Consiglio di Stato Sez. VI n. 10 del 4 gennaio 2016
Urbanistica.Muri di cinta e titolo abilitativo
In linea generale, la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della d.i.a. (in seguito: s.c.i.a.) ove dette opere non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, occorrendo - invece - il permesso di costruire, ove detti interventi superino tale soglia.
N. 00010/2016REG.PROV.COLL.
N. 02843/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2843 del 2015, proposto da:
Barba Lorenzo, in proprio e quale titolare della ditta Lorinox di Barba Lorenzo, rappresentato e difeso dagli avv. Annalisa Bassi, Filippo Lattanzi, con domicilio eletto presso Filippo Lattanzi in Roma, via G.Pierluigi da Palestrina, 47;
contro
Unione Bassa Est Parmense, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Roberto Ollari, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
nei confronti di
Calzolari Giovanni, non costituito in questo grado;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - SEZ. STACCATA DI PARMA: SEZIONE I n. 7/2015, resa tra le parti, concernente ordine di demolizione opere abusive e ripristino stato dei luoghi - ris. danni
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’ Unione Bassa Est Parmense;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 1° dicembre 2015, il Consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti gli avvocati Bassi e Ollari.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Barba Lorenzo, in proprio e quale titolare della ditta Lorinox, impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna, sezione di Parma, 15 gennaio 2015 n. 7 che ha respinto il ricorso dallo stesso proposto avverso il provvedimento 16 gennaio 2014 n. 398 dell’Unione Bassa Est Parmense, recante l’ordine di demolizione di opere edilizie (sostanzialmente, di un muretto divisorio in cemento armato) realizzate sine titulo lungo il confine nord del lotto posto all’interno del piano particolareggiato per insediamenti produttivi denominato “Parma Nord” a confine con la proprietà Calzolari.
L’appellante insiste anche in questo grado nell’assumere la legittimità dell’intervento edilizio, come semplice muretto di recinzione a supporto della rete metallica posta a divisione dei lotti, legittimato dal permesso di costruire n. 17 del 20 giugno 2003 rilasciato per la realizzazione del capannone e dalla delibera del Comune di Mezzano 27 giugno 2002, n. 27 recante l’approvazione delle opere dell’intero comparto a destinazione artigianale-industriale.
Conclude l’appellante per l’accoglimento, con l’appello, del ricorso di primo grado e per l’annullamento dell’atto in quella sede gravato, in riforma della impugnata sentenza.
Si è costituita in giudizio l’Unione Bassa Est Parmense per resistere all’appello e per chiederne la reiezione.
Le parti hanno scambiato memorie illustrative e memorie di replica in vista dell’udienza di discussione.
All’udienza pubblica del 1° dicembre 2015 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
2.-L’appello è fondato e va accolto.
3.- L’ordine di demolizione impugnato in primo grado riguarda un muretto in cemento armato posto sul lato nord del lotto in titolarità dell’odierna società appellante, a confine con proprietà Calzolari.
La demolizione è stata disposta dall’odierna amministrazione appellata sull’assunto che quel muro sia stato realizzato dagli originari titolari del lotto (MPS Leasing & Factoring s.p.a.) senza la previa acquisizione del permesso di costruire.
Gli argomenti qui controversi riguardano:
a)la natura giuridica del muro, se in particolare si tratti di muro di cinta ovvero di muro di contenimento del terreno (in quella parte ad andamento declive ) e, in quest’ultima ipotesi, se superi o non superi in altezza il piano di campagna;
b) le connesse questioni inerenti il tipo di titolo legittimante l’intervento e la corretta sanzione da applicare, ove fosse mai stata necessaria la previa acquisizione di un titolo. In sostanza, se la sanzione reale della riduzione in pristino impugnata con il ricorso di primo grado sia sanzione appropriata in relazione al profilo di pretesa abusività contestato.
Il giudice di primo grado è pervenuto all’adozione della gravata sentenza reiettiva ritenendo che il muro divisorio non potesse qualificarsi come muro di solo contenimento del terreno: e tanto vuoi perché il riempimento della scarpata sarebbe ascrivibile ad opera dell’uomo (e quindi non si tratterebbe di un terrapieno “naturale”), vuoi perché il muro risulterebbe eretto ad una quota, al colmo, senz’altro superiore al piano di campagna. Di qui la ritenuta congruità della sanzione demolitoria dell’opera, qualificata come nuova costruzione e come tale priva di titolo edilizio in quanto mai assentita con permesso di costruire.
4.- Il Collegio ritiene che tali conclusioni non siano da condividere e che non resistano alle censure dedotte dalla ’appellante.
In particolare, il Collegio considera che il detto muretto si caratterizzi come vero e proprio muro di cinta (come del resto accertato dalla relazione di consulenza tecnica nel giudizio civile dinanzi al Tribunale di Parma promosso dal confinante Calzolari nei confronti dell’odierno appellante) in quanto posto sul confine ed avente una evidente funzione di separazione e difesa dei distinti lotti di proprietà (tale qualificazione fa venir meno – per quanto mai possa in questa sede rilevarsi e considerarsi, e ferme comunque le autonome valutazioni del giudice civile, competente a quei fini - la questione dell’obbligo di rispettare le distanze legali ai sensi del combinato disposto degli artt. 873 e 878 Cod. civ.).
Si può prescindere, sulla base delle considerazioni in diritto che si svolgeranno più avanti, dall’approfondire qui la questione in fatto se detto muro sia svolga anche la funzione pratica di muro di contenimento di un terreno naturalmente in declivio (assunto che varrebbe, secondo la prospettazione , ad escludere la rilevanza della previa acquisizione di un titolo legittimante la sua erezione).
Ciò posto in termini di qualificazione giuridica, il Collegio ritiene che prima di affrontare la questione della legittimità dell’ordinanza di demolizione vada preliminarmente verificato e quale titolo edilizio fosse richiesto per la realizzazione.
Il Testo unico dell’edilizia (approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) non contiene indicazioni dirimenti: non vi è detto se il muro di cinta necessiti del permesso di costruire in quanto intervento di nuova costruzione (ai sensi degli articoli 3, comma 1, lettera e) e 10 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) ovvero se sia sufficiente la denuncia di inizio di attività di cui all'articolo 22 del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001 (in seguito: segnalazione certificata di inizio di attività, ai sensi dell' articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo introdotto dal comma 4-bis dell' articolo 49 d.-l. 31 maggio 2010, n. 78, come convertito con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010, n. 122 ).
5.- L’orientamento prevalente di questo Consiglio di Stato, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, è nel senso che più che all’astratto genus o tipologia di intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi) occorrere far riferimento all’impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio: cvon la conseguenza che si deve qualificare l’intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte abbia l'effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie (es. Cons. Stato, VI, 4 luglio 2014 n. 3408).
Sulla base di tale approccio attento al rapporto effettivo dell’innovazione con la preesistenza territoriale, e che prescinde dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per qualificare l’opus quale muro di recinzione (o altre simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all'articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del 1990 (in tal senso: Cons. Stato, IV, 3 maggio 2011, n. 2621).
Non contraddice quanto appena detto la circostanza che, nel caso specifico, la precitata sentenza di questa Sezione n. 3408 del 2014, il Collegio abbia invece ritenuto necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di cinta con altezza al colmo pari a 1,70 mt., tenuto conto del fatto che la ratio decidendi era nel senso che quel singolo intervento aveva determinato un'incidenza sull'assetto complessivo del territorio di entità ed impatto tali da produrre un'apprezzabile trasformazione urbanistica o edilizia.
Era quella una motivazione puntuale, adattata al caso di specie, confermativa dell’approccio sostanzialista (e non nominalistico) che attribuisce in ogni caso rilievo alla consistenza quali-quantitativa del concreto intervento edilizio sul territorio.
Ciò detto, deve essere conseguentemente qui puntualmente confermato l'orientamento secondo cui, in linea generale, la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della d.i.a. (in seguito: s.c.i.a.) ove dette opere non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, occorrendo - invece - il permesso di costruire, ove detti interventi superino tale soglia.
6.- Venendo al caso che ne occupa, si deve anzitutto rilevare che il muro divisorio di che trattasi risulta di altezza tanto modesta da essere visivamente percepito solo dal lato della proprietà Calzolari, essendo dall’altra parte completamente neutralizzato, sul piano dell’impatto visivo, dal terrapieno che copre il muro per quasi tutta la sua altezza.
Per conseguenza, l'impatto sortito dal manufatto in parola sul piano urbanistico-edilizio risulta di scarsa incidenza sole che si consideri che - come emerge dal materiale fotografico acquisito - lo stesso manufatto supera di poco (al di là della sua maggiore o minore percezione visiva a seconda del versante prospettico) il piano di campagna; e che l’effettiva funzione divisoria dei distinti lotti di proprietà è in concreto assicurata da una rete metallica infissa sul predetto muro (sulla legittimità del titolo alla apposizione della rete metallica non si è fatta qui questione, l’ordine di abbattimento avendo riguardato il solo muro portante).
Nel caso in esame, pertanto, il manufatto non rappresenta un’opera comportante un’apprezzabile trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio: tanto più se si considera che il giudizio è necessariamente relazionale rispetto al concreto contesto e che, nella specie, queste opere sono state realizzate contestualmente ed in funzione complementare a quelle di urbanizzazione di una vasto comparto a destinazione artigianale- industriale. La rilevanza di cui si verte, ai fini della rammentata capacità trasformativa, va invero considerata in modo proporzionale: cioè dopo essere stata rapportata non alla consistenza in assoluto dell’innovazione, bensì alla condizione del contesto in cui è inserita. Sicché un manufatto di minimo impatto che in un certo contesto può risultare necessitante del massimo titolo edilizio, può non risultarlo altrove. E non vi è dubbio che un contesto come quello di un comparto a destinazione artigianale- industriale attenuti il rilievo di fatto che avrebbe la medesima opera in un contesto abitativo.
Da quanto sopra consegue che il muro divisorio di che trattasi, in quanto assoggettato a semplice d.i.a. (ora s.c.i.a.), non era passibile di ordinanza di demolizione, atteso che per le opere sottoposte a d.i.a. la sanzione applicabile è unicamente la sanzione pecuniaria (cfr. art.37 T.U. cit., che fa salve le ipotesi, qui non ricorrenti, degli interventi eseguiti su beni culturali ovvero in zona tipizzata come“A” dallo strumento urbanistico).
Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va accolto e, in riforma della impugnata sentenza, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguenziale annullamento degli atti in quella sede gravati.
7.- Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l'integrale compensazione delle spese relative al doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello (Rg n. 2843/15), come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla l’impugnata sentenza.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 1° dicembre 2015, con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)