il che, nel caso in esame, non sarebbe avvenuto).

4) Violazione di legge per errata applicazione dell’articolo 9 della l. 122 del 1989 sotto un ultimo profilo.

La sentenza in epigrafe avrebbe erroneamente respinto il motivo di ricorso con cui si era osservato che la previsione derogatoria di cui all’articolo 9 della l. 122 del 1989 non può essere intesa nel senso di consentire deroghe anche in caso di immobili sottoposti a vincoli storico-artistici.

Il Tribunale ha ritenuto di superare il rilievo in questione affermando che, nel caso in questione, la competente Soprintendenza aveva comunque rilasciato il proprio assenso. Tuttavia – ad avviso dell’appellante – la decisione del T.A.R. non avrebbe colto il segno del motivo di ricorso, dal momento che ciò che veniva lamentato era – più in radice – l’assoluta inapplicabilità delle previsioni derogatorie di cui all’articolo 9, cit. alle ipotesi di immobili sottoposti a vincolo storico-artistico ai sensi dell’articolo 10 del d.lgs. 42, cit.

5) Eccesso di potere per travisamento dei fatti – Eccesso di potere per carenza istruttoria e difetto di motivazione.

Il Tribunale avrebbe erroneamente respinto i motivi di ricorso con cui si era lamentata l’illegittimità dell’autorizzazione rilasciata dalla Soprintendenza per i beni architettonici di Brescia (e la successiva variante), atteso che in entrambi i casi l’Organo statale si era limitato a dichiarare con mere clausole di stile la compatibilità fra l’intervento progettato e il vincolo ivi insistente, senza – tuttavia – fornire argomenti concreti idonei a supportare la tesi dell’asserita compatibilità.

In particolare, la Soprintendenza non aveva fornito alcuna persuasiva motivazione circa il fatto che lo stravolgimento del giardino (anch’esso interessato dal vincolo) e l’impossibilità della sua integrale ricostituzione nello status quo ante potessero risultare compatibili con la prescrizione del decreto impositivo, secondo cui il giardino doveva essere salvaguardato da “improprie trasformazioni”.

6) Violazione di legge per errata applicazione dell’art. 21, comma 4 del d.lgs. 42 del 2004 – Eccesso di potere per carenza dell’istruttoria.

Il T.A.R. avrebbe omesso di esaminare il motivo di ricorso con cui si era lamentata l’illegittimità dell’operato della Soprintendenza per i beni paesaggistici e architettonici di Brescia, la quale aveva omesso di acquisire un nuovo parere da parte della Soprintendenza per i beni archeologici di Milano, nonostante l’emergere – nel corso della vicenda – di reperti di interesse archeologico i quali avrebbero senz’altro richiesto un rinnovato coinvolgimento della competente Soprintendenza per i beni archeologici.

7) Eccesso di potere per violazione del principio di ragionevolezza – Eccesso di potere per contraddittorietà della motivazione.

Il T.A.R. avrebbe erroneamente omesso di apprezzare il motivo di ricorso con cui si era lamentato che l’amministrazione non avesse considerato lo straordinario interesse storico-artistico della zona in cui è ubicata la ‘casa Cervi’ (del resto, nel novembre del 2011 l’adiacente sito di S. Maria della Carità è stato annoverato fra i beni tutelati dall’UNESCO): laddove l’amministrazione avesse adeguatamente valutato tale circostanza avrebbe dovuto necessariamente omettere di adottare gli atti di assenso per la realizzazione delle rimesse interrate di cui sopra.

Al riguardo, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che la tesi proposta dagli odierni appellanti si traducesse nell’imposizione di un’impropria misura di salvaguardia.

In tal modo decidendo, tuttavia, il T.A.R. avrebbe omesso di valutare la contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione la quale – per un verso – aveva chiesto di inserire l’area in questione fra quelle assoggettate a particolari forme di tutela e – per altro verso – aveva assentito la realizzazione di un intervento idoneo a compromettere il valore dell’area.

8) Eccesso di potere per contraddittorietà fra provvedimenti – Eccesso di potere per travisamento dei fatti.

La sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per la parte in cui ha respinto il motivo di doglianza con cui si era lamentato che, in sede di variante al permesso di costruire, non si fosse tenuta in adeguata considerazione la prescrizione imposta dalla Soprintendenza, la quale aveva richiesto di adottare particolari misure di “conservazione” e di “valorizzazione” dell’antico reperto murario emerso nel corso degli scavi.

Al riguardo il Tribunale (aderendo alla tesi esposta dal Comune) ha ritenuto che il progetto prevedesse adeguate misure di conservazione del bene (in particolare, il muro in questione sarebbe stato conservato e inglobato nel muro costituente il perimetro esterno della rampa di accesso alle autorimesse).

Tuttavia, gli appellanti osservano che, anche a voler ritenere che le misure in questione fossero adeguate ai fini della “conservazione” del bene, le stesse sarebbero del tutto inadeguate rispetto alla finalità di “valorizzazione” che, pure, era prevista dall’autorizzazione in variante adottata dalla Soprintendenza.

9. Eccesso di potere per carenza dell’istruttoria.

Il Tribunale avrebbe erroneamente respinto il motivo di ricorso con il quale si era lamentato che gli atti di assenso rilasciati per la realizzazione delle autorimesse non avessero tenuto adeguatamente conto del parere rilasciato dai Vigili del fuoco (con il parere in questione si era chiesto che l’opera in corso di realizzazione fosse munita di vie d’uscita adeguatamente dimensionate al fine di consentire, in caso di pericolo, “un deflusso rapido e ordinato degli occupanti verso l’esterno”).

In particolare, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che la prescrizione imposta dai VV.FF. non comportasse anche la realizzazione di due uscite (una per i pedoni e una per i veicoli), mentre – ad avviso degli appellanti – tale prescrizione non poteva essere intesa in altro modo, se non di guisa tale da aver imposto la realizzazione – appunto – di due vie d’uscita.

10) Eccesso di potere per incompletezza dell’istruttoria e carenza della motivazione – Violazione di legge per errata applicazione dell’articolo 67 della L.R. 12 del 2005 e dell’articolo 9 della l. 122 del 1989 – Violazione di legge per errata applicazione degli articoli 11, 13 e 21 del regolamento viario.

Il Tribunale avrebbe erroneamente omesso di esaminare (ritenendolo ‘assorbito’) il motivo con cui si era lamentato che il parere positivo al progetto rilasciato dal Settore mobilità del Comune si ponesse in contrasto con le pertinenti prescrizioni del Piano comunale del traffico (denominato ‘Regolamento viario’) il quale prescrive il rispetto – nel caso in questione non assicurato – di un raggio di curvatura pari a 5 mt.

11) Spese processuali.

Gli appellanti chiedono, infine, la riforma in senso a sé favorevole del capo della sentenza con cui è stata disposta la rifusione delle spese nei confronti del Comune, disponendo – altresì – la compensazione nei confronti delle altre parti costituite.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Brescia, nonché i signori Carlo Cervi, Giuseppe Cervi e Maria Teresa Santus, i quali hanno concluso nel senso della reiezione del gravame.

Si è altresì costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali, il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Il Ministero ha, altresì, proposto appello incidentale, con il quale ha chiesto che, in riforma della sentenza in epigrafe, fosse dichiarata la totale infondatezza del ricorso di primo grado.

Con ordinanza n. 1359 del 4 aprile 2012, questo Consiglio di Stato ha respinto l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza in epigrafe per ritenuta carenza del requisito del periculun in mora, “anche tenuto conto del completamento delle opere funzionali all’esercizio del parcheggio”.

Alla pubblica udienza del 27 novembre 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da due soggetti residenti nel centro storico di Brescia avverso la sentenza del TAR della Lombardia – Sezione staccata di Brescia, che – dopo aver accolto il ricorso principale n. 310 del 2011 e aver annullato un primo permesso di costruire rilasciato il 17 gennaio 2011 (con una statuizione impugnata con appello incidentale) - ha respinto i motivi aggiunti da loro presentati al fine di ottenere l’annullamento dell’ulteriore permesso dell’11 luglio 2011 (emesso a seguito dell’ordinanza cautelare di sospensione degli effetti del primo permesso), con cui – rispettivamente – il Comune di Brescia e la competente Soprintendenza per i beni architettonici di Brescia hanno rilasciato gli atti di assenso necessari per la realizzazione di alcune rimesse interrate nel sottosuolo del giardino della ‘casa Cervi’ (si tratta di un edificio assoggettato a vincolo storico-monumentale ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera a) del d.lgs. 42 del 2004 e nei cui dintorni sono stati rinvenuti reperti antichi di apprezzabile interesse).

2. In primo luogo il Collegio ritiene di esaminare l’argomento (sollevato dal Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca in sede di controricorso ed appello incidentale – atto in data 23 aprile 2012 -) con cui si è contestata la sussistenza in capo agli odierni appellanti della legittimazione e dell’interesse alla proposizione del ricorso.

Al riguardo, il Ministero ha osservato che la mera dimostrazione di una posizione di c.d. vicinitas in capo ai ricorrenti in primo grado (essi hanno dimostrato di risiedere nelle immediate vicinanze dell’immobile nel cui ambito verranno realizzate le autorimesse) non dimostra di per sé anche la sussistenza di una posizione giuridica di carattere differenziato e qualificato, tale da palesare la sussistenza della legittimazione e dell’interesse al ricorso.

Il motivo non risulta fondato.

Nella specie, la sentenza in epigrafe ha del tutto correttamente ritenuto sussistente la legittimazione ad agire in capo ai ricorrenti in primo grado, avendo essi dimostrato la sussistenza non solo della vicinitas , ma anche di un possibile concreto pregiudizio, conseguente alla (indubbia) maggiore antropizzazione del vicolo Mozzoni, successiva all’attivazione delle autorimesse per cui è causa, nonché una possibile minore godibilità dell’area conseguente alla necessità (anche in questo caso, determinata dall’attivazione del nuovo opus) di dividere i servizi con i nuovi utenti e di patire la presenza di ulteriori fonti di rumore e polveri.

3. Nel merito, il ricorso principale è infondato.

3.1. Il primo motivo di appello (con cui si è chiesta la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto i motivi aggiunti articolati in primo grado avverso il secondo permesso, e relativo alla presunta violazione delle disposizioni in tema di necessaria pertinenzialità di cui all’articolo 9 della l. 122 del 1989) è infondato.

Risulta, infatti, in atti che con atto per notar Staffieri di Brescia in data 30 novembre 2010 è stato istituito il vincolo pertinenziale sulle autorimesse per cui è causa, sancendo (conformemente alla previsione di cui al comma 4 dell’articolo 9 della l. 122 del 1989) la nullità degli eventuali atti di trasferimento posti in essere in modo separato rispetto all’unità immobiliare nei cui confronti vige il vincolo pertinenziale.

Del resto gli stessi appellanti (i quali – pure – hanno lamentato in astratto la presunta sproporzione che sussisterebbe fra l’entità dell’immobile nel suo complesso e l’entità delle rimesse realizzate) non hanno fornito elementi concreti per suffragare la tesi dell’assoluta sproporzione.

Al contrario, essi non negano che il compendio immobiliare denominato ‘casa Cervi’ sia di notevoli dimensioni (e che la sua titolarità sia distribuita fra tre proprietari) e non espongono per quali ragioni - e in base a quali parametri - un numero complessivo di undici autorimesse sarebbe del tutto esorbitante per le esigenze dei tre proprietari.

Al riguardo il Collegio ritiene di richiamare il condiviso orientamento secondo cui - ai fini della legittimità della procedura di realizzazione di un parcheggio pertinenziale da realizzarsi ai sensi dell'articolo 9 della l. 122 del 1989 - non è indispensabile che il numero dei proprietari di immobili siti nelle vicinanze del realizzando parcheggio sia individuato prima della costruzione di questo e che, quindi, il vincolo pertinenziale debba preesistere, richiedendosi solo che detto vincolo venga previsto e, poi, effettivamente costituito e trascritto nelle forme prescritte (in tal senso: Cons. Stato, V, 26 maggio 2003, n. 2852).

Ora, una volta accertata la sussistenza del vincolo pertinenziale in questione nei confronti dal compendio immobiliare di ‘casa Cervi’, ciò non esclude che, sussistendone i presupposti, venga operato il trasferimento del vincolo stesso nei confronti di ulteriori unità immobiliari nei cui confronti, parimenti, un siffatto vincolo possa essere legittimamente istituito, conformemente alle previsioni di cui all’articolo 66 della L.R. 12 del 2005 (la disposizione in questione – emanata in base alla potestà legislativa regionale in materia di governo del territorio - consente, infatti, ai proprietari di immobili di realizzare, nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne, parcheggi i quali possono anche essere collocati esternamente al lotto di appartenenza, senza limiti di distanza rispetto alle unità immobiliari alle quali sono legati dal vincolo di pertinenzialità, purché nell’ambito del medesimo comune o di comuni contermini).

Al riguardo si osserva che la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha stabilito che il comma 1 dell’articolo 9 della l. 122 del 1989 non limita in modo esclusivo ai proprietari degli immobili interessati la legittimazione a realizzare parcheggi di tipo pertinenziale. Ed infatti, il tenore stesso della disposizione in parola (la quale declina con formula impersonale il riferimento ai “parcheggi da destinare a pertinenza”) implica che i parcheggi collocati in aree esterne rispetto ai fabbricati interessati non debbano necessariamente essere realizzati dai proprietari dell’immobile , ma possano essere realizzati anche da parte di terzi soggetti (in tal senso: Cons. Stato, IV, 31 marzo 2010, n. 1842).

Ai limitati fini che qui rilevano, si osserva che la più recente evoluzione normativa ha attenuato il vincolo della inalienabilità delle autorimesse realizzate avvalendosi delle previsioni derogatorie di cui all’articolo 9 della l. 122, cit.

Si richiama, al riguardo, l’articolo 10 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (come modificato dalla relativa legge di conversione) il quale, novellando la previsione di cui al comma 5 dell’articolo 9, cit., ha previsto che “ (…) la proprietà dei parcheggi realizzati a norma del comma 1 può essere trasferita, anche in deroga a quanto previsto nel titolo edilizio che ha legittimato la costruzione e nei successivi atti convenzionali, solo con contestuale destinazione del parcheggio trasferito a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso comune”.

3.2. Il secondo motivo di appello (con cui si è chiesta la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto il motivo di ricorso con il quale si era lamentata l’illegittimità degli atti abilitativi per asserito contrasto con l’uso delle superfici sovrastanti) è infondato.

Del pari, è infondato il quinto motivo di appello (con cui si è lamentato che i primi Giudici abbiano omesso di rilevare come l’affermazione relativa alla salvaguardia del giardino antistante la ‘casa Cervi’ fosse basata più su mere affermazioni di principio, che non su dati concreti e dimostrati).

Ad avviso del Collegio, dagli atti di causa (e segnatamente, dall’esame degli elaborati di progetto riguardati in relazione al complessivo stato dei luoghi) non emerge alcuna violazione: a) né del comma 1 dell’articolo 9 della l. 122 del 1989 (secondo cui la realizzabilità dei parcheggi in deroga è ammessa “tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante (…)”); b) né dell’articolo 67 della L.R. 12 del 2005 (secondo cui “la realizzazione dei parcheggi non può contrastare (…) con l’uso delle superfici sovrastanti”); c) né del decreto impositivo del vincolo (il quale imponeva di evitare “improprie trasformazioni” dello stato dei luoghi).

Si osserva al riguardo che la realizzazione del parcheggio pertinenziale non risulta in contrasto con la destinazione a giardino della superficie soprastante: una siffatta incompatibilità non è sancita da alcuna delle disposizioni dinanzi richiamate, né è desumibile dalle concrete – e invero lievi, come ritenuto in sede amministrativa - modificazioni che la realizzazione del progetto apporterà allo stato estetico e funzionale del giardino.

Del resto, gli appellati hanno dimostrato in modo adeguato che la realizzazione delle rimesse interrate non comporterà alcuno stravolgimento dell’assetto del giardino, il quale verrà salvaguardato nella sua funzione, nelle sue dimensioni e nell’assetto di base delle essenze ivi esistenti (la relazione agronomica prodotta in atti conferma che le essenze arboree di maggior pregio verranno conservate).

Ad ogni modo, non appare irrilevante osservare che ciò che il decreto impositivo del vincolo è volto a tutelare è l’esistenza dell’area a giardino e la sua coessenzialità con l’unicum funzionale rappresentato dai due corpi di fabbrica e – appunto – dal giardino antistante. Al contrario – come correttamente rilevato dai primi Giudici – la sussistenza di un vincolo (anche) sul giardino non sta certo a significare che tale guardino sia vincolato sotto il profilo della sua assoluta immodificabilità per intero e nella sua configurazione e strutturazione attuale (a tacer d’altro, la relazione storico-artistica allegata al decreto impositivo del vincolo nulla riferisce in ordine alla struttura del giardino, alle essenze ivi impiantate e alla loro consistenza complessiva, in tal modo confermando che l’esistenza del vincolo sul giardino non sta a significare l’assoluta intangibilità di ogni singolo arbusto ivi esistente).

Per le medesime ragioni, non può ritenersi che il progetto approvato abbia comportato violazioni delle previsioni di cui all’articolo 63 delle N.T.A. al P.R.G. (secondo cui, nel comparto per cui è causa sono ammessi unicamente interventi di restauro e risanamento conservativo) e del successivo articolo 67 (secondo cui, per ciò che riguarda i giardini, è imposta la conservazione integrale e il mantenimento delle piantumazioni esistenti e delle pavimentazioni tradizionali).

Per ciò che riguarda, in particolare, la seconda delle richiamate disposizioni, si ritiene che la complessiva risistemazione del giardino – lo si ripete: rimasto intatto nella sua funzione e struttura di fondo – risulti compatibile con una lettura in senso sostanziale – e non meramente formalistico – delle pertinenti prescrizioni di piano.

3.3. Il terzo motivo di appello (con cui i signori Ferrari e Mainardi hanno chiesto la riforma della sentenza del T.A.R. per la parte in cui ha dichiarato infondato il motivo di ricorso relativo a un presunto eccesso di potere per difetto di istruttoria e per taluni errores in procedendo) è infondato.

Sotto tale aspetto il Collegio ritiene che la sentenza in epigrafe merita di essere puntualmente confermata, laddove ha osservato che la disciplina normativa di cui alla l. 241 del 1990 configura l’istruttoria procedimentale come fase necessaria, ma caratterizzata da un rilevante tasso di atipicità, atteso che la legge prescrive che il responsabile del procedimento ha il compito di accertare d’ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, ma non stabilisce che egli sia tenuto ad accertarli secondo modalità o forme particolari.

Pertanto, una volta accertato che (per le ragioni sin qui esaminate e che per quelle che fra breve si esporranno) gli atti conclusivi della serie procedimentale erano scevri dai vizi lamentati e che non risultava trascurato alcuno degli aspetti e dei profili al cui accertamento la fase istruttoria risulta finalizzata, il motivo di ricorso in questione non può essere accolto per non avere gli appellanti indicato sotto quale aspetto l’asserita incompletezza procedimentale e istruttoria si sarebbe tradotta nell’adozione di un atto sostanzialmente illegittimo.

Si osserva, inoltre, che il Comune appellato ha dimostrato in modo persuasivo che alcune delle deduzioni sollevate con il terzo motivo di ricorso sono infondate in fatto. Ci si riferisce, in particolare: a) all’affermazione per cui il parere della Commissione edilizia non recherebbe alcun riferimento alle varianti apportate al progetto e b) all’affermazione secondo cui il parere del settore Mobilità e traffico del Comune sarebbe stato addirittura del tutto omesso.

Ebbene, quanto al primo aspetto è stato utilmente eccepito che la Commissione edilizia ha bensì esaminato il progetto in variante (lasciando traccia dell’esame svolto sulla relativa chartula). Per quanto riguarda, poi, il secondo aspetto, è stato correttamente osservato che l’acquisizione di un nuovo parere da parte del settore Mobilità e traffico del Comune non era a rigore richiesta in quanto il progetto in variante aveva lasciato sostanzialmente inalterate le condizioni inizialmente proposte per ciò che riguarda la viabilità esterna e di accesso.

3.4. Il quarto motivo di appello (con cui si è lamentata l’erroneità della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto il motivo di ricorso con il quale si era affermato che la procedura derogatoria di cui all’articolo 9 della l. 122 del 1989 non sarebbe in radice applicabile nel caso di immobili sottoposti a vincolo) è infondato.

Si osserva al riguardo che la circostanza per cui il comma 1 dell’articolo 9 della l. 122 del 1989, cit. richiami in modo espresso unicamente deroghe alla disciplina urbanistica e ai regolamenti edilizi, non sta a significare che la realizzazione di parcheggi pertinenziali interrati sia radicalmente preclusa nel caso di immobili sottoposti a vincolo.

Più semplicemente, il silenzio sul punto da parte del Legislatore deve essere inteso (e correttamente è stato inteso dai primi Giudici):

non già nel senso di impedire in toto il ricorso alle procedure di cui all’articolo 9, cit. nel caso di immobili sottoposti a vincolo, bensì

nel senso di non ammettere procedure derogatorie rispetto a quelle ordinariamente esperibili in materia di gestione del vincolo (nel caso di specie: vincolo storico-monumentale e vincolo archeologico).

Tuttavia, dagli atti di causa emerge che tutti gli ordinari atti di assenso finalizzati alla realizzazione degli interventi sull’immobile vincolato per cui è causa sono stati ritualmente richiesti e sono stati puntualmente rilasciati dalle competenti Soprintendenze per i beni architettonici e per i beni archeologici.

Al riguardo, il Comune di Brescia ha condivisibilmente osservato che i richiami giurisprudenziali allegati dagli appellanti al fine di suffragare la tesi della non utilizzabilità della procedura ex articolo 9, cit. in relazione ad immobili vincolati non può essere ritenuta pertinente alla vicenda di causa.

Nei casi richiamati dagli appellanti (e ai quali si riferisce la giurisprudenza richiamata), infatti, i vincoli esistenti sull’area ne comportavano la radicale inedificabilità. Al contrario, nel caso in questione il vincolo era finalizzato unicamente alla tutela e alla valorizzazione del bene che ne costituisce oggetto, il che non impedisce alla competente Soprintendenza di esaminare – e, se del caso, di autorizzare – interventi compatibili con tali finalità di tutela e di valorizzazione.

3.5. Il sesto motivo di appello (con cui si è chiesta la riforma della sentenza in oggetto per la parte in cui ha omesso di censurare l’error in procedendo derivante dal mancato coinvolgimento della competente Soprintendenza per i beni archeologici a seguito del rinvenimento del muro di età medievale) è infondato.

Al riguardo, il Ministero per i beni e le attività culturali ha persuasivamente osservato:

- che, per ciò che riguarda la realizzazione dell’intervento per cui è causa, l’unico intervento effettivamente necessario era quello della Soprintendenza per i beni architettonici di Brescia (trattandosi di bene sottoposto a vincolo storico-monumentale ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera a) del d.lgs. 42 del 2004), mentre – al contrario – l’intervento della soprintendenza per i beni archeologici era soltanto eventuale (pur essendo stato in concreto richiesto dagli odierni appellati);

- che, a seguito di numerosi sopralluoghi svolti in situ, la competente Soprintendenza aveva concluso nel senso che “i sondaggi preliminari eseguiti nel 2009 non hanno evidenziato nell’area indagata la presenza di strutture da considerarsi di interesse archeologico e che le quote interessate dal progetto non interferiscono con quelle relative alle strutture romane e medievali probabilmente presenti nell’area” (nota in data 4 febbraio 2011).

3.6. Il settimo motivo di appello (con cui è stata chiesta la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha omesso di rilevare la sostanziale contraddittorietà fra l’aver assentito il progetto per cui è causa proprio nel periodo storico in cui l’adiacente sito di S. Maria della Carità veniva annoverato fra i beni tutelati dall’UNESCO) è infondato.

Al riguardo si ritiene che la sentenza in epigrafe sia meritevole di conferma laddove ha osservato che, laddove si accedesse alla tesi sostenuta dagli appellanti, si finirebbe – pur nel silenzio sul punto della legge – per ritenere che l’avvio dell’iter finalizzato all’inclusione di taluni beni nel novero dei beni tutelati dall’UNESCO comporti l’imposizione sull’intera area adiacente (peraltro, di difficile delimitazione) di una sorta di impropria misura di salvaguardia, peraltro di durata non preventivabile.

Del resto, il pieno e rituale coinvolgimento delle diverse Autorità pubbliche coinvolte nella gestione dei vincoli colà esistenti (e consapevoli della pendenza dell’iter finalizzato al riconoscimento di un’area viciniore quale parte del ‘patrimonio dell’Umanità’) offriva sufficiente garanzia della piena e consapevole valutazione di tutti i diversi interessi pubblici e privati nella specie coinvolti.

3.7. L’ottavo motivo di appello (con cui si è chiesta la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha omesso di rilevare l’illegittimità dell’operato del Comune il quale – in sostanziale spregio al contenuto dell’autorizzazione in variante rilasciata dalla Soprintendenza – si è limitato a disporre misure di ‘conservazione’ della muratura tardomedievale rinvenuta in zona e non anche misure di ‘valorizzazione’) è infondato.

Quanto al primo aspetto, la sentenza appare meritevole di conferma laddove ha osservato che le misure in concreto poste in essere al fine della conservazione della muratura in questione (modifica del perimetro esterno dell’intervento al fine di seguire l’andatura del muro; restauro dello stesso e suo inglobamento nella muratura esterna sul fondo dell’area a parcheggio) risultassero idonee a conformarsi alla prescrizione della Soprintendenza che aveva richiesto apposite e adeguate misure di ‘conservazione’.

Per quanto riguarda, poi, le richiamate misure di ‘valorizzazione’, è evidente che il loro grado ed entità debba essere parametrato all’interesse specifico del reperto.

Ora, il competente Ministero dei beni e delle attività culturali ha chiarito (con deduzioni connotate da esercizio di discrezionalità tecnica, le cui conclusioni non possono essere revocate in dubbio nella presente sede, non risultando palesi profili di incongruenza o irragionevolezza) che la muratura in questione non possa in alcun modo essere riferita ai reperti di maggior interesse rinvenibili nella zona (ci si riferisce, in particolare, ai reperti di età romana e altomedievale), ma che sia riferibile all’effettuazione di una grande colmata artificiale che, fra la fine del XVI sec. e l’inizio del XVII, innalzò repentinamente le quote bassomedioevali dell’area.

Si tratta, come riferito dalla competente Soprintendenza, di ritrovamenti e reperti che, pur essendo databili a circa quattro secoli orsono, non presentano notevole interesse archeologico e le cui finalità di valorizzazione possono adeguatamente essere assicurate con l’intervento di salvaguardia ed evidenziazione visiva realizzato dagli odierni appellati.

Il motivo in questione non può, quindi, essere condiviso.

3.8. Il nono motivo di appello (con cui si è chiesta la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui non ha accolto il motivo del primo ricorso relativo al mancato rispetto delle prescrizioni di sicurezza impartite dal competente Comando dei Vigili del fuoco con il parere in data 20 giugno 2011) non può trovare accoglimento.

Al riguardo l’amministrazione ha condivisibilmente obiettato che la progettazione delle vie di esodo dalla rimessa interrata per cui è causa è stata effettuata in ossequio alle previsioni di cui al d.m. 1° febbraio 1986 (recante ‘Norme di sicurezza antincendi per la costruzione e l'esercizio di autorimesse e simili’) e, in particolare, in base al punto 3.10.6 del decreto in questione.

La disposizione da ultimo richiamata stabilisce che “per autorimesse ad un solo piano e per le quali il percorso massimo di esodo è inferiore a 30 m il numero delle uscite può essere ridotto ad uno, costituita anche solo dalla rampa di accesso purché sicuramente fruibile ai fini dell'esodo”.

Al riguardo, l’amministrazione statale ha rilevato che nel caso in esame, esistendo un percorso d’esodo inferiore a 30 mt., del tutto legittimamente è stato assentito un progetto comprendente un’unica via di fuga.

3.9. Il decimo motivo di appello (con cui si è chiesta la riforma della sentenza in oggetto per la parte in cui ha omesso di accogliere il motivo di ricorso fondato sull’asserita incompatibilità dell’intervento con il Piano comunale del traffico – o regolamento viario -) non può trovare accoglimento.

Al riguardo, il Comune di Brescia ha condivisibilmente riferito:

- che il parere reso dal Settore mobilità e traffico di quel Comune in data 2 dicembre 2010 non ha menzionato il contenuto del regolamento viario comunale (non già per non averne tenuto conto, bensì) per non aver ritenuto nel caso di specie violate le rispettive prescrizioni;

- che, per quanto riguarda il rispetto dell’articolo 13 del richiamato regolamento (il quale impone un raggio di curvatura minimo di 5 mt. per l’accesso alle rampe carrabili e il cui mancato rispetto è stato lamentato dagli appellanti nella presente sede di appello), la disposizione in questione non è comunque attuabile in un contesto di nucleo antico storico caratterizzato da vie piuttosto strette. Ad ogni modo il Comune ha osservato che l’articolo 3 del medesimo regolamento stabilisce che le previsioni ivi contenute sono cogenti solo nelle nuove strade o sulle strade oggetto di sistemazioni totali o parziali, “nella misura in cui le condizioni stradali esistenti lo consentano”.

Il motivo in questione non può, dunque, trovare accoglimento.

4. L’appello incidentale proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali (con il quale si è chiesto di riformare la sentenza in epigrafe per la parte in cui ha accolto il ricorso ordinario ed ha annullato il primo permesso di costruire del 17 gennaio 2011, già sospeso in sede cautelare) è infondato.

Al riguardo si osserva che la sentenza in epigrafe è meritevole di conferma laddove ha ravvisato l’erroneità dei pareri rilasciati dalla Soprintendenza per i beni archeologici del 27 ottobre 2009 e del 13 gennaio 2011, i quali avevano affermato che l’area di scavo prevista dal progetto non avrebbe interferito con strutture e stratificazioni di interesse archeologico, esprimendo pertanto parere favorevole a quella che all’epoca rappresentava una variante di progetto.

Sotto tale aspetto si osserva:

- che i pareri in questione si sono rivelati oggettivamente erronei, in quanto la realtà dei fatti ha dimostrato che nell’area insistessero reperti di apprezzabile interesse archeologico (si tratta della muratura tardo medievale per la quale gli Organi del medesimo Ministero appellante hanno imposto particolari misure di conservazione e valorizzazione, in tal modo palesando un atteggiamento quanto meno in contrasto con quanto sostenuto nella presente sede di appello);

- che la stessa Soprintendenza archeologica (la quale, con i richiamati pareri dell’ottobre 2009 e del gennaio 2011, aveva escluso l’esistenza in loco di strutture e stratificazioni di interesse archeologico), aveva di lì a poco – atto in data 23 febbraio 2011 – contraddittoriamente affermato che per l’area in parola esiste un indubbio interesse archeologico, sottolineando l’opportunità di effettuare uno scavo sistematico in approfondimento.

Ora, siccome la questione relativa all’esistenza e la rilevanza di reperti archeologici in loco ha rappresentato uno dei principali aspetti della complessiva vicenda e siccome gli organi del Ministero dei beni e delle attività culturali hanno erroneamente negato in prima battuta (salvo poi affermarla in una seconda fase) l’esistenza e la rilevanza di tali reperti, ne deriva che l’appello incidentale sia infondato (prima ancora che inammissibile).

Ciò, in quanto la sua proposizione si fonda su un presupposto logico-giuridico (l’inesistenza in loco di testimonianze di un qualche valore ai fini archeologico) che risulta smentito dagli atti di causa prima ancora che del complessivo comportamento degli stessi organi ministeriali.

Ai limitati fini che qui rilevano si osserva comunque che, nonostante il disposto – e qui confermato – annullamento del primo titolo edilizio, ciò non determina il venir meno del titolo ‘in variante’ ottenuto dagli odierni appellati in data 11 luglio 2011 (e fatto oggetto di impugnativa attraverso la proposizione dei motivi aggiunti in primo grado).

Ciò, in considerazione del fatto che il permesso di costruire in variante (impugnato in primo grado con i motivi aggiunti), pur essendo stato emesso dopo l’emanazione dell’ordinanza cautelare avente per oggetto l’originario permesso, si caratterizzava per numerosi tratti distintivi rispetto al titolo originario e pertanto costituiva sotto ogni aspetto un titolo autonomo, ex se idoneo a supportare la legittimità dell’edificazione per cui è causa.

Del tutto correttamente, dunque, il TAR ha accolto il ricorso originario, annullando il primo permesso (basato su atti presupposti viziati), ed ha invece respinto i motivi aggiunti, proposti avverso il secondo permesso, che ha consentito la realizzazione di opere ‘più contenute’ per contemperare gli interessi pubblici e privati.

5. Per le ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.

Deve, altresì, essere respinto l’appello incidentale.

Le spese sono poste a carico degli appellanti in via principale e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l’appello principale e respinge l’appello incidentale.

Condanna gli appellanti principali alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.000 (duemila), oltre gli accessori di legge, in favore del Comune di Brescia e in euro 1.000 (mille), oltre gli accessori di legge, in favore di ciascuna delle altre parti costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Gabriella De Michele, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 29/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)