Consiglio di Stato Sez. III n. 8792 del 5 novembre 2024
Urbanistica.Onere della prova sulla data di realizzazione del manufatto abusivo
L’onere di provare la data di realizzazione dell’abuso incombe sul privato. Il criterio di riparto dell'onere probatorio tra privato e amministrazione discende dall'applicazione alla specifica materia della repressione degli abusi edilizi del principio di vicinanza della prova: solo il privato può fornire, in quanto ordinariamente ne dispone, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto, mentre l'Amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all'interno dell'intero suo territorio
Pubblicato il 05/11/2024
N. 08792/2024REG.PROV.COLL.
N. 01525/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1525 del 2021, proposto da
Bisogno Flavia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Accarino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Federico Tedeschini in Roma, largo Messico 7;
contro
Comune di Cava de' Tirreni, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonino Cascone, Giuliana Senatore, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 00846/2020, resa tra le parti, avverso e per l'annullamento, previa sospensiva, dell'ordinanza n. 21 del 23.01.2020 N. Reg. Gen. 27 del 23.01.2020, emessa dal Dirigente del Comune di Cava de' Tirreni, Settore 2 Governo del Territorio, Ambiente ed Attività Produttive, con cui ordina di demolire, a propria cura e spese entro e non oltre 90 giorni dalla data di notifica del provvedimento, le opere abusive realizzate al Corso Principe Amedeo, nn. 32/34, e di ripristinare lo stato dei luoghi con espressa avvertenza che l'inottemperanza comporta l'acquisizione gratuita di diritto al patrimonio comunale e la demolizione di ufficio, nonché l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra € 2000 e € 20.000;
- di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e conseguente e, in particolare, della relazione tecnica con verbale di sopralluogo prot. n. 67457 del 24/9/2019 e prot. n. 70026 del 3/10/2019, elevato a carico della sig.ra Braiero Patrizia per le opere abusive realizzate alla via A. Vitale, 27 “come di seguito descritte”;
- della richiesta del medesimo 2º Settore di chiarimenti e avvio del procedimento prot. n. 51395 del 17/7/2019;
- per la declaratoria della legittimità delle opere contestate.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Cava de' Tirreni;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 23 ottobre 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo;
Viste le conclusioni delle parti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.È appellata la sentenza resa in forma semplificata del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 00846/2020, di reiezione del ricorso proposto dalla sig.ra Flavia Bisogno avverso l’ordinanza di demolizione n. 21 del 23 gennaio 2020, adottata dall’Ufficio repressione del Comune di Cava de’ Tirreni avente ad oggetto i locali terranei realizzati senza titolo edilizio nel centro storico in Corso Principe Amedeo di Cava de’ Tirreni.
Il Comando di Polizia Locale, in data 14.10.2019, ha accertato la realizzazione, nelle aree di proprietà (contraddistinte catastalmente al fg. 24 p.lla 536 sub 13-1-4-15), di tre locali deposito abusivi.
Sulla base di tali risultanze e sul rilievo dell’insufficienza degli elementi forniti circa la regolarità edilizia dei tre locali depositi, segnatamente della prova della preesistenza in epoca antecedente al 1942, il Comune ha adottato la sanzione demolitoria.
2. Nei motivi d’impugnazione, la ricorrente, divenuta proprietaria piena, a seguito del decesso del padre usufruttario, ha denunciato difetto dei presupposti, di istruttoria e di motivazione.
3. Il Tar ha respinto il gravame.
Ritenuti dirimenti i riscontri documentali forniti dal Comune – in particolare, la planimetria catastale aggiornata al 1898 ritrae, in corrispondenza dell’area occupata dalle unità immobiliari contestate, sia «una dimensione ridotta» sia «una conformazione a forma poligonale irregolare, con la possibilità di accesso mediante adiacente ‘vanella’ o, più propriamente, corte interna retrostante i manufatti con area pedonale di collegamento … mentre ad oggi risulta una sagoma rettangolare regolare, priva di accessi alla ‘vanella’ ora interclusa; ciò implica che lo stato dei luoghi ha subito variazioni nel tempo, non assentite da titoli edilizi – i giudici di prime cure, quanto all’epoca di realizzazione delle opere, hanno dato credito allo stralcio aerofotogrammetrico dell’Istituto Geografico Militare del 1955 e alla cartografia comunale del 1971, in allegato alla relazione istruttoria prot. n. 28965 del 30 aprile 2020, “dove il complesso immobiliare riguardato dalle opere contestate presenta una visibile apertura in corrispondenza dell’area occupata da queste ultime”.
4. Appella la sentenza la sig.ra Flavia Bisogno. Resiste il Comune di Cava de’ Tirreni.
5. All’udienza da remoto del 23 ottobre 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
6. Coi motivi d’appello si denuncia violazione dell’art. 60 c.p.a. per avere il Tar definito la causa con sentenza semplificata, stante – lamenta la ricorrente con altra censura – la mancata dimostrazione della irregolarità edilizia delle consistenze immobiliari sanzionate
7. L’appello è infondato.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 60 c.p.a. fondata sull’insussistenza dei presupposti per la definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata per l’esigenza manifesta di dover discutere in contraddittorio i documenti versati dall’amministrazione, sia per maggiore approfondimento nel merito delle censure, va ribadito che la valutazione circa la manifesta infondatezza del ricorso di primo grado, che ha giustificato l'emissione della sentenza in forma semplificata, costituisce apprezzamento insindacabile dal giudice d'appello.
Il giudizio del Tar, definito con la sentenza c.d. semplificata, è oggetto di riesame in appello sulla base delle specifiche deduzioni contenute nei motivi, in ossequio al principio del doppio grado di giudizio, che non può certo essere compromesso dalle modalità di adozione della decisione quando sono da ritenersi rispettati i principi del contraddittorio e della completezza dell'istruttoria.
La sentenza in forma semplificata attiene al piano delle tecniche di redazione della decisione previsto espressamente quale regola in alcuni riti speciali: ad esempio quello dell'ottemperanza (art. 114, comma 3, c.p.a.), quello sul silenzio (art. 117, comma 2, c.p.a.), quello dei contratti pubblici (art. 120, comma 6, c.p.a., addirittura in deroga ai limiti di cui al primo periodo dell'art. 74 c.p.a.).
È un modello decisorio rapido e semplificato impiegabile tutte le volte in cui il giudice, come nel caso che ne occupa, ritenga di potersi pronunciare sulla controversia, senza ulteriori approfondimenti istruttori o adempimenti processuali, in quanto di pronta soluzione (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2023, n, 10503; Id., sez. III, 20 ottobre 2021, n. 7045; Id., sez. V, 24 marzo 2014, n. 1436).
7.1 Ad analoga decisione deve giungersi con riguardo al secondo motivo di appello.
La ricorrente contesta la sentenza di prime cure nella parte in cui ha ritenuto non assolto da parte sua l’onere della prova sulla regolarità edilizia dei manufatti sub iudice.
L’onere di provare la data di realizzazione dell’abuso incombe sul privato (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 30 gennaio 2024, n. 909).
Il criterio di riparto dell'onere probatorio tra privato e amministrazione discende dall'applicazione alla specifica materia della repressione degli abusi edilizi del principio di vicinanza della prova: solo il privato può fornire, in quanto ordinariamente ne dispone, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto, mentre l'Amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all'interno dell'intero suo territorio (cfr., Cons. Stato, sez. II, 26 gennaio 2024, n. 858).
Nel caso che ci occupa, l’appellante non ha fornito le prove richieste e quelle marginali dedotte sono state tutte puntualmente confutate dagli uffici con ricchezza di argomenti.
La preesistenza dei locali in epoca ante ‘42, sull’assunto che gli stessi sarebbero riportati nello stralcio planimetrico catastale allegato al piano di recupero del borgo di fine 1800, è smentita dai rilievi dei tecnici comunali (previa precisazione che, all’epoca, l’area di riferimento era inquadrata d’impianto al foglio 24 p.lla 66), che hanno accertato preliminarmente l’inesattezza dell’area individuata dal ricorrente sullo stralcio di mappa (all.3), precisando che l’area di interesse non è quella (cerchiata in rosso) ma quella evidenziata col colore blu, sul medesimo stralcio di mappa .
Hanno poi rilevato plurime discordanze nella conformazione delle sagome dei locali riportati sulla mappa di impianto catastale del 1898, rispetto alle sagome dei vani terranei all’attualità, risultanti dall’accertamento edilizio eseguite; nonché plurime incongruenze nella conformazione delle sagome rispetto alla consistenza attuale alla luce di tali ammissioni, e, trattandosi di immobili ricadenti in zona A1, ogni intervento di trasformazione della sagoma degli stessi integrava una categoria di intervento non ammessa dalla strumentazione urbanistica vigente dagli anni 1942 ai primi anni 80’ (anno di adozione dei piani di recupero), e necessitante in ogni caso un titolo abilitativo, non rinvenuto.
In aggiunta, gli stessi tecnici comunali hanno argomentato l’assenza di tali manufatti sull’area in contestazione attraverso un ulteriore approfondimento istruttorio, consistito nella consultazione:
-dello stralcio aerofotogrammetrico dell’IGM dell’anno 1955 (All. B), della foto aerea dell’anno 1954 (All. C) e della Cartografia comunale dell’anno 1971 (All. D).
In definitiva, le fonti ufficiali richiamate attestano inesistenza dei locali terranei alla data del 1942, da ritenersi abusivi e legittimamente sanzionati ai sensi dell’art. 31 d.P.R. 380/01.
Né in contrario rilevano i dati catastali, poiché essi non sono decisivi ai fini dell'accertamento della legittimità urbanistico-edilizia di un immobile, perché il catasto viene implementato a seguito di comunicazioni e dichiarazioni dei soggetti interessati, sulle quali l'amministrazione finanziaria può, al più, esercitare un riscontro formale ab externo (cfr., Cons. St., sez. VI, 1 settembre 2022, n. 7621, in riferimento a un cambio di destinazione d’uso).
Pertanto, contrariamente a quanto supposto dalla ricorrente, la classificazione catastale, che notoriamente rileva primariamente a fini fiscali, riveste carattere recessivo e sussidiario, come tale utilizzabile in mancanza di documenti probanti, quale previsione di chiusura del sistema (cfr., Cons. St., sez. IV, 6 dicembre 2022 n. 10670).
Né gli abusi sono qualificabili come “difformità parziali” e non “totali”.
Le risultanze istruttorie restituiscono una realtà di fatto antitetica alla prospettazione di parte appellante: manufatti sono stati edificati e trasformati in epoca ben recente e dal rilievo per cui l’insistenza dei manufatti in zona paesaggisticamente vincolata fa sì che ogni difformità integra, ex art. 32 d.P.R. 380/01, variazione essenziale, assoggettata al regime sanzionatorio ex art. 31 d.P.R. 380/01.
8. Conclusivamente l’appello deve essere respinto.
9. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la sig.ra Flavia Bisogno al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di Cava de’ Tirreni liquidate complessivamente in 4000,00 (quattromila) euro, oltre diritti ed accessori di legge
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Oreste Mario Caputo, Presidente FF, Estensore
Raffaello Sestini, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere
Ugo De Carlo, Consigliere
Roberto Michele Palmieri, Consigliere