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Consiglio di Stato Sez. V sent. 2449 del  9 maggio 2003
Vincolo imposto con NTA del PRG. Decadenza

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REPUBBLICA ITALIANA N. 2449/03 REG.DEC.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N.869 REG.RIC.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ANNO 1996

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 869 del 1996 proposto da Casani Giuliano, Musetti Milena, D’Este Florina, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Lorenzo Acquarone, Giovanni Gerbi, Francesco Massa e Ludovico Villani e presso quest’ultimo elettivamente domiciliati, in Roma, Via Asiago n.8;

c o n t r o

il Comune di Carrara, in persona del Sindaco p.t., n. c.

e nei confronti

della Soc. Moretti Costruzioni s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Rino Gracili e dall’avv.to Cesare Crosta, elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, Piazza Mazzini, n.27

per l’annullamento e/o la riforma

della sentenza del T.A.R. Toscana, Sez. III, 27.10.1995 n. 236.

Visto l’atto di appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della società intimata;

Viste le memorie prodotte dagli appellanti e dalla società resistente;

Visti gli atti tutti della causa;

Udito, a lla pubblica udienza del 25 febbraio 2003, il relatore, consigliere Nicolina Pullano, ed udito inoltre, il difensore della parte appellante, l’avv.to Villani;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Gli attuali appellanti, originari ricorrenti unitamente ad altri litisconsorzi, proprietari di immobili situati nel comprensorio di Marina di Carrara dell’omonimo Comune, hanno chiesto al Tar Toscana l’annullamento della concessione edilizia rilasciata alla società appellata per la edificazione, in prossimità dei loro immobili, di un manufatto, con destinazione residenziale e commerciale, di cinque piani fuori terra (pari a m.18 di altezza al colmo), per una volumetria complessiva di mc.7134, su un lotto di mq. 1310 (utilizzando, quindi, un indice di 5mc./mq.).

A sostegno della loro domanda hanno dedotto i seguenti motivi di gravame:

1) Violazione dell’art. 2 delle N.T.A. del P.R.G. di Carrara. Violazione dell’art. 15 L.R. della Toscana n. 74/1984 e dell’art. 4, u.c., della L. n.10/77. Difetto di presupposto.

La concessione non poteva essere rilasciata, in quanto, essendo la realizzazione di nuovi interventi edilizi nella parte vecchia di Marina di Carrara soggetta, secondo l’art. 6 delle N.T.A., alla previa approvazione di uno strumento attuativo, l’intervenuta decadenza di detto vincolo, ai sensi di quanto dispone l’art. 2 della L. n.1187/1968, avrebbe comportato l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 4 della L. n. 10/77 per i comuni sprovvisti di strumento urbanistico.

Inoltre, l’art. 15 della L.R., per gli strumenti urbanistici generali soggetti a revisione, sospende l’attuazione delle zone di espansione previste dal vigente strumento urbanistico.

In ogni caso, l’art. 17 della L. n. 765/1967, impone il piano attuativo qualora si tratti di edificazione superiore ai 3 mc./mq.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 41 sexies L. n. 1150/1942, come sostituito dall’art. 2 L. n.122/1989. Difetto di presupposto.

Non è stata accertata la sufficienza dei posti auto a servizio del nuovo insediamento.

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 delle N.T.A. Difetto di istruttoria.

Il progetto assentito non rispetta le distanze prescritte dalla norma rubricata per il distacco dalle costruzioni adiacenti e dalle aree confinanti.

4) Violazione dell’art. 1 L. n. 13/1989, del d.m. LL.PP. n.236/1989 e dell’art. 5, c. quarto, L.R. n. 47/1991.

La concessione edilizia è stata rilasciata in difetto di previa verifica dell’osservanza delle disposizioni intese a favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche.

5) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del vigente R.E. di Carrara. Difetto di istruttoria.

Il progetto assentito non contiene la planimetria generale della località e le piante dei piani e non è corredato dalla ricevuta del Genio civile attestante l’avvenuta denuncia delle opere in conglomerato cementizio.

6) Violazione dell’art. 12 del R.E. Difetto di motivazione.

La concessione è stata rilasciata sebbene l’ufficio tecnico avesse espresso parere contrario per la mancanza del piano particolareggiato, per il superamento degli indici di fabbricabilità e per la violazione delle distanze dai confini.

7) Violazione dell’art. 1 L. n. 64/1974 e del d.m. 11.3.1988. Difetto di istruttoria.

Non è stata effettuata alcuna indagine geotecnica e geologica, né è stato accertato se le fondazioni rispettino i criteri stabiliti dal d.m. in rubrica.

Con motivi aggiunti notificati il 9.4.1993, a seguito della produzione da parte del Comune dei documenti chiesti con ordinanza istruttoria, gli appellanti hanno dedotto le seguenti ulteriori censure:

8) Violazione dell’art. 18 della L. n. 64 del 1974 e dell’art. 26 della L. n. 1864/1962.

Non è stata verificata la conformità del progetto alle prescrizioni tecniche relative alle zone sismiche.

9) Violazione del d.m. 24.1.1986.

Il progetto approvato ha una altezza di mt. 15,50 e confina con via pubblica avente larghezza di m.9 in evidente contrasto con le norme che, per gli edifici con altezza superiore a m.7, impongono una distanza di m.10 tra il contorno dell’edificio e il ciglio opposto della strada.

10) Violazione dell’art. 2 delle N.T.A. Difetto di istruttoria.

La norma rubricata, alla stregua della quale il progetto è stato approvato, è stata violata in quanto è stato consentito un fabbricato alto m. 15,50 a confine con una strada larga m. 9, laddove sarebbe stata consentita un’altezza di m. 13,50.

11) In subordine. Violazione degli artt. 8 e 9 del d.m. n. 1444/1968.

Qualora la zona di intervento fosse da qualificare come zona B, non sarebbero state rispettate le altezze e le distanze tra pareti degli edifici frontistanti prescritte per tale zona.

12) Violazione art. 2 L. 241/1990.

La concessione è stata rilasciata in base ad un parere della C.E. del tutto immotivato.

Gli appellanti, con ulteriori motivi aggiunti, proposti dopo che - come assumono - hanno preso visione del parere della C.E., hanno dedotto:

13) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 6 N.T.A. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Difetto di motivazione.

La concessione è stata rilasciata senza alcuna previa istruttoria in ordine allo stato di urbanizzazione della zona ed alla sua adeguatezza.

Tutte le censure dedotte sono state ribadite in successive memorie difensive.

Le parti intimate, costituitesi in giudizio, hanno eccepito l’irricevibilità del ricorso perché notificato oltre il termine decadenziale dalla conoscenza della impugnata concessione edilizia ed hanno, comunque, illustrato le ragioni di infondatezza dei motivi di gravame.

Il Tar ha superato l’eccezione pregiudiziale ed ha respinto il ricorso.

Gli appellanti, con il ricorso in esame, chiedono l’annullamento della sentenza reiterando i motivi dedotti in primo grado.

La soc. appellata, costituitasi anche nel presente grado di giudizio, ha di nuovo sollevato la questione di irricevibilità del ricorso di primo grado ed ha insistito nelle già dedotte argomentazioni difensive.

Sia gli appellanti che la società appellata hanno depositato memorie.

Con ordinanza n. 5604 del 2002, è stata disposta, a carico di entrambe le parti, la produzione di un fascicolo contenente gli atti e i documenti, depositati in primo grado, ma non reperiti nel fascicolo trasmesso dal Tar Toscana, ai quali le stesse hanno fatto riferimento negli attuali scritti difensivi.

L’ordinanza è stata ottemperata solo dagli appellanti.

D I R I T T O

L’eccezione di irricevibilità dell’originario ricorso - già sollevata in primo grado dai controinteressati e dall’amministrazione comunale, in quella sede costituitasi, e reiterata nel presente giudizio di appello - è inammissibile, in quanto è stata irritualmente introdotta.

Al riguardo va innanzi tutto precisato che il Tar ha esaminato e rigettato l’eccezione suddetta.

Pertanto, fondatamente gli appellanti deducono che secondo il costante orientamento di questo Consiglio, la riproposizione in appello dell’eccezione doveva avvenire - sotto pena di inammissibilità per intervenuta formazione del giudicato sul punto - mediante apposita impugnazione incidentale. E’ stato, infatti, più volte ribadito che il potere di verifica da parte del Consiglio di Stato dei presupposti di rito a base del ricorso originario, esperibile in via di principio, si arresta nel caso in cui il giudice di primo grado, prima di respingere nel merito il ricorso stesso, abbia esaminato e respinto anche le questioni pregiudiziali proposte dal resistente, perché in tale ipotesi quest'ultimo, risultato totalmente vittorioso nel merito, ove voglia evitare il passaggio in giudicato della sentenza del T.A.R. sul punto relativo ai profili di rito risolti in modo a lui sfavorevole, deve riprodurre le sue eccezioni in appello mediante ricorso incidentale (cfr. Ad.pl. 22.12.1982 n. 21; C.d.S., Sez. V, 7.4.1995, n. 521 e 6.3.1990, n. 261; e, da ultimo, Sez. VI, 29.11.2002, n. 6575).

Il Collegio ritiene, poi, di poter prescindere dall’esame dell’eccezione (sollevata dagli appellanti con l’ultima memoria) di inammissibilità della costituzione dell’appellata soc. Moretti (e, quindi, delle argomentazioni difensive dalla stessa dedotte) per mancato conferimento di una valida procura, in quanto l’appello è fondato, meritando di essere condiviso il primo motivo dell’originario ricorso, che è stato reiterato nel presente grado del giudizio.

La questione proposta con il motivo suddetto riguarda la decadenza (o non) del vincolo posto dall’art. 6 delle N.T.A. del P.R.G. di Carrara, che nei due comprensori di Carrara centro e di Marina di Carrara subordinava l’edificazione alla previa approvazione di uno strumento urbanistico attuativo.

Secondo gli appellanti, al momento in cui è stata rilasciata l’impugnata concessione edilizia, il vincolo era decaduto, per scadenza del quinquennio, ai sensi dell’art. 2 della L. 19.10.1968 n. 1187, con conseguente applicabilità dell’ultimo comma dell’art. 4 della L. n. 10 del 1977, che reca la disciplina delle zone c.d. “bianche”, il quale all’interno dei centri abitati consente solo interventi sull’esistente, ma non di nuova edificazione residenziale.

Al riguardo il Collegio osserva, innanzi tutto, che l’orientamento giurisprudenziale in materia non è univoco, in quanto non mancano pronunce nelle quali si afferma che la decadenza prevista dall’art. 2 della L. n. 1187 del 1968 riguarda esclusivamente i vincoli preordinati all’esproprio o comunque tali da svuotare il contenuto del diritto di proprietà ovvero da impedire la possibilità di utilizzazione del bene, e non già le determinazioni che limitano l’attività edilizia, le quali non costituiscono altro che espressione di un potere di pianificazione del territorio comunale, al fine di programmare l’ordinato sviluppo delle aree abitate e di salvaguardare i valori urbanistici e ambientali esistenti, mentre, secondo un diverso indirizzo giurisprudenziale, l’art. 2 della L. 1187 del 1968 opera anche nell’ipotesi in cui il P.R.G. subordini l’edificazione di un’area alla formazione di un piano esecutivo (cfr., tra le dec. più recenti, C.d.S., Sez. V, 2.10.2002 n. 5178 e 24.10.2002 n. 5832). In particolare è stato precisato che la norma anzidetta si riferisce a tutti i vincoli di piano sia sostanziali (preordinati all’espropriazione) sia formali (che limitano l’edificabilità al fine di meglio definire in futuro la disciplina della zona, tra cui rientra il vincolo di piano particolareggiato), non essendovi nel testo della disposizione alcuna distinzione che consenta di ritenere il contrario e che, pertanto, dalla decadenza del vincolo di piano particolareggiato per scadenza del previsto quinquennio non possono che derivare i medesimi effetti, essendo sia i vincoli sostanziali che quelli formali volti alla tutela dei medesimi valori urbanistici, per cui le relative aree soggiacciono comunque ai limiti di edificabilità di cui all’art. 4 della L. 28.1.1977 n. 10.

Per tali ragioni, se si dovesse aderire al secondo dei difformi orientamenti giurisprudenziali, la concessione edilizia impugnata sarebbe illegittima perché rilasciata, come denunciato, in violazione del predetto art. 4, il quale, all’interno dei centri edificati, fino all’approvazione di una nuova disciplina urbanistica, consente solo interventi sul patrimonio edilizio esistente, con esclusione, quindi, di nuove edificazioni.

Peraltro, anche a volere escludere che il vincolo di cui trattasi non sia soggetto a decadenza, ugualmente la concessione assentita risulterebbe illegittima.

In tal caso andrebbe, infatti, accertato se il piano attuativo sia effettivamente necessario, trattandosi di un’area urbanizzata.

In proposito il Collegio, concordando sul punto, ormai fermo in giurisprudenza, della non necessità del piano particolareggiato qualora l’area interessata dalla concessione edilizia sia urbanizzata, deve ribadire che è tuttavia indispensabile ai fini del valido rilascio della concessione, che questa sia preceduta da una rigorosa valutazione del nuovo insediamento progettato (nel caso in esame notevole, essendo costituito da un fabbricato a destinazione residenziale e commerciale di cinque piani fuori terra, oltre un ampio piano interrato, per una volumetria complessiva di mc. 7134) in rapporto alla situazione generale del comprensorio e cioè da una adeguata ponderazione dello stato di urbanizzazione già presente nella zona e della eventuale esigenza di ulteriore urbanizzazione indotta dalla nuova costruzione.

L’amministrazione comunale nella memoria difensiva ha sostenuto la tesi che la zona era sufficientemente urbanizzata, ma non ha offerto alcun elemento documentale idoneo a sorreggere tale asserzione; pertanto, giustamente i ricorrenti hanno dedotto, formulando motivi aggiunti, ma sostanzialmente in replica a quanto dedotto dall’amministrazione e nell’ambito della normale dialettica processuale, che non era stata effettuata alcuna istruttoria intesa alla verifica dello stato dei luoghi.

Per le considerazioni che precedono l’appello va accolto, con assorbimento delle censure non esaminate e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, l’impugnata concessione edilizia va annullata.

Ricorrono giusti motivi per compensare le spese di entrambi i gradi del giudizio.

P. Q. M.

il Consiglio di Stato, Sezione quinta, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla la concessione edilizia impugnata.

Compensa le spese di entrambi i gradi del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.