Consiglio di Stato Sez. VI n. 188 del 11 gennaio 2022
Urbanistica.Completamento di interventi su opere abusive
Gli interventi edilizi, di qualunque tipo, anche di manutenzione straordinaria o risanamento conservativo, realizzati su immobili abusivi non condonati, ripetono le caratteristiche di abusività dell’opera principale alla quale accedono. Non è, infatti, consentita la prosecuzione dei lavori di completamento su opere abusive, sino all’eventuale intervento della sanatoria e le opere di completamento realizzate in spregio a tale principio devono essere oggetto di riduzione in pristino.
Pubblicato il 11/01/2022
N. 00188/2022REG.PROV.COLL.
N. 04544/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4544 del 2015, proposto da
Patrizia Ravetti, rappresentata e difesa dall'avvocato Carlo Abbate, domiciliata in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via della Maratona, n. 56;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Andrea Magnanelli, domiciliata in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico in Roma, via del Tempio di Giove n.21;
perla riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 10932/2014, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2021 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Parte ricorrente impugna la sentenza del TAR del Lazio, sez. II bis, n. 10932/2014, con la quale è stato respinto il ricorso di cui al r.g. n.12496/1999, proposto avverso la Determinazione Dirigenziale n. 935 del 16.6.1999, che ha ingiunto la demolizione delle opere abusivamente realizzate su un’unità immobiliare sita nell’ente capitolino, alla Via degli Eugenii.
In particolare, la parte ricorrente ha presentato, in data 10.2.1996, una domanda di condono edilizio e, successivamente, pendente l’istanza di sanatoria, ha realizzato opere di asserito completamento.
Roma Capitale ha adottato l’ingiunzione di demolizione suindicata, impugnata dinanzi al T.A.R. Lazio.
L’adito T.A.R. ha rigettato il ricorso con la sentenza gravata in questa sede.
La sentenza in questione, nel motivare il rigetto del ricorso, ha rilevato che gli interventi edilizi anche di manutenzione straordinaria o risanamento conservativo, realizzati su immobili abusivi non condonati, ripetono le caratteristiche di abusività dell’opera principale alla quale accedono.
Pertanto non può ammettersi la prosecuzione dei lavori di completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinare la demolizione anche in relazione alle c.d. opere di completamento.
Sono consentiti ulteriori interventi su immobili sui quali pende domanda di condono solo alle condizioni di cui all’art. 35, comma 13, legge n. 47/1985, ai sensi del quale “Decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell'oblazione, il presentatore dell'istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all'art. 31 non comprese tra quelle indicate dall'art. 33. A tal fine l'interessato notifica al Comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione... I lavori per il completamento delle opere di cui all’articolo 32 possono essere eseguiti solo dopo che siano stati espressi i pareri delle competenti amministrazioni ...”.
La medesima sentenza rileva che “il ricorso alla procedura di cui all’art. 35, comma 13, della legge n. 47/1985 si rende necessario al duplice fine di acquisire certezze in ordine allo stato dei luoghi (attraverso la perizia giurata ovvero la documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi) e di evitare postumi tentativi di disconoscimento, da parte di chi esegue l’intervento, della circostanza che l’esecuzione delle opere di completamento, pur se autorizzata, avviene “sotto la propria responsabilità”, ossia nella piena consapevolezza che, se il condono verrà negato, dovranno essere demolite anche le migliorie apportate al manufatto abusivo”.
La decisione gravata conclude il suo iter motivazionale di rigetto rilevando che “dagli atti di causa non risulta che la ricorrente per le opere di cui è stata ordinata la demolizione abbia preventivamente attivato la procedura di cui all’art. 35 della legge n. 47/1985, perché si è limitata ad effettuare (con nota prot. n. 544 del 4 gennaio 1999) una mera comunicazione di inizio dei lavori. Ne consegue che l’adozione del provvedimento impugnato costituisce un atto dovuto, perché le opere di completamento di cui trattasi ripetono le caratteristiche di abusività dell’opera principale alla quale accedono”.
La parte ricorrente ha proposto appello avverso quest’ultima decisione formulando i seguenti motivi di ricorso:
I) Violazione di legge. Violazione dell'art. 35 della legge n. 47 del 1985. Travisamento e impossibilità dell'oggetto.
Secondo l’appellante è pacifico e incontroverso che l’intervento oggetto di ordine di demolizione consiste nella “esecuzione degli intonaci interni ed esterni, realizzazione di tramezzature interne, e apposizione di infissi e di finestre, nonché nella rifinitura del tetto del predetto manufatto".
Con il provvedimento in primo grado impugnato si assume che tale intervento sarebbe abusivo perché realizzato senza concessione edilizia e si dispone, pertanto, la demolizione "degli intonaci interni ed esterni, di tramezzature interne, di infissi e di finestre” e "della rifinitura del tetto del predetto manufatto".
Il procedimento così delineato consiste, quindi, nella mera comunicazione all’Autorità comunale dell'intervento che ci si propone di compiere per rifinire il manufatto oggetto della domanda di condono edilizio non ancora definita e comunque pendente: il tutto alla condizione che siano trascorsi 120 giorni dalla presentazione della domanda e che sia stata corrisposta la seconda rata della prevista sanzione.
La ricorrente ha ottemperato alla disposizione di cui al citato art. 35 e, non avendo ricevuto alcuna contraria comunicazione nel previsto termine di 30 giorni a seguito della rituale comunicazione effettuata, ha quindi dato inizio ai lavori fedelmente realizzando l'intervento di finitura così come comunicato.
La sentenza gravata risulta quindi viziata e meritevole di riforma, sia perché emessa in violazione dell'art. 35 della legge n. 47 del 1985, sia perché con essa si è travisato il contenuto della comunicazione effettuata dalla ricorrente con nota prot. n. 544 del 4 gennaio 1999 che, indipendentemente dal nomen, costituisce a ogni effetto l'adempimento da parte della ricorrente del procedimento di cui all'art. 35 della citata legge n. 47 del 1985.
Sarebbe evidente che le opere contestate non sono soggette a preventiva concessione edilizia ma, come anche rilevato dal TAR, alla mera osservanza del procedimento di cui all'art. 35 della legge n. 47 del 1985 che, sotto tale profilo, risulta ulteriormente violato nella fattispecie.
La sentenza impugnata risulterebbe, infine, viziata nella parte in cui non ha valutato la sostanziale impossibilità dell'oggetto della sanzione demolitoria disposta dalla Autorità Comunale.
Sarebbe davvero incomprensibile come possa concretizzarsi la misura demolitoria degli "intonaci interni ed esterni" ovvero della "rifinitura del tetto del predetto manufatto" con la conseguenza che, anche ove dovessero disattendersi le superiori censure, non si sarebbe comunque dovuto disporre la sanzione demolitoria che andava invece sostituita con quella pecuniaria.
II) La sentenza impugnata si presenterebbe, inoltre, viziata nei sensi denunciati con i motivi di gravame di cui al ricorso introduttivo che sono state trascritte e fatte valere quali autonomi motivi di appello.
Si è costituta in giudizio Roma Capitale resistendo al ricorso e depositando memoria difensiva, cui ha fatto seguito memoria di replica dell’appellante.
Nel frattempo, la domanda di condono presentata in relazione al manufatto di 200 mq. ha ricevuto parere negativo da parte della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma, con nota prot. n. 10972 del 28/4/2016, da parte della Soprintendenza alle belle arti ed al paesaggio con nota prot. n. 8568 del 31/5/2016, nonché da parte della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma, con prot. n. 19978 del 24/8/2016.
In virtù di tali pareri negativi, considerato che “l’area su cui insiste l’abuso risulta gravata dai seguenti vincoli Beni paesaggistici ex art. 134 comma l lett. a) del Codice - c - D.M. 14.12.53, Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. a) del Codice - e - D.M. 16.10.98, Beni paesaggistici. ex art. 134 comma 1 lett. b) del Codice - f- Parco, Parco dell’Appia Antica L.R. 66/88, e P.T.P. 15/12 Appia Tutela Integrale/70”, Roma Capitale ha adottato la D.D. n. QI/1228/2017 del 15.9.2017 di reiezione dell’istanza di sanatoria.
I pareri negativi e il provvedimento di rigetto dell’istanza di condono sono stati impugnati con ricorso al T.A.R. Lazio avente n.r.g. 2215/2017, notificato il 22/2/2017 (quanto ai pareri delle Soprintendenze statali) e con motivi aggiunti notificati il 25/1/2018 (quanto alla determinazione dell’Ente).
All’udienza pubblica del 21 dicembre 2021, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1) L’appello si palesa infondato.
2) Corretta si palesa l’affermazione del giudice di prime cure secondo cui gli interventi edilizi, di qualunque tipo, anche di manutenzione straordinaria o risanamento conservativo, realizzati su immobili abusivi non condonati, ripetono le caratteristiche di abusività dell’opera principale alla quale accedono.
Non è, infatti, consentita la prosecuzione dei lavori di completamento su opere abusive, sino all’eventuale intervento della sanatoria e le opere di completamento realizzate in spregio a tale principio devono essere oggetto di riduzione in pristino.
Fa eccezione la procedura prevista dall’art. 35, comma 13 della legge 28/02/1985, n. 47, ai sensi del quale “Decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell'oblazione, il presentatore dell'istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all'art. 31 non comprese tra quelle indicate dall'art. 33. A tal fine l'interessato notifica al comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione. L'avvenuto versamento della prima e della seconda rata, seguito da garanzia fideiussoria per il residuo, abilita gli istituti di credito a concedere mutui fondiari ed edilizi. I lavori per il completamento delle opere di cui all'art. 32 possono essere eseguiti solo dopo che siano stati espressi i pareri delle competenti Amministrazioni. I lavori per il completamento delle opere di cui al quarto comma dell'art. 32 possono essere eseguiti solo dopo che sia stata dichiarata la disponibilità dell'ente proprietario a concedere l'uso del suolo”.
La norma, pertanto, prevede la possibilità in via eccezionale di completare le opere abusive in pendenza del procedimento di condono, richiedendo tuttavia l’instaurazione di uno specifico iter procedimentale e, a tal fine, l’interessato deve notificare il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi.
Tale previsione è, infatti, contempla la necessità di deposito di specifica documentazioni per evitare abusi.
La medesima norma specifica, come indicato, che “i lavori per il completamento delle opere di cui all’articolo 32 possono essere eseguiti solo dopo che siano stati espressi i pareri delle competenti amministrazioni”, inserendo anche tale requisito tra i presupposti per effettuare gli interventi di completamento.
3) Nel caso di specie il Collegio rileva in via preliminare che, nelle more del giudizio, l’istanza di condono sia stata rigettata, il relativo provvedimento è stato gravato in un diverso giudizio ma non risulta che lo stesso sia stato sospeso, per cui allo stato le opere di completamento in questione non potrebbero essere mantenute in loco.
In ogni caso, indipendentemente dalle sorti del provvedimento di diniego di sanatoria attualmente sub iudice, il Collegi ritiene che l’appello debba essere rigettato.
Parte appellante ha sostenuto di aver instaurato la procedura prevista dal comma 13 del citato art. 35, inviando una comunicazione al Comune in tal senso, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ente locale secondo cui l’interessato si sarebbe limitato a una mera comunicazione di inizio dei lavori.
Al riguardo, l’appellante non ha dimostrato di aver prodotto una vera e propria notifica ai sensi del più volte citato art. 35 che necessita il chiaro ed espresso intendimento di effettuare opere di completamento in pendenza di istanza di condono, assumendosene la responsabilità, producendo una perizia giurata o, comunque, documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi.
Inoltre, le opere di completamento sono subordinate ai pareri delle competenti amministrazioni.
Nel caso si specie le aree sono pacificamente gravate da vincoli paesaggistici e, pertanto era necessario il parere sia della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma, sia quello da parte della Soprintendenza alle belle arti ed al paesaggio, nel caso di specie assente al momento della realizzazione delle opere di completamento e successivamente reso di segno negativo.
Quanto alla sanzione demolitoria, le opere di completamento abusive derivano l’abusività dall’immobile cui accedono e devono seguire il regime sanzionatorio previste per quest’ultimo, che nel caso di specie è di natura demolitoria.
Nello specifico, Peraltro, le opere di completamento in questione consistono nella realizzazione di nuove tramezzature, apposizione di infissi e finestre con conseguente creazione di quattro stanze aggiuntive e due bagni, ovverosia di interventi non marginali che ben giustificano di per sé l’ingiunzione della riduzione in pristino.
4) Inammissibile è, infine, la mera riproposizione operata dall’appellante delle censure formulate in primo grado da parte ricorrente in quanto, l'art. 101, comma 1, D.Lgs. n. 104/2010, non consente una generica riproposizione dei motivi di ricorso respinti dal giudice di primo grado, ma richiede la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo sul quale si fonda la decisione appellata, poiché l'oggetto del giudizio di appello è costituito dalla decisione appellata e non dal provvedimento gravato in primo grado (Cons. Stato Sez. II, 19/08/2021, n. 5939).
L'effetto devolutivo dell'appello, infatti, non esclude l'obbligo dell'appellante di indicare nel relativo atto le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali le conclusioni, cui il primo giudice è pervenuto, non sono condivisibili, non potendo l'appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado (Cons. Stato Sez. IV, 26/07/2021, n. 5534; Cons. Stato Sez. II, 21/07/2021, n. 5504).
5) Per le ragioni indicate l’appello deve essere rigettato.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 10932/2014.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese del giudizio di appello quantificate in euro 2.000,00, oltre accessori se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2021 con l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Andrea Pannone, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere
Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore